La circostanza aggravante dell’uso del mezzo insidioso

Corte di Cassazione, sezione prima penale, Sentenza 17 febbraio 2020, n. 6165

Massima estrapolata:

In tema di omicidio, la circostanza aggravante dell’uso del mezzo insidioso, al pari dell’aggravante dell’uso di sostanze venefiche, ricorre soltanto quando esso provochi direttamente la morte e non anche quando costituisca una mera modalità dell’azione. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto legittima l’esclusione dell’aggravante in relazione alla somministrazione di un farmaco ipnotico utilizzato per assopire la vittima ponendola in condizione di incoscienza tale da renderne possibile l’uccisione mediante asfissia).

Sentenza 17 febbraio 2020, n. 6165

Data udienza 7 ottobre 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TARDIO Angela – Presidente

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere

Dott. MANCUSO Luigi Fabrizio – Consigliere

Dott. DI GIURO Gaetano – Consigliere

Dott. CAPPUCCIO Daniele – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI TORINO;
e da:
(OMISSIS), nata a (OMISSIS);
nel procedimento a carico di quest’ultima;
avverso la sentenza del 10/10/2018 della CORTE ASSISE APPELLO di TORINO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere CAPPUCCIO DANIELE;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, ZACCO FRANCA, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilita’ di entrambi i ricorsi;
udito il difensore, avvocato (OMISSIS), del foro di TORINO, in difesa di (OMISSIS), il quale conclude chiedendo l’accoglimento del proprio ricorso e dichiararsi l’inammissibilita’ di quello del P.G.;
udito il difensore, avvocato (OMISSIS), del foro di CUNEO, in difesa di (OMISSIS), il quale, associandosi alle conclusioni del codifensore, conclude riportandosi ai motivi di ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 10 ottobre 2018 la Corte di assise di appello di Torino ha confermato quella emessa dalla Corte di assise di Cuneo il 14 luglio 2017 nei confronti di (OMISSIS), chiamata a rispondere dei delitti di omicidio pluriaggravato ed occultamento di cadavere aggravato e condannata alla pena di ventuno anni e tre mesi di reclusione, oltre alle sanzioni accessorie previste per legge, al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili, alla corresponsione in loro favore di provvisionali variamente determinate ed alla rifusione, sempre nei confronti delle parti civili, delle spese legali relative all’azione civile.
2. Il procedimento penale nell’ambito del quale e’ stata emessa la sentenza impugnata e’ scaturito dal decesso di (OMISSIS), il cui cadavere venne rinvenuto la mattina dell'(OMISSIS), intorno alle ore 10, nel noccioleto adiacente alla sua abitazione della frazione (OMISSIS).
Le indagini, subito avviate, si indirizzarono verso la moglie di (OMISSIS), (OMISSIS), la quale, la mattina del giorno precedente, aveva comunicato alla figlia che l’uomo si era allontanato volontariamente in compagnia di una donna originaria della Romania, paese nel quale egli le aveva successivamente rappresentato, a mezzo telefono, di essersi portato: affermazione, quella della donna, poscia rivelatasi falsa.
La (OMISSIS), peraltro, aveva manifestato fastidio ed irritazione quando i familiari, postisi alla ricerca del congiunto, si erano diretti verso la zona nella quale il corpo sarebbe stato, di li’ a poco, rinvenuto.
Ancora, intercettata, la sera del rinvenimento del cadavere, mentre conversava con un conoscente nella sala d’aspetto della caserma dei Carabinieri di Mondovi’, la (OMISSIS) aveva riferito di avere trovato il corpo del marito il giorno prima, intorno alle ore 14,00, e di averlo coperto nel timore che fosse oltraggiato dagli animali; la donna, del resto, aveva, colloquiando con varie persone e, poi, nel memoriale fatto pervenire alla Corte di assise di Cuneo il 5 giugno 2017, offerto, sul punto, versioni sempre diverse.
Cio’ posto, la Corte di assise di primo grado ha ritenuto il quadro indiziario assolutamente grave ed univoco sulla base dei seguenti elementi:
– la telefonata alla figlia (OMISSIS) del mattino del (OMISSIS), con la mendace indicazione dell’allontanamento del padre con la “rumena”, fingendo che lui fosse ancora presente in casa, quando e’ certo che (OMISSIS) era gia’ deceduto la sera precedente, addirittura poi inventando la notizia dell’arrivo del marito in Romania;
concretamente attuata (“mi portava gli uomini a casa. Mi ha fatto fare una vita… Fino a che mi sono ribellata… All’ultimo ho detto “basta””).
La Corte di assise ha poi ritenuto sussistente un preciso movente, maturato nel tempo e recentemente vivificatosi.
Oltre al fatto che abituali e recenti erano i litigi tra i coniugi, e’ emerso, infatti, il profondo risentimento della (OMISSIS) nei confronti del marito, il quale aveva, a sua insaputa, combinato il matrimonio, in accordo con la madre della donna, quando ella era ancora minorenne.
Ella, in sostanza, era stata venduta per il prezzo di Lire 500.000 ed aveva subito pesanti angherie, venendo percossa e minacciata e costretta, sin dall’avvio del rapporto coniugale, a prostituirsi con uomini contattati dal marito; da quei rapporti, peraltro, erano derivate tre gravidanze, che la donna aveva portato a termine contro il volere di (OMISSIS).
Dalle intercettazioni telefoniche e dalle dichiarazioni rese da alcuni testi e’, ancora, emerso, che la (OMISSIS) aveva, nel corso degli anni, accarezzato l’idea di uccidere il marito, proposito che si era sviluppato e consolidato nelle settimane che precedettero la morte di (OMISSIS).
Conclusivamente, la Corte di assise ha ricostruito il fatto attestando che, la sera del 6 giugno 2016, la (OMISSIS) aveva sciolto una notevole quantita’ di Zolpidem nel piatto o nel bicchiere di vino del marito il quale, rientrato dai lavori di campagna, aveva lasciato il trattore con la legna in cortile; quando il sonnifero aveva prodotto i suoi effetti, l’uomo, che stava uscendo di casa per sistemare la legna rimasta sul rimorchio, era verosimilmente caduto a terra procurandosi la modesta ecchimosi al capo riscontrata in sede autoptica.
A questo punto la donna, avvedendosi che il marito era ancora in vita, lo aveva soppresso usando una qualche manovra asfittica.
La (OMISSIS), con azione che la Corte di assise ha ritenuto possibile nonostante la sua minuta costituzione fisica, aveva allora nascosto il cadavere in uno dei numerosi locali, tutti disabitati, collocati nei pressi della casa familiare, e li’ lo aveva lasciato sino alla tarda serata del giorno successivo, quando lo aveva spostato utilizzando la carriola, non e’ chiaro se per occultarlo meglio – manovra non riuscita perche’ la carriola si era ribaltata ed il corpo si era incastrato tra i rami di nocciolo senza che avessero successo i tentativi di liberarlo usando la corda – ovvero se per simulare, mediante la stessa corda, un suicidio mediante impiccagione.
