Impugnazione dell’atto abnorme

Corte di Cassazione, sezione penale, Sentenza 18 ottobre 2019, n. 42946.

Massima estrapolata:

Anche in caso di impugnazione dell’atto abnorme deve rinvenirsi l’interesse di chi la proponga, interesse nella specie insussistente

Sentenza 18 ottobre 2019, n. 42946

Data udienza 15 luglio 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROSI Elisabetta – Presidente
Dott. GALTERIO Donatella – Consigliere
Dott. SOCCI Angelo M. – rel. Consigliere
Dott. GENTILI Andrea – Consigliere
Dott. CORBO Antonio – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 06/09/2018 del TRIB. LIBERTA’ di BERGAMO;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. SOCCI Angelo Matteo;
sentite le conclusioni del PG Dott. CANEVELLI Paolo: “Inammissibilita’ del ricorso”.

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Bergamo, in sede di riesame dei provvedimenti di sequestro, con ordinanza del 6 settembre 2018 confermava l’ordinanza, di sequestro preventivo, finalizzato alla confisca, nei confronti di (OMISSIS) (fino alla concorrenza di Euro 1.379.049,00 subordinatamente all’infruttuosita’ del sequestro diretto nei confronti dei beni della societa’), del Giudice delle indagini preliminari presso il Tribunale di Bergamo del 28 giugno 2018 relativamente ai reati di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10 quater, comma 2, perche’ nella sua qualita’ di legale rappresentante della (OMISSIS) s.r.l. (…) utilizzando in compensazione ai sensi del Decreto Legislativo n. 241 del 1997, articolo 17 crediti inesistenti, riferiti al periodo di imposta 2011 non versava le somme dovute per gli anni di imposta 2012 per un importo complessivo pari ad Euro 55.2000,00 reato commesso dall'(OMISSIS) al (OMISSIS) -; per l’anno di imposta 2013 per un importo complessivo pari ad Euro 1.076.177,05 commesso dal 10 ottobre 2013 al 17 dicembre 2013 -; e per l’anno di imposta 2013 per un importo complessivo pari ad Euro 247.672,30 commesso dal 17 febbraio 2014 al 13 marzo 2014 -.
2. Ricorre in cassazione (OMISSIS) deducendo i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1.
2. 1. Violazione di legge (articolo 321 c.p.p.).
Il Tribunale del riesame sul fumus dei reati in accertamento ha dato credito alla ricostruzione dell’Agenzia delle entrate che aveva rappresentato la presentazione dei mod. F 24 da parte della societa’ amministrata dal ricorrente, anche per l’anno 2011 in cui la societa’ non aveva presentato la dichiarazione.
Il Tribunale pero’ non ha adeguatamente considerato l’assoluzione del ricorrente per l’omessa dichiarazione relativa all’anno di imposta 2011. Infatti l’IRES e’ stata calcolata senza alcuna considerazione del costo dei dipendenti, sconosciuto nel suo preciso ammontare, ma notevole.
I gravi indizi di colpevolezza a carico dell’indagato non sono stati adeguatamente vagliati, infatti egli aveva assunto la qualifica di amministratore solo dal 24 settembre 2012 e non dalla costituzione della societa’ del 22 giugno 2010. Il solo status giuridico di legale rappresentante non dovrebbe essere sufficiente per la responsabilita’ penale che e’ personale.
Inoltre la sentenza di assoluzione, per l’omessa dichiarazione per l’anno 2011 configura un vero contrasto di giudicati.
2. 2. Violazione di legge (articolo 321 c.p.p., comma 2) relativamente alla insussistenza del periculum in mora.
Il sequestro delle cose confiscabili non presuppone alcuna prognosi di pericolosita’ connessa alla libera disponibilita’ di quanto sequestrato. I beni sequestrati sono di scarso rilievo economico (conto corrente con un saldo di Euro 554,11, tre carte poste-pay, e una carta prepagata con modestissimi saldi attivi) e senza alcun legame con i fatti di cui all’imputazione. La societa’ (OMISSIS) s.r.l. e’ stata sciolta nel 2015. Mancano pertanto i presupposti della concretezza ed attualita’ della misura cautelare. Nessun riferimento al comportamento delittuoso possono avere i modesti beni sequestrati al ricorrente. Infine nessuna offensivita’ potevano avere i modesti beni in sequestro. Nessun collegamento al profitto del reato e’ stato dimostrato.
Ha chiesto pertanto l’annullamento del provvedimento impugnato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. il ricorso e’ inammissibile in quanto proposto con motivi manifestamente infondati, in fatto e reiterativi dei motivi del riesame. Il ricorrente, infatti, ripropone gli stessi motivi del riesame, senza adeguate critiche alla decisione del Tribunale del riesame.
L’ordinanza impugnata, con motivazione adeguata e immune da contraddizioni o vizi logici manifesti, ritiene sussistenti sia il fumus del reato (del resto non contestato quanto alla realizzazione dei reati di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10 quater) e sia i presupposti normativi per il sequestro preventivo finalizzato alla confisca a carico del ricorrente.
