Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Sentenza 23 settembre 2019, n. 23565.
La massima estrapolata:
La proprietà e gli altri diritti reali di godimento appartengono alla categoria dei cd. diritti “autodeterminati”, individuati, cioè, sulla base della sola indicazione del relativo contenuto sì come rappresentato dal bene che ne forma l’oggetto, con la conseguenza che la “causa petendi” delle relative azioni giudiziarie si identifica con i diritti stessi e non con il relativo titolo – contratto, successione ereditaria, usucapione, ecc. – che ne costituisce la fonte, la cui eventuale deduzione non ha, per l’effetto, alcuna funzione di specificazione della domanda, essendo, viceversa, necessario ai soli fini della prova. Non viola, pertanto, il divieto dello “ius novorum” in appello la deduzione da parte dell’attore – ovvero il rilievo “ex officio iudicis” – di un fatto costitutivo del tutto diverso da quello prospettato in primo grado a sostegno della domanda introduttiva del giudizio. (Nella specie, è stata ritenuta ininfluente, sotto il profilo della novità della domanda, la circostanza che il convenuto, nell’esperire in via riconvenzionale un'”actio confessoria servitutis”, in primo grado avesse dedotto l’esistenza di una servitù volontaria e, in grado di appello, di una servitù per destinazione del padre di famiglia).
Sentenza 23 settembre 2019, n. 23565
Data udienza 17 gennaio 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente
Dott. GORJAN Sergio – Consigliere
Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere
Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere
Dott. VARRONE Luca – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso n. 3962 – 2015 R.G. proposto da:
(OMISSIS), – c.f. (OMISSIS) – elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al ricorso.
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), – c.f. (OMISSIS) – elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) e dell’avvocato (OMISSIS), che congiuntamente e disgiuntamente la rappresentano e difendono giusta procura speciale a margine del controricorso.
– controricorrente –
avverso la sentenza della corte d’appello di Roma n. 4214 del 24.6.2014;
udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica del 17 gennaio 2019 dal consigliere Dott. Luigi Abete;
udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore generale Dott. Pepe Alessandro, che ha concluso per l’accoglimento del terzo motivo di ricorso;
udito l’avvocato (OMISSIS) per il ricorrente;
udito l’avvocato (OMISSIS) per la controricorrente.
FATTI DI CAUSA
Con atto notificato il 14.6.2006 (OMISSIS), proprietaria di un appartamento in (OMISSIS), citava a comparire dinanzi al tribunale di Latina, sezione distaccata di Terracina, (OMISSIS).
Esponeva che nel novembre del 2003 era stata installata una canna fumaria sulla facciata dell’edificio condominiale, all’esterno dell’appartamento di proprieta’ del convenuto, sottostante l’appartamento di sua proprieta’; che l’appartamento di ella attrice subiva quindi continue immissioni di fumi nocivi.
Esponeva che il convenuto dalla porta del bagno del suo appartamento, attraverso il prospiciente cortile di proprieta’ di ella attrice, accedeva alla (OMISSIS), ancorche’ il suo cortile non fosse gravato da alcuna servitu’.
Chiedeva accertarsi e darsi atto dell’abusiva ed illegittima collocazione della canna fumaria e condannarsi il convenuto alla sua rimozione ed al risarcimento dei danni; chiedeva inoltre accertarsi e darsi atto che il cortile di sua proprieta’ giammai era stato utilizzato per l’accesso alla pubblica via e condannarsi il convenuto ad astenersi da ogni forma di molestia.
(OMISSIS) si costituiva.
Deduceva, tra l’altro, che la canna fumaria era collocata a distanza legale. Instava per il rigetto dell’avversa domanda; in via riconvenzionale chiedeva accertarsi e darsi atto della servitu’ di passaggio di cui beneficiava il proprio immobile e condannarsi l’attrice ad astenersi da ogni forma di impedimento, in subordine a consegnare le chiavi del cancello che intercludeva il transito.
Assunte le prove orali, espletata la consulenza d’ufficio, con sentenza n. 123/2010 l’adito tribunale condannava il convenuto a rimuovere la canna fumaria ovvero a collocarla in modo da evitare le immissioni di fumo; dava atto dell’esistenza di una servitu’ di passaggio a carico dell’area cortilizia ed in favore dell’immobile di proprieta’ del convenuto; rigettava ogni altra domanda e compensava le spese di lite e c.t.u..
(OMISSIS) proponeva appello.
Resisteva (OMISSIS); spiegava appello incidentale.