Era seguito il goffo tentativo di occultamento del cadavere con cassette per la frutta e coperte, al ritorno dal quale era stata vista dalle figlie dirigersi verso casa, sporca di terra; allo stesso modo, la (OMISSIS) aveva inutilmente cercato di evitare che le ricerche di quel mattino si orientassero nuovamente verso il noccioleto.
Il giudice di primo grado ha ritenuto la responsabilita’ della (OMISSIS) per l’omicidio, aggravato, oltre che dal rapporto di coniugio, dalla premeditazione, e l’occultamento di cadavere ed ha, tuttavia, applicato le circostanze attenuanti generiche in rapporto di equivalenza con le aggravanti.
Ha, per contro, escluso la circostanza aggravante dell’avere l’agente commesso il fatto con mezzo insidioso, sulla scorta dell’indirizzo ermeneutico che esige che il mezzo insidioso provochi direttamente la morte e non costituisca mera modalita’ dell’azione.
3. La Corte di assise di appello, pronunziandosi sulle impugnazioni proposte sia dal pubblico ministero che dall’imputata, ha rigettato tutti i motivi.
Ha, innanzitutto, condiviso, quanto alle cause della morte di (OMISSIS), le osservazioni svolte dal consulente del pubblico ministero, Dott. (OMISSIS), a dire del quale il decesso e’ stato provocato da asfissia meccanica conseguente ad azione violenta e non a cause naturali, come invece sostenuto dal consulente dell’imputata, Dott. (OMISSIS).
Ha, del pari, mutuato le considerazioni espresse dal giudice di primo grado in ordine alla occulta somministrazione, da parte della (OMISSIS), del sonnifero, alla collocazione all’esterno dell’abitazione del luogo in cui la vittima, per effetto dello Zolpidem, perse conoscenza, ai successivi spostamenti del corpo ad opera della odierna ricorrente, all’impossibilita’ che l’azione omicidiaria sia stata compiuta da un terzo abusivamente introdottosi nell’abitazione dei coniugi (OMISSIS).
Ha, quindi, analiticamente ripercorso, alle pagg. 21-24 della motivazione della sentenza impugnata, tutti gli indizi raccolti a carico della donna e ne ha rimarcato, a confutazione delle obiezioni difensive, coerenza ed univocita’.
La Corte di assise di appello ha, analogamente, rigettato i motivi di impugnazione afferenti al reato di occultamento di cadavere ed al formulato giudizio di equivalenza tra le circostanze di segno opposto, nonche’ quelli proposti dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Cuneo con riferimento all’esclusione della circostanza aggravante dell’aver commesso il fatto con mezzo insidioso ed all’applicazione delle circostanze attenuanti generiche.
4. La sentenza della Corte di assise di appello di Torino e’ stata impugnata sia dall’imputata che dal Procuratore generale presso la Corte di appello di Torino.
La pubblica accusa articola un unico motivo, con il quale censura l’esclusione della circostanza aggravante dell’aver commesso il fatto con mezzo insidioso.
Rileva, al riguardo, che la somministrazione dello Zolpidem costitui’ condizione necessaria (e non mera modalita’ dell’azione, secondo quanto ritenuto dai giudici di merito) dell’evento letale, che non si sarebbe verificato – o, comunque, non si sarebbe verificato secondo quella successione causale -qualora la (OMISSIS) non fosse riuscita a neutralizzare la vittima narcotizzandola con il sonnifero, cosi’ inibendole la tutela della propria persona.
5. (OMISSIS) propone a sua volta, tramite il difensore, avv. (OMISSIS), ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.
5.1. Con il primo motivo, deduce vizio di motivazione per avere la Corte di assise di appello disatteso, con argomenti manifestamente illogici, le obiezioni sollevate in ordine alla plausibilita’ della ricostruzione alternativa che ascrive a cause naturali, anziche’ all’azione illecita di (OMISSIS), il decesso di (OMISSIS).
Espone, al riguardo, che il rinvenimento sul cadavere di un edema polmonare e’ sintomo, sia pure aspecifico, di cedimento improvviso del miocardio, che ben potrebbe essere intervenuto in un momento in cui il processo asfittico, protrattosi per alcuni minuti, era ancora in itinere.
Rilevato che anche l’enfisema polmonare, cui i giudici di merito assegnano valenza preminente nel determinismo eziologico sfociato nel decesso di (OMISSIS), e’ connotato da analoga aspecificita’ rispetto alla morte per asfissia, la ricorrente taccia di illogicita’ le osservazioni svolte dalla Corte di assise di appello in ordine alla posizione del cadavere ed alla localizzazione della macchie ipostatiche ivi presenti, dalle quali ha desunto l’impossibilita’ che l’asfissia sia stata provocata da causa accidentale piuttosto che meccanica.
Rimarca, a tal fine, le evidenze raccolte in relazione, tra l’altro, al lasso trascorso tra il decesso ed il rinvenimento del corpo ed ai successivi spostamenti che la (OMISSIS) avrebbe effettuato, per dedurne che la Corte torinese ha finito con il travisare le considerazioni allegate dal consulente di parte (specificamente, in merito alle posizioni via via assunte dal cadavere) che, ove rettamente intese, accreditano una seriazione alternativa rispetto alla sequenza ipotizzata dall’esperto incaricato dalla pubblica accusa, la cui plausibilita’ e’ ulteriormente attestata dalla presenza, sul volto della vittima, di una ipostasi di colore rosso – violaceo fissa, oltre che di quelle nella regione ventrale che, diversamente da quanto ritenuto dai giudici di merito, non risultano essersi formate in un momento successivo all’originario posizionamento del cadavere.
Ne’, aggiunge, l’attendibilita’ della versione alternativa offerta dalla difesa e’ sminuita dall’avere (OMISSIS) assunto, all’atto del decesso e nelle successive ventiquattro ore, una posizione supina o semiseduta ma non prona, conclusione cui i giudici di merito pervengono attraverso un ragionamento non conforme a canoni razionali e smentito da una obiettiva lettura dei dati probatori.
5.2. Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta vizio di motivazione in relazione alla riconducibilita’ alla (OMISSIS) della condotta omicidiaria, rilevando, in primo luogo, che la Corte di assise di appello ha replicato in modo incongruo alle obiezioni mosse in sede di appello con riferimento allo spostamento del cadavere.
Le doglianze difensive si appuntano, in specie, sulla intrinseca coerenza logica della ricostruzione avallata dai giudici di merito e sulla capacita’ della donna di sollevare e spostare, senza ausilio esterno e per due volte, il corpo esanime del marito: questioni debitamente proposte con i motivi di appello e nel corso del successivo giudizio e del tutto pretermesse nella sentenza impugnata, acriticamente adagiatasi sulle conclusioni raggiunte dalla Corte di assise di Cuneo.
