Istituto per il Credito Sportivo tra gli organismi di diritto pubblico

Consiglio di Stato, Sentenza|13 settembre 2021| n. 6272.

Istituto per il Credito Sportivo tra gli organismi di diritto pubblico.

Non è dubitabile l’ascrivibilità dell’Istituto per il Credito Sportivo al novero degli “organismi di diritto pubblico” di cui all’art.3, comma 1, lettera d), del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 e la conseguente soggezione alla disciplina ivi prevista.

Sentenza|13 settembre 2021| n. 6272. Istituto per il Credito Sportivo tra gli organismi di diritto pubblico

Data udienza 4 marzo 2021

Integrale

Tag – parola chiave: Appalti – Affidamento di contratto di lavori, servizi e forniture – Controversie – Giurisdizione amministrativa esclusiva – Condizione di cui all’art. 133, c. 1, lett. e) – Profilo soggettivo e oggettivo – Istituto per il Credito Sportivo tra gli organismi di diritto pubblico

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 5000 del 2020, proposto da Bd. It. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Fr. Co., Ma. Di Lu., con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;
contro
Istituto per il Cr. Sp., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. Cl., Al. Bo., con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Ma. Cl. in Roma, viale (…);
nei confronti
Pr. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Guido Ajello, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Ey S.p.A. non costituita in giudizio;
per l’annullamento della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima), 20 maggio 2020, n. 5336, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Istituto per il Cr. Sp. e di Pr. S.p.A.;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti tutti gli atti della causa;
visti gli artt. 105, co. 2 e 87, co. 3, cod. proc. amm.;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 4 marzo 2021, tenuta da remoto secondo quanto stabilito dall’art. 25, comma 1, del d.l. 18 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, e dell’art. 1, comma 17, come modificato dall’art. 1, comma 17, del d.l. 31 dicembre 2020, n. 183, convertito con modificazioni dalla l. 26 febbraio 2021, n. 21, il consigliere Angela Rotondano e uditi per le parti, pure in collegamento da remoto, gli avvocati Fe., in sostituzione dell’avv. Co. per delega già depositata, Cl., Bo. e Aj.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

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FATTO e DIRITTO

1. L’Istituto per il Cr. Sp. (di seguito anche solo “IC.” o “l’Istituto”) è un ente di diritto pubblico con gestione autonoma istituito con legge n. 1295 del 24 dicembre 1957, operante nel settore del credito per lo sport e per le attività culturali, soggetto alle disposizioni di cui al D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, recante “Testo unico delle Leggi in materia bancaria e creditizia” (si veda Statuto di IC., artt. 1 e 2).
2. L’Istituto avviò, con delibera del Consiglio di amministrazione del 28 giugno 2019, una procedura informale per l’affidamento dei servizi di revisione legale per il periodo 2020- 2028, alla quale, con lettera spedita l’8 luglio 2019, invitò, tra gli altri operatori economici, anche le società di revisione Pr. S.p.A. (di seguito “Pr.”) e BD. It. s.p.a. (di seguito “BD.”).
2.1. La lettera di invito (a pag. 3, punto c) stabiliva, per quanto di interesse, che le disposizioni del d.lgs. 27 gennaio 2010, n. 39 (“Attuazione della direttiva 2006/43/CE, relativa alle revisioni legali dei conti annuali e dei conti consolidati, che modifica le direttive 78/660/CEE e 83/349/CEE, e che abroga la direttiva 84/253/CEE”) e del Regolamento (UE) del Parlamento Europeo e del Consiglio del 16 aprile 2014, n. 537 (“Sui requisiti specifici relativi alla revisione legale dei conti di enti di interesse pubblico e che abroga la decisione 2005/909/CE della Commissione”) costituivano la normativa di riferimento per lo svolgimento della procedura di aggiudicazione; posto quindi che la gara dovesse aggiudicarsi previa “valutazione complessiva tecnico ed economica” delle offerte ricevute, la lex specialis stabiliva altresì che: “Il Collegio dei Sindaci, valutate le risultanze della procedura, approva gli atti di gara e formula una raccomandazione al Consiglio di amministrazione per il conferimento dell’incarico alla Società di revisione contabile. La raccomandazione sarà motivata e farà riferimento ad almeno due possibili operatori economici risultanti dalla procedura. Le due proposte risulteranno alternative e verrà espressa dal Collegio una preferenza debitamente motivata”.
2.2. In applicazione di tale previsione e all’esito delle operazioni di gara il servizio era aggiudicato, per nove esercizi (2020-2028) e per un importo complessivo pari a E. 650.250,00, IVA esclusa, alla Pr. (pur avendo la stessa conseguito per l’offerta un punteggio complessivo di 87,07 punti, inferiore a quello attribuito all’offerta della BD., 87,75 punti).