Per i beni personali del ricorrente e’ legittimo il sequestro, come ritenuto da questa Corte di Cassazione: “Quando si procede per reati tributari commessi dal legale rappresentante di una persona giuridica, e’ legittimo il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente dei beni dell’imputato sul presupposto dell’impossibilita’ di reperire il profitto del reato nel caso in cui dallo stesso soggetto non sia stata fornita la prova della concreta esistenza di beni nella disponibilita’ della persona giuridica su cui disporre la confisca diretta” (Sez. 3, n. 42966 del 10/06/2015 – dep. 26/10/2015, Klein, Rv. 265158).
Nel nostro caso nessuna prova della concreta esistenza di beni nella disponibilita’ della persona giuridica e’ stata fornita dal ricorrente, sia davanti ai giudici di merito e sia (sotto il profilo dell’allegazione di elementi contenuti negli atti e non valutati dai giudici della cautela) nel ricorso in cassazione; nel ricorso ci si limita a richiamare la giurisprudenza della Corte, richiamando le tesi sostenute davanti al Tribunale del riesame. Infatti nell’ipotesi di sequestro preventivo finalizzato alla confisca con riferimento ai reati fiscali, il sequestro (a carico del rappresentante della persona giuridica, indagato) e’ legittimo se l’indagato non fornisce prova della concreta esistenza dei beni nella disponibilita’ della persona giuridica su cui disporre la confisca diretta e, in sede di legittimita’ e’ necessario indicare specificamente gli atti processuali dai quali risultava reperibile presso la persona giuridica il profitto del reato (vedi espressamente Cass., 3 sez. n. 2242/2017).
Cosa diversa, e del resto irrilevante, e’ la disponibilita’ patrimoniale della societa’. Infatti i beni della societa’ devono riguardare la confisca diretta, non essendo possibile relativamente al patrimonio della societa’ il sequestro per equivalente. Su quest’aspetto la decisione impugnata con motivazione adeguata, immune da contraddizioni e da manifeste illogicita’, e con applicazione corretta delle decisioni di questa Corte di Cassazione rileva, come correttamente il G.I.P. per la fondata ipotesi dell’incapienza della societa’ – in liquidazione dal gennaio 2015 – aveva autorizzato il sequestro per equivalente sui beni del ricorrente, rappresentante legale della societa’.
Nel ricorso in cassazione nulla si contesta su questi punti; nessuna indicazione specifica della presenza presso la societa’ del denaro o di altri beni fungibili o altri beni direttamente riconducibili al profitto del reato tributario in accertamento (confisca diretta e non per equivalente, vedi proprio per i reati di indebita compensazione Sez. 3, n. 46709 del 28/03/2018 – dep. 15/10/2018, CARRIERO MARTINO, Rv. 27456103).
4. 1. Infatti nei confronti della societa’ solo la confisca diretta risulta possibile: “Quando si procede per reati tributari commessi dal legale rappresentante di una persona giuridica, e’ legittimo il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente dei beni dell’imputato sul presupposto dell’impossibilita’ di reperire il profitto del reato nel caso in cui dallo stesso soggetto non sia stata fornita la prova della concreta esistenza di beni nella disponibilita’ della persona giuridica su cui disporre la confisca diretta” (Sez. 3, n. 42966 del 10/06/2015 – dep. 26/10/2015, Klein, Rv. 26515801; nello stesso senso vedi anche Sez. 3, n. 40362 del 06/07/2016 – dep. 28/09/2016, D’Agostino, Rv. 26858701. In senso parzialmente diverso vedi Sez. 3, n. 35330 del 21/06/2016 – dep. 23/08/2016, Nardelli, Rv. 26764901).
Cio’ in quanto l’articolo 322-ter c.p., richiamato dalla L. n. 244 del 2007, articolo 1, comma 143, stabilisce che, per procedere, nel corso del procedimento penale, al sequestro finalizzato alla confisca di altri beni di cui il reo abbia la disponibilita’ per un valore corrispondente a quello del profitto del reato, e’ necessario l’accertamento del presupposto costituito dalla impossibilita’ di sequestrare in via diretta i beni che costituiscono il profitto del reato stesso, quindi si puo’ procedere a porre il vincolo preventivo, su beni diversi per un valore corrispondente, solo ove sia impossibile sottoporre a sequestro i beni che si identificano con il prezzo o il profitto del reato. In proposito, va ricordato come la Corte, a sezioni Unite, abbia ribadito che il profitto del reato si identifica con il vantaggio economico derivante in via diretta ed immediata dalla commissione dell’illecito (Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, Rv. 264436) e che, qualora il prezzo o il profitto c.d. accrescitivo derivante dal reato sia costituito da denaro, il sequestro delle somme, di cui il soggetto abbia la disponibilita’, deve essere qualificato come sequestro cd. diretto e, in considerazione della natura del bene, non necessita della prova del nesso di derivazione diretta tra la somma materialmente oggetto del vincolo preventivo e il reato. Le Sezioni Unite della Corte hanno in precedenza