La ricorrente obietta, altresi’, che la lettura dei contributi acquisiti in ordine alle ricerche effettuate, senza esito, nella giornata del (OMISSIS) smentisce l’assunto fatto proprio dai giudici di merito, secondo i quali e’ ben possibile che coloro – congiunti, paesani, forze dell’ordine e volontari della Protezione civile – che setacciarono i luoghi limitrofi all’abitazione dei coniugi (OMISSIS) – (OMISSIS) non abbiano esaminato con particolare attenzione quei siti nei quali l’imputata avrebbe provvisoriamente celato il corpo del marito, dopo averlo ucciso.
Sostiene, sul punto, la ricorrente che, emergendo invece che gli astanti, e specificamente i Carabinieri, controllarono con cura la zona senza tralasciare alcuno degli immobili e dei ricoveri presenti, l’impostazione accusatoria trova un elemento di forte contraddizione nella parte in cui offre una spiegazione al fatto, incontrovertibile, che il cadavere, il (OMISSIS), non si trovava nel luogo in cui fu rinvenuto la mattina del giorno seguente.
Rileva, conclusivamente, la ricorrente che le argomentazioni svolte dalla sentenza impugnata in ordine al mancato reperimento del cadavere di (OMISSIS) nella giornata del 7 giugno si fondano su una lettura solo parziale e decontestualizzata di alcuni contributi dichiarativi elettivamente individuati, per di piu’ smentiti da distinte risultanze, la cui maggiore significativita’ probatoria risiede nel fatto di consistere, a differenza del florilegio apprestato dalla Corte torinese, in dichiarazioni, quelle provenienti dal maresciallo (OMISSIS) e dal signor (OMISSIS), propriamente afferenti il tema specifico dell’esplorazione interna dei locali presenti nella zona.
I dedotti vizi di motivazione circa le ragioni del mancato rinvenimento del corpo di (OMISSIS) in occasione delle originarie, ma capillari, ricerche appaiono, prosegue la ricorrente, destinati a riverberarsi sull’intero impianto della sentenza impugnata, in quanto la dimostrazione della presenza del cadavere nelle adiacenze dell’abitazione familiare dopo la morte costituisce, per essa, come per quella di primo grado, basilare fondamento della penale responsabilita’ della (OMISSIS).
5.3. Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta violazione di legge e vizio di motivazione per avere la Corte di assise di appello ritenuto la responsabilita’ di (OMISSIS) in ordine al delitto di occultamento di cadavere a dispetto dell’inidoneita’ della goffa e rudimentale copertura apprestata ad impedire di scorgere il cadavere da parte di un osservatore che non si trovasse quasi a suo contatto, attestata dall’apporto dei testimoni (OMISSIS), il quale avvisto’ il corpo del nonno quando ancora si trovava alla distanza di alcuni metri, e (OMISSIS), a dire del quale il cadavere era facilmente visibile.
Reputa, inoltre, manifestamente illogica l’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui la (OMISSIS) avrebbe individuato il luogo in cui celare il corpo del marito ragionando sul fatto che, essendo stata quell’area gia’ interessata dalle ricerche del giorno precedente, era altamente improbabile che essa fosse nuovamente oggetto di specifica attenzione; tanto, in contrasto con l’elementare considerazione di ordine logico secondo cui la donna, per raggiungere l’obiettivo sperato, meglio avrebbe fatto a non spostare il corpo dal luogo in cui ella lo aveva in origine riposto e che si era rivelato idoneo a rendere vane le ricerche.
5.4. Con il quarto ed ultimo motivo, il ricorrente eccepisce, ancora, violazione di legge e vizio di motivazione per avere la Corte di assise di appello confermato il giudizio di equivalenza delle circostanze di segno opposto approntando, a fronte delle obiezioni svolte con i motivi di appello in relazione, specificamente, alla minore intensita’ del dolo, una risposta non adeguata perche’ parametrata sul solo comportamento processuale della (OMISSIS), alla quale ha finito per imputare, in sostanza, la mancata confessione.
6. Nell’interesse della ricorrente e’ stata successivamente depositata una memoria, a firma dell’avv. (OMISSIS), sostituto processuale dell’avv. (OMISSIS), nominato in aggiunta all’avv. (OMISSIS), dedicata a confutare gli argomenti spesi dal Procuratore generale territoriale a sostegno del ricorso proposto in relazione all’esclusione della circostanza aggravante dell’essere stato commesso il fatto con mezzo insidioso.
Il difensore ha, in proposito, posto l’accento sull’assenza, nel farmaco che si assume essere stato fraudolentemente somministrato dalla (OMISSIS) al marito, di qualsivoglia potenzialita’ omicidiaria ed analizzato i piu’ rilevanti arresti giurisprudenziali in argomento, ivi compresi quelli evocati dai giudici di merito e dal Procuratore ricorrente, per inferirne l’inidoneita’ a supportare l’assunto posta a fondamento dell’impugnazione, della quale ha chiesto dichiararsi l’inammissibilita’ instando, in subordine, per il suo rigetto.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso del Procuratore generale presso la Corte di appello di Torino e’ passibile di rigetto.
1.1. I giudici di merito hanno concordemente escluso che la somministrazione, ad opera dalla (OMISSIS), di un farmaco ipnotico grazie alla cui azione ella ha sedato la vittima, ponendola in una condizione di incoscienza tale da rendere possibile l’uccisione mediante asfissia, fondi la contestazione dell’aggravante, prevista dall’articolo 577 c.p.p., comma 1, n. 2, dell’essere stato commesso il fatto col mezzo di sostanze venefiche, ovvero con un altro mezzo insidioso.
Hanno, in proposito, sottolineato che l’utilizzo dello Zolpidem non ha in alcun modo concorso a provocare la morte della vittima ed e’, piuttosto, servito ad agevolare la successiva ed autonoma condotta omicidiaria, specificando che la somministrazione del farmaco costituisce mera modalita’ dell’azione anziche’ causa, anche concorrente, dell’evento letale.
1.2. Il pubblico ministero ricorrente dissente da tale ricostruzione richiamando la teoria condizionalistica della causalita’, che attribuisce rilevanza penale a tutti gli antecedenti che costituiscono necessaria premessa dell’offesa, ed osserva come il segmento dell’azione del quale si discute ha consentito alla (OMISSIS) di conseguire un risultato che, altrimenti, le sarebbe stato precluso o, comunque, sarebbe rimasto incerto.
Cio’, in quanto l’imputata, ove il marito non avesse assunto, per effetto del suo contegno fraudolento, lo Zolpidem, avrebbe incontrato, all’atto del soffocamento, la resistenza della vittima, che ben avrebbe potuto sottrarsi, anche per la maggiore vigoria fisica, all’aggressione.
Ricorda che, in passato, la giurisprudenza di legittimita’ ha, in ossequio a tale impostazione, riconosciuto che, ai fini dell’integrazione dell’aggravante, non e’ necessario che l’utilizzo del mezzo insidioso abbia provocato direttamente la morte, essendo, al contrario, sufficiente che la sua somministrazione abbia agevolato l’intento criminoso ponendo la vittima in una condizione di debolezza.