 

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3. Negatole dall’IC. l’accesso agli atti (sull’assunto di non essere l’Istituto soggetto “né all’applicazione del Codice dei contratti pubblici di cui al D.Lgs. n. 50 del 2016 né alla disciplina del procedimento amministrativo di cui alla L. 241/1990”), con ricorso notificato il 3 gennaio 2020 la BD. – premesso di essere una società di revisione di diritto italiano abilitata ad esercitare la revisione legale ai sensi del codice civile e del D.lgs. n. 39/2010, di essere iscritta al Registro dei revisori legali tenuto dal Ministero dell’Economia e della Finanze ai sensi dell’art.1, comma 1, lett. g) del citato decreto, di aver partecipato alla procedura in questione collocandosi al primo posto e di aver fornito alla stazione appaltante anche i chiarimenti richiesti sulla sostenibilità dell’offerta presentata – impugnava innanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio l’avviso di mancata aggiudicazione della procedura di gara, comunicatole con posta elettronica certificata del 5 dicembre 2019, l’aggiudicazione in favore della controinteressata, nonché tutti gli atti della procedura, ivi compresa la lettera di invito, in uno ad ogni altro atto presupposto, consequenziale e comunque connesso.
Di tali atti e provvedimenti, sostenendo la natura di “organismo di diritto pubblico” di IC. e l’obbligo di quest’ultimo di applicazione del Codice dei contratti pubblici, assumeva l’illegittimità alla stregua di quattro motivi di gravame, il primo rubricato “Violazione ed errata applicazione del D.Lgs. n. 50 del 2016, con riferimento al punto c) della lettera di invito in data 8 luglio 2019 e agli atti di gara impugnati. Eccesso di potere per carenza assoluta di motivazione”, il secondo, il terzo e il quarto, proposti in via subordinata, rubricati rispettivamente: “II. Violazione ed errata applicazione del D.Lgs. n. 50/2016 con riferimento integrale alla lettera d’invito in data 8 luglio 2019 e agli atti di gara impugnati. Violazione ed errata applicazione del Regolamento IC.”; “III. Violazione ed errata applicazione della lettera di invito in data 8 luglio 2019. Eccesso di potere per contraddittorietà, illogicità e perplessità manifesta”; “IV. Violazione ed errata applicazione della legge 241/1990 e dell’art. 97 Cost. Eccesso di potere per carenza di motivazione ed istruttoria, anche in relazione alla lettera di invito”.

 

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In sintesi la ricorrente contestava che l’affidamento del servizio di revisione legale non fosse stato sottoposto alle regole pubblicistiche di scelta del contraente, ma riservato, quanto alla individuazione dello stesso, alla sola valutazione discrezionale del collegio sindacale dell’ente.
3.1. In particolare, con il primo motivo la ricorrente lamentava la violazione della disciplina di cui al D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50 Codice dei contratti pubblici (in primis dell’art. 95 del Codice e del principio dell’aggiudicazione al miglior offerente, sulla base di criteri predefiniti, oggettivi e inderogabili) da parte della lettera di invito, che, con la contestata clausola di cui al punto c), rimetteva all’IC. la facoltà di scegliere il contraente per l’affidamento del servizio, esprimendo “una preferenza debitamente motivata” tra almeno due proposte alternative di operatori economici qualificati risultanti dalla procedura e quindi di disporne l’aggiudicazione anche a prescindere dai suoi esiti; in ogni caso la indicata facoltà di scelta dell’aggiudicatario non consentiva di prescindere dai criteri di selezione ed aggiudicazione stabiliti dalla stessa legge di gara (alla cui osservanza l’Istituto si era autovincolato), secondo cui le offerte dovevano essere valutate “secondo il miglior rapporto-qualità prezzo”. Tanto determinava l’illegittimità dell’impugnata clausola della lettera di invito e della conseguente aggiudicazione anche per violazione delle stesse regole di gara che avevano previsto il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
3.2. Con il secondo motivo, in via subordinata, la ricorrente deduceva la violazione del Codice dei Contratti Pubblici da parte della lettera di invito, con riferimento all’intera procedura di gara che sarebbe stata esperita in violazione dei principi di par condicio tra i concorrenti, trasparenza e partecipazione al procedimento, relativamente alla nomina della commissione aggiudicatrice, ai lavori della commissione stessa e alla pubblicità delle sedute, nonché alle comunicazioni sulla conclusione della selezione e sulla aggiudicazione, così facendo valere il proprio interesse strumentale all’annullamento e riedizione della procedura e l’illegittimità della disciplina di gara sulla base della quale era stata, di fatto, retrocessa al secondo posto della graduatoria di merito.

