Ai fini del rilascio del condono

Consiglio di Stato, Sezione seconda, Sentenza 13 dicembre 2019, n. 8488

La massima estrapolata:

Ai fini del rilascio del condono, in casi come quello in cui dall’originario immobile sono stati ricavate due unità abitative, rileva che sia intervenuto il completamento funzionale entro i termini di legge, intendendosi con tale espressione una situazione per cui le opere, pur non perfette nelle finiture, possano dirsi individuabili nei loro elementi strutturali e con caratteristiche necessarie e sufficienti ad assolvere la funzione cui sono destinate.

Sentenza 13 dicembre 2019, n. 8488

Data udienza 10 settembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4604 del 2010, proposto dal signor Gi. Ca., rappresentato e difeso dagli avvocati Bi. Ca. e Fe. Sc., con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via (…),
contro
il Comune di (omissis), non costituito in giudizio,
per la riforma
della sentenza del T.A.R. della Campania, Napoli, Sezione II n. 1758/2010, resa tra le parti, concernente istanza di condono edilizio per realizzazione di un edificio residenziale.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 10 settembre 2019, il Consigliere Fulvio Rocco e udito per l’appellante l’avvocato Gi. Le., su delega dell’avvocato Bi. Ca.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1.1. L’attuale appellante, signor Gi. Ca., espone che a (omissis), alla via (omissis), sull’area riportata in Catasto del Comune di (omissis) al foglio n. (omissis), particella n. (omissis)/ insisteva un opificio che è stato demolito in data antecedente al 27 ottobre 1997.
In luogo di tale preesistente edificio il Ca. ha realizzato, unitamente alla signora Co. Ma., una struttura di 600 mc, suddivisa in due unità abitative, in ordine alle quali i medesimi signori Ca. e Ma. hanno da ultimo presentato all’Amministrazione comunale in data 9 gennaio 2004 due distinte domande di condono edilizio à sensi dell’art. 32 del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modificazioni in l. 30 novembre 2003, n. 326.
Va infatti evidenziato che antecedentemente, in data 28 luglio 1998, a seguito di sopralluogo della Polizia Municipale, era stato ivi accertato che “il lotto di terreno esteso circa mq. 200, che già presentava la recinzione perimetrale con muratura di tufo alta circa mt. 50, sovrastata da una barriera di ferro alta circa mt. 50, era stato completamente coperto. Sulla muratura perimetrale era stata appoggiata una struttura in ferro sovrastata da lamiere zincate coibentato. Il piano di calpestio presentava una pedana in cemento armato per l’intera superficie, alta 20 cm.. Si era cosi ricavato un locale di circa 600 mc. (mq. 200 x mt.3 di altezza)…”.
Nondimeno il Ca. e la Ma. hanno ivi eseguito nel corso degli anni successivi ulteriori lavori edilizi e hanno frazionato l’originaria struttura in due distinte unità abitative, chiedendo quindi il rilascio del condono edilizio mediante le due anzidette, separate domande, provvedendo anche al pagamento delle somme dovute a titolo di oblazione e oneri concessori (Prot. n. 21274 dd. 9 dicembre 2004).
Il Dirigente preposto al IV° Settore del Comune di (omissis) ha comunicato al Ca. à sensi dell’art. 10-bis della l. 7 agosto 1990, n. 241, mediante nota Prot.n. 15962 dd. 15 settembre 2006, l’avvio del procedimento finalizzato all’adozione del provvedimento di diniego della domanda di condono, avendo rilevato che “dalla documentazione agli atti, dai sopralluoghi effettuati dall’Ufficio Tecnico Comunale e dal Corpo di Polizia Municipale si evince che i manufatti non presentano i requisiti tecnici sufficienti per individuarli e caratterizzarli come abitazioni”.
Con memoria depositata al Prot. n. 16343 dd. 21 settembre 2006 il Ca. ha osservato che dalla relazione del tecnico comunale del 28 giugno 2006 e dal verbale della Polizia Municipale di pari data emergeva – viceversa – in via del tutto inequivocabile la natura residenziale-abitativa dei due manufatti e che, soprattutto, dalla lettura di tali atti non risultava alcun rilievo in ordine all’inesistenza dei requisiti tecnici di natura abitativa.