Richiama, al riguardo, l’indirizzo secondo cui “Ai fini della configurabilita’ della circostanza aggravante prevista dall’articolo 577 c.p., comma 1, n. 2, l’espressione “mezzo insidioso” indica quello che, per la sua natura ingannevole o per il modo e le circostanze che ne accompagnano l’uso, reca in se’ un pericolo nascosto, tale da sorprendere l’attenzione della vittima e rendere alla stessa impossibile, o comunque piu’ difficile che di fronte ad ogni altro mezzo, la difesa” (Sez. 2, n. 29921 del 24/07/2002, Leone, Rv. 222117; nello stesso senso cfr., tra le altre, Sez. 1, n. 11561 del 05/02/2013, Tavelli, Rv. 255337; Sez. 5, n. 2925 del 18/12/2008, dep. 2009, Perazzi, Rv. 242619).
1.3. Le argomentazioni del ricorrente, quantunque, in certa misura, suggestive, non convincono.
L’articolo 577 c.p., comma 1, n. 2, equipara all’uso delle sostanze venefiche l’impiego di “altro mezzo insidioso”: la nozione di insidiosita’ deve essere intesa obiettivamente, in relazione alla natura intrinseca del mezzo, onde in essa non potrebbero farsi rientrare l’agguato o altre forme di appostamento, le quali sono quasi connaturate all’esecuzione dell’omicidio e realizzano la condotta necessaria per la sua consumazione e quindi, di per se’, non possono aggravarlo.
D’altro canto, e’ insidioso – come correttamente sottolineato dall’indirizzo ermeneutico, sopra evocato, su cui si incentra la tesi del ricorrente – non soltanto il mezzo fraudolento, che inganna il soggetto passivo, ma anche quello violento, allorche’ le modalita’ dell’uso costituiscano intrinsecamente un tranello di cui non ci si puo’ avvedere: a livello esemplificativo, sono tali il mascheramento della buca in cui cada la vittima; il collegamento dell’esplosivo al sistema di accensione dell’auto, in modo che il conducente rimanga ucciso nel momento in cui avvii il motore; lo schiacciamento della vittima sotto un sistema di pesi azionato inconsapevolmente attraverso l’accensione di un interruttore; la predisposizione di un contatto elettrico che provochi la morte attraverso elettrocuzione.
E’, tuttavia, consolidato, nella giurisprudenza di legittimita’, l’ulteriore orientamento – risalente nel tempo, ma mai smentito da contrario arresto (e, anzi, di recente richiamato, in motivazione, da Sez. 1, n. 7992 del 08/11/2018, dep. 2019, Viola) – secondo cui non e’ sufficiente ad integrare l’aggravante l’utilizzo, avvenuto nel caso di specie, di uno strumento che non provochi direttamente la morte della vittima, ma costituisca una mera modalita’ dell’azione, cioe’ una condotta fraudolenta tendente ad agevolare l’azione omicida, compiuta con altro mezzo (Sez. 1, n. 65 del 08/11/1993, dep. 1994, Iakovidis, Rv. 197711; Sez. 5, n. 2491 del 31/01/1991, Piras, Rv. 186478; Sez. 1, n. 5793 dell’8/2/1969, Ponessa, Rv. 181056; sez. 1, n. 920 del 29/05/1968, Ginevra, Rv. 109202).
I casi affrontati nei precedenti appena citati contemplavano il ricorso alla somministrazione di un farmaco in dose non letale per assopire la vittima e poterla poi colpire con un corpo contundente, situazione assimilabile a quella verificatasi in quello in esame, in cui la morte e’ stata provocata per asfissia meccanica.
Il discrimine per selezionare, nell’ambito dei – potenzialmente infiniti -antecedenti della morte quelli causalmente rilevanti deve, pertanto, rinvenirsi nella loro collocazione all’interno della sequenza di comportamenti idonei, da soli, a provocare l’evento lesivo, alla quale e’, invece, estraneo l’assopimento di (OMISSIS), che, qualora non fosse sopraggiunta l’azione soffocatrice, non ne avrebbe potuto determinare il decesso.
La conclusione teste’ enunciata non e’, peraltro, contraddetta dall’orientamento, espresso dalla giurisprudenza di legittimita’, secondo cui “Ai fini della sussistenza della circostanza aggravante del mezzo di sostanze venefiche nel reato di omicidio, non e’ necessario che le stesse siano state la causa esclusiva della morte, essendo sufficiente – in coerenza con il principio di equivalenza causale – che la loro somministrazione, per quantita’ e qualita’, abbia comunque agevolato, innescandolo o in altro modo favorendolo, il processo causale determinante il decesso della vittima” (Sez. 1, n. 15860 del 09/12/2014, dep. 2015, Crivellari, Rv. 263090), che, invece, e’ con essa perfettamente coerente laddove attribuisce rilevanza all’uso di sostanze venefiche (cioe’ suscettibili di provocare un effetto tossico sull’organismo, che non consegue, invece, all’impiego del prodotto assunto da (OMISSIS)), concretatosi, nel caso sottoposto, in quella occasione, alla Corte di cassazione, in una massiccia ingestione di psicofarmaci che si era posta, unitamente al soffocamento realizzato con un sacchetto di plastica, quale concausa della morte, ovvero quale fattore concorrente nella verificazione dell’evento letale.
2. Il primo motivo articolato nell’interesse di (OMISSIS) attiene alla legittimita’ della motivazione con la quale la Corte di assise di appello ha rigettato le doglianze difensive in ordine alla causa del decesso di (OMISSIS).
2.1. La Corte torinese ha diffusamente esaminato la questione alle pagg. 1320 della motivazione della sentenza impugnata, disattendo la tesi sostenuta dall’odierna ricorrente, incentrata sulla possibilita’ che l’uomo sia deceduto per cause naturali, cio’ che, e’ evidente, escluderebbe la stessa sussistenza del fatto omicidiario.
Dopo aver premesso che i profili medico – legali devono essere vagliati alla complessiva luce di tutte le emergenze processuali e che la teorica plausibilita’ della ricostruzione difensiva non vale, di per se’, ad escludere la riferibilita’ dell’evento all’azione volontaria di terzi, ha, innanzitutto, attestato la linearita’ della ricostruzione operata nelle relazioni scritte e, quindi, in dibattimento dal consulente del pubblico ministero, Dott. (OMISSIS), il quale ha ascritto il decesso di (OMISSIS) ad asfissia meccanica.
Ha, per contro, stimato meno attendibile il contributo del consulente dell’imputata, Dott. (OMISSIS), il quale, dopo avere inizialmente condiviso l’assunto del collega incaricato dalla pubblica accusa, ha ipotizzato, dapprima, una soffocazione accidentale, nonche’, in dibattimento, il cedimento funzionale del miocardio, favorito dalle precarie condizioni cardiache di (OMISSIS) e dal momento del decesso, intervenuto nel corso della digestione, quando, cioe’, maggiore e’ l’afflusso di sangue dal cuore.
