Corte di Cassazione, penale, Sentenza 16 ottobre 2020, n. 28756.
La circostanza aggravante prevista dall’art. 628, terzo comma, n. 3-bis cod. pen., la cui ragione giustificatrice è la particolare odiosità del crimine che la persona offesa subisce nel luogo dove maggiormente dovrebbe sentirsi al sicuro, è applicabile anche quando l’autore del reato sia convivente con la vittima. (Fattispecie di estorsione aggravata commessa ai danni dei genitori nell’abitazione in cui l’imputato conviveva).
Sentenza 16 ottobre 2020, n. 28756
Data udienza 7 ottobre 2020
Tag – parola chiave: Estorsione – Maltrattamenti – Lesioni – Aggravante di cui all’art. 628 comma 3 cp – Censure inammissibili
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DIOTALLEVI Giovanni – Presidente
Dott. AGOSTINACCHIO Luigi – Consigliere
Dott. BORSELLINO Maria Danie – Consigliere
Dott. COSCIONI Giusep – rel. Consigliere
Dott. DI PISA Fabio – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 25/01/2019 della CORTE APPELLO di CATANIA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere COSCIONI GIUSEPPE;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore MARINELLI FELICETTA che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilita’ del ricorso;
udito il difensore dell’imputato, Avv. (OMISSIS), il quale ha insistito nell’accoglimento di tutti i motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Il difensore di (OMISSIS) ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello di Catania del 25/01/2019, che aveva confermato la sentenza di primo grado di condanna di (OMISSIS) per i reati di estorsione, maltrattamenti e lesioni ai danni dei suoi genitori.
1.1 Al riguardo il difensore lamenta come il reato di estorsione avrebbe dovuto essere derubricato in quello previsto dall’articolo 393 c.p., stante la mancanza dell’elemento soggettivo proprio del reato contestato e che la richiesta di denaro da parte dell’imputato non era riconducibile alla volonta’ di un arricchimento sine causa, ma al proposito di (OMISSIS) di ricevere assistenza dai genitori (tutelata in virtu’ del rapporto di filiazione e della stato di inabilita’) che, ove rifiutata, degenerava in azioni violente.
1.2 Con un secondo motivo di ricorso, il difensore eccepisce che la Corte di appello aveva travisato le deduzioni aventi ad oggetto l’insussistenza dell’aver commesso il fatto in un luogo privato, avendo ritenuto che il fatto che il reato fosse stato commesso nell’abitazione in cui viveva l’imputato non assumeva rilievo, non essendo necessario che le vittime avessero prestato il consenso alla presenza nell’abitazione; in realta’, l’imputato conviveva con i genitori non gia’ perche’ ospite e su concessione dei genitori, ma perche’ filius familias, inserito sia in fatto sia in diritto nel medesimo nucleo familiare, per cui non era applicabile l’aggravante ad un soggetto che aveva commesso i fatti all’interno della sua stessa sfera privata.
1.3 Il difensore rileva poi che la Corte aveva errato nel ritenere che il rinvio operato all’ultimo capoverso dell’articolo 629 c.p., avesse per oggetto, dopo le modifiche ex L. n. 94 del 2009, l’attuale articolo 628 c.p., comma 3, piuttosto che il comma 4: l’attuale articolo 628 c.p., u.c., disciplina il concorso tra circostanze attenuanti e le aggravanti espressamente contemplate, citando le fattispecie indicate ai numeri 3, 3bis, 3 ter e 3 quater, senza annoverare il 3 quinquies, ovvero la fattispecie che sanziona piu’ gravemente il delitto di rapina commesso ai danni di persona ultrasessantacinquenne.
1.4 Con riferimento al delitto di cui all’articolo 572 c.p., il difensore lamenta che gia’ con l’atto di appello era stato eccepito che la condotta dell’imputato fosse priva del requisito dell’abitualita’, in quanto i fatti lesivi contestati a (OMISSIS) avevano un’origine transitoria perche’ determinati dalla diversa incidenza nel tempus della patologia sull’animus dell’imputato, cosi’ da escludere il delitto di maltrattamenti e attribuire ad essi natura reiterata ma episodica; pur avendo rappresentato la difesa la sporadicita’ dei fatti contestati, la Corte di appello aveva rinviato per relationem alle dichiarazioni delle persone offese, senza tuttavia circoscrivere i fatti in un arco di tempo definito.