Con provvedimento Prot. n. 20290 dd. 13 novembre 2006 il Dirigente dell’Ufficio Tecnico del Comune di (omissis), “premesso che in data 15 settembre 2006 è stato notificato al Sig. Ca. Gi., nato a (omissis) il (omissis) e residente in (omissis) alla Via (omissis), avvio del procedimento finalizzato al “Diniego istanza di condono per illeciti edilizi – lex 326/03- acquisita al protocollo generale al numero 21275 in data 9 dicembre 2004 – Pratica n. 321″; che in data 21 settembre 2006 con Prot. n. 16346 sono state presentate osservazioni da parte del Sig. Ca. Gi., sopra meglio generalizzato; che, in particolare, il richiamo effettuato dal Sig. Ca. Gi. alla sussistenza di tutti requisiti per il rilascio di condono è infondato; che alla luce del sopralluogo effettuato in data 28 giugno 2006, nonché degli atti presentati dal Sig. Ca. Gi. e di quelli in possesso dello scrivente ufficio, si ritiene non accoglibile la citata domanda di condono; che le osservazioni presentate dal Sig. Ca. Gi. non si ritengono sufficienti per risolvere positivamente la citata domanda di condono; visto il d.l. n. 326 del 2003 convertito in l. n. 326 del 24 novembre 2003; vista la l. 241 del 1990 e successive modifiche e integrazioni, respinge l’istanza di condono per illeciti edilizi – lex 326/03- acquisita al protocollo generale al numero 21275 in data 9 dicembre 2004 – Pratica n. 321 e si riserva di adottare i consequenziali provvedimenti”.
1.2. Con ricorso proposto sub R.G. 403 del 2007 innanzi al T.A.R. per la Campania, sede di Napoli, il Ca. ha pertanto chiesto l’annullamento:
a) del provvedimento del Dirigente preposto al IV° Settore del Comune di (omissis) Prot. n. 20290 dd. 13 novembre 2006 recante la reiezione della domanda di condono edilizio presentata dal ricorrente in data 9 dicembre 2004 al Protocollo n. 21724;
b) della relazione istruttoria, se ed in quanto esistente, del responsabile del procedimento;
c) della relazione tecnica e/o istruttoria, se ed in quanto esistente, successiva al sopralluogo (ovvero ai sopralluoghi) effettuato dall’Ufficio Tecnico Comunale;
d) della relazione di servizio della Polizia Municipale dd. 28 giugno 2006, mai comunicata né notificata, se ed in quanto lesiva;
e) di ogni altro atto e provvedimento presupposto e conseguente, ivi compreso il verbale della Polizia Municipale dd. 28 giugno 2006 e la nota del Comune di (omissis) Prot. n. 15962/2006.
Il Ca. ha dedotto al riguardo i seguenti ordini di censure:
1) violazione e falsa applicazione dell’art. 32 del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito con l. 24 novembre 2003, n. 326; violazione degli artt. 31 e 35 della l. 28 febbraio 1985, n. 47, e dell’art. 39 della l. 23 dicembre 1994, n. 724; violazione dell’art. 3 e ss. della l. 7 agosto 1990, n. 241; eccesso di potere; inesistenza dei presupposti in fatto e in diritto; difetto di motivazione; contraddittorietà difetto di istruttoria; erroneità ; travisamento e sviamento;
2) violazione e falsa applicazione dell’art. 31 della l. 28 febbraio 1985, n. 47, dell’art. 39 della l. 23 dicembre 1994, n. 724, dell’art. 32 del d.l. n. 269 del 2003 convertito con modificazioni con l. n. 326 del 2003, violazione della circolare del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti n. 2699 dd. 7 dicembre 2005, violazione della l. 7 agosto 1990, n. 241; eccesso di potere; erroneità ; inesistenza dei presupposti; perplessità ; difetto di motivazione;
3) ulteriore violazione e falsa applicazione dell’art. 32 del d.l. n. 269 del 2003 convertito con modificazioni con l. n. 326 del 2003, violazione degli artt. 31, 35 e ss. della l. 28 febbraio 1985, n. 47, e dell’art. 39 della l. 23 dicembre 1994, n. 724, ulteriore violazione dell’art. 3 e ss della l. 7 agosto 1990, n. 241; eccesso di potere; inesistenza dei presupposti; sviamento; erroneità ; difetto di istruttoria.
