La classificazione degli immobili come patrimonio disponibile

Consiglio di Stato, Sezione quarta, Sentenza 13 dicembre 2019, n. 8492

La massima estrapolata:

La classificazione degli immobili come patrimonio disponibile è un effetto legale conseguente all’accertamento che si tratta di beni non strumentali all’esercizio delle funzioni istituzionali dell’ente; la declassificazione è scelta connotata da ampi margini di discrezionalità amministrativa, in quanto direttamente afferente al programma politico-amministrativo e alle modalità di reclutamento della provvista necessaria a finanziare la spesa pubblica e la riprogrammazione dell’assetto del territorio.

Sentenza 13 dicembre 2019, n. 8492

Data udienza 21 novembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2184 del 2019, proposto dai signori Al. Bi., ed altri , rappresentati e difesi dall’avvocato Gi. Lo Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Uk Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Sa. Di Cu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana Sezione Prima n. 139/2019, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 novembre 2019 il cons. Giuseppe Rotondo e uditi per le parti gli avvocati Gi. Lo Ma. e Sa. Di Cu.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

I signori indicati in epigrafe e la società “Im. Ci. St. s.r.l.”, nella dichiarata qualità di proprietari di (e residenti in) unità immobiliari situate a (omissis), in via d(omissis), frontistanti i Giardini Al. Sp. – un’area di verde pubblico attrezzato posto all’angolo fra Via (omissis) e Via (omissis) – impugnavano, con ricorso dinanzi al T.a.r. per la Toscana (R.G. n. 305/2018), i seguenti atti:
– delibera Consiglio comunale (in prosieguo, C.C.) di (omissis) 12 dicembre 2017, n. 116, pubblica mediante avviso sul BURT del 27 dicembre 2017, n. 52, recante “Variante (n. 25) al Regolamento Urbanistico (approvato con del. CC 62/2010) consistente nella redazione di una scheda norma denominata Lotto Libero “Gi. Sp.” (LL_B36), disciplinata dal comma 24 bis.1.12 sexies delle NTA del Regolamento Urbanistico, al fine di procedere alla sua alienazione secondo quanto disposto dal piano delle alienazioni (Del. C.C.101/2016) – esame delle osservazioni e approvazione ai sensi dell’art. 32 della L.R.65/2014″;
– delibera C.C. di (omissis) 25 settembre 2017, n. 85, di adozione della suddetta variante;
– delibera Giunta comunale (in prosieguo, G.C.) 1° agosto 2017, n. 149, con la quale non vi è stato il provvedimento di non assoggettabilità a VAS della variante medesima;
– relazione tecnica dell’Autorità Competente alla procedura di verifica della assoggettabilità a VAS del 31 luglio 2017 approvata con la delibera G.C. di cui sopra;
– delibera G.C. 22 giugno 2017, n. 117, di avvio del procedimento di verifica di assoggettabilità a Vas dell’area in questione;
– delibera C.C. di (omissis) 22 dicembre 2016, n. 101, recante il “piano delle alienazioni e valorizzazioni immobiliari 2017 – approvazione” in parte qua;
-delibera G.C. 29 novembre 2016, n. 236, recante “approvazione dello schema di piano delle alienazioni e valorizzazioni immobiliari 2017”, in parte qua;
-delibera C.C. 21 dicembre 2017, recante “piano delle alienazioni e valorizzazioni immobiliari 2018 – approvazione” in parte qua;
-in quanto occorrer possa, art. 59.1.1 delle NTA del Regolamento Urbanistico del Comune di (omissis).
Essi esponevano in gravame che il suddetto giardino venne realizzato nel 1984 per assicurare al quartiere (omissis) – un’area urbanizzata periferica della città – una conveniente ed idonea risorsa di verde. Con i suoi 40 alberi di alto fusto, esso costituirebbe l’unica dotazione di verde presente nella zona di (omissis) Nord, un’area intensamente urbanizzata, nella quale il giardino, per la sua collocazione a confine con due strade intensamente percorse (via (omissis) e via (omissis)), consente anche la mitigazione dell’impatto acustico e visivo del traffico veicolare sulle abitazioni.
Il suddetto giardino, circondato su tre lati da fabbricati residenziali nei quali risiedono anche i ricorrenti, “è da sempre e correntemente utilizzato da questi ultimi e dalle loro famiglie, così come dagli altri abitanti del quartiere, fra i quali vi sono bambini ed anziani che si avvalgono quotidianamente dell’area, con maggiore o minore intensità a secondo della stagione. Il giardino rappresenta dunque una consolidata ed imprescindibile risorsa del quartiere che concorre a migliorare la vita dei suoi abitanti, anche sotto il profilo ricreativo e della aggregazione sociale, in un area residenziale periferica fortemente urbanizzata con una vocazione prevalente commerciale e produttiva”.
Muovendo da tali considerazioni, essi lamentavano l’illegittimità della delibera C.C. datata 22 dicembre 2016, n. 101, con la quale il Comune oggi appellato ha deciso di trasformare il terreno
in un’area edificabile da alienare a terzi, per introitarne i proventi in bilancio, mediante inclusione dell’area “de qua” nel piano delle alienazioni e valorizzazioni per il 2017, con l’intento di prevedervi, all’esito di apposita variante allo strumento urbanistico, mq 2.200 di nuova SLU a destinazione residenziale (od altra con esso compatibile); con un valore di stima di Euro 990.000,00 corrispondente a quasi la metà del valore dell’intero piano di alienazione approvato, che ammonta complessivamente ad Euro 2.590.250,00 (per 11 aree).
Tale previsione veniva confermata, all’esito di apposita ricognizione, nel successivo piano delle alienazioni per il 2018, approvato con delibera C.C. 127 del 21 dicembre 2017.
