Judex peritus peritorum il giudice di merito può disattendere le argomentazioni tecniche del consulente

Corte di Cassazione, sezioni unite civili, Ordinanza 14 marzo 2019, n. 7354.

La massima estrapolata:

In base al principio judex peritus peritorum il giudice di merito può disattendere le argomentazioni tecniche del consulente tecnico d’ufficio sia nei casi in cui risultino in se stesse contraddittorie, sia qualora ritenga di applicare in sostituzione argomentazioni diverse desunte da personali cognizioni tecniche. Di fatti non vige l’obbligo della nomina del c.t.u. per la soluzione di questioni di natura tecnica o scientifica, essendo sufficiente che il giudice fornisca una motivazione adeguata, esente da vizi logici ed errori di diritto. Ciò è in particolare rilevante quando si tratti di giudice a composizione specializzata, caratterizzato dalla presenza al suo interno di un componente tecnico, come il Tsap.

Ordinanza 14 marzo 2019, n. 7354

Data udienza 18 dicembre 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Primo Presidente f.f.

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente di Sezione

Dott. GRECO Antonio – Consigliere

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere

Dott. CRUCITTI Roberta – rel. Consigliere

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 15438/2017 proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dagli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS);
– ricorrenti –
contro
REGIONE PIEMONTE, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
AGENZIA DEL DEMANIO, in persona del Direttore Generale pro tempore, MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 49/2017 del TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE PUBBLICHE, depositata il 16/03/2017;
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/12/2018 dal Consigliere ROBERTA CRUCITTI.