1.3. In tale primo grado di giudizio non si è costituito il Comune di (omissis).
1.4. Con ordinanza collegiale n. 4 dd. 8 gennaio 2010 la Sezione II^ dell’adito T.A.R. ha ritenuto che “allo stato degli atti la causa non (era) matura per la decisione, occorrendo disporre incombenti istruttori. In particolare è stato ritenuto necessario acquisire dall’Amministrazione intimata, in via istruttoria, una relazione che fornisca adeguati chiarimenti in ordine alle determinazioni assunte con particolare riferimento ai requisiti tecnici e di legittimità che secondo l’Ente locale non consentirebbero di rilasciare il condono, nonché allo stato del manufatto alla data del 31 marzo 2003”.
1.5. In data 16 febbraio 2010 l’Amministrazione comunale ha provveduto al sopradescritto incombente istruttorio.
1.6. Con sentenza n. 1758 dd. 1 aprile 2010 la medesima Sezione II^ dell’adito T.A.R. ha respinto il ricorso, compensando integralmente tra le parti le spese e gli onorari di tale primo grado di giudizio.
2.1. Con l’appello in epigrafe il Ca. chiede ora la riforma di tale sentenza, deducendo al riguardo i medesimi ordini di censura dedotti in primo grado ma riferendoli puntualmente al contenuto della sentenza impugnata.
2.2. Anche nel presente grado di giudizio non si è costituito il Comune di (omissis).
2.3. Con ordinanza n. 3128 dd. 7 luglio 2010 la Sezione IV^ di questo Consiglio di Stato ha respinto, à sensi dell’allora vigente art. 33 della l. 6 dicembre 1971, n. 1034, la domanda di sospensione cautelare dell’esecutività della sentenza impugnata, “ritenuto che, ad una prima sommaria delibazione, non emergono profili che inducano ad una ragionevole previsione sull’esito positivo dell’appello”.
2.4. All’odierna pubblica udienza la causa è stata trattenuta per la decisione.
3.1. Tutto ciò premesso, il Collegio reputa che l’orientamento a suo tempo espresso nella fase cautelare del presente grado di giudizio debba essere riconsiderato, e che pertanto l’appello in epigrafe debba essere accolto.
3.2. Giova evidenziare che il giudice di primo grado è pervenuto alla decisione di respingere il ricorso ivi proposto rilevando innanzitutto in via di fatto che – da un lato – l’Amministrazione comunale ha negato il rilascio del condono edilizio sull’assunto che “dalla documentazione agli atti, dai sopralluoghi effettuati dall’Ufficio Tecnico Comunale e dal Corpo di Polizia Municipale, si evince che i manufatti non presentano i requisiti tecnici sufficienti per individuarli e caratterizzarli come abitazioni”, nel mentre secondo il Ca. entrambe le unità abitative risulterebbero complete di tutti i requisiti tecnici richiesti dalla legge ai fini della loro connotazione residenziale, con la conseguenza che il condono risulterebbe nella specie assentibile à sensi del combinato disposto dell’art. 31, comma 2, e dell’art. 35 della l. n. 47 del 1985.
Il medesimo giudice di primo grado evidenzia quindi che dall’istruttoria eseguita per effetto della propria ordinanza collegiale n. 4 del 2010 è emerso che, in data 20 luglio 1998 con verbale n. 22/98 Prot. n. 2155 dd. 20 luglio 1998 la Polizia Municipale aveva sequestrato un “locale di circa 600 m³ (metri quadrati 200 per metri 3 di altezza), allo stato completo degli intonaci esterni ed interni, di un cancello per l’accesso dei veicoli e di una porta in ferro di circa metri 1 per l’accesso pedonale” e che dalla relazione dell’Amministrazione comunale depositata agli atti di causa in data 16 febbraio 2010, nonché dagli atti allegati al ricorso, si evinceva inoltre che, in data 28 giugno 2006 (cfr. verbale di sopralluogo n. 12.110), l’architetto Pirozzi dell’Ufficio Urbanistica del Comune, recatosi in via Paolo VI, n. 3, aveva ivi rilevato, in aggiunta a quanto risultava dal predetto verbale di sequestro n. 22/98, l’intervenuto frazionamento del preesistente immobile in due unità autonome, aventi la stessa consistenza superficiale.