anche affermato come sia consentito nei confronti di una persona giuridica il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario commesso dagli organi della persona giuridica stessa, quando tale profitto (o beni direttamente riconducibili al profitto) sia rimasto nella disponibilita’ della persona giuridica. In siffatto caso, ossia solo quando sia possibile nei confronti della societa’ il sequestro cd. diretto del profitto di reato tributario, non e’ consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti degli organi della persona giuridica per reati tributari da costoro commessi a vantaggio della societa’, che non puo’ considerarsi, in questo caso, terza estranea al reato (Sez. U, n. 10561 del 30/01/2014, Gubert, Rv. 258647). Ne deriva che, quando il sequestro cd. diretto del profitto del reato tributario non e’ possibile nei confronti della societa’, non e’ di conseguenza consentito nei confronti dell’ente collettivo il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, salvo che la persona giuridica costituisca uno schermo fittizio (sempre Sez. U, n. 10561 del 30/01/2014, Gubert, Rv. 258646). La ragione di cio’ scaturisce dal fatto che i reati tributari non sono ricompresi (ai sensi del Decreto Legislativo 8 giugno 2001, n. 231) nella lista di quelli che consentono il sequestro per equivalente nei confronti di una persona giuridica. Tuttavia l’impossibilita’ del sequestro del profitto del reato (sequestro cd. diretto o in forma specifica) puo’ essere anche solo transitoria, senza che sia necessaria la preventiva ricerca generalizzata dei beni costituenti il profitto di reato. E’ stato anche sottolineato che la fase della ricerca del profitto cd. diretto si esaurisce inevitabilmente nel periodo coincidente con la fase genetica della cautela reale ed immediatamente dopo la sua applicazione, perche’ il sequestro per equivalente nei confronti dell’autore del reato, e soprattutto il suo mantenimento, supera la questione della reperibilita’ del profitto diretto da parte della persona giuridica in quanto l’aggressione dei beni per equivalente postula l’impossibilita’ genetica o funzionale, quantunque in ipotesi transitoria, di ricorrere al sequestro diretto.
4. 2. Inoltre l’ordinanza impugnata valuta, sotto il profilo del fumus, la sentenza di assoluzione del ricorrente dal reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 5, per l’anno di imposta 2001 per la mancanza di prova sul superamento della soglia di punibilita’ del reato ritenendo ininfluente tale decisione per il reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10 quater (indebite compensazioni) anche in considerazione dell’assenza di contestazioni sul fatto delle indebite compensazioni per importi considerevoli. Le indebite compensazioni, del resto, non risentono dei costi del personale come in via del tutto generica prospetta il ricorrente nel ricorso in cassazione: “Il reato di indebita compensazione di crediti non spettanti o inesistenti, di cui al Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, articolo 10-quater, e’ configurabile, alla luce dell’ampliamento delle ipotesi di compensazione previste dalle norme tributarie disposto dal Decreto Legislativo 9 luglio 1997, n. 241, articolo 17, sia nel caso di compensazione verticale, riguardante crediti e debiti afferenti alla medesima imposta, sia in caso di compensazione orizzontale, concernente crediti e debiti di imposta di natura diversa. (In motivazione la Corte ha precisato che la struttura asimmetrica del reato, in virtu’ della quale e’ incriminata l’artificiosa diminuzione dell’entita’ dell’imposta da versare, qualunque tributo o contributo sia opposto in compensazione, e’ del tutto compatibile con la ratio del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, che e’ diretto a sanzionare le violazioni, sia in materia di Iva, sia in tema di imposte sui redditi)” (Sez. 3, n. 8689 del 30/10/2018 – dep. 28/02/2019, DALLA TORRE DINO, Rv. 27501501).
5. Nel sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente inoltre non e’ necessario accertare il periculum in mora o la pertinenzialita’ dei beni al reato: “In caso di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, spetta al giudice il solo compito di verificare che i beni rientrino nelle categorie delle cose oggettivamente suscettibili di confisca, essendo, invece, irrilevante sia la valutazione del “periculum” in mora – che attiene ai requisiti del sequestro preventivo impeditivo di cui all’articolo 321 c.p.p., comma 1 – sia quella inerente alla pertinenzialita’ dei beni” (Sez. 3, n. 20887 del 15/04/2015 – dep. 20/05/2015, Aumenta, Rv. 26340801).
6. Alla dichiarazione di inammissibilita’ consegue il pagamento in favore della Cassa delle ammende della somma di Euro 2.000,00, e delle spese del procedimento, ex articolo 616 c.p.p..

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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