Con sentenza n. 4214 del 24.6.2014 la corte d’appello di Roma accoglieva il gravame principale e, per l’effetto, dichiarava l’inesistenza della servitu’ di passaggio a carico dell’area cortilizia; rigettava l’appello incidentale e condannava l’appellato alle spese del grado.
Evidenziava la corte che l’actio confessoria servitutis esperita da (OMISSIS) lo onerava e dell’allegazione e della prova del titolo costitutivo del preteso diritto; che conseguentemente, in assenza di titolo negoziale atto a comprovare la costituzione di servitu’ volontaria, non rivestivano valenza alcuna in sede petitoria ne’ la lettera a firma di (OMISSIS) in data 12.10.1967 ne’ gli esiti del sopralluogo dei carabinieri in data 31.5.1994, attestanti l’assenza di strumenti di chiusura del cancello collocato all’ingresso dell’area cortilizia.
Evidenziava ancora che era da escludere che il tribunale avesse costituito in via coattiva la servitu’ di passaggio in difetto di domanda in tal senso.
Evidenziava infine, in ordine all’appello incidentale, che erano da condividere le conclusioni, sebbene formulate in via deduttiva, cui era pervenuto il consulente d’ufficio circa la sussistenza immissioni nocive superiori al limite della normale tollerabilita’; che in pari tempo la deviazione e l’innalzamento della canna fumaria disposte dal primo giudice ben valevano a conciliare i contrapposti interessi delle parti.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso (OMISSIS); ne ha chiesto sulla scorta di quattro motivi la cassazione con ogni susseguente statuizione anche in ordine alle spese di lite.
(OMISSIS) ha depositato controricorso; ha chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese.
Il ricorrente ha depositato memoria.
La controricorrente del pari ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.
Deduce che la corte di merito non ha tenuto conto ne’ del proprio titolo d’acquisto, ovvero dell’atto per notar (OMISSIS) dell’11.12.1989, ne’ degli ulteriori atti di provenienza, ovvero dell’atto per notar (OMISSIS) del 12.5.1959 e dell’atto per notar (OMISSIS) del 3.11.1951.
Deduce in particolare che merce’ l’atto (OMISSIS) ha provveduto all’acquisto di due distinti immobili, in catasto al foglio (OMISSIS), rispettivamente, sub (OMISSIS), il che costituisce prova che l’immobile (OMISSIS) “ha da sempre avuto un accesso autonomo alla (OMISSIS)” (cosi’ ricorso, pag. 22), ossia un unico accesso, quello che controparte individua come “la porta del bagno”.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’articolo 112 c.p.c..
Premette che il diritto reale di servitu’ appartiene alla categoria dei diritti “autodeterminati”, individuati alla stregua della sola indicazione del bene che ne costituisce l’oggetto.
Indi deduce che “anche in assenza di specifica domanda di usucapione, la stessa era da considerarsi implicita nella domanda di riconoscimento della servitu'” (cosi’ ricorso, pag. 25), viepiu’ alla luce del contenuto sostanziale di tale domanda e del rilievo per cui il suo immobile era accessibile unicamente attraverso l’area cortilizia.
Con il terzo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione sotto altro profilo dell’articolo 112 c.p.c..
Deduce che nella comparsa di costituzione in seconde cure con appello incidentale ha addotto “la sussistenza di una servitu’ di passaggio da tempo immemorabile per destinazione del padre di famiglia” (cosi’ ricorso, pag. 27); che la corte distrettuale non ha tenuto conto di tale prospettazione.
Con il quarto motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’articolo 906 c.c..
Deduce che la corte territoriale ha “sbrigativamente” respinto l’appello incidentale, con il quale aveva censurato il primo dictum nella parte in cui aveva accolto la domanda attorea relativa alla canna fumaria.
Deduce segnatamente che la collocazione originaria della canna fumaria si conforma alle distanze legali ed in pari tempo che il consulente d’ufficio, alla cui valutazioni la corte romana si e’ uniformata, ha solo presunto l’esistenza e la nocivita’ delle immissioni, ossia non le ha riscontrate tecnicamente.
Il primo, il secondo ed il terzo motivo sono strettamente connessi; il che ne giustifica la disamina congiunta; in ogni caso il secondo ed il terzo motivo sono fondati e meritevoli di accoglimento; il loro buon esito assorbe e rende vana la disamina del primo.