Ciò posto, secondo il T.A.R. “ai fini del decidere occorre osservare in primo luogo che l’art. 32, comma 25, del d.l. 30 novembre 2003, n. 269, convertito nella l. 24 novembre 2003, n. 326, ha previsto l’introduzione di un nuovo “condono edilizio” e l’applicazione, pertanto, delle norme contenute nei capi IV e V della L. 28 febbraio 1985, n. 47, relativamente alle opere abusive “che risultino ultimate entro il 31 marzo 2003”. L’art. 31, secondo comma, di tale l. n. 47 del 1985, richiamato dal d.l. in questione, precisa in merito testualmente che si intendono ultimate le opere interne “quando esse siano state ultimate funzionalmente”. Ciò posto, in via pregiudiziale è necessario precisare cosa si intenda con tale espressione. Come è noto la giurisprudenza si è più volte occupata dell’interpretazione di tale norma ed ha in merito già avuto modo ripetutamente di chiarire che le opere interne abusive, per essere complete, debbono risultare tali da permettere l’uso in relazione alla funzione cui sono destinate e, quindi, contenere tutti gli elementi essenziali alla loro destinazione d’uso (in tal senso, Cons. Stato, Sez. V, 21 giugno 2007, n. 3315, e 8 maggio 2007, n. 2120). In particolare, è stato chiarito che ai fini del rilascio del condono, in casi come quello di specie in cui dall’originario immobile sono stati ricavate due unità abitative, rileva che sia intervenuto il completamento funzionale entro i termini di legge, intendendosi con tale espressione una situazione per cui le opere, pur non perfette nelle finiture, possano dirsi individuabili nei loro elementi strutturali e con caratteristiche necessarie e sufficienti ad assolvere la funzione cui sono destinate. Inoltre, ai fini dell’accertamento dell’avvenuto completamento funzionale si impone un criterio combinato soggettivo (ovvero la destinazione risultante espressamente o tacitamente nella domanda di sanatoria) e oggettivo e meramente potenziale (la possibile destinazione d’uso di quanto già realizzato); la destinazione dichiarata dal ricorrente deve, infatti, risultare veritiera e quindi, effettiva e possibile; mentre non hanno, in merito, rilievo le mutevoli intenzioni ed i motivi soggettivi che possono avere accompagnato la realizzazione delle opere (cfr. T.A.R. Abruzzo Pescara, 22 ottobre 2007, n. 837; T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. III, 9 settembre 2005, n. 4217). La stessa giurisprudenza ha, poi, anche precisato che ai fini della predetta sanatoria spetta al richiedente fornire adeguata documentazione volta a comprovare, anche in via indiretta, l’intervenuto completamento funzionale entro la data prevista (nella specie il 31 marzo 2003), gravando sulla Pubblica Amministrazione soltanto l’obbligo di controllare l’attendibilità di quanto dichiarato (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 4 ottobre 2005, n. 7749). Ora, dall’esame degli atti ed, in particolare, dal confronto dei verbali di sopralluogo del 20 luglio 1998 e del 28 giugno 2006, si rileva, a differenza di quanto preteso dal ricorrente, che alla data del 31 marzo 2003, le due distinte unità abitative non risultavano definite nella loro destinazione, secondo quanto prescritto dal menzionato art. 31, secondo comma, della legge n. 47 del 1985, laddove risultava realizzato unicamente il locale avente una superficie di circa 200 mq. In particolare, in relazione allo stato dei lavori sopra descritto, le opere interne in questione al 31 marzo 2003 erano ancora in fase di realizzazione e non erano state ultimate funzionalmente. In particolare, non è stata dimostrata la predisposizione degli impianti tecnologici in corrispondenza delle due unità abitative: questi infatti non risultavano nemmeno completati, se si considera che nel verbale di sopralluogo del 28 giugno.2006, nell’unità abitativa posta a nord era stato rilevato “un bagno ultimato, perché già precedentemente in uso, mentre le tramezzature per la divisione dei diversi ambienti, sebbene ultimati nella posa in opera dei blocchi di lapilcemento, si presentavano solo parzialmente intonacati. L’altra unità posta a sud si presentava semplicemente tramezzata, con pareti interne parzialmente intonacate e prive di impianti e servizi” (cfr. pag. 3 relazione istruttoria del Comune depositata il 16 febbraio 2010). La situazione descritta induce pertanto ad escludere, alla data del 31 marzo 2003, il completamento funzionale delle unità abitative come manufatti dotati di una propria compiuta identità, ovvero come un quid di diverso rispetto all’originario immobile di 200 mq. Ovvero, rispetto al completamento dell’unico vasto locale al piano rialzato, mancano elementi concreti che indichino il completamento funzionale delle due unità abitative entro il termine prescritto per il rilascio del condono. Deve quindi ritenersi corretto l’impugnato diniego del Comune, in assenza degli elementi necessari a ricondurre alla tipologia di due distinte unità a destinazione residenziale, il completamento funzionale del manufatto soggetto alla richiesta di condono” (cfr. pag. 8 e ss. della sentenza impugnata).