Per effettuare tale operazione, con separato procedimento, il Comune dapprima adottava (con delibera C.C. 25 settembre 2017, n. 85) e di poi approvava (con delibera C.C. 12 dicembre 2017, n. 116) la variante n. 25 al Regolamento Urbanistico (n. 25), volta a rendere edificabile l’area corrispondente al giardino.
Per evidenziare la loro legittimazione a ricorrere, essi evidenziavano, nelle premesse ai motivi di diritto dedotti in primo grado, di essere residenti in immobili di loro proprietà frontistanti i Gi. Sp., di trovarsi in una condizione di stabile insediamento in prossimità del luogo interessato dalla variante e di avere, pertanto – in ragione di tale vicinitas – piena legittimazione ad impugnare tale atto di pianificazione.
Quanto all’interesse ad opporsi alla trasformazione dell’attuale verde pubblico in un’area residenziale, essi esponevano che la rilevante variazione del carico urbanistico della zona inciderebbe negativamente sulle preesistenti condizioni di vivibilità dell’area nella quale essi risiedono, nonché sul valore degli immobili di loro proprietà .
Nel merito, gli interessati deducevano cinque motivi di gravame così compendiati: primo motivo – illegittimo inserimento l’area dei Gi. Sp. nel “piano delle alienazioni e valorizzazioni immobiliari 2017”, senza idonea motivazione e dimostrazione della cessazione della sua strumentalità all’esercizio delle funzioni istituzionali; secondo motivo – carenza di motivazione della variante in ordine all’opportunità di collocare nuova edificazione nell’area; terzo motivo – illegittima attribuzione al Lotto Libero LL-B36, istituito sull’area del giardino Sp., di un indice di trasformazione pari a 0,42, mq/mq, di quattro volte superiore a quello prescritto dal Piano Strutturale; quarto motivo – illegittima riduzione del “verde pubblico attrezzato” nell’UTOE (omissis), in violazione del piano strutturale; quinto motivo – la mancata sottoposizione della variante al procedimento di VAS.
Si costituiva in giudizio il comune di (omissis) che, con memorie depositate in data 26 aprile 2018 e 22 dicembre 2018, contestava la fondatezza dei motivi dedotti, eccependo preliminarmente la carenza di interesse all’impugnazione dei ricorrenti e la tardività del ricorso avverso il piano delle alienazioni.
Seguivano una memoria di opposizione degli odierni appellanti e un atto di replica del Comune.
2. Il T.a.r. per la Toscana, con sentenza n. 139/2019, premesso che “la manifesta infondatezza del ricorso consente di prescindere dall’esame delle eccezioni preliminari proposte, pur non apparendo prive di fondamento le argomentazioni dirette a rilevare l’inesistenza di un effettivo interesse degli attuali ricorrenti”, ha respinto nel merito il ricorso ed ha condannato i ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento delle spese di lite liquidate in euro 3.000,00 (tremila//00) oltre oneri di legge.
3. I ricorrenti originari hanno proposto appello, per ottenere la riforma della sentenza impugnata e il conseguente accoglimento integrale del ricorso originario.
4. Preliminarmente, essi insistono sulla propria legittimazione e sull’interesse ad agire ed evidenziano, a tal fine, di avere allegato e dimostrato (depositato i certificati di residenza) di abitare in edifici che si affacciano sul – e confinano con – il Giardino Sp.; di trovarsi in stabile collegamento con il luogo interessato dalla variante; di avere provato la qualità di proprietari degli immobili dove essi abitano.
Quanto all’interesse ad agire, gli appellanti affermano di avere evidenziato gli effetti negativi che il cambio di destinazione dell’area del Giardino Sp. produrrà sia sugli immobili sia sulla loro qualità della vita, in termini di riduzione della quantità di verde, di perdita della mitigazione dell’impatto acustico e visivo del traffico veicolare sulle abitazioni, di aumento del carico urbanistico connesso alla realizzazione di una elevata volumetria non solo residenziale ma anche commerciale, di perdita della visuale su di un luogo ameno destinato a essere occupato da edifici realizzabili fino a tre piani.
Per quanto concerne, infine, l’eccepita tardività del ricorso di prime cure (non scrutinata dal Tar), gli appellanti fanno leva sulla carenza di lesività della deliberazione recante l’inserimento del giardino nel piano delle alienazioni, senza alcuna modifica di destinazione d’uso a verde pubblico; lesività che si sarebbe attualizzata a seguito della variante urbanistica che ha modificato, appunto, l’originaria destinazione d’uso inverando i presupposti dell’interesse ad agire.
5. Nel merito, gli appellanti censurano la sentenza impugnata.
5.1. Con riguardo al primo motivo di gravame – con il quale gli originari ricorrenti, oggi appellanti, avevano censurato l’illegittimo inserimento dell’area del giardino Sp. nel piano delle alienazioni per il 2017 (e 2018) per non avere l’Amministrazione esplicitato le ragioni per le quali il bene fosse da ritenersi non più strumentale all’esercizio delle proprie funzioni istituzionali e pertanto inseribile fra i beni del patrimonio disponibile alienabile a terzi – essi reputano la statuizione errata laddove il Tar “ha respinto tale motivo opponendo a) da un lato come, “siano stati gli stessi ricorrenti (si veda pag. 10 del ricorso) a rilevare come fosse la delibera di adozione della variante al Regolamento Urbanistico 85 del 2017 ad esplicitare le ragioni in base alle quali l’Amministrazione si era determinata per mutare la destinazione urbanistica dell’area e, ciò, in considerazione del fatto che il “Giardino Sp.” risulterebbe “scarsamente frequentato” con il rischio di divenire aree di potenziale degrado e abbandono”; b) dall’altro che “per quanto concerne i piani di alienazione, che come è noto costituiscono degli atti generali a contenuto programmatorio…, non sono necessari particolari oneri di motivazione, costituendo l’espressione di un potere di merito dell’azione amministrativa, sottratti – in quanto tali – al sindacato di questo giudice se non per evidenti e incontestabili profili di illogicità, travisamento, contraddittorietà e sviamento di potere”.
