La cd. “dicatio ad patriam”

Consiglio di Stato, sezione quinta, Sentenza 22 agosto 2019, n. 5785.

La massima estrapolata:

La cd. “dicatio ad patriam” rappresenta “un modo di costituzione di una servitù di uso pubblico, consistente nel comportamento del proprietario che, seppure non intenzionalmente diretto a dar vita al diritto di uso pubblico, mette volontariamente, con carattere di continuità (non di precarietà e tolleranza), un proprio bene a disposizione della collettività, assoggettandolo al correlativo uso, al fine di soddisfare un’esigenza comune ai membri di tale collettività ‘uti cives’, indipendentemente dai motivi per i quali detto comportamento venga tenuto, dalla sua spontaneità e dallo spirito che lo anima.

Sentenza 22 agosto 2019, n. 5785

Data udienza 21 maggio 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello numero di registro generale 8526 del 2016, proposto da
Sa. La., rappresentato e difeso dagli avvocati Re. Gi. Vi. e Ni. Mi., domiciliato presso la Segreteria del Consiglio di Stato in Roma, piazza (…);
contro
Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Ma. Co. D’A., domiciliato presso la Segreteria del Consiglio di Stato in Roma, piazza (…);
e con l’intervento di
ad opponendum
Do. Ag. ed altri, rappresentati e difesi dall’avvocato Pa. Ag., domiciliati presso la Segreteria del Consiglio di Stato in Roma, piazza (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, n. 993/2016, resa tra le parti
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis) ed altri;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 maggio 2019 il Cons. Alberto Urso e uditi per le parti gli avvocati Ni. Mi., Gi. Re. Vi. e Pa. Ag., anche su delega dell’avv. D’A.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. La. Sa. è proprietario di un tratto stradale di via (omissis) compreso tra via (omissis) e la parete del palazzo di giustizia nel comune di (omissis) (RC).
2. Con ordinanza del 1° dicembre 2015 il Comandante della polizia locale del Comune (omissis) ordinava il rifacimento della segnaletica stradale orizzontale di delimitazione degli stalli di sosta nel tratto viario suindicato, essendo la suddetta strada destinata ad uso pubblico.
3. Il La. impugnava il provvedimento davanti al Tribunale amministrativo per la Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, che, nella resistenza del Comune di (omissis), respingeva il ricorso.
4. Ha proposto appello avverso la sentenza il La. formulando i seguenti motivi di doglianza:
I) erra la sentenza nell’affermare l’esistenza di una servitù d’uso pubblico sul tratto stradale controverso, difettandone il presupposto dell’utilizzo da parte di una collettività indeterminata di persone;
II) privi di rilievo sono gli altri elementi richiamati dalla sentenza al fine di affermare detta servitù ;
III) l’omessa notifica al La. dell’ordinanza, quale atto ablatorio, ne inficia la validità, anche perché preliminare a uno sgombero;
IV) l’irregolare pubblicazione dell’ordinanza ne determina in ogni caso l’invalidità .
5. Resiste al gravame il Comune di (omissis) chiedendo il rigetto dell’appello.
Si sono altresì costituiti in giudizio ad opponendum i sigg.ri Ag. ed altri in qualità di condomini di edificio sito nella medesima via (omissis), al civico n. (omissis).
6. Sulla discussione delle parti all’udienza pubblica del 21 maggio 2019, come da relativo verbale, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Va preliminarmente dichiarata l’inammissibilità della costituzione dei sigg.ri Ag. ed altri, condomini di edificio sito nella medesima via oggetto della controversia, in quanto privi della qualità di parti – non risultando destinatari del ricorso, né essendosi costituiti in primo grado, e non avendo ricevuto notifica neppure dell’appello – ed essendosi costituiti nel presente grado senza il rispetto delle forme proprie dell’intervento, in relazione al quale risulterebbero comunque privi di specifico interesse ex art. 97 Cod. proc. amm.
In proposito gli stessi resistenti hanno dato in realtà conto dell’errore commesso nel depositare la memoria di costituzione nel presente giudizio anziché in altro avente a oggetto l’ordinanza di sgombero adottata dalla medesima amministrazione nei confronti del La., ordinanza alla quale si riferiscono infatti le difese da loro formulate.