3.3. Il Collegio, per parte propria, rileva per contro che il giudice di primo grado, presumibilmente fuorviato dall’invero apodittico assunto motivazionale contenuto nel provvedimento impugnato (secondo cui l’opera oggetto di condono difetterebbe “dei requisiti tecnici sufficienti per individuare i manufatti come abitazione”), è incorso in un equivoco di fondo, in quanto ha erroneamente ritenuto che le opere oggetto della domanda di condono presentata dal Ca. riguardassero opere interne comportanti il mutamento di destinazione d’uso di manufatto preesistente e che le stesse non fossero state funzionalmente ultimate alla data del 31 marzo 2003.
In tal senso va innanzitutto evidenziato che la domanda di condono presentata dal Ca. in data 9 dicembre 2004 è chiaramente riferita nell’apposita tabella annessa alla l. 28 febbraio 1985, n. 47, alla tipologia di abuso I^ – “Opere realizzate in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici”, ossia alla realizzazione di “nuova costruzione” e, precisamente, di un “appartamento al piano rialzato”.
Nella domanda di condono l’oblazione è stata computata nella misura di Euro 100 al metro quadro, per l’appunto previsto per gli abusi di tale categoria.
Ma, anche a prescindere da ciò, giova ancora una volta evidenziare che:
1) nel verbale di sequestro n. 22/98 dd. 20 luglio 1998 la Polizia Municipale ha rilevato l’abusiva realizzazione di un locale completamente coperto e con le pareti perimetrali intonacate; in via del tutto inequivoca ivi infatti si afferma che era stato accertato l’avvio di “lavori di costruzione abusiva in assenza di concessione edilizia”, ossia di una “nuova costruzione”, segnatamente consistente nella realizzazione di un locale “completamente coperto” e “completo degli intonaci interni ed esterni”;
2) in data 9 dicembre 2004 sono state presentate dal Ca. e dalla Ma. le due separate domande di condono edilizio aventi ad oggetto la realizzazione dei due appartamenti ivi nel frattempo ricavati e, pertanto, aventi il medesimo oggetto (“realizzazione di un appartamento al piano rialzato”), con ciò – per così dire – “cristallizzando” alla prevista data del 31 marzo 2003 l’avvenuto completamento al rustico dell’edificio contenente tali due unità abitative;
3) con verbale di sopralluogo Prot. n. 12110 dd. 28 giugno 2006 l’Ufficio Tecnico Comunale e la Polizia Municipale hanno accertato che, in aggiunta a quanto rilevato nel precedente verbale n. 22/98 dd. 20 luglio 1998 era stato realizzato il frazionamento dell’immobile nelle due anzidette unità abitative autonome, delle quali l’una presentava tramezzature, impianti e bagno in uso, mentre l’altra solo tramezzature parzialmente intonacate.
Anche a prescindere, quindi, dalla circostanza che la domanda di condono edilizio depositata in atti risulta del tutto inequivoca nel definire l’intervento di cui trattasi quale “nuova costruzione”, risulta altrettanto assodato che nel ricorso proposto in primo grado e nei successivi scritti difensivi si è sempre operato il corretto riferimento alla realizzazione di nuovo volume residenziale
Per di più, anche negli ulteriori atti depositati dall’Amministrazione comunale in data 16 febbraio 2010 nel corso del giudizio di primo grado non è dato di rinvenire un qualsivoglia riferimento alla realizzazione di opere interne.