La Corte di assise di appello ha qualificato tale tesi alla stregua di astratta affermazione statistica, slegata dal quadro obiettivo descritto dal Dott. (OMISSIS), secondo cui le condizioni cardiache, che evidenziavano danni remoti (una rilevante fibrosi di vecchia data ed una cardiopatia post-infartuale, ma non anche segni di eventi ischemici recenti), non consentivano di ipotizzare alcun legame con la morte, si’ da rendere il dubbio non “ragionevole” perche’ privo di qualsivoglia riscontro nell’incartamento processuale.
In ordine, poi, all’ipotesi alternativa del soffocamento accidentale, riproposta dalla difesa dell’imputata nel corso del giudizio di appello, i giudici di secondo grado, muovendo dalle condivise valutazioni espresse dal Dott. (OMISSIS), ne hanno ritenuto l’incompatibilita’ con la posizione in cui e’ stato rinvenuto il cadavere, tale da non determinare impedimento alla respirazione, e con la collocazione delle macchie ipostatiche nella regione dorsale, sintomatiche di una prolungata permanenza del cadavere in posizione supina.
Hanno, per contro, reputato inattendibile, in primo luogo dal punto di vista logico, l’assunto difensivo che, facendo leva sulla concorrente esistenza di macchie ipostatiche in area ventrale (delle quali il Dott. (OMISSIS) fornisce una spiegazione compatibile con il costituto accusatorio), postula che (OMISSIS), caduto in terra per un malore con il viso rivolto verso terra, resto’ soffocato e che il suo corpo venne successivamente, cioe’ post mortem, rivoltato da altro soggetto in posizione supina.
Hanno, su un piano piu’ generale, osservato che la tesi del soffocamento accidentale e’ plasticamente contraddetta dal complesso delle concorrenti risultanze probatorie, che danno conto, tra l’altro, della sedazione mediante assunzione dello Zolpidem, azione la cui ascrivibilita’ alla (OMISSIS) e’ certa, e delle iniziative poste in essere allo scopo di occultare il cadavere.
2.2. Con il ricorso per cassazione, la difesa dell’imputata ripropone, in chiave essenzialmente confutativa, le obiezioni gia’ proposte al giudice di merito e da questi disattese in forza di un iter argomentativo esente dai vizi prospettati.
Valorizza, innanzitutto, il rinvenimento sul cadavere di edema polmonare, che costituisce frequente conseguenza di cedimento improvviso del miocardio, e precisa, a confutazione dei rilievi dei giudici di secondo grado, che, stante la concomitante presenza dell’enfisema polmonare, l’ipotesi alternativa formulata dal consulente di parte indica, quale possibile causa della morte di (OMISSIS), la convergenza dell’intervenuto evento cardiaco su un processo asfittico gia’ in itinere e protrattosi per alcuni minuti.
2.3. L’obiezione non coglie nel segno, perche’ trascura che la Corte di assise di appello ha escluso (cfr. pagg. 15-16 della motivazione della sentenza impugnata) che (OMISSIS) sia deceduto in conseguenza – poco importa se in via esclusiva o concorrente – di un cedimento funzionale del miocardio sulla scorta di considerazioni solidamente agganciate al compendio probatorio e scevre da qualsivoglia deficit razionale, vertenti sul carattere aspecifico dell’edema, che si riscontra anche in caso di decesso dovuto a tutt’altre cause, e sull’assenza, nel quadro obiettivo descritto dai consulenti, di evidenze confermative di un’ipotesi che, rebus sic stantibus, puo’ essere formulata in termini meramente statistici.
L’affermazione, con la quale la ricorrente rinunzia a confrontarsi, induce a negare cittadinanza ad una lettura dei dati medico-legali tale da rendere verosimile, sul piano del concreto accertamento dei fatti di interesse processuale, che (OMISSIS) sia morto per l’improvviso aggravamento di pregressa patologia cardiaca.
D’altro canto, va aggiunto, ad ulteriore confutazione della doglianza e la pacifica sottoposizione di (OMISSIS) ad un processo asfittico, preesistente alla ventilata crisi cardiaca e reso manifesto dall’enfisema polmonare, priva, comunque, di rilevanza il punto controverso, spostando il fuoco dell’attenzione verso l’individuazione della natura, accidentale o meccanica, dell’asfissia.
2.4. In ordine a tale ultimo aspetto, la ricorrente deduce che le macchie ipostatiche presenti sul ventre di (OMISSIS) si sono necessariamente formate, tenuto conto dell’ora del decesso, non oltre le ore 16,00 del (OMISSIS), id est in epoca precedente al momento in cui, stando alla ricostruzione accusatoria, il cadavere sarebbe giunto nel luogo in cui, il giorno seguente, e’ stato rinvenuto.
Escluso, dunque, che dette macchie si siano formate per effetto della posizione assunta dal cadavere nel noccioleto, errata si rivelerebbe la ricostruzione avallata dai giudici di merito, che ricollega le macchie ventrali alla posizione assunta dal corpo nel luogo in cui e’ stato, infine, trovato.
Non potendo, allora, assumersi la precisa successione cronologica nella formazione delle macchie, rispettivamente, sul ventre e sul dorso del corpo di (OMISSIS) (scrive il ricorrente, a pag. 9 del libello difensivo: “… il Consulente della difesa… (…)… ha… (…)… rilevato l’impossibilita’ di ricavare dalla collocazione delle macchie ipostatiche rinvenute sul cadavere del (OMISSIS) inferenze di sorta in ordine alla causa della morte di quest’ultimo, non potendosi escludere l’evenienza che le macchie ipostatiche piu’ datate fossero quelle ventrali; cio’ che consentirebbe di ipotizzare che il corpo al momento del decesso si trovasse in posizione prona, tale da impedire un’agevole respirazione”), la tesi del soffocamento accidentale mantiene, nella prospettiva difensiva, un coefficiente di plausibilita’ tale da integrare, quantomeno, un ragionevole dubbio, al cospetto del quale si impone l’adozione di sentenza assolutoria.
Ne’, aggiunge la ricorrente, vale rimarcare in senso contrario, come fa la Corte di assise di appello, la presenza delle macchie dorsali, compatibile con la tesi difensiva dell’iniziale, e non breve, posizione prona del cadavere, cui sarebbe seguito il suo ribaltamento.
Allo stesso modo, il fatto che il volto di (OMISSIS) non si presentasse cianotico o congesto, come sarebbe stato lecito attendersi in caso di morte per asfissia posizionale, non si porrebbe in contraddizione con la ricostruzione propugnata dalla ricorrente che, a ben vedere, sarebbe positivamente riscontrata dal rinvenimento di un’ipostasi di colore rosso-violaceo fissa, prevalentemente localizzata al volto.