Di qui l’inammissibilità di tale costituzione, qualificabile alla stregua d’intervento irritualmente spiegato.
2. Può prescindersi dall’esame delle eccezioni di carattere preliminare sollevate dal Comune stante l’infondatezza nel merito dell’appello.
3. Col primo motivo il La. censura la sentenza nella parte in cui, respingendo il ricorso di primo grado, ha affermato l’esistenza di una servitù d’uso pubblico pur in difetto del necessario presupposto dell’utilizzo da parte di una collettività indeterminata di persone, atteso che la strada è in realtà utilizzata dai soli proprietari degli immobili frontisti. Inoltre l’area non è collegata con alcuna pubblica via, essendo sorto in adiacenza alla stessa il palazzo di giustizia; il che vale a caducare anche gli effetti della clausola contenuta nel titolo di provenienza di cui al contratto di permuta del 1975 che prevedeva l’uso pubblico, clausola comunque venuta meno per effetto del superamento del Piano di fabbricazione comunale che programmava il prolungamento della strada.
3.1. Con il secondo motivo l’appellante deduce l’irrilevanza degli altri elementi richiamati dalla sentenza per ravvisare la servitù di uso pubblico, atteso che l’inserimento nella toponomastica comunale e i pregressi interventi del Comune risultano genericamente richiamati, non essendovi prova che interessassero quel tratto; nella strada non sono presenti opere comunali bensì private a servizio dei fabbricati ivi presenti.
4. I due motivi di gravame, che possono essere esaminati congiuntamente per via della loro stretta connessione, sono infondati.
4.1. La giurisprudenza di questo Consiglio di Stato e della Corte di cassazione ha da tempo affermato che la cd. “dicatio ad patriam” rappresenta “un modo di costituzione di una servitù di uso pubblico, consistente nel comportamento del proprietario che, seppure non intenzionalmente diretto a dar vita al diritto di uso pubblico, mette volontariamente, con carattere di continuità (non di precarietà e tolleranza), un proprio bene a disposizione della collettività, assoggettandolo al correlativo uso, al fine di soddisfare un’esigenza comune ai membri di tale collettività ‘uti cives’, indipendentemente dai motivi per i quali detto comportamento venga tenuto, dalla sua spontaneità e dallo spirito che lo anima” (cfr. Cons. Stato, IV, 15 marzo 2018, n. 1662; 22 maggio 2017, n. 2368; V, 16 novembre 2018, n. 6460; nello stesso senso cfr. Cass., II, 14 giugno 2018, n. 15618; 21 febbraio 2017, n. 4416; I, 11 marzo 2016, n. 4851; II, 12 agosto 2002, n. 12167; I, 7 maggio 1993, n. 5262; SS.UU., 3 febbraio 1988, n. 1072).
I presupposti per l’integrazione della dicatio ad patriam consistono nell’uso esercitato “iuris servitutis publicae” da una collettività di persone; nella concreta idoneità dell’area a soddisfare esigenze d’interesse generale; in un titolo valido a costituire il diritto, ovvero in un comportamento univoco del proprietario che, seppure non intenzionalmente diretto a dar vita al diritto di uso pubblico, risulti idoneo a manifestare l’intenzione di porre il bene a disposizione della collettività (sui diversi profili, cfr. inter multis Cons. Stato, n. 6460/2018, cit.; V, 10 settembre 2018, n. 5286; 9 luglio 2015, n. 3446; 24 maggio 2007, n. 2621 e 2622; Cass., SS. UU., n. 1072/1988, cit.).
4.2. Nel caso in esame, come correttamente rilevato dalla sentenza, è dato riscontrare tutti gli elementi necessari all’integrazione della dicatio ad patriam per la costituzione di servitù di uso pubblico in relazione alla strada controversa.
4.2.1. I primi due requisiti risultano soddisfatti, rispettivamente, dall’accessibilità della strada dalla pubblica via in ragione del diretto collegamento della via (omissis) con la via (omissis) – che presenta pacificamente la natura di strada pubblica – e dalla pluriennale destinazione a uso pubblico del tratto viario, comprovata peraltro dalla nota della competente Polizia municipale del 16 febbraio 2001, in cui si dà conto della siffatta destinazione “da circa venticinque anni”, espressa in particolare dall’apertura della strada al pubblico transito attraverso utilizzo “pacifico e costante nel tempo di persone e mezzi”.