Con riferimento a tale ultima affermazione (sub b), gli appellanti osservano che “la natura altamente discrezionale del potere in questione… risulta smentita dal tenore dell’art. 58 del D.L. 112 del 2008 conv. in L. 133/2008, il quale, subordinando il declassamento del bene da alienare all’accertamento che non risulti più strumentale all’esercizio delle proprie funzioni istituzionali “sulla base e nei limiti della documentazione esistente presso i propri archivi e uffici”, sancisce l’obbligo a carico dell’Amministrazione di esercitare tale potere solo allegando e provando tale circostanza alla luce della documentazione in suo possesso”.
Quanto al primo aspetto (sub a), il TAR della Toscana non avrebbe considerato, da un lato, che la motivazione cui fa riferimento è contenuta nella variante al R.U., che in quanto atto successivo e distinto da quella approvativa del piano delle alienazioni non poteva integrare la inesistente motivazione di quest’ultima; dall’altro, che le ragioni ivi indicate risultano solo enunciate nella delibera, ma non supportate da qualsiasi concreta prova o documentazione.
Non corrisponderebbe, inoltre, al vero, che “il giardino sia scarsamente frequentato”: mancherebbe a supporto di tale affermazione qualsiasi documentazione, anche un semplice censimento giornaliero delle presenze in un arco di tempo significativo, di cui non si fa menzione neppure nelle controdeduzioni alla variante.
Neppure il giardino si troverebbe “attualmente in una situazione di degrado”; non vi sarebbero, altresì, “elementi che facciano ipotizzare un imminente degrado futuro dell’area”; parimenti “falsa” sarebbe l’affermazione “che la conformazione del giardino non ne favorisca la frequentazione” (trovandosi a poca distanza dell’area commerciale “(omissis) Nord” ed a 700 metri dal plesso scolastico (omissis), il giardino risulta a servizio di una zona popolata da soggetti residenti e di passaggio).
Il mutamento di destinazione d’uso sottrarrebbe il giardino alle finalità cui esso era stato assegnato in sede di realizzazione (delibera C.C. 13 luglio 1981, n. 246), quelle cioè di soddisfare le “esigenze di una zona periferica”.
5.2. Con riguardo al secondo motivo di ricorso, gli appellanti avevano censurato in primo grado la variante al regolamento urbanistico approvata con la delibera C.C. 116/2017 per attuare il Piano delle alienazioni, rilevando come essa, trasformando un’area a verde pubblico – inedificata ed inedificabile – in area destinata ad una consistente edificazione (2200 mq) con molteplici destinazioni (residenziale, commerciale, turistico ricettivo, direzionale e servizi.) avrebbe dovuto essere puntualmente motivata.
Il Tar ha respinto il motivo sul presupposto che “la nuova classificazione contenuta nella variante altro non è che la conseguenza dell’inserimento dell’area nel piano delle alienazioni e, ciò, una volta accertata la non strumentalità di detti beni rispetto alle finalità perseguite dall’Amministrazione. La destinazione urbanistica non poteva che essere determinata sulla base delle disposizioni vigenti…..”; non occorreva una specifica motivazione in quanto “nessuno degli attuali ricorrenti è proprietario di una delle aree incise dalla variante e dal piano delle alienazioni” ed essi “si limitano a contestare una decisione di discrezionale e di merito dell’Amministrazione, senza che sia dimostrato il venire in essere di un effettivo pregiudizio che non sia da circoscrivere nella preferenza di questi ultimi a risultare confinanti di un’area adibita a verde rispetto ad un’area edificata”.
Gli appellanti censurano la statuizione che reputano errata.
L’obbligo di puntuale motivazione delle varianti urbanistiche sussiste, a loro dire, non solo quando queste vadano ad incidere sulle legittime aspettative del proprietario ma allorché interessino una specifica e circoscritta area del territorio comunale. E tale “onere sussiste di chiunque sia la proprietà dell’area oggetto di variante; con la conseguenza che la circostanza che gli appellanti non siano proprietari dell’area del giardino Sp. nel caso di specie risulta del tutto irrilevante”.
Il giudizio, proseguono gli appellanti, non è stato promosso “per soddisfare la loro asserita preferenza “a risultare confinanti di un area adibita a verde rispetto ad un’area edificata” – come sostenuto dai Primi Giudici -, bensì per evitare l’effettivo e concreto pregiudizio che la modifica della destinazione urbanistica dell’area prospiciente la loro proprietà produce a quest’ultima”.
La variante sarebbe “inspirata esclusivamente dalla volontà di ricavare denaro dalla vendita del terreno, interesse rispetto al quale l’Amministrazione ha sacrificato qualsiasi valutazione di natura urbanistica – abdicando al suo ruolo di pianificatore – emendando il Regolamento Urbanistico solo per motivi economici. Tutto ciò senza effettuare:
a) alcuna valutazione in ordine alla sostenibilità di altra rilevante Sul edificabile nell’area in questione; b) alcuna comparazione fra l’interesse economico dell’ente a vendere l’area come edificabile ed il sacrificio imposto agli abitanti del quartiere privati dell’area a verde pubblico; c) qualsiasi approfondimento in ordine alla effettiva esistenza di una domanda di nuovi edifici residenziali, in un contesto cittadino in cui vi sono ancora numerosi edifici di nuova costruzione invendute da anni”.
6. Con il terzo motivo gli appellanti avevano dedotto che la variante, pur non alterando la superficie utile complessiva dell’UTOE del Comune di (omissis) né quella totale del Regolamento Urbanistico, ha attribuito al Lotto Libero LL_B36 istituito sull’area dei Gi. Sp., una superficie edificabile esorbitante rispetto agli specifici limiti imposti dal Piano Strutturale per le aree comprese nell'”ambito della città da consolidare” nel quale il terreno in questione è incluso.
