La causa di non punibilità prevista dall’art. 384 I co. c.p.

Corte di Cassazione, sezione sesta penale, Sentenza 20 luglio 2020, n. 21516.

Massima estrapolata:

La causa di non punibilità prevista dall’art. 384, comma primo, cod. pen. trova applicazione anche nei confronti del pubblico ufficiale che ometta di denunziare un reato di cui, con ragionevole ed elevata probabilità, possa essere chiamato a rispondere a titolo di concorso.

Sentenza 20 luglio 2020, n. 21516

Data udienza 2 luglio 2020

Tag – parola chiave: Omessa denuncia di reato da parte di pubblico ufficiale – Condanna – Pene accessorie – Presupposti – Articolo 31 cp – Trattamento sanzionatorio – Articolo 649 cpp – Elementi probatori – Valutazione del giudice di merito – Decreto legislativo 66 del 2010 – Criteri – Prescrizione – Decorrenza del termini – Estinzione del reato

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETRUZZELLIS Anna – Presidente

Dott. VILLONI Orlando – Consigliere

Dott. DE AMICIS Gaetano – Consigliere

Dott. AMOROSO Riccar – rel. Consigliere

Dott. VIGNA Maria Sabin – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 22/10/2018 della Corte di appello di Venezia;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Riccardo Amoroso;
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Angelillis Ciro, che ha concluso per l’annullamento senza rinvio della sentenza per intervenuta prescrizione del reato;
lette le conclusioni scritte dell’avv. (OMISSIS), difensore di (OMISSIS), che ha concluso riportandosi ai motivi di ricorso ed a quelli aggiunti depositati a mezzo p.e.c. il 06/04/2020, chiedendone l’accoglimento, fatta salva la prescrizione del reato.