1.5 Il difensore osserva che la Corte di appello aveva giudicato generico il motivo di gravame con il quale si era chiesta l’assoluzione dell’imputato dal reato di lesioni personali, giudicando attendibili le dichiarazioni fornite dalle persone offese e confortate dai riscontri documentali forniti dalle certificazioni mediche in atti, misconoscendo ogni accertamento sia sul nesso di causalita’ sussistente tra le patologie e le azioni imputate a(figlio, sia sulla presenza di riscontri oggettivi: la conflittualita’ padre/figlio, accertata anche dal consulente tecnico di parte, non poteva che implicare una maggiore disamina della credibilita’ ed attendibilita’ della fonte probatoria.
1.6 Il difensore eccepisce che il giudice di prime cure aveva omesso ogni statuizione sulla richiesta di concessione della attenuante di cui all’articolo 62 c.p., n. 4, utile anche ai fini del giudizio di comparazione, unitamente alla valutazione delle circostanze ex articoli 62 bis e 89 c.p.; premesso che la Corte di appello aveva individuato i parametri. del danno di speciale tenuita’ nella lesione patrimoniale arrecata alla persona offesa, il quantum della perdita patrimoniale subito dai coniugi (OMISSIS) era certamente ascrivibile al genus ex articolo 62 c.p., n. 4.
1.7 Il difensore lamenta la mancata concessione delle attenuanti generiche, malgrado il medico legale, in sede di accertamento peritale, avesse verificato che il ricorrente, nel momento in cui aveva commesso i fatti reato, si trovava in una condizione di grave infermita’ psichica, che aveva determinato un vizio parziale di mente.
1.8 Il difensore rileva che era stato chiesto con l’atto di appello di giudicare prevalente, ex articolo 69 c.p., l’attenuante della seminfermita’, richiesta ingiustamente respinta dalla Corte di appello, che non aveva considerato che la sua capacita’ di intendere e di volere era grandemente scemata.
1.9 Il difensore lamenta l’eccessivita’ degli aumenti di pena ex articolo 81 c.p., visto che la pena per il reato di estorsione era stata applicata nel minimo edittale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ infondato.
1.1 Si deve innanzitutto rilevare la genericita’ del primo motivo di ricorso. Come infatti precisato da ultimo da Cass. civ. sez. I, ordinanza n. 17183 del 14/08/2020 (Rv. 658568 – 02, “il figlio divenuto maggiorenne ha diritto al mantenimento a carico dei genitori soltanto se, ultimato il prescelto percorso formativo scolastico, dimostri, con conseguente onere probatorio a suo carico, di essersi adoperato effettivamente per rendersi autonomo economicamente, impegnandosi attivamente per trovare un’occupazione in base alle opportunita’ reali offerte dal mercato del lavoro, se del caso ridimensionando le proprie aspirazioni, senza indugiare nell’attesa di una opportunita’ lavorativa consona alle proprie ambizioni.”.
Pertanto, il fatto che il ricorrente avesse uno status di filius familias, in mancanza di qualsiasi considerazione su come mai non avesse una attivita’ lavorativa all’eta’ di 45 anni (all’epoca dei fatti) comporta che non potesse ritenere di avere un diritto al mantenimento da parte dei genitori; conclusione che si impone a maggior ragione se si volesse considerare quanto scritto nell’atto di appello relativamente ad una riduzione permanente della capacita’ lavorativa del ricorrente nella misura del 68% (in base a documentazione pero’ non prodotta con il ricorso), che comportava il diritto ad una pensione e che quindi escludeva in radice un dovere di mantenimento economico in capo ai suoi genitori.
Anche a voler ritenere che il ricorrente avesse il diritto di essere mantenuto dai genitori, cio’ non comportava certo che potesse stabilire lui in che modo il mantenimento dovesse essere effettuato e che potesse pretendere la somma di 110 Euro di cui al capo di imputazione; tra l’altro, il ricorso non spiega in che modo (OMISSIS) potesse vantare un diritto proprio su quella somma, che correttamente la Corte di appello ha definito “ingiustificata”.
1.2 Infondato e’ anche il secondo motivo di ricorso posto che, come precisato da Cass. sez. 2, 30959 del 14/07/2016, Morarasu, Rv. 267575 – 01, con l’aggravante di cui all’articolo 628 c.p., comma 3, n. 3 bis, il legislatore ha inteso tutelare maggiormente tutti i fatti commessi all’interno della privata dimora della parte offesa e cio’ indipendentemente dalle modalita’ di ingresso dell’autore del fatto nei luoghi indicati e dalla relazione possibile tra lo stesso autore, la vittima ed i medesimi luoghi.