6.1. Il TAR della Toscana, nel rigettare il motivo in questione, si sarebbe basato su una “sconclusionata – e solo apparente – motivazione, confezionata giustapponendo stralci incompleti della difesa del Comune”.
E invero, l’art. 31.3 del Piano Strutturale non fornirebbe alcun sostegno alla tesi del TAR.
Neppure gli artt. 57.11.1 e ss. giustificherebbero la previsione impugnata.
6.2. Anche il passaggio sulla relazione tecnica dell’ufficio comunale risulterebbe “oscuro, non comprendendosi a quale relazione tecnica si faccia riferimento, che valore giuridico il TAR attribuisca ad essa e comunque a che titolo venga richiamato l’istituto della perequazione e che effetti produca sulla disciplina del Lotto Libero “Gi. Sp.” (LL_B36); né dove tali effetti sarebbero stati disciplinati”.
6.3. Incomprensibile sarebbe, infine, anche l’ultimo passaggio della motivazione ove si afferma che “l’indice territoriale di capacità edificatoria, previsto dalla proposta Variante e pari allo 0,42 mq/mq, risultando così ad un valore intermedio rispetto agli indici previsti per i terreni di proprietà privata (0,30 mq/mq nelle aree di trasformazione e 0,20 mq/mq nei lotti liberi; attorno allo 0,60 mq/mq nelle aree di recupero) e quelli relativi alla proprietà pubblica (0,20 e 0,30 mq/mq)”.
6.4. La sentenza pretenderebbe, inoltre, di giustificare la censurata previsione “dimostrando che l’indice territoriale non sarebbe poi così tanto esorbitante rispetto ad altre previsioni”.
La statuizione è errata poiché il Tar non doveva valutare l’opportunità dell’indice territoriale assegnato al lotto libero “Gi. Sp.”, pari a 0,42, mq/mq (valore mai contestato dall’Amministrazione), bensì la sua legittimità alla stregua dell’art. 31, punto 4 del P.S. che prevede per le aree comprese nell'”ambito della città da consolidare” un indice (0,1 mq/mq) quattro volte inferiore.
7. Con il quarto motivo gli appellanti avevano lamentato una riduzione secca del verde pubblico attrezzato nell’UTOE (omissis), in contrasto con gli artt. 28 e 31 delle NTA del P.S.
7.1.Il Tar ha rigettato il motivo con una motivazione che gli istanti reputano “poco conferente rispetto al tenore della censura”. La perequazione, osservano gli appellanti, non potrebbe consentire al Regolamento Urbanistico di disattendere le previsioni vincolanti dettate per ogni singola UTOE dal Piano Strutturale; il quale, per quella di (omissis), prevede (agli artt. 28 e 31.2) l’incremento o comunque il consolidamento, degli spazi aperti” e non già la riduzione.
Né la riduzione del verde pubblico conseguente all’eliminazione dei Gi. Sp. può ritenersi compensata, come rilevato dai Primi Giudici, con la ridistribuzione dell’area di verde pubblico in altre zone del Comune, trattandosi di previsione ipotetica, non formalmente assunta nella variante, dislocata a notevole distanza dalla zona di interesse.
8. Con l’ultimo motivo di ricorso gli appellanti avevano, infine, censurato la mancata sottoposizione della variante al procedimento di valutazione ambientale strategica.
Il Tar ha ritenuto, “nell’espressione di un giudizio tecnico-discrezionale, non necessaria la VAS, una volta acquisiti i contributi operativi inviati dai soggetti interpellati e stante la non rilevata necessità di indire una Conferenza dei Servizi, così come emerge dalla delibera n. 149/2017”.
8.1. Gli appellanti, nel censurare la statuizione, osservano che sussisteva l’obbligo per l’Amministrazione di procedere alla VAS “sulla base di una previsione autonomamente inserita dal Comune all’art. 31.4 del Piano Strutturale; che non poteva certo essere disattesa dall’Amministrazione in sede di approvazione della variante al R.U. essendosi il Comune autovincolato a monte, nell’ambito del P.S. a compiere la VAS anche ove non obbligatoria per legge”.
9. Si è costituito in appello il comune di (omissis) che, oltre a controdedurre nel merito delle censure articolate nell’atto di appello, reitera le eccezioni di inammissibilità e tardività del gravame.
10. All’udienza del 21 novembre 2019, il ricorso è stato trattenuto per la decisione.
11. Preliminarmente, il Collegio deve farsi carico di esaminare le eccezioni di tardività e inammissibilità sollevate dal Comune resistente in primo grado e reiterate in appello, non scrutinate in primo grado dal Tar.
12. Per quanto concerne l’eccezione di tardività dell’atto di ricorso introduttivo del complesso giudizio, essa s’appalesa infondata.
La deliberazione con la quale il comune di (omissis) ha approvato il piano delle alienazioni è atto in astratto immediatamente lesivo, suscettivo quindi di immediata impugnazione a pena di decadenza.
Tuttavia, nella particolarità della fattispecie in esame, la sola inclusione dell’area “de qua” nel suddetto piano non poteva ritenersi idonea ad inverare in capo agli odierni appellanti l’interesse ad agire. Ciò di cui costoro si lamentano non è la mera dismissione del bene, ovvero la declassificazione dello stesso mediante il transito dal patrimonio indisponibile a quello disponibile per la sua successiva alienazione; bensì, il mutamento di destinazione d’uso impresso al bene medesimo che, da verde pubblico, è stato trasformato in area edificabile.