A fronte di elementi che accreditano la tesi difensiva, la sentenza impugnata si paleserebbe, vieppiu’, illogica nella parte in cui offre, in ordine al decisivo profilo che inerisce a tempi e modi di formazione delle macchie ventrali, spiegazioni incompatibili con i dati circostanziali ovvero affidate a mere illazioni.
2.5. Ritiene il Collegio che anche le censure afferenti alla natura, meccanica o accidentale, dell’asfissia che ha provocato la morte di (OMISSIS) siano prive di pregio perche’ frutto di una analisi del compendio probatorio monca, che non tiene conto del complesso di ragioni che hanno convinto i giudici di merito del fatto che (OMISSIS) e’ morto perche’ intenzionalmente soffocato da terzi e non gia’ in conseguenza di una caduta accidentale, che lo ha costretto in una posizione nella quale egli non e’ piu’ riuscito a respirare.
A seguire la ricorrente, dovrebbe, invero, inferirsi che, presenti macchie ipostatiche sia sul dorso che sul ventre del corpo, le due opposte ricostruzioni mantengono, entrambe, uguale plausibilita’.
Tale conclusione, ove pure accettata, non giova, tuttavia, alla causa della (OMISSIS), traendosi dagli atti del processo granitici elementi che inducono a privilegiare un percorso euristico piuttosto che l’altro.
La Corte di assise di appello (cfr. pagg. 17-18 della motivazione della sentenza impugnata) ricorda, al riguardo, che la tesi alternativa sostenuta dalla ricorrente postula, in palese contrasto con l’id quod prelurmque accidit, che, – l’avere in precedenza accreditato, confidandosi con varie persone, l’ipotesi di un allontanamento volontario del marito;
– il comportamento tenuto durante le ricerche del giorno 7 giugno e, il giorno seguente, alla notizia del ritrovamento del corpo;
– le diverse versioni fornite circa i tempi e i modi in cui ella aveva trovato il cadavere e lo aveva coperto;
– l’avere, in una telefonata intercettata il 10 giugno 2016, parlando con tale (OMISSIS), una sua parente che vive in Calabria, riconosciuto che “gli ho lasciato qualcosa li’ e lui l’ha bevuto che non doveva bere”;
– il timore (palesatosi infondato) della (OMISSIS) di avere rivelato la conoscenza, da parte sua, di particolari che sarebbero emersi soltanto a seguito degli esami autoptici, quali la presenza del sonnifero ed il probabile numero di pastiglie assunte dalla vittima, come risulta da sue comunicazioni con l’amica (OMISSIS) dell'(OMISSIS);
– l’acquisto del sonnifero (Zolpidem) presso una farmacia di (OMISSIS), avvenuto grazie alla prescrizione del farmaco dal proprio medico di famiglia, risalente al 7 aprile 2016; una seconda prescrizione, del 3 giugno successivo, non risulta mai essere stata utilizzata, mentre nel memoriale depositato dalla (OMISSIS), l’imputata ha sostenuto che sia la scatola che le chiavi di casa erano sparite dalla sua borsa; in proposito, la Corte di primo grado ha evidenziato la falsita’ di tale affermazione, sia perche’, come gia’ notato, la prescrizione del 3 giugno non fu mai utilizzata, sia perche’ la (OMISSIS) resto’ sempre in possesso delle chiavi di casa, cui normalmente fece accesso;
– il tentativo di occultamento e distruzione del contenitore del farmaco, frammenti stracciati in piccoli pezzi della cui confezione, oltre ad un blister vuoto da 15 compresse, i Carabinieri rinvennero, nel corso del sopralluogo del 16 giugno 2016 e dell’ispezione del giorno successivo, all’interno di una stufa posta in un locale al primo piano dell’abitazione di (OMISSIS);
– la circostanza che in quel luogo vivevano soltanto i coniugi (OMISSIS), sicche’ la presenza di estranei sarebbe stata, con ogni probabilita’, notata;
– il fatto che tutte le tracce di DNA rinvenute sul cadavere e sul materiale circostante sono riferibili esclusivamente alla vittima ed all’imputata;
– infine, le numerose interrogazioni rivolte dalla donna ad un servizio di cartomanzia telefonica nei giorni immediatamente successivi al decesso di (OMISSIS), colloqui intercettati, nel corso dei quali la sua preoccupazione non e’ mai stata quella di sapere chi e come avesse ucciso il marito, ma soltanto se ella sarebbe stata arrestata e quale sarebbe stato il suo destino giudiziario; nel corso di una di tali telefonate, l’imputata ha chiaramente ricollegato il suo risalente risentimento nei confronti del marito alla definitiva ribellione da lei dopo l’accidentale decesso di (OMISSIS), avvenuto mentre egli si trovava in posizione prona (cioe’ con il viso rivolto al terreno), altra persona, imbattutasi nel corpo, lo abbia rivoltato, si’ da consentire la formazione delle macchie ipostatiche dorsali, senza avvertire le autorita’, e che la stessa persona o altri abbiano spostato il cadavere nel noccioleto ed ivi coprirlo con vecchie coperte e cassette per la frutta.
A fronte di tale ricostruzione, in evidente contrasto con elementari canoni di logica ordinaria e di comportamento, si pone quella accusatoria, che ascrive all’azione dell’imputata il soffocamento, con conseguente formazione delle macchie dorsali e, a seguito di un temporaneo spostamento del cadavere, avvenuto nelle 24 ore successive all’exitus, di quelle ventrali.
La tesi difensiva si rivela, d’altro canto, di totale inconsistenza laddove omette di confrontarsi con la sedazione di (OMISSIS) mediante ingestione di Zolpidem, effetto prodotto dall’imputata (la quale aveva acquistato il farmaco poche settimane prima della morte del marito), come da lei stessa ammesso nella conversazione telefonica intrattenuta con una parente il (OMISSIS) (“gli ho lasciato qualcosa li’ e lui l’ha bevuto che non doveva bere”).
Una volta acclarato – come lucidamente esposto dalla Corte di assise di appello alle pagg. 18-19 della motivazione della sentenza impugnata – che (OMISSIS) stordi’ il marito somministrandogli occultamente, la sera del (OMISSIS), lo Zolpidem, la tesi del soffocamento accidentale perde il benche’ minimo margine di credibilita’, mentre risulta, per converso, ancora piu’ attendibile quella che vede la donna attuare la strategia da tempo architettata (secondo quanto emergente dalle conversazioni registrate) soffocando il marito, incapace di reagire perche’ assopito.
3. Transitando, per questa via, all’esame del secondo motivo di ricorso, con il quale si lamenta l’illegittimita’ del percorso motivatorio attraverso il quale la Corte di assise di appello e’ pervenuta ad individuare in (OMISSIS) l’autrice dell’omicidio, va detto che l’istruttoria dibattimentale ha, sotto questo aspetto, offerto notevolissimi e pregnanti spunti a carico dell’imputata, a partire dalla singolarita’ dell’atteggiamento serbato nell’immediatezza della scomparsa del marito, a suo dire portatosi in Romania con una fantomatica nuova compagna e, nella conversazione della mattina del (OMISSIS), indicato alla figlia (OMISSIS) come presente sebbene, in realta’, deceduto la sera prima.