Allo stesso modo, siffatto uso pubblico è dimostrato dall’opposizione rivolta dal Comune al La. il 20 febbraio 2001 (in cui espressamente si affermava che il tratto “da oltre 25 anni [era] destinato ed è tutt’oggi di uso pubblico”, diffidandosi l’appellante dall’intraprendere iniziative atte a limitare l’uso pubblico della strada) cui non seguì alcuna obiezione o resistenza dall’interessato.
Per tali ragioni la destinazione a uso pubblico e la contestuale idoneità della strada a soddisfare esigenze della collettività risultano complessivamente integrate, non rilevando in senso contrario la circostanza che la strada sia attualmente a fondo cieco e che nella stessa siano presenti pochi altri immobili oltre a quelli riconducibili all’appellante, attesa la eguale attitudine di tale strada all’utilizzo da parte di una collettività generalizzata d’individui uti cives conseguente al collegamento alla via (omissis) e confermata dall’effettivo uso pubblico pluriennale di essa.
4.2.2. Anche l’ultimo requisito, rappresentato da un valido titolo costitutivo ovvero dall’univoca intenzione del proprietario di destinare il bene all’uso pubblico, può ritenersi nella specie integrato.
Nell’atto di provenienza di cui al contratto di permuta del 18 settembre 1975 le parti espressamente precisavano infatti che “lungo tutto il confine (omissis) del sopracitato costruendo edificio [i.e., edificio che una delle parti dichiarava di voler realizzare nell’area interessata] dovrà essere lasciata libera da qualsiasi costruzione una striscia di terreno (…) per una superficie di metri centocinque circa, la quale è vincolata per pubblica strada e precisamente per il prolungamento della via (omissis), per l’attuazione del piano regolatore di (omissis), pertanto il Signor (…) si obbliga (…) a lasciare libera da costruzioni e manufatti in genere detta striscia di terreno”.
In virtù del principio generale per cui nemo plus iuris in alium transferre potest quam ipse habet, la successiva compravendita del 3 maggio 1983, per mezzo della quale il tratto stradale perveniva in proprietà al La., avveniva “nello stato di fatto e di diritto in cui il bene si [trovava] (…) e più precisamente con la destinazione e gli obblighi di cui all’atto” di provenienza.
In tale contesto, non vale a escludere il rilievo di tale titolo o a obliterare la volontà manifestata nel contratto in ordine alla destinazione pubblica del tratto stradale la circostanza che il vincolo “per pubblica strada” fosse impresso “precisamente per il prolungamento della via (omissis), per l’attuazione del piano regolatore di (omissis)”, ciò che successivamente non avvenne, essendo stato costruito in adiacenza al capo della via il palazzo di giustizia.
Il riferimento al prolungamento della strada in attuazione del Piano regolatore non è infatti espresso dalle parti in forma di vera e propria condizione ai sensi degli artt. 1353 ss. Cod. civ., né detto effetto condizionale può essere implicitamente desunto – alla stregua di presupposizione – dalla clausola, la quale al contrario ben esplicita la circostanza al di fuori del meccanismo della condizione.
Per questo, come correttamente ritenuto dalla sentenza, il riferimento alla finalità di prolungamento della strada in attuazione del piano regolatore costituisce mero motivo soggettivo, pur esplicitato nell’atto, inidoneo a condizionare gli effetti dell’apposto “vincol(o) per pubblica strada”; di qui l’irrilevanza della mancata realizzazione del prolungamento e delle successive vicende pianificatorie ed edificatorie relative all’area.
Per tali ragioni il rogito del 1975 ben vale a costituire fondamento della dicatio ad patriam, quale titolo espresso o (quantomeno) univoca manifestazione di volontà del proprietario di destinare intenzionalmente il bene all’uso pubblico.
4.3. In tale contesto anche gli ulteriori indici dimostrativi della destinazione a uso pubblico richiamati dalla sentenza, e già invocati dal Comune, valgono a confermare siffatto uso, non risultando essi confutati dalle doglianze formulate dal La. .