La lesività, che integra la condizione dell’azione e invera l’interesse ad agire, qui inteso come momento da cui far decorrere il “dies a quo” per la proposizione del gravame, si è, pertanto, concretizzata e attualizzata con la deliberazione di consiglio comunale n. 116, adottata nella seduta del 12 dicembre 2017, con la quale il comune di (omissis) ha approvato la variante (n. 25) al regolamento urbanistico, mutando la destinazione d’uso del bene in questione.
Va soggiunto, ad ogni modo e comunque, che se anche si intendesse far risalire la lesività, e dunque il “dies a quo” di decorrenza del termine per la proposizione del ricorso, alla deliberazione di approvazione del piano delle alienazione, siffatta lesività andrebbe ricongiunta non già alla deliberazione consiliare n. 101, assunta nella seduta del 22 dicembre 2016, bensì alla deliberazione di c.c. n. 127 del 21 dicembre 2017, con la quale il Comune, all’esito di una rinnovata istruttoria e riconsiderazione dell’interesse pubblico sotteso alle esigenze pubblicistiche di dismissione dei beni, ha approvato il nuovo “Piano delle alienazioni e valorizzazioni immobiliari 2018”, includendo tra le aree soggette ad alienazione quella oggi in contestazione. La deliberazione del 21 dicembre 2017 non è meramente confermativa di una volontà già esplicitata l’anno precedente, bensì è stata rinnovativa dell’interesse pubblico nella misura in cui il bene “de quo” ha costituito una (nuova) posta attiva del bilancio 2018 e non un residuo attivo.
Va dunque respinta l’esaminata eccezione.
13. Altrettanto infondata è l’eccezione relativa al difetto di legittimazione e di interesse ad agire in capo ai ricorrenti.
Gli odierni appellanti hanno prospettato, a fondamento del ricorso introduttivo del complesso giudizio, il pregiudizio che ad essi deriverebbe in caso di trasformazione dell’attuale verde pubblico in un’area residenziale, giacché la conseguente, rilevante variazione del carico urbanistico della zona inciderebbe negativamente sulle preesistenti condizioni di vivibilità dell’area nella quale essi risiedono, nonché sul valore degli immobili di loro proprietà .
13.1. La legittimazione ad agire sul piano processuale (legitimatio ad causam) spetta al titolare della situazione giuridica sostanziale, ovvero dell’interesse legittimo che si assume essere stato ingiustamente leso dal provvedimento amministrativo e che viene dedotto in giudizio.
Essa, pertanto, concerne l’ipotetica fondatezza del ricorso, sotto il profilo soggettivo, con la conseguenza che la tutela del ricorrente è subordinata al fatto che l’interesse legittimo sia affermato come posizione giuridica di colui che propone la domanda e contro colui nei cui confronti la domanda si rivolge.
In tale contesto, il problema di fondo che viene in rilievo è quello della coniugabilità, o meno, dell’interesse legittimo, che riguarda una posizione di vantaggio personale e differenziata, con l’interesse di mero fatto o superindividuale, nella sua forma di interesse diffuso, ovvero non individuale e non differenziato
Al fine di individuare detto interesse qualificato e differenziato la giurisprudenza, tramite un lungo e complesso percorso interpretativo, ha individuato i requisiti necessari perché soggetti appartenenti ad un determinato contesto territoriale possano considerarsi legittimati a tutelare in giudizio i propri interessi.
Il requisito che qui viene in rilievo è quello della “vicinitas”.
Questo criterio richiede, ai fini del riconoscimento della legittimazione ad agire in giudizio, che il soggetto risulti portatore di un interesse localizzato o localizzabile in una determinata zona.
Più in particolare, il criterio della vicinitas è stato utilizzato (ed è tuttora utilizzato in giurisprudenza) al fine di riconoscere la legittimazione ad agire in giudizio al singolo individuo che intenda ricorrere a difesa di profili, afferenti ad interessi comuni ad una pluralità di soggetti, ma riguardanti anche la sua sfera personale come nel caso della tutela del bene ambiente o della salute, intesi anche come prospettiva di una migliore qualità di vita.
Il soggetto singolo, che intenda ricorrere contro un provvedimento amministrativo, esplicante i suoi effetti nell’ambiente in cui vive, ha infatti, l’obbligo di identificare innanzitutto il bene della vita che, dall’iniziativa dei pubblici poteri potrebbe essere pregiudicato (il paesaggio, l’acqua, l’aria, il suolo, il proprio terreno), e, successivamente, di dimostrare che si tratta di un bene rispetto al quale egli si trova in una posizione differenziata, tale da legittimarlo a chiedere tutela giurisdizionale.
La vicinitas, dunque, quale requisito legittimante l’azione innanzi al giudice amministrativo, può essere definita come uno stabile e significativo collegamento (da indagarsi caso per caso) del ricorrente con l’ambiente che si vuole proteggere.
Orbene, non v’è dubbio che tali requisiti, identificativi della vicinitas, sussistano nella fattispecie, poiché i ricorrenti originari hanno dimostrato la rispettiva, propria residenza, domicilio o sfera di interessi nelle immediate adiacenze e in contiguità materiale con il bene inciso dall’azione amministrativa.
Gli odierni appellanti, nel gravarsi avverso la determinazione urbanistica, hanno altresì evidenziato il pregiudizio che ad essi deriverebbe dall’atto preordinato alla definizione di un corretto assetto del territorio, indicandolo nel deterioramento delle condizioni di vita connesso all’incremento del carico urbanistico e alla sottrazione di verde pubblico nella zona in cui risiedono stabilmente o svolgono la principale attività lavorativa.
Tale prospettazione, supportata in concreto dalla valorizzazione del contenuto della variante urbanistica rispetto alla originaria destinazione del bene, appare sufficiente ad inverare i presupposti della “vicinitas” anche sotto il profilo dell’interesse ad agire, poiché fondata non già sulla generica lesione all’ordinato assetto del territorio, bensì, sul concreto vantaggio (patrimoniale – economico) che gli istanti suppongono (prospettano) di poter preservare o anche incrementare mercé la conservazione dell’attuale destinazione urbanistica del bene.