Alla pag. 22 della motivazione della sentenza impugnata, la Corte di assise di appello ha cura, in proposito, di riepilogare le iniziative della donna finalizzate ad accreditare, nei confronti dei parenti, la tesi dell’allontanamento volontario del marito, non altrimenti spiegabili se non nell’ottica della responsabilita’ della (OMISSIS) in relazione al perpetrato delitto.
Univoca portata accusatoria assumono, inoltre, il reiterato e riscontrato mendacio della donna, l’anomalo contegno da lei serbato durante le ricerche, il mutamento del racconto via via ammannito in merito a tempi e modi della scoperta del cadavere ed alla sua copertura, gli indizi tratti dalle espletate intercettazioni telefoniche, il tentativo di distruggere il contenitore dello Zolpidem, il movente, connesso al risentimento da sempre nutrito nei confronti dell’uomo, espressamente rivendicato in numerose conversazioni con vari interlocutori, a taluno dei quali ella aveva confidato l’intenzione di sottrarsi definitivamente alle trentennali vessazioni cui era sottoposta.
Elementi, questi, che la ricorrente non ha posto in discussione e che, nella considerazione unitaria e globale dell’addebito, supportano la valutazione dei giudici di merito assicurandone senz’altro la congruenza logica e giuridica, che trova ulteriore riscontro nella assoluta implausibilita’ – efficacemente illustrata dai giudici di merito e non contestata dalla ricorrente – di una ricostruzione che veda altri, e non la (OMISSIS), portarsi nell’isolata abitazione di (OMISSIS) e rendersi protagonista, nell’arco di tre giorni, delle articolate attivita’ sopra descritte.
3.1. La Corte di assise di appello – prendendo le mosse dalla ricostruzione della vicenda operata dal giudice di primo grado, sintetizzata alla pag. 10 della motivazione della sentenza impugnata e, si ribadisce, non confutata, nei suoi tratti essenziali, dall’imputata – si e’ diffusa, alle pagg. 19-24 della motivazione della sentenza impugnata, sugli unici profili oggetto di dibattito, concernenti, rispettivamente, lo spostamento del cadavere ed il suo transitorio occultamento nella giornata del (OMISSIS).
Certo, infatti, che le ricerche eseguite nella giornata del (OMISSIS) furono estese al noccioleto all’interno del quale il corpo venne rinvenuto l’indomani, la Corte di assise di appello ha dedotto che la (OMISSIS) lo abbia nascosto in un sito diverso da quello in cui si recarono, il 7 giugno, familiari, volontari e forze dell’ordine e giustificato il negativo esito delle ricerche con la circostanza che, in quel frangente, si immaginava che (OMISSIS) potesse essere accidentalmente svenuto in area esterna ovvero negli immobili ove era solito recarsi e che non vennero, pertanto, eseguiti accessi particolarmente approfonditi.
In ordine, poi, all’ultimo spostamento del cadavere, la Corte di assise di appello, mutuando le considerazioni svolte dal consulente del pubblico ministero, ha reputato difficoltoso, ma non impossibile, il trasporto del corpo, con l’ausilio della carriola, verso il noccioleto, ed ha affermato che, con ogni probabilita’, la posizione finale del cadavere, la presenza della corda e la rudimentale copertura erano stato frutto del ribaltamento dell’attrezzo, che aveva determinato la caduta del corpo, proiettato in un punto dal quale era assai arduo estrarlo per rimetterlo sulla carriola, e costretto la donna ad un intervento di fortuna.
3.2. In proposito, la ricorrente nota, in primo luogo, che la versione dei fatti avallata dai giudici di merito e’ scarsamente compatibile con la preventiva ideazione, da parte della (OMISSIS), del delitto laddove postula che ella abbia, in prima battuta, celato il cadavere del marito in un nascondiglio provvisorio per provvedere solo in un secondo momento – e quando ormai la notizia della sparizione dell’uomo si era diffusa ed era dunque meno semplice compiere l’operazione senza essere notata da familiari e forze dell’ordine – allo spostamento verso il sito di definitivo occultamento.
Argomento, questo, che, e’ agevole replicare, non incide sulla coerenza logica della decisione impugnata, che enuclea, in capo alla (OMISSIS), una sequenza di comportamenti compatibili con le sue condizioni personali e con i dati logistici, tutti finalizzati ad attuare – con i modesti e limitati mezzi, intellettuali, fisici, organizzativi, finanziari, di cui ella disponeva – un proposito criminoso maturato negli anni.
Ne’, sotto altro aspetto, la corporatura tozza e minuta della donna era tale, come condivisibilmente affermato dai giudici di merito, da precluderle lo spostamento, sia pure a fatica e non del tutto coronato da successo, del cadavere del marito, sul quale ella aveva avuto la meglio solo grazie alla somministrazione del farmaco.
A questo riguardo, la ricorrente si limita a riproporre le ampie argomentazioni gia’ sottoposte ai giudici di merito, imperniate, in sostanza, sulla dedotta impossibilita’ che una donna della sua altezza e peso ed in condizioni di salute tutt’altro che ottimali, compisse, senza l’aiuto di terzi e contando solo su una carriola, le operazioni di sollevamento, spostamento e deposizione del cadavere.
Osservazioni dalle quali, va qui ribadito, la Corte di assise ha dissentito in forza di considerazioni che, in quanto esenti da tangibili vizi logici e coerenti con le emergenze probatorie, sfuggono a censure rilevanti in sede di legittimita’, perche’, tra l’altro, ancorate al dato di esperienza che ammette la possibilita’ che una donna non ancora sessantenne ed adusa a lavori agricoli, riesca a maneggiare, in un frangente di tangibile emergenza, un corpo umano, quale quello di (OMISSIS), di minuta complessione fisica e peso non superiore a 55 kg.
D’altro canto, va conclusivamente rilevato, il fatto stesso che il cadavere sia scivolato dalla carriola per andare ad incastrarsi tra i rami di un albero sottostante dimostra che l’operazione fu compiuta in condizioni di precarieta’, quali, e’ facile immaginare, erano quelle in cui versava la (OMISSIS) nel momento in cui perse il controllo della carriola.
3.3. Per quanto concerne l’infruttuoso esito delle ricerche effettuate il (OMISSIS), la ricorrente insiste nel sostenere, con il conforto delle deposizioni di alcuni testimoni, che l’intervento di personale della Protezione civile, oltre che dei Carabinieri, e l’accesso a tutti i locali limitrofi all’abitazione dei coniugi (OMISSIS) smentiscono la ricostruzione, accreditata dai giudici di merito, secondo cui proprio in uno di quegli immobili la (OMISSIS) ha occultato, in prima battuta, il corpo del marito.