Nessun rilievo assumono pertanto le circostanze delle modalita’ di accesso all’interno dell’abitazione ovvero dei rapporti tra autore e vittima poiche’ e’ proprio il riferimento oggettivo ad assumere particolare valenza nella volonta’ del legislatore di tutelare in maniera rafforzata l’inviolabilita’ dell’abitazione destinata a residenza e di ogni altro luogo di privata dimora; conseguentemente la circostanza di fatto che il ricorrente abitasse con i genitori e’ irrilevante ai fini della sussistenza dell’aggravante, come correttamente ritenuto dalla Corte di appello.
Tale conclusione si ricava anche dal tenore letterale della norma.
L’articolo 628 c.p., comma 3, n. 3 bis, prevede infatti un aggravamento di pena “se il fatto e’ commesso nei luoghi di cui all’articolo 624 bis…”, mentre l’articolo 624 bis c.p. prevede il fatto di chi commette il fatto “mediante introduzione in un edificio o in altro luogo destinato in tutto o in parte a privata dimora o nelle pertinenze di essa”; si noti la differenza terminologica usata, dove nel primo caso cio’ che viene in rilievo e’ la commissione del fatto “nei luoghi”, mentre nel secondo il fatto avviene “mediante introduzione”, il che’ sta a significare che cio’ che si e’ inteso punire con l’aggravante in esame e’ proprio la particolare odiosita’ del crimine che la persona offesa subisce nella propria abitazione o altro luogo di privata dimora, luogo dove maggiormente dovrebbe sentirsi tutelato ed al sicuro.
1.3 Quanto al terzo motivo di ricorso, si deve osservare che, come ritenuto dalla costante giurisprudenza di questa Corte, “Il rinvio operato dall’articolo 629 c.p., comma 2, all’ultimo capoverso dell’articolo 628 c.p., quanto alle circostanze aggravanti applicabili al delitto di estorsione, deve intendersi riferito, dopo le modifiche apportate dalla L. 15 luglio 2009, n. 94, all’attuale predetto articolo 628, comma 3 e non al comma 4 concernente il concorso fra circostanze attenuanti ed aggravanti. (In motivazione, la S.C. ha precisato come la “ratio legis” consista nell’esigenza di creare nuove ipotesi aggravate, ferme restando le aggravanti gia’ codificate in precedenza e non in quella di “abrogare” la fattispecie aggravata di cui all’articolo 629).” (Cass.sez.2, Sentenza n. 13239 del 23/03/2016, Ciancimino e altro, Rv. 266662 – 01); correttamente, pertanto, la Corte di appello ha riconosciuto la sussistenza dell’aggravante di cui all’articolo 628, comma 3, n. 3 quinquies.
1.4 Infondato e’ anche il quarto motivo di ricorso.
Secondo il costante insegnamento di questa Suprema Corte nel giudizio di legittimita’ rimane comunque esclusa la possibilita’ di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito (Sez. 2, sentenza n. 31978 del 14/06/2006 Ud. (dep. 27/09/2006) Rv. 234910); la novella dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), ad opera del L. n. 46 del 2006, articolo 8, che per la deduzione dei vizi della motivazione consente il riferimento ad atti del processo specificamente indicati, non ha mutato la natura del sindacato di legittimita’, che non puo’ mai risolversi nella rivisitazione dell’iter ricostruttivo del fatto e che, invece, deve limitarsi alla mera constatazione dell’eventuale travisamento della prova, che consiste nell’utilizzazione di una prova inesistente o nell’utilizzazione di un risultato di prova incontrovertibilmente diverso, nella sua oggettivita’, da quello effettivo. (Sez. 6, sentenza n. 33435 del 04/05/2006 Ud. (dep. 05/10/2006) Rv. 234364.
Nel caso in esame il ricorrente chiede una nuova valutazione delle prove acquisite, sovrapponendo proprie considerazioni a quelle della Corte di appello, che ha motivato esaurientemente sul requisito della abitualita’ della condotta, osservando come dalle dichiarazioni delle persone offese era emerso che le condotte contestate consistevano in continue vessazioni (pag.8 e 9 sentenza impugnata) in quanto il ricorrente aveva “ripetutamente ed in diverse occasioni, abitualmente sottoposto a percosse ed ingiurie e a minacce la madre ed il padre ed abbia con tali comportamenti ingenerato nella vittime sofferenze fisiche e morali”.