Tale soluzione non è in contrasto con l’orientamento della Sezione (v. per tutte sentenza del 15 dicembre 2017, n. 5908, la quale, conformandosi alla pronuncia della Sez. V del 22 marzo 2016, n. 1182, ha riaffermato che chi ricorre deve fornire la prova del concreto pregiudizio patito e patiendo, sia esso di carattere patrimoniale o di deterioramento delle condizioni di vita, a cagione dell’intervento edificatorio), ma ne rappresenta un ulteriore sviluppo argomentativo, laddove individua il vantaggio pratico e concreto che può derivare dall’accoglimento del ricorso nella idoneità dell’azione a far conseguire un certo obiettivo in vista del quale è sufficiente che gli interessati prospettino (elemento soggettivo), con adeguato grado di serietà e attendibilità (elemento oggettivo), il vantaggio che essi si propongono di conseguire.
In altri termini, la prova del concreto pregiudizio patito e patiendo (sia esso di carattere patrimoniale o di deterioramento delle condizioni di vita) non va offerta con allegazioni documentali atte a comprovare con certezza la perdita economica o il deterioramento subiti dal bene sul mercato: una siffatta pretesa imporrebbe quasi una “probatio diabolica” al ricorrente, che mai o quasi si potrebbe trovare nelle condizioni di fornire una prova del genere. E comunque, confonderebbe quella che è la prova in concreto del danno (rilevante a tutt’altri fini: id est, risarcimento del danno) con la mera prospettazione che invece sorregge le condizioni dell’azione.
Ciò che conta, al fine, è che colui che agisce contro un provvedimento regolatore dell’assetto del territorio fornisca la prova della “vicinitas” e che alleghi, con sufficiente indice di serietà, l’idoneità dell’azione a far conseguire un certo obiettivo che egli prospetta come utile e di vantaggio per la propria sfera patrimoniale.
Nel caso in esame, gli appellanti (ricorrenti originari) hanno fornito siffatte allegazioni con sufficiente grado di attendibilità, laddove hanno prospettato gli effetti negativi che il cambio di destinazione dell’area del Giardino Sp. produrrebbe sia sugli immobili sia sulla loro qualità della vita, in termini di riduzione della quantità di verde, di perdita della mitigazione dell’impatto acustico e visivo del traffico veicolare sulle abitazioni, di aumento del carico urbanistico connesso alla realizzazione di una elevata volumetria non solo residenziale ma anche commerciale, di perdita della visuale su di un luogo ameno destinato a essere occupato da edifici realizzabili fino a tre piani.
Le eccezioni vanno, pertanto, respinte.
Nel merito, l’appello è infondato.
La sua infondatezza consente di prescindere dall’esame dei rilievi di inammissibilità sollevati dalla difesa comunale in punto di tardivo deposito della nuova documentazione e della ultima memoria conclusiva.
La decisione di primo grado va confermata, con le medesime sue estese motivazioni; ferme e ribadite le quali, il Collegio ritiene utile svolgere le ulteriori, seguenti considerazioni.
La giurisprudenza amministrativa ha chiarito che il piano delle alienazioni e valorizzazioni del patrimonio immobiliare costituisce uno strumento di pianificazione urbanistica, soggetto, tra l’altro, ad una procedura definibile “semplificata”, connotato – al pari degli altri strumenti di tal genere – da un evidente valenza programmatoria.
La classificazione degli immobili come patrimonio disponibile è un effetto legale conseguente all’accertamento che si tratta di beni non strumentali all’esercizio delle funzioni istituzionali dell’ente.
La declassificazione è scelta connotata da ampi margini di discrezionalità amministrativa, in quanto direttamente afferente al programma politico-amministrativo e alle modalità di reclutamento della provvista necessaria a finanziare la spesa pubblica e la riprogrammazione dell’assetto del territorio.
La scelta, pertanto, superato il vaglio della discrezionalità sindacabile ab esterno (secondo i canoni della manifesta irragionevolezza, arbitrarietà e/o palese travisamento dei presupposti), impinge esclusivamente il merito insindacabile dell’azione amministrativa.
Come tutte le scelte di pianificazione, non necessita dunque di altra motivazione se non di quella costituita dal riferimento ai criteri tecnici seguiti nella redazione e nell’impostazione del piano; e neppure richiede – in termini generali – la puntuale indicazione dei presupposti di fatto sottesi alla scelta in tal modo effettuata dall’Amministrazione
Naturalmente, la destinazione urbanistica va ovviamente determinata nel rispetto delle disposizioni e delle procedure stabilite dalle norme vigenti.
Orbene, nel caso di specie consta che i “Gi. Sp.” costituiscono un’area di complessivi 5.184 metri quadri. Essi sono stati inseriti nel “Piano delle alienazioni e valorizzazioni immobiliari 2017” proposto sulla base di una ricognizione effettuata dal Settore Governo Programmazione e Gestione del Territorio e del Patrimonio, approvato con deliberazione del CC n. 101 del 22 dicembre 2016, per un importo complessivo del piano pari ad Euro 2.590.250,00. La superficie utile allocata è pari a 2.200 mq.
La documentazione versata in atti ha comprovato che l’amministrazione comunale aveva più volte e ripetutamente manifestato, anche in sedute pubbliche consiliari, la volontà di alienare l’area de qua.
Tale scelta è stata dettata dalla sufficiente disponibilità di verde pubblico, che nella zona risultava essere superiore ai minimi di standard, nonché dalla difficile condizione economica del Comune prova di fondi per completare le opere in corso, conservare e manutenere quelle esistenti e progettarne di nuove secondo il programma di governo.