Se così è, quindi, risulta del tutto inconferente nell’economia di causa l’assunto del giudice di primo grado secondo cui risulterebbe applicabile nella specie l’art. 31, secondo comma, della l. 28 febbraio 1985, n. 47, laddove dispone, per quanto attiene “alle opere interne agli edifici già esistenti e a quelle non destinate alla residenza”, che i relativi lavori si considerano ultimati quando le opere medesime “siano state completate funzionalmente”.
Nel caso di specie – viceversa – trattandosi di “nuova costruzione”, l’ultimazione dei lavori coincide con la finitura a rustico dell’immobile e non col completamento funzionale delle opere interne (cfr. art. 31, secondo comma, prima parte, della l. n. 47 del 1985, laddove – per l’appunto – dispone che “ai fini delle disposizioni del comma precedente, si intendono ultimati gli edifici nei quali sia stato eseguito il rustico e completata la copertura”).
Va anche evidenziato che, in tale contesto, le ulteriori opere successivamente realizzate entro la data ultima prescritta dalla disciplina speciale di condono (31 marzo 2003), ossia le tramezzature e gli impianti all’interno del locale non rilevano in alcun modo ai fini dell’individuazione della data di ultimazione dell’opera secondo il criterio c.d. “strutturale” contemplato per le “nuove costruzioni”: e ciò in quanto ai fini della domanda di condono, per edifici ultimati devono intendersi quelli completi almeno al rustico, dovendo considerare come tale un’opera mancante solo delle finiture (infissi, pavimentazione, tramezzature interne), dovendo invece necessariamente essere comprensiva delle tampognature esterne, che realizzano in concreto i volumi (cfr. al riguardo, ex plurimis, la recente sentenza di questa stessa Sezione n. 3969 dd. 10 giugno 2019, nonché Sez. VI, 3 dicembre 2018, n. 6841).
In tal senso dispongono anche le circolari del Ministero dei Lavori Pubblici n. 3357/25 dd. 30 luglio 1985 e n. 2241/UL dd. 17 giugno 1995, precisando a loro volta che agli effetti del rilascio del condono edilizio devono intendersi ultimati gli edifici nei quali sia stato eseguito il rustico e completata la copertura.
Per il caso di specie, da tutto quanto sopra si ricava che l’immobile del Ca. alla data del 31 marzo 2003 era stato indubitabilmente completato sotto il profilo strutturale (copertura e tompagnatura) e presentava anche tramezzature e pavimento, per cui sussistono tutti i presupposti di legge per il rilascio del condono edilizio richiesto; e, anche se il medesimo immobile fosse risultato carente sotto il profilo dei requisiti tecnici per essere destinato ad abitazione, l’Amministrazione comunale comunque non avrebbe potuto il condono edilizio per ragioni di abitabilità /agibilità (cfr. art. 24 e ss. del t.u. approvato con d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380), essendo ben distinti i due procedimenti di rilascio della sanatoria e del certificato di abitabilità .
Anche in disparte l’ulteriore illegittimità rappresentata nella specie dalla ben evidente carenza di motivazione evidenziata dal provvedimento impugnato anche con riguardo alle controdeduzioni ivi riportate in ordine alle considerazioni prodotte dall’interessato à sensi dell’art. 10-bis della l. 7 agosto 1990, n. 241 (“le osservazioni…non si ritengono sufficienti per risolvere positivamente la citata domanda di condono”), le notazioni che precedono risultano del tutto assorbenti ai fini dell’accoglimento dell’appello.
4. Le spese e gli onorari dei due gradi di giudizio seguono la regola della soccombenza di lite e sono liquidati nel dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e – per l’effetto – in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso proposto in primo grado e annulla gli atti con esso impugnati.
Condanna il Comune di (omissis) al pagamento delle spese e degli onorari del doppio grado di giudizio, complessivamente liquidati nella misura di Euro 3.000,00 (tremila/00).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 settembre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Raffaele Greco – Presidente
Fulvio Rocco – Consigliere, Estensore
Giancarlo Luttazi – Consigliere
Giovanni Sabbato – Consigliere
Carla Ciuffetti – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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