E’ fuor di dubbio che la proprieta’ e gli altri diritti reali di godimento appartengono alla categoria dei cosiddetti diritti “autodeterminati”, individuati, cioe’, sulla base della sola indicazione del relativo contenuto si’ come rappresentato dal bene che ne forma l’oggetto, con la conseguenza che la “causa petendi” delle relative azioni giudiziarie si identifica con i diritti stessi e non con il relativo titolo – contratto, successione ereditaria, usucapione, etc. – che ne costituisce la fonte, la cui eventuale deduzione non ha, per l’effetto, alcuna funzione di specificazione della domanda, essendo, viceversa, necessaria ai soli fini della prova; non viola pertanto il divieto dello “ius novorum” in appello la deduzione da parte dell’attore – ovvero il rilievo “ex officio iudicis” – di un fatto costitutivo del tutto diverso da quello prospettato in primo grado a sostegno della domanda introduttiva del giudizio (cfr. Cass. 4.3.2003, n. 3192; Cass. 24.11.2010, n. 23851, secondo cui i diritti reali, in quanto diritti assoluti, appartengono alla categoria dei diritti cosiddetti “autodeterminati”, che si identificano in base alla sola indicazione del loro contenuto e non per il titolo che ne costituisce la fonte; pertanto, da un lato, l’attore puo’ mutare titolo della domanda senza incorrere nelle preclusioni della modifica della “causa petendi”, dall’altro, il giudice puo’ accogliere il “petitum” in base ad un titolo diverso da quello dedotto senza violare il principio della domanda di cui all’articolo 112 c.p.c.; Cass. 22.7.2014, n. 16684).
In questi termini, al cospetto dell’actio confessoria servitutis esperita in via riconvenzionale dall’originario convenuto, si osserva quanto segue.
Per un verso, per nulla si giustifica l’affermazione della corte d’appello a tenor della quale, “non essendo stata proposta specifica domanda di riconoscimento dell’acquisto per usucapione della servitu’, il Tribunale e’ incorso palesemente in vizio di extrapetizione” (cosi’ sentenza d’appello, pag. 2).
Per altro verso, appieno si condivide l’assunto del ricorrente, specificamente veicolato dal secondo mezzo ed ancorato all’elaborazione giurisprudenziale di questa Corte dapprima menzionata (il ricorrente ha richiamato l’insegnamento n. 16684 del 22.7.2014 di questo Giudice del diritto), a tenor del quale “appare evidente il vizio in cui e’ incorsa la Corte di merito” (cosi’ ricorso, pag. 26).
Per altro verso ancora, debitamente si rimarca che quel che il ricorrente denuncia con il secondo (e con il terzo motivo di ricorso) non e’ propriamente un vizio di omessa pronuncia, viepiu’ che’ la corte distrettuale ha pronunciato (“non essendo stata proposta specifica domanda di riconoscimento dell’acquisto per usucapione della servitu’ (…)”: cosi’ sentenza d’appello, pag. 2). Sibbene l’erronea “lettura” della “proiezione” della causa petendi dell’esperita actio confessoria correlata alla natura “autodeterminata” del preteso diritto reale di servitu’. Cosicche’ in parte qua non vengono in rilievo – contrariamente agli assunti della controricorrente (cfr. controricorso, pagg. 14, 15 e 19; cfr. memoria, pagg. 3, 4 e 6) – le indicazioni di cui alla pronuncia n. 17931 del 24.7.2013 delle sezioni unite di questa Corte (e dunque la necessita’ che, con riguardo all’articolo 112 c.p.c., il motivo rechi univoco riferimento alla nullita’ della decisione derivante dall’omissione di pronuncia). D’altronde, sulla scorta dell’insegnamento n. 3041 del 13.2.2007 delle sezioni unite di questa Corte, il ricorrente ha correttamente addotto che l’interpretazione della domanda deve essere diretta a coglierne, al di la’ delle espressioni letterali utilizzate, il contenuto sostanziale, quale desumibile dalla situazione dedotta in giudizio e dallo scopo pratico perseguito con il ricorso all’autorita’ giudiziaria.
Negli esposti termini, evidentemente, appieno si giustifica pur la ragione di censura veicolata dal terzo motivo, ovvero la deduzione secondo cui la corte territoriale non ha in alcun modo vagliato l’ulteriore titolo – costituzione per destinazione del padre di famiglia – prefigurato a fondamento della servitu’ con la comparsa di costituzione e risposta con appello incidentale (“risulta quindi per tabulas la sussistenza della servitu’ di passaggio (…) da tempo immemorabile e per destinazione del padre di famiglia”: cosi’ comparsa di costituzione in appello, pag. 7) e di certo non integrante domanda nuova.