Tali difficoltà sono state evidenziate dal bilancio in conto capitale, in quanto affrontabili esclusivamente con l’autofinanziamento; dunque, secondo le valutazioni insindacabili dell’Ente, mediante una ricollocazione del proprio patrimonio sul piano degli investimenti da effettuare.
In questo contesto, documentato dal Comune (vedi relazioni tecniche), la sentenza impugnata ha ben colto gli aspetti motivazionali sottesi all’approvazione del Piano.
La variante risulta, infatti, congruamente supportata sul piano della ragionevolezza della scelta e immune, in parte qua, dai rubricati vizi; tenuto altresì conto che gli appellanti sono stati comunque messi nelle condizioni di partecipare al procedimento e di presentare osservazioni.
L’aspetto significativo, circa la non arbitrarietà o irragionevolezza del Piano, si coglie, in particolare, con riguardo alla previsione di porre a carico dell’acquirente la realizzazione delle infrastrutture necessarie oltre che delle opere di riqualificazione dell’area a verde contigua (infrastrutture carrabili e ciclopedonali adiacenti il lotto; riqualificazione del verde posto nella zona; messa in sicurezza dell’area; adeguamento del sistema fognario e del rifacimento del manto stradale; realizzazione di “nuovi marciapiedi comprensivi di pubblica illuminazione e di un sistema ciclopedonale che conduca all’area verde posta lungo viale (omissis) sempre in zona, attrezzata per garantire la messa in sicurezza delle persone che la utilizzano”: tutte opere in conto capitale).
Vanno, dunque, disattese tutte le censure volte a revocare in dubbio la giustezza della sentenza di primo grado in punto di inesatta percezione della situazione di fatto ed erronea motivazione circa l’attendibilità, la congruità e l’adeguatezza della scelta effettuata dall’amministrazione.
Parte appellante censura la sentenza di primo grado anche con riguardo agli aspetti tecnici della variante che, a suo dire, non sarebbero stati correttamente colti dal Tar.
Le doglianze non risultano fondate.
Per quanto riguarda la capacità edificatoria attribuita all’area dei Gi. Sp., alla censura degli istanti che reputano esorbitante tale capacità rispetto agli specifici limiti imposti dal Piano strutturale (richiamando sul punto gli artt. 31, punto 4 del P.S. e 24bis delle NTA del R.U.), parte resistente ha contrapposto, con condivisibile argomentazione in punto di diritto, l’art. 31.3 del Piano strutturale, nonché gli artt. 57 e 59 delle NTA del R.U.
Va osservato, infatti, che l’immobile in questione è inserito nell’ambito della “città da consolidare”. Orbene, l’art. 31, punto 3), stabilisce che in tale ambito sono “comunque ammesse tutte le funzioni ad essa compatibili, in particolare servizi e attrezzature, attività direzionali, attività commerciali”.
Coerentemente a tale previsione, il Piano strutturale prevede che “all’interno di aree di trasformazione dovranno essere individuati e prescritti strumenti perequativi finalizzati alla realizzazione di servizi e attrezzature pubbliche o di uso pubblico”.
La previsione di un sistema perequativo consente, dunque, di superare l’assunto secondo cui l’indice territoriale assegnato alle aree di trasformazione e agli interventi di completamento, secondo le previsioni del Piano Strutturale, “dovrà essere al massimo pari a 0,10 mq/mq”. Ciò trova conferma anche nelle NTA del R.U., secondo cui per le aree di trasformazione è possibile il raggiungimento dell’indice territoriale fino allo 0,30 mq/mq (art. 57).
La scelta di avvalersi degli strumenti perequativi è chiaramente di tipo discrezionale, dunque non sindacabile in sede giurisdizionale ove immune da vizi di arbitrarietà e irragionevolezza o travisamento dei fatti.
Nella circostanza, la fonte normativa locale consente l’utilizzo di tale sistema di intervento urbanistico; sicché, a fronte delle esigenze rappresentate dall’amministrazione, meglio sopra illustrate, la sentenza ha tenuto adeguatamente conto delle norme di settore e dei principi che informano l’esercizio della funzione amministrativa.
Al riguardo, va rilevato che delibera di C.C. n. 101 del 2016 aveva previsto solo uno “spostamento della capacità edificatoria (di proprietà pubblica) inutilizzata, di quattro aree di trasformazione per servizi (AT_S) (anch’esse pubbliche), sull’area di nuova istituzione LL_B36 “ex Giardino Sp.” (sempre di proprietà pubblica)”.
Ne consegue, come anche posto in evidenza dal Comune, che non è fondatamente prospettabile una modifica al dimensionamento del R.U. comunale, né il superamento del dimensionamento del Piano Strutturale.
Quanto all’indice territoriale di capacità edificatoria, previsto dalla proposta variante e pari allo 0,42 mq/mq, superiore al limite dello 0,30, si deve rilevare che, ai fini del corretto calcolo dell’indice in questione, il Piano strutturale non prevede una differenziazione tra lotti in proprietà pubblica e lotti in proprietà privata; ragion per cui, con riferimento ai lotti liberi, appare congruente fare applicazione di un criterio di calcolo improntato al “valore intermedio” rispetto agli indici previsti per i terreni di proprietà privata (0,30 mq/mq nelle aree di trasformazione e 0,20 mq/mq nei lotti liberi; circa lo 0,60 mq/mq nelle aree di recupero) e quelli relativi alla proprietà pubblica (0,20 e 0,30 mq/mq).
Nel caso di specie, l’indice territoriale previsto dalla variante è compreso tra lo 0,30 e lo 0,60 mq/mq, dunque non esorbitante rispetto ai limiti del R.U. ove calcolati secondo il menzionato criterio.