4.3.1. Quanto all’inserimento della via nella toponomastica comunale, benché non risolutivo ai fini della dimostrazione della natura pubblica della strada (cfr. Cons. Stato, n. 6460/2018, cit.; V, 7 dicembre 2010, n. 8624), può presentare utile valore indiziario in ordine alla sua destinazione pubblica, riguardando peraltro nel caso di specie – a differenza di quanto sostenuto dall’appellante – l’intera via (omissis), come risulta dalla deliberazione del commissario prefettizio del 15 aprile 2003 e dalla nota comunale del 17 novembre 2015.
4.3.2. Risultano provati anche i lavori e interventi di manutenzione eseguiti sulla via dal Comune, a riconferma della destinazione a uso pubblico di essa.
In particolare, con delibera di Giunta n. 22 del 5 febbraio 2004 il Comune disponeva l’asfaltatura della via (omissis), e la circostanza che non venisse fatto espresso riferimento nel deliberato all’ultimo tratto di essa non vale di per sé a dimostrarne l’esclusione, atteso che – al contrario – laddove la singola strada risultava interessata solo in parte dall’intervento ciò veniva reso esplicito nella delibera, e il che non è avvenuto per la via (omissis) (v., in particolare, i riferimenti al “primo tratto via (omissis) “; “parti finali via (omissis)”; “via (omissis) parzialmente i tratti in (omissis) “).
Lo stesso emerge in relazione all’intervento di bitumazione eseguito dal Comune sulla base della planimetria predisposta dall’area tecnica lavori pubblici del 29 settembre 2003, nella quale la via (omissis) risulta integralmente ricompresa; e anche dal relativo computo metrico si ricava a contrario che, nel caso d’interventi parziali su alcune vie, questi venivano in tali termini espressamente indicati (ad es. “Via (omissis) tra via (omissis) e via (omissis)”; “via zara dalla via (omissis) a via (omissis)”). In tale contesto, la circostanza che le misure della via (omissis) indicate negli atti comunali fossero diverse da quelle riportate nel rogito del 1975 per il vincolo d’uso pubblico non assume di per sé alcun rilievo, trattandosi di una differenza in eccesso per la lunghezza – ricomprendendo l’intervento ragionevolmente anche il restante tratto della via – e di entità ridotta per la larghezza (cfr., in particolare, il computo metrico).
4.3.3. Anche la già richiamata diffida del 20 febbraio 2001 inviata dal Comune all’appellante, con la quale s’inibivano iniziative volte alla chiusura o alla limitazione dell’uso della strada, vale a confermare la destinazione a uso pubblico del tratto viario, in quel frangente non disconosciuta né contestata dal La. ; in tale contesto, peraltro, una volta affermato e riconosciuto detto uso pubblico, di per sé si rendevano necessari, anche per ragioni di sicurezza, gli interventi ai fini della corretta manutenzione della segnaletica stradale.
4.4. In senso contrario non rilevano, ancora, gli interventi eseguiti a cura e spese del La., fra cui in particolare la potatura di alberi presenti sulla via; detti interventi, infatti, non consentono di escludere la destinazione a pubblico uso della strada riscontrata sulla base degli elementi sopra richiamati, e rientrano nella semplice cura che il proprietario del bene – peraltro direttamente interessato, essendo esercitata nella via un’attività di ristorazione riconducibile alla famiglia del La., come affermato in atti – può ragionevolmente apprestare pur a fronte dell’uso pubblico impresso alla strada.
Allo stesso modo, non vale a confutare la destinazione a uso pubblico la circostanza che nella via non sarebbero presenti passaggi sotterranei di tubature e condotte comunali, bensì solo una condotta per il gas metano di raccordo, a totale carico dei proprietari dei due fabbricati prospicienti, mentre l’illuminazione sarebbe assicurata da un mero punto illuminante installato sulla facciata d’un fabbricato: il rilievo non consente di superare infatti la destinazione a uso pubblico come ricavata dagli altri indici e requisiti nei termini suindicati. Indici e requisiti per la cui confutazione risulta peraltro irrilevante anche la perizia depositata dal La. unitamente all’appello – la quale non fornisce elementi in grado di superare attraverso critiche mirate e puntuali (oltre a quelle già sopra disattese) i suddetti elementi – a prescindere dai profili di ammissibilità del (nuovo) documento.