Negli esposti termini, inoltre, resta assorbita nel buon esito del secondo e del terzo mezzo qualsivoglia valutazione in ordine alle ragioni di censura veicolate dal primo mezzo, segnatamente in ordine all’asserito mancato ovvero erroneo riscontro degli esiti probatori, e documentali e testimoniali, si’ che – si assume – la corte di Roma “non ne ha tratto le necessarie conseguenze in ordine al requisito temporale di esercizio della servitu'” (cosi’ ricorso, pag. 23).
Il quarto motivo di ricorso e’ infondato e va respinto.
Si premette che il mezzo in disamina si qualifica in rapporto alla previsione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Invero con il mezzo de quo agitur il ricorrente sostanzialmente censura il giudizio “di fatto” cui la corte romana ha atteso (“le valutazioni espresse dalla Corte di merito, peraltro senza alcun serio riscontro tecnico (…)”: cosi’ ricorso, pag. 31). Ed e’ esattamente la previsione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 che concerne l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia (cfr. Cass. sez. un. 25.11.2008, n. 28054; cfr. Cass. 11.8.2004, n. 15499).
Su tale scorta l’asserito vizio motivazionale veicolato dal motivo in esame e’ da vagliare, oltre che in rapporto alla novella formulazione dell’artr. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 nel segno della pronuncia n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte.
In quest’ottica si osserva quanto segue.
Da un canto e’ da escludere recisamente che taluna delle figure di “anomalia motivazionale” destinate ad acquisire significato alla luce della pronuncia a sezioni unite teste’ menzionata, possa scorgersi in relazione alle motivazioni cui, in parte qua agitur, e’ ancorato il dictum della corte capitolina.
In particolare, con riferimento all’assunto secondo cui “la Corte di merito ha sbrigativamente “liquidato” la censura (…)” (cosi’ ricorso, pag. 31), si evidenzia che tra i vizi motivazionali destinati ad acquisir valenza alla luce della suindicata statuizione delle sezioni unite di certo non e’ annoverabile il semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.
In particolare, con riferimento al paradigma della motivazione “apparente” – che ricorre allorquando il giudice di merito non procede ad una approfondita disamina logico – giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito (cfr. Cass. 21.7.2006, n. 16672) – si evidenzia che la corte d’appello ha compiutamente ed intellegibilmente esplicitato il proprio iter argomentativo (la corte ha ulteriormente chiarito che “la ubicazione della canna fumaria per lo smaltimento di gas di scarico della caldaia (…), pur rispettando le distanze legali, e’ in perpendicolare a breve distanza dalle finestre della (OMISSIS)”: cosi’ sentenza d’appello, pag. 2).
D’altro canto la corte distrettuale ha sicuramente disaminato il fatto storico dalle parti discusso, a carattere decisivo, connotante in parte qua la res litigiosa, ovvero la nocivita’ delle immissioni di fumo.
Del resto il ricorrente censura l’asserita erronea valutazione delle risultanze di causa (“la Corte di merito non poteva (…) respingere l’appello incidentale sulla base di valutazioni sulla nocivita’ delle immissioni, solo presunte, in quanto prive di riscontro tecnico cosi’ ricorso, pag. 32).
E tuttavia il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non da’ luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ne’ in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’articolo 132 c.p.c., n. 4, – da’ rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892; Cass. (ord.) 26.9.2018, n. 23153).
In accoglimento del secondo e del terzo motivo di ricorso la sentenza n. 4214 del 24.6.2014 della corte d’appello di Roma va, in relazione e nei limiti degli stessi motivi, cassata con rinvio ad altra sezione della medesima corte.
All’enunciazione – in ossequio alla previsione dell’articolo 384 c.p.c., comma 1 – del principio di diritto – al quale ci si dovra’ uniformare in sede di rinvio – puo’ farsi luogo per relationem, negli stessi termini espressi dalle massime desunte dagli insegnamenti di questa Corte n. 3192/2003 e n. 23851/2010 dapprima citati.
In sede di rinvio si provvedera’ alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimita’.
Il ricorso e’ da accogliere. Non sussistono i presupposti perche’, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, il ricorrente sia tenuto a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione a norma dell’articolo 13 Decreto del Presidente della Repubblica cit., comma 1 bis.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo ed il terzo motivo di ricorso, assorbito il primo motivo; rigetta il quarto motivo; cassa – in relazione e nei limiti dei motivi accolti – la sentenza n. 4214 del 24.6.2014 della corte d’appello di Roma; rinvia ad altra sezione della stessa corte d’appello anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimita’; non sussistono i presupposti perche’, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, il ricorrente, (OMISSIS), sia tenuto a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione a norma dell’articolo 13 Decreto del Presidente della Repubblica cit., comma 1 bis.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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