1.5 Per quanto riguarda l’attendibilita’ delle persone offese, richiamata la consolidata giurisprudenza di questa Corte secondo cui la deposizione della persona offesa puo’ essere assunta, anche da sola, come prova della responsabilita’ dell’imputato, purche’ sia sottoposta a vaglio positivo circa la sua attendibilita’ e senza la necessita’ di applicare le regole probatorie di cui all’articolo 192 c.p.p., commi 3 e 4, che richiedono la presenza di riscontri esterni (vedi, da ultimo, Cass. sez.4, sentenza n. 12920 del 13/02/2020, Ciotti, Rv. 279070 – 01), la Corte di appello ha evidenziato come il narrato delle persone offese fosse coerente, privo di contraddizioni e riscontrato dai referti medici in atti e dalle relazioni di servizio redatte dalle forze dell’ordine intervenute in occasione di alcuni episodi (pag. 6), con motivazione congrua e coerente con le risultanze processuali e su cui non e’ ammesso pertanto sindacato di legittimita’.
1.6 Relativamente al sesto motivo di ricorso, la Corte territoriale, correttamente, ha ritenuto che non fosse ravvisabile l’attenuante cui all’articolo 62 c.p., n. 4, collocandosi nel solco del consolidato orientamento di questa Corte di legittimita’, da ribadirsi, per cui tale circostanza presuppone necessariamente che il pregiudizio cagionato sia lievissimo, ossia di valore economico pressoche’ irrilevante; trattasi di giudizio di merito sul quale non e’ ammesso sindacato di legittimita’.
1.7 Quanto al settimo motivo di ricorso, va premesso che le circostanze attenuanti generiche hanno lo scopo di estendere le possibilita’ di adeguamento della pena in senso favorevole all’imputato in considerazione di situazioni e circostanze che effettivamente incidano sull’apprezzamento dell’entita’ del reato e della capacita’ a delinquere dello stesso, sicche’ il riconoscimento di esse richiede la dimostrazione di elementi di segno positivo (Sez. 3, n. 19639 del 27/01/2012 – dep. 24/05/2012, Gallo e altri, Rv. 25290001); nel caso in esame, a fronte della motivazione della Corte di appello che ha negato le attenuanti generiche alla luce “della pervicacia dimostrata dall’imputato dell’intensita’ del dolo e delle stesse modalita’ dei fatti” (pag. 10 sentenza impugnata), il ricorso contrappone elementi che hanno portato al riconoscimento del vizio parziale di mente; il motivo e’ pertanto inammissibile, posto che il rigetto delle circostanze attenuanti generiche e’ fondato su motivazione esente da manifesta illogicita’ che, pertanto, e’ insindacabile in cassazione (Cass., Sez. 6, n. 42688 del 24/9/2008, Rv. 242419).
1.8 Quanto all’ottavo motivo di ricorso, come precisato da Sez. 4, Sentenza n. 25532 del 23/05/2007 Ud. (dep. 04/07/2007) Rv. 236992, le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed attenuanti sono censurabili in cassazione soltanto nelle ipotesi in cui siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico, essendo sufficiente a giustificare la soluzione della equivalenza aver ritenuto detta soluzione la piu’ idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto, come avvenuto nel caso in esame.
1.9 Infine, con riferimento alla quantificazione della pena, e’ principio costantemente affermato a questa Corte quello secondo il quale nel caso in cui venga irrogata una pena prossima al minimo edittale, l’obbligo di motivazione del giudice si attenua, talche’ e’ sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all’articolo 133 c.p. (vedi sez. 2, sentenza n. 28852 del 08/05/2013 Taurasi e altro, Rv.256464; Sez. 2, sentenza n. 36104 del 27/04/2017, Mastro e altro, Rv.271243); nel caso in esame, la pena base e’ stata contenuta nel minimo edittale e gli aumenti per la continuazione sono stati estremamente contenuti, per cui anche questo motivo e’ infondato.
2. Ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento; attesa la natura del reato di maltrattamenti, in caso di diffusione del presente provvedimento dovranno essere omesse le generalita’ e gli altri dati identificativi.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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