RITENUTO IN FATTO

1. Con il provvedimento in epigrafe, la Corte d’appello di Venezia ha
confermato la sentenza emessa in data 03/03/2015 dal Tribunale di Padova all’esito di giudizio abbreviato con cui il predetto imputato e’ stato condannato ad Euro 200,00 di multa con la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per la durata di un anno, per il reato di cui all’articolo 361 c.p., avendo in qualita’ di agente di polizia giudiziaria omesso di denunciare i delitti di violenza privata e sequestro di persona commessi in danno di (OMISSIS) dai colleghi (OMISSIS) e (OMISSIS), in data prossima al (OMISSIS).
In particolare l’imputato e’ stato ritenuto responsabile per non aver fatto rapporto di quanto successo il giorno in cui il predetto soggetto extracomunitario era stato prelevato dall’auto di servizio guidata dal ricorrente, ed allontanato dal centro abitato di (OMISSIS) in cui era in corso “(OMISSIS)”, perche’ molesto ed in stato di ubriachezza.
Il (OMISSIS) era stato fermato dai Carabinieri (OMISSIS) e (OMISSIS), di servizio presso il centro abitato di (OMISSIS), e successivamente condotto contro la sua volonta’, con il supporto dell’auto di servizio sopraggiunta, con a bordo i carabinieri (OMISSIS) e (OMISSIS), intervenuti in appoggio ai primi due, nei pressi di una golena del fiume (OMISSIS), dove lo stesso veniva costretto ad entrare in acqua e dove veniva abbandonato in orario notturno, non appena risalito sulla sponda.
Le indagini svolte nei giorni successivi a seguito del rinvenimento del cadavere del predetto straniero avevano fatto emergere l’episodio di violenza di cui erano stati ritenuti responsabili solo i due predetti colleghi del (OMISSIS), che veniva considerato estraneo a fatti, come anche l’altro carabiniere (OMISSIS), per non essersi resi conto – quanto meno in tempo utile per ostacolarle – delle intenzioni del capo-pattuglia, maresciallo (OMISSIS) e dell’altro carabiniere (OMISSIS), essendosi il (OMISSIS) limitato a guidare l’auto di servizio con a bordo lo straniero unitamente ai predetti colleghi.
Al (OMISSIS) e’ stato, quindi, contestato il solo reato di omissione di denuncia, perche’ sebbene resosi conto, a fatto compiuto, di quanto era accaduto, aveva omesso di farne rapporto ai suoi superiori, venendo meno al dovere che, in qualita’ di agente di polizia giudiziaria, aveva di denunciare i reati commessi dal maresciallo (OMISSIS) e dall’altro carabiniere (OMISSIS).
2. Tramite il proprio difensore di fiducia, (OMISSIS) ha proposto ricorso, articolando i motivi di seguito sintetizzati ai sensi dell’articolo 173 disp. att. c.p.p..
2.1. Con il primo motivo si deduce vizio della motivazione e violazione di legge per avere la Corte di appello utilizzato ai fini della decisione le relazioni di servizio del capitano (OMISSIS) e del colonnello (OMISSIS), nella parte in cui erano state fondate sulle dichiarazioni auto ed etero-accusatorie rese dal maresciallo (OMISSIS), in cui si ricostruisce il fatto, in violazione dell’articolo 62 c.p.p., articolo 63 c.p.p., commi 1 e 2 e articolo 350 c.p.p., comma 6, perche’ relative a dichiarazioni rese da un indagato che non potevano essere ne’ oggetto di deposizione testimoniale, ne’ utilizzabili in mancanza degli avvisi di legge.
2.2. Con il secondo motivo si deduce vizio della motivazione in merito alla attribuita natura di prova legale fidefaciente alle predette annotazioni di servizio.
2.3. Con il terzo motivo si deduce vizio della motivazione e violazione di legge ex articolo 192 c.p.p., comma 3, in relazione alle dichiarazioni rese dal maresciallo (OMISSIS), in sede di interrogatorio, ritenute probanti in assenza di riscontri esterni individualizzanti.
2.4. Con il quarto motivo si deduce vizio della motivazione e travisamento della prova in merito al dolo, in difetto di elementi da cui desumere che l’imputato avesse avuto contezza del bagno forzato imposto al (OMISSIS), atteso che nella relazione di (OMISSIS) e (OMISSIS) era contenuto un riferimento generico ai carabinieri presenti, senza specificazioni dei ruoli di ciascuno, circostanza che non autorizza la deduzione che tutti fossero a conoscenza degli eventi.