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che:
(OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno proposto ricorso, su tre motivi, alle Sezioni Unite della Corte di cassazione, contro l’Agenzia del Demanio, il Ministero dell’Economia e delle Finanze e la Regione Piemonte, avverso la sentenza, indicata in epigrafe, con cui il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, in accoglimento dell’appello proposto dall’Agenzia del Demanio e in totale riforma della sentenza del Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche presso la Corte di appello di Torino, aveva rigettato la domanda di riconoscimento in loro favore dell’acquisto della proprieta’ di alcune porzioni dell’alveo del torrente (OMISSIS), in agro del Comune di (OMISSIS), ai sensi del’articolo 947 c.c. (nel testo anteriore alla riforma del 1994) in quanto rilasciate dal torrente stesso dopo un’esondazione di circa quaranta anni prima, ovvero ai sensi dell’articolo 942 c.c., a titolo di alluvione impropria;
il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche – premesso che nel rito disciplinato dal t.u. n. 1775/1933 va ammessa la possibilita’ di produrre documenti anche dopo l’espletamento di consulenza tecnica d’ufficio – fondava la sua decisione sul rilievo che, dalle risultanze documentali (in particolare dagli atti prodotti dalla Regione Piemonte, ignorati dal primo giudice) era emerso che gli interventi antropici realizzati sui luoghi avevano avuto incidenza causale sulla modifica e alterazione del corso del torrente nonche’ sull’abbandono di parte dell’alveo;
conseguentemente, il T.S.A.P. riteneva superfluo non solo il rinnovo della consulenza tecnica d’ufficio ma, anche, affrontare la questione della non configurabilita’ della cosiddetta sdemanializzazione tacita dell’area in quanto, nella specie, vi era stata totale assenza di condotta inerte da parte dell’Amministrazione la quale era intervenuta contestando infrazioni di discipline specifiche;
l’Agenzia del Demanio e il Ministero Economia e Finanze hanno depositato controricorso cosi’ come la Regione Piemonte;
il ricorso per cassazione e’ stato avviato alla trattazione in camera di consiglio, ai sensi dell’articolo 380 bis.1 c.p.c.;
i ricorrenti hanno depositato memoria in prossimita’ della camera di consiglio.
Considerato che:
con il primo motivo di ricorso si deduce, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione degli articoli 74 e 87 disp. att. c.p.c., laddove il T.S.A.P. avrebbe deciso la controversia sulla base di documenti, prodotti in primo grado dalla Regione Piemonte, rimasta contumace in appello, e che, pertanto, non erano stati acquisiti al fascicolo d’ufficio;
la censura e’ inammissibile per piu’ ordini di ragioni;
in primo luogo, perche’, evidenziando un error in procedendo, avrebbe dovuto essere prospettata, piu’ correttamente, sotto l’egida del n. 4, comma 1, dell’articolo 360 c.p.c., e, in ogni caso e soprattutto, per carenza di specificita’;
il mezzo di impugnazione, infatti, nei termini in cui e’ formulato, appare fondato su mere ipotesi e non sull’allegazione degli effettivi fatti processuali, laddove, al contrario, da tutte le ulteriori allegazioni delle controparti e degli stessi ricorrenti (v. pagg. 5 e 6 del ricorso) e da quanto emergente dalla sentenza impugnata, appare che i documenti sui quali il T.S.A.P. ha fondato la propria decisione, ben conosciuti da tutte le parti che sugli stessi hanno interloquito (costituendo, tra l’altro oggetto del primo motivo di appello), fossero ritualmente presenti in atti, in quanto inseriti nel fascicolo di ufficio per essere stati prodotti dalla Regione all’udienza svoltasi innanzi al Tribunale regionale;
con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione dell’articolo 61, e articolo 115 c.p.c., comma 2, e articolo 166 c.p.c., comma 1, laddove il T.S.A.P. aveva deciso la controversia, attraverso l’esame dei documenti prodotti in primo grado, senza disporre una nuova consulenza come richiesto dagli stessi appellanti, facendo ricorso a nozioni ritenute di “comune esperienza tecnica”;
con il terzo motivo si deduce la violazione dell’articolo 111 Cost., comma 5, nonche’ in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, con riferimento all’articolo 115 c.p.c., e articolo 116 c.p.c., comma 1, laddove il T.S.A.P. aveva ritenuto di ricavare, dall’esame dei predetti documenti, la prova della incidenza causale degli interventi antropici sulla modifica o alterazione del corso del torrente, siccome “instabile e facilmente condizionabile”;
i mezzi di impugnazione, trattati congiuntamente perche’ connessi, sono rivolti al capo della sentenza con cui il T.S.P.A. ha ritenuto, sulla base di elementari nozioni di comune esperienza tecnica, che nel contesto notoriamente assai sensibile ad anche minime manipolazioni per l’evidente fragilita’ dell’equilibrio resa manifesta dal carattere disastroso dell’ultima piena (…) qualunque intervento antropico – e a maggiore ragione del tipo di quelli descritti (….) – puo’ ritenersi idoneo a modificare significatamente l’andamento del corso del torrente, per definizione instabile e soggetto a regimi incostanti;