Né rileva, ancora, la circostanza per cui l’ordinanza – e il distinto provvedimento di sgombero oggetto del giudizio r.g. n. 8529 del 2016 discusso alla medesima udienza – sarebbero stati illegittimamente eseguiti interessando anche una particella estranea all’uso pubblico: il che non incide infatti sulla legittimità in sé dell’ordinanza impugnata, riguardando esclusivamente le sue modalità esecutive.
4.5. Per le suesposte ragioni i prime due motivi di gravame si rivelano dunque infondati.
5. Con il terzo motivo il La. si duole dell’omesso accoglimento del motivo di ricorso incentrato sulla mancata notifica dell’ordinanza impugnata: trattandosi di atto ablatorio, infatti, la sua mancata notifica individuale inficerebbe la validità del provvedimento, anche perché preliminare ad un’attività di sgombero.
Con l’ultimo motivo l’appellante lamenta l’omesso accoglimento del motivo di ricorso con cui si deduceva l’invalidità del provvedimento per via della sua irregolare pubblicazione, avvenuta, anziché per l’intero periodo corrispondente al termine di proposizione del ricorso, per soli 15 giorni sull’albo pretorio online; incidendo tale vizio sulla validità dell’ordinanza, non varrebbe a sanarlo la tempestiva proposizione del ricorso al Tar.
5.1. Le due censure, scrutinabili congiuntamente stante il loro collegamento, non sono condivisibili.
5.1.1. Va anzitutto escluso che l’ordinanza impugnata costituisca un provvedimento ablatorio ai sensi dell’art. 21-bis l. n. 241 del 1990; una volta ritenuta dall’amministrazione la sussistenza di una servitù di uso pubblico per dicatio ad patriam, infatti, l’ordinanza che disponga il rifacimento della segnaletica stradale sulla via interessata dall’uso pubblico non rappresenta di per sé una un provvedimento “limitativo della sfera giuridica dei privati”, valendo semplicemente ad esercitare, funzionalmente agli interessi pubblici, il diritto collegato all’uso pubblico. L’ordine di sgombero costituisce invece provvedimento del tutto distinto da quello impugnato nella presente sede (oggetto del giudizio già richiamato, r.g. n. 8529 del 2016), mentre le attività collaborative eventualmente necessarie per l’attuazione dell’ordinanza di rifacimento della segnaletica stradale configurano mero effetto indiretto di questa, come tale inidoneo ad imprimerle la natura di provvedimento ablatorio.
In ogni caso, a norma del suddetto art. 21-bis la notifica del provvedimento ablatorio incide sulla (sola) efficacia di esso, non già sulla sua validità o legittimità ; sicché il relativo vizio può incidere sulla (mera) dimensione effettuale, qui non controversa, ma non può valere quale motivo d’annullamento dell’atto o dichiarazione di sua nullità .
5.1.2. Lo stesso è a dirsi in relazione alla pubblicazione dell’ordinanza, che non incide né sulla legittimità, né sulla validità del provvedimento, bensì sulla decorrenza del termine per la proposizione dell’impugnazione, ovvero – a limite – nuovamente sull’attitudine alla produzione degli effetti.
Non essendo nella specie controversi né l’uno né l’altro profilo, la doglianza si rivela infondata, non incidendo sulla legittimità del provvedimento, né consentendone l’annullamento o la dichiarazione d’invalidità .
6. In conclusione l’appello va respinto.
7. La particolarità della fattispecie giustifica l’integrale compensazione delle spese del presente grado di giudizio fra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, così provvede:
– dichiara inammissibile l’intervento di Do. Ag. ed altri;
– respinge l’appello;
– compensa le spese del presente grado di giudizio fra le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 maggio 2019 con l’intervento dei magistrati:
Fabio Franconiero – Presidente FF
Valerio Perotti – Consigliere
Alberto Urso – Consigliere, Estensore
Giuseppina Luciana Barreca – Consigliere
Elena Quadri – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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