Si deduce inoltre vizio della motivazione e travisamento della prova in merito alla ritenuta inattendibilita’ della deposizione di (OMISSIS) relativa al fatto che il (OMISSIS) non si fosse reso conto dell’accaduto, per avere il (OMISSIS) affermato, nel corso del dibattimento, di avere reso edotto solo (OMISSIS) e non il ricorrente, una volta rientrato in auto senza lo straniero che aveva accompagnato da solo a piedi in un luogo fuori dalla vista del (OMISSIS).
Inoltre, si obietta che, essendo stato il (OMISSIS) ritenuto in buona fede durante l’accompagnamento forzoso in auto dello straniero fino al greto del fiume, tanto da non essere chiamato a risponderne a titolo di concorso, la sua affermata consapevolezza dell’illiceita’ del fatto appariva contraddittoria.
2.5. Con il quinto motivo si deduce vizio della motivazione in merito all’accertamento della consapevolezza del reato commesso da altri, atteso che il delitto di omessa denuncia presuppone che il pubblico ufficiale sia in possesso di elementi sicuri in ordine alla sussistenza del reato che avrebbe dovuto denunciare. Cio’ perche’ l’imputato e’ rimasto sempre in macchina ed il (OMISSIS) ha riferito di avere comunicato unicamente al (OMISSIS) quanto aveva fatto e che durante il rientro in caserma non si sarebbe piu’ parlato della sorte di (OMISSIS), senza che cio’ potesse destare sorpresa, considerato che la zona del greto del fiume era utilizzata dai senza tetto come loro dimora precaria.
2.6. Con il sesto motivo si deduce vizio della motivazione e violazione di legge in relazione all’applicabilita’ della causa di esclusione della punibilita’ prevista dagli articoli 59 e 384 c.p., di cui non e’ stata apprezzata la sussistenza neppure a livello putativo. Nel caso in oggetto anche qualora (OMISSIS) avesse potuto rappresentarsi il fatto reato commesso dal suo superiore, sporgendo denuncia avrebbe corso il serio pericolo di essere accusato di concorso nei reati compiuti dagli altri carabinieri.
2.7. Con il settimo motivo si deduce vizio della motivazione e violazione di legge in relazione all’articolo 649 c.p.p. ed all’articolo 31 c.p. per essere stata applicata la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per la durata di un anno, benche’ l’imputato avesse gia’ subito un procedimento disciplinare con la sospensione precauzionale dall’impiego Decreto Legislativo 15 marzo 2010, n. 66, ex articolo 917, comma 2, per 12 mesi, seguita dalla riammissione in servizio, con conseguente violazione del principio del “ne bis in idem” consacrato dall’articolo 4 Prot. 7 Cedu.
2.8. Con l’ottavo motivo si deduce vizio della motivazione e violazione di legge in merito alla applicazione della pena accessoria di cui all’articolo 31 c.p., per la durata di un anno, senza alcuna motivazione, atteso che la mancata contestazione dell’aggravante dell’articolo 61 c.p., n. 9, dimostra che non vi e’ stata violazione dei doveri professionali.
2.9. Con il nono motivo si deduce vizio della motivazione e violazione di legge in merito all’applicazione della pena accessoria di cui all’articolo 31 c.p., per la durata di un anno, indicata come durata minima di legge, ma che doveva essere comminata per un solo giorno, pari alla conversione della pena pecuniaria in pena detentiva ex articolo 37 c.p. In caso contrario, si deduce l’illegittimita’ costituzionale dell’articolo 28 c.p., comma 4, per violazione dei principi di proporzionalita’ e di uguaglianza attesa l’irragionevole assimilazione tra chi subisce una condanna a pena detentiva di un anno e chi subisce la condanna alla sola multa di Euro 200,00, come l’odierno ricorrente.
Con l’atto depositato a mezzo pec il 06/04/2020, il difensore ha ribadito e supportato le proprie richieste, con una memoria scritta ad integrazione dei medesimi motivi gia’ dedotti nel ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Rileva innanzitutto il collegio che il reato ascritto all’imputato e’ oramai estinto per intervenuta prescrizione.
Il termine massimo di prescrizione della fattispecie in contestazione e’ pari ad anni sette e mesi sei, decorrente dal tempus commissi delicti, coincidente con la data del fatto-reato cui si riferisce l’omessa denuncia e di cui l’imputato ha avuto notizia contestualmente nello stesso giorno del 15/05/2011.
Questa Corte di cassazione ha gia’ avuto modo di affermare che il delitto di omessa denuncia, di cui all’articolo 361 c.p., e’ reato istantaneo, perche’ il termine di adempimento dell’obbligo e’ unico, finale e non iniziale, decorso il quale l’agente non e’ piu’ in grado di tenere utilmente la condotta imposta.