in sintesi, si censura il T.S.A.P. non solo di avere fatto ricorso illegittimamente alla nozione di fatto notorio o alla regola della comune esperienza, non ricorrendone i presupposti e senza disporre la chiesta consulenza tecnica, ma, soprattutto, di avere valutato, peraltro con motivazione apparente basata su affermazioni tautologiche, le risultanze documentali, isolatamente, e non unitamente agli ulteriori elementi probatori gia’ acquisiti e alle deduzioni del C.Testo Unico il quale aveva individuato, tra l’altro, la causa dello spostamento verso sinistra dell’alveo nella piena avvenuta nel 1977;
le censure, da trattarsi congiuntamente, siccome connesse, sono infondate;
nel nostro ordinamento vige il principio judex peritus peritorum, in virtu’ del quale e’ consentito al giudice di merito disattendere le argomentazioni tecniche svolte nella propria relazione dal consulente tecnico d’ufficio, e cio’ sia quando le motivazioni stesse siano intimamente contraddittorie, sia quando il giudice sostituisca ad esse altre argomentazioni, tratte da proprie personali cognizioni tecniche.
tale principio comporta, quindi, non solo che il giudice di merito, per la soluzione di questioni di natura tecnica o scientifica non abbia alcun obbligo di nominare un consulente d’ufficio, potendo ricorrere alle conoscenze specialistiche acquisite direttamente attraverso studi o ricerche personali, ma anche che egli, esaminando direttamente la documentazione su cui si basa la relazione del consulente tecnico, puo’ disattenderne le argomentazioni, in quanto sorrette da motivazioni contraddittorie, o sostituirle con proprie diverse, tratte da personali cognizioni tecniche;
in entrambi i casi, l’unico onere incontrato dal giudice e’ quello di un’adeguata motivazione, esente da vizi logici ed errori di diritto (cfr. Cass. n. 30733 del 21/12/2017; Cass. n. 17757 del 07/08/2014);
quale ulteriore corollario del principio, la giurisprudenza di questa Corte ha costantemente affermato che il principio, per cui il provvedimento che disponga, o no, la consulenza tecnica, rientrando nel potere discrezionale del giudice del merito, e’ incensurabile in sede di legittimita’, va contemperato con quello secondo il quale il giudice stesso deve sempre motivare adeguatamente la decisione adottata in merito ad una questione tecnica rilevante per la definizione della causa, in relazione alla quale la consulenza puo’ profilarsi come lo strumento piu’ funzionale ed efficiente di indagine, con la conseguenza che, ove egli abbia ritenuto di non avvalersi di tale strumento, deve fornire adeguata dimostrazione di aver potuto risolvere, sulla base di corretti criteri e di cognizione proprie, tutti i problemi tecnici connessi alla valutazione degli elementi rilevanti ai fini della decisione (Cass. n. (Cass. n. 15136 del 23/11/2000; Cass. n. 71 del 04/01/2002);
in tale solco e nello specifico, poi, le Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 14754 del 9/05/2017) hanno ribadito che il giudizio sulla necessita’ ed utilita’ di fare ricorso allo strumento della consulenza tecnica d’ufficio rientra nel potere discrezionale del giudice di merito “il quale risulta tanto piu’ ampio quando si tratti, come nel caso del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche di un giudice con composizione specializzata emergente dalla presenza al proprio interno di un componente tecnico con specifica competenza sulla materia ad esso devoluta”;
alla luce dei superiori principit emerge l’infondatezza di entrambe le censure giacche’ il T.S.A.P., giudice a composizione specializzata, ha legittimamente deciso sulla base delle emergenze probatorie in atti, senza disporre la chiesta consulenza tecnica, non, come prospettato attraverso il ricorso al “notorio”, ma avvalendosi delle proprie cognizioni tecniche, e fornendo di tutto cio’ adeguata e congrua motivazione;
invero, il T.S.A.P. non solo ha compiutamente motivato sulla superfluita’ di una nuova consulenza tecnica ma, individuando specificamente gli importanti intervenenti antropici realizzati sui luoghi (pacifici tra le parti), non considerati nel giudizio di primo grado e nella consulenza tecnica d’ufficio ivi espletata, ne ha fatto conseguire, con motivazione sufficiente e congrua (che tiene conto di tutte le risultanze istruttorie), l’evidente e preminente nesso eziologico con il mutamento del corso dei torrente e il parziale abbandono dell’alveo, rilevando, altresi’, che tale incidenza causale, proprio per il massiccio e costante lavorio di intervento sulle sponde, non veniva elisa dalla circostanza che alcuni degli interventi erano posizionati in zone non corrispondenti a quelli in cui gli incrementi avevano avuto luogo;
in conclusione, pertanto, il ricorso va rigettato con la condanna di parte ricorrente, soccombente, al pagamento, in favore delle controricorrenti delle spese processuali, come specificamente liquidate per ciascuna in dispositivo;
poiche’ il ricorso e’ stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed e’ stato rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento da parte dei ricorrenti, in solido, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in favore del Ministero dell’Economia e delle Finanze e dell’Agenzia del Demanio in complessivi Euro 5.000,00 (Euro cinquemila) oltre spese prenotate a debito, e in favore della Regione Piemonte in complessivi Euro 5.200,00 di cui Euro 200 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese nella misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, si da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti, in solido, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

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