La necessità di fare applicazione di un siffatto indice territoriale risponde, invero, ad una evidenziata esigenza economica rappresentata non già (come sostenuto in tesi dagli appellanti) dall’intenzione di ‘fare cassà (per coprire la spesa corrente), bensì dalla opportunità di reperire – attraverso la razionale utilizzazione di proprie risorse patrimoniali – la provvista in conto capitale per l’autofinanziamento di opere e interventi pubblici altrimenti irrealizzabili.
Gli appellanti hanno anche lamentato la riduzione dello standard di verde pubblico attrezzato, non compensata.
Sul punto, parte appellata ha documentato che la quantità di verde pubblico attrezzato risulta, comunque, superiore alla soglia minima prevista dal D.M. 1444 del 1968.
In disparte quanto sopra, la versata documentazione tecnica ha dato conto che prima dell’approvazione dell’intervento in questione è stata effettuata una verifica preventiva sulla consistenza del verde pubblico esistente e di quello di progetto, tenuto conto degli abitanti effettivi e di quelli potenziali (cioè previsti in conseguenza della edificazione contestata).
L’amministrazione ha documentato che “sulla scorta di tale analisi, applicando la metodologia di calcolo che prevede un abitante per ogni 100 mq e tenendo conto dello standard minimo di 9 mq, è emerso che lo standard di verde pubblico attrezzato per l’area considerata sarebbe comunque notevolmente superiore (quantificato in 17,5 mq per abitante) a quello minimo previsto. Inoltre, ove si voglia tenere conto solo del verde pubblico e degli abitanti esistenti (senza considerazioni potenziali), allora il valore, seppure inferiore a quello sopra riportato (17,5 mq), è comunque superiore allo standard minimo (9 mq), in quanto risulta pari a 10,25 mq”.
Il Collegio ritiene che il progetto approvato sia stato adeguatamente motivato in parte qua e che esso si regga su una congruente istruttoria tecnica.
Sul punto, a conforto di tali considerazioni, va richiamato quanto evidenziato nei suoi scritti dall’amministrazione comunale e desunto dalle relazioni tecniche di accompagnamento, secondo cui, contestualmente alla previsione e approvazione della variante, è stato previsto – oltre alla realizzazione di opere extra comparto sopra illustrate – anche il potenziamento degli spazi aperti pubblici nella medesima area Nord dei Gi. Sp..
L’amministrazione ha chiarito che si tratta della “zona verde” compresa tra via Fleming e via Ferrari. La circostanza che tale zona verde non ricada immediatamente in adiacenza o fronte casa degli appellanti non ha un rilievo giuridicamente apprezzabile, concretizzandosi in una mera ridistribuzione del verde pubblico attrezzato all’intero della medesima zona in questione.
Va condivisa, infine, la decisione di primo grado con riguardo alla mancata sottoposizione della variante al procedimento di VAS.
La sentenza, sul punto, ha dato congruente motivazione in ordine alle ragioni sottese alla legittimità della scelta operata dall’amministrazione.
La circostanza (censurata dagli appellanti) che la sentenza non avrebbe dato rilevanza all’autovincolo che l’amministrazione stessa si era data nell’ambito del Piano strutturale, e cioè a compiere la VAS anche ove non obbligatoria per legge, non comporta l’illegittimità consequenziale e automatica dell’atto ove disatteso tale autovincolo.
Si tratta di un vincolo di condotta introdotto in via amministrativa e non previsto come obbligatorio per legge, la cui finalità non era certo quella di regolare la propria azione in termini di imparzialità, nel senso di condizionarne i comportamenti futuri a fronte di situazioni identiche, così da non incorrere in forme di disparità di trattamento.
Una tale finalità avrebbe senz’altro esposto l’azione amministrativa ad un vulnus di eccesso di potere per violazione del canone di imparzialità, sub specie della disparità di trattamento.
Sennonché, nel caso di specie l’amministrazione si è solo programmata nel senso di ritenere la Vas un utile strumento di supporto procedimentale nella determinazione della propria scelta.
In quanto tale, la stessa amministrazione ben poteva, previa adeguata e congruente motivazione – anche desunta implicitamente dalle previsioni di Piano, Variante e documentazione tecnica a corredo – discostarsi da quella modalità, ove l’interesse pubblico in concreto da perseguire non avrebbe reso utile o vantaggiosa disporla, sul piano anche della economia del procedimento e della sintesi degli interessi in conflitto.
Del resto, si tratta di circoscritte aree a rilevanza locale (zonale), a fronte delle quali risulta ragionevole ed argomentata la considerazione per cui tale programmazione urbanistica non ha prodotto impatti particolarmente significativi sull’ambiente (cfr. art. 6, comma 3, d.lgs. n. 152 del 2006); ragion per cui ogni valutazione sul punto deve ritenersi riservata alla sfera della discrezionalità amministrativa esercitata per il caso concreto: discrezionalità che non può ritenersi esaurita una volta e per tutte in forza della previsione di autovincolo contemplata nel Piano strutturale, avente solo carattere di generalità e non sovrapponibile alla fonte normativa primaria.
Ed è quanto ha colto la sentenza di primo grado che, sia pure con una sintetica motivazione, ha dato conto delle ragioni per le quali l’amministrazione legittimamente non ha sottoposto la variante al procedimento di VAS.
In conclusione, l’appello è infondato e va, pertanto, respinto.
Le spese del secondo grado di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello n. 2184 del 2019, come in epigrafe proposto, respinge l’appello.
Condanna i ricorrenti, in solido fra loto, al pagamento delle spese del presente grado di giudizio che si liquidano, in favore della parte appellata, in euro 2.000,00 (duemila/00) oltre accessori di legge e Iva.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 novembre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti – Presidente
Oberdan Forlenza – Consigliere
Daniela Di Carlo – Consigliere
Alessandro Verrico – Consigliere
Giuseppe Rotondo – Consigliere, Estensore

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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