Si e’, infatti, osservato che il contegno descritto in tale fattispecie si sostanzia, nell’omettere, e cioe’ nel non fare, ovvero nel ritardare, ossia nel protrarre indebitamente, la denuncia (Sez. 6, n. 8746 del 16/06/2000, Izzi, Rv. 220750).
Calcolando detto termine dalla data suddetta, in assenza di cause di sospensione della prescrizione, non rilevabili dalla lettura degli atti, il reato risulta estinto il 15/11/2018.
La causa estintiva del reato puo’ essere rilevata in questa sede, non presentando il ricorso profili di inammissibilita’ suscettibili d’incidere sulla valida instaurazione del rapporto di impugnazione.
Secondo la oramai consolidata giurisprudenza di legittimita’, l’inammissibilita’ del ricorso per manifesta infondatezza dei motivi, incidendo sulla regolare formazione del rapporto processuale, preclude la possibilita’ di rilevare e dichiarare le cause di non punibilita’ a norma dell’articolo 129 c.p.p., comma 1, ivi compreso l’eventuale decorso del termine di prescrizione sopraggiunto nelle more del procedimento di legittimita’ (cfr. Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, Rv. 217266).
Ove al contrario, come nel presente caso, non ricorrano le condizioni per ritenere che il ricorso sia inammissibile, non risultando manifestamente infondati i motivi di ricorso, il Giudice di legittimita’ sara’ tenuto a pronunciare sentenza di estinzione del reato per prescrizione, ex articolo 129 c.p.p., comma 1, non potendosi far luogo all’annullamento con rinvio davanti al giudice penale per i rilevati vizi di motivazione della sentenza, dal momento che tale rinvio, da un lato, determinerebbe la necessita’, per il predetto giudice, di dichiarare comunque la prescrizione e, dall’altro, sarebbe incompatibile con l’obbligo dell’immediata declaratoria di proscioglimento stabilito dal richiamato articolo 129 c.p.p. (cfr. sul punto Sez. U, Sentenza n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244275).
2. Alla stregua dei limiti entro i quali e’ ammesso il sindacato di legittimita’ non essendo consentito procedere ad una rivalutazione in questa sede delle emergenze processuali e, dunque, ad una ricostruzione della vicenda sub iudice diversa e stimata piu’ plausibile di quella recepita nel provvedimento impugnato, dovendosi detto controllo restringere alla verifica della completezza e dell’insussistenza di vizi logici ictu oculi percepibili della motivazione (ex plurimis, Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074), risultano palesemente inammissibili le censure difensive articolate nei primi sette motivi di ricorso, che tendono a richiamare l’attenzione su aspetti di merito inerenti alla interpretazione delle prove testimoniali e documentali raccolte che, come e’ noto, non possono essere delibate in questa sede, a meno che non si rinvengano nel corpo della motivazione manifestazioni di una evidente illogicita’ che, nel presente caso, risultano assenti (ex multis, Sez. U, n. 930 del 13/12/1995, Clarke, Rv. 203428).
In merito poi alla questione della dedotta inutilizzabilita’ delle annotazioni di servizio contenenti le dichiarazioni autoaccusatorie dell’imputato principale dei reati di cui sarebbe stata omessa la denuncia (mar. dei c.c., (OMISSIS)), e’ sufficiente rilevare la genericita’ del motivo sotto il profilo della mancata verifica della c.d. prova di resistenza, essendo altre le fonti di prova ritenute decisive ai fini della ricostruzione dei fatti (in particolare tali sono le dichiarazioni rese in sede di formale e rituale interrogatorio dal medesimo soggetto in data 23 maggio e 28 giugno 2011).
E’ noto il principio secondo cui il motivo di impugnazione deve illustrare, a pena di inammissibilita’ per aspecificita’, l’incidenza dell’eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta “prova di resistenza”, in quanto gli elementi di prova acquisiti illegittimamente diventano irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare l’identico convincimento.
Manifestamente infondato e’ anche il motivo relativo alla natura di prova legale fidefaciente delle annotazioni di servizio, essendo evidente come entrambi i giudici di merito abbiano conformemente riconosciuto attendibile il contenuto delle annotazioni di servizio soprattutto sulla base della complessiva ricostruzione dei fatti e non per presunti vincoli di legge, ovviamente insussistenti nell’ambito del giudizio penale (Sez. 6, 04/12/2018, Zanzurino, Rv. 274839).