La censura e’, anche in questo caso, infondata giacche’, per quanto estese ed accurate si stimino le ricerche effettuate, non puo’ certo escludersi, alla luce dei medesimi contributi testimoniali valorizzati dalla ricorrente, oltre che di semplici massime di esperienza, che il corpo di (OMISSIS) fosse stato riposto, in quei frangenti, in un sito non ispezionato – ovvero non ispezionato con la dovuta cura – ma che, tuttavia, non poteva costituire definitiva destinazione del cadavere, che l’imputata intendeva, con ogni probabilita’, seppellire in un’area nella quale sarebbe stato piu’ difficile trovarlo, non raggiunta in conseguenza del ribaltamento della carriola.
Al cospetto, dunque, di una motivazione aliena da salti logici o frutto del travisamento delle prove acquisite, la ricorrente svolge critiche che non oltrepassano la soglia della diversa valutazione del compendio indiziario e che non autorizzano, pertanto, il sollecitato intervento censorio.
Coglie nel segno, d’altro canto, la Corte di assise di appello nel sottolineare che l’assenza di precise informazioni in ordine al profilo controverso, ovvero alla precisa collocazione del cadavere di (OMISSIS) nella giornata del (OMISSIS), non indebolisce il complessivo impianto accusatorio nella misura in cui non introduce elementi di contraddizione rispetto ad un compendio indiziario della cui assoluta solidita’, per le ragioni sopra enunciate, non puo’ in alcun modo dubitarsi.
4. Con il terzo motivo di ricorso, la (OMISSIS) sottopone a revisione critica, nell’ottica della manifesta illogicita’ della motivazione, le conclusioni raggiunte dai giudici di merito con riferimento alla responsabilita’ della donna per l’occultamento del cadavere del marito, da escludersi, obietta, stante la facilita’, per un osservatore posto anche ad una certa distanza, di individuare il cadavere, che la goffa e rudimentale copertura apprestata non riusciva a celare.
Indica, a supporto della doglianza, il contributo dei testimoni (OMISSIS), il quale avvisto’ il corpo del nonno quando ancora si trovava alla distanza di alcuni metri, e (OMISSIS), a dire del quale il cadavere era facilmente visibile.
4.1. La censura e’ infondata, perche’ non tiene conto dell’offensivita’ del reato in contestazione, come delineata dalla giurisprudenza di legittimita’.
In proposito, occorre, preliminarmente, chiarire che nel delitto in questione, diversamente da quanto accade nelle fattispecie di soppressione o sottrazione di cadavere, il celamento del corpo deve essere temporaneo, ossia operato in modo tale che il cadavere sia in seguito necessariamente ritrovato, sebbene in esito ad una ricerca accurata (in questo senso cfr., tra le altre, Sez. 1, n. 1000 del 11/09/2018, dep. 2019, Santangelo, Rv. 274789; Sez. 1, n. 32038 del 10/06/2013, Belmonte, Rv. 256452; Sez. 1, n. 36465 del 26/09/2011, Misseri, Rv. 250813).
Per quanto concerne l’attitudine della condotta a ledere il bene tutelato dalla norma incriminatrice, e’ stato, inoltre, chiarito che “L’integrazione del reato di occultamento di cadavere non richiede che il nascondimento sia correlato a particolari accorgimenti, essendo sufficiente la sistemazione del cadavere in modo tale da ritardarne il ritrovamento per un tempo apprezzabile. (Fattispecie di collocamento parziale del cadavere all’interno di una macchia di rovi posta in zona isolata)” (Sez. 1, n. 8748 del 02/02/2011, Paiotti, Rv. 249604).
4.2. Cio’ posto, e’ del tutto evidente che lo spostamento del cadavere dal punto in cui avvenne l’uccisione a quello in cui fu nascosto per l’intera giornata del (OMISSIS) ne ha determinato il ritardato rinvenimento per un tempo certamente apprezzabile e che la successiva collocazione nel noccioleto e, soprattutto, l’occultamento realizzato con cassette e tappeti e la stessa carriola rovesciata hanno, del pari, impedito una piu’ celere e tempestiva scoperta del corpo.
Tanto, va aggiunto a confutazione dell’ulteriore obiezione difensiva, quale che sia stata la ragione che ha spinto la donna a rimuovere il corpo dal sito in cui lo aveva collocato subito dopo l’omicidio ed a prescindere dalla genesi, presumibilmente fortuita, del posizionamento finale del corpo.
In senso contrario non milita, del resto, il fatto che il nipote della vittima abbia individuato, con relativa facilita’, il punto in cui il corpo si trovava, risultato che e’ stato ottenuto eseguendo piu’ accurate ricerche e grazie alla conoscenza del motivo del maglione in pile indossato dal nonno, particolare a lui noto solo in ragione del rapporto familiare.
Atteso, dunque, che la complessiva condotta dell’imputata ha imposto l’esecuzione di ricerche ulteriori e piu’ complesse rispetto a quelle che sarebbero altrimenti state necessarie e che la, pure affrettata e rudimentale, copertura realizzata dall’imputata ha precluso la visione dei tratti somatici di (OMISSIS), ineccepibile si palesa, anche in questa parte, la motivazione della sentenza impugnata.
5. Inammissibile si palesa, infine, il quarto ed ultimo motivo di ricorso, afferente alla legittimita’ della decisione in ordine alla conferma del giudizio di equivalenza delle circostanze di segno opposto.
Sul punto, deve ricordarsi che le statuizioni relative al giudizio di comparazione ex articolo 69 c.p., implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimita’ qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che, per giustificare la soluzione dell’equivalenza, si sia limitata a ritenerla la piu’ idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto (Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, Contaldo, Rv. 245931).
Peraltro, deve anche ricordarsi che in tema di bilanciamento di circostanze eterogenee, non incorre nel vizio di motivazione il giudice di appello che, nel formulare il giudizio di comparazione, dimostri di avere considerato e sottoposto a disamina gli elementi enunciati nella norma dell’articolo 133 c.p. e gli altri dati significativi, apprezzati come assorbenti o prevalenti su quelli di segno opposto (Sez. 2,. n. 3610 del 15/01/2014, Manzari, Rv. 260415).
Nella specie, il giudice di appello ha illustrato in maniera adeguata le ragioni per le quali ha condiviso la scelta gia’ effettuata dalla Corte di assise di Cuneo, richiamando, tra l’altro, l’estrema intensita’ del dolo ed il negativo contegno serbato dall’imputata in sede processuale, cosi’ svolgendo una motivazione che si sottrae alle censure difensive, intese, ancora una volta, ad una rivalutazione non consentita in sede di legittimita’.
6. Dalle precedenti considerazioni discende il rigetto del ricorso proposto da (OMISSIS), che va, pertanto, condannata, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., comma 1, primo periodo, al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso del Procuratore generale presso la Corte di appello di Torino. Rigetta il ricorso di (OMISSIS), che condanna al pagamento delle spese processuali.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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