3. Di contro, non possono ritenersi affette da inammissibilita’ le censure proposte dalla difesa nell’ottavo motivo di ricorso in relazione alla causa di non punibilita’ prevista dall’articolo 384 c.p., neppure sotto il profilo della manifesta infondatezza.
Il tenore e la “ratio” dell’articolo 384 c.p., comma 2, impongono di ritenere che la causa di non punibilita’ da detta norma prevista operi anche nei confronti di chi rivesta la qualifica di pubblico ufficiale e sia per legge tenuto all’obbligo di fare rapporto dei reati di cui sia venuto a conoscenza nell’esercizio o a causa delle sue funzioni.
E invero, una diversa interpretazione si porrebbe in contrasto con il chiaro tenore della norma che espressamente include tra i reati per i quali opera detta esimente anche il reato previsto dall’articolo 361 c.p., ovvero un reato che puo’ essere commesso esclusivamente da parte di un pubblico ufficiale, per la violazione dell’obbligo di denuncia dei reati di cui abbia avuto notizia in tale veste e nell’esercizio delle sue funzioni.
Incorre, pertanto, in un evidente errore di diritto la Corte di appello di Venezia allorche’ afferma che l’invocata scriminante non possa trovare applicazione nei confronti di un pubblico ufficiale, valorizzando semplicemente il fatto che su di esso gravi l’obbligo di sporgere denuncia, reputando detto dovere prevalente sul diritto ex articolo 51 c.p. a non auto-incriminarsi, espressione del principio “nemo tenetur se detegere”.
Una tale interpretazione si pone in chiaro contrasto con l’espressa previsione di legge che non esclude l’operativita’ dell’esimente nei confronti del pubblico ufficiale che abbia omesso di presentare la denuncia di un reato perche’ costrettovi dalla necessita’ di salvare se’ medesimo da un grave ed inevitabile nocumento nella liberta’ o nell’onore.
Non vi e’ dubbio, pertanto, che detta esimente possa trovare applicazione anche nei confronti del pubblico ufficiale che ometta di denunciare un reato di cui lo stesso pubblico ufficiale, con ragionevole ed elevata probabilita’, possa essere chiamato a rispondere a titolo di concorso.
Quindi la Corte di appello avrebbe dovuto verificare in concreto se il coinvolgimento del pubblico ufficiale cui si e’ attribuita la violazione dell’obbligo di denunciare i reati commessi dai suoi colleghi, nel corso di una operazione di servizio cui il medesimo aveva personalmente preso parte, comportasse come inevitabile conseguenza il pericolo di essere ragionevolmente ritenuto complice dello stesso reato, dovendosi in tal caso ritenere applicabile la predetta esimente.
Nella giurisprudenza consolidata di legittimita’ e’ gia’ stato piu’ volte affermato il principio secondo cui in tema di reati contro l’amministrazione della giustizia, l’esimente prevista dall’articolo 384 c.p., comma 1, non puo’ essere invocata sulla base del mero timore, anche solo presunto o ipotetico, di un danno alla liberta’ o all’onore, poiche’ implica non solo un rapporto di derivazione del fatto commesso dall’esigenza di tutela di detti beni, ma, soprattutto, che detto rapporto sia rilevabile sulla base di un criterio di immediata ed inderogabile consequenzialita’ e non di semplice supposizione, per cui il pericolo deve essere collegato a circostanze obiettive ed attuali e risultare evita bile soltanto con la commissione di uno dei reati in relazione ai quali l’esimente opera (Sez. 6, 28/11/2013, Zuber, Rv. 259496; Sez. 2, 14/01/2020, Spini, Rv. 278424).
Essendo mancata tale specifica verifica di fatto, propria del giudizio di merito, del tutto omessa nella fase del giudizio di appello, la conseguente nuova valutazione nel merito dell’applicabilita’ al caso di specie della esimente di cui all’articolo 384 c.p. non puo’ piu’ essere utilmente operata, essendo nelle more del giudizio di legittimita’, come gia’ osservato, decorso il termine di prescrizione del reato.
Si impone, pertanto, l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per intervenuta prescrizione del reato, con conseguente assorbimento di tutti gli altri motivi di ricorso afferenti il trattamento sanzionatorio e l’applicazione della pena accessoria.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perche’ il reato e’ estinto per prescrizione.

 

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