 

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3.3. Con il terzo motivo, in via ulteriormente subordinata, la ricorrente deduceva l’illegittimità della lettera di invito in quanto, sebbene l’Istituto affermasse di non essere soggetto all’applicazione del Codice dei Contratti, il suo stesso Regolamento Acquisti richiamava alcuni principi del detto Codice, tra i quali il principio di trasparenza, di non discriminazione, di efficienza, di economicità, di efficacia, di proporzionalità, di rotazione, correttezza e libera concorrenza. Pertanto, quand’anche l’Istituto per il credito sportivo non fosse stato un organismo di diritto pubblico, esso avrebbe comunque dovuto attenersi, nello svolgimento delle procedure in materia di affidamento di lavori, servizi e forniture, ai principi contenuti nella normativa sui contratti pubblici, in applicazione del suo stesso regolamento interno.
3.4. Con il quarto motivo, in via subordinata, per l’ipotesi in cui non fosse applicabile il Codice dei Contratti Pubblici, la ricorrente deduceva la violazione del principio di imparzialità che regge qualsiasi procedimento amministrativo, in applicazione della legge n. 241 del 7 agosto 1990 e dei principi generali ivi recati, alla cui osservanza IC., in quanto soggetto di diritto pubblico, era tenuta. A suo avviso, infatti, l’Istituto avrebbe dovuto pur sempre applicare i principi, di derivazione comunitaria, di non discriminazione, di concorrenza, di parità di trattamento, invece gravemente disattesi nella procedura di gara in ragione della mancata assegnazione del servizio all’offerta economicamente più vantaggiosa e prima in graduatoria; ciò senza contare che la determinazione di non aggiudicare la gara alla ricorrente non era motivata, come prescritto dall’articolo 3 della legge numero 241 del 1990 e dalla stessa lettera di invito (secondo cui il Collegio dei sindaci doveva esprimere “una preferenza debitamente motivata”).
3.5. La ricorrente formulava poi con il ricorso, ai sensi dell’art. 116 Cod. proc. amm., anche domanda per la dichiarazione di illegittimità del diniego agli atti della gara oppostole dall’IC. con la nota del 19 dicembre 2019, lamentando “violazione ed errata applicazione della 241/1990” (in particolare della disciplina contenuta negli artt. 22 e seguenti, alla quale sarebbero sottoposti l’Istituto resistente e la sua attività, volta al perseguimento di finalità di pubblico interesse), con accertamento del suo diritto a prendere visione e ad estrarre copia della documentazione richiesta sia con l’istanza che di quella indicata in ricorso (ivi compreso il Regolamento Acquisti), ordinandone l’ostensione all’Istituto.

 

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3.6. La ricorrente domandava il risarcimento in forma specifica (mediante aggiudicazione in suo favore e subentro nel servizio, previa declaratoria di inefficacia del contratto medio tempore stipulato), chiedendo, in subordine, il ristoro dei pregiudizi subiti per equivalente monetario; in via subordinata, domandava che fosse ordinato all’Istituto di rinnovare le operazioni di gara onde sanarne i profili di illegittimità.
3.7. Si costituivano in giudizio l’Istituto e, a seguito di integrazione del contraddittorio, la società aggiudicataria Pr. s.p.a., eccependo preliminarmente il difetto di giurisdizione per essere la stazione appaltante soggetto non tenuto all’applicazione del d.lgs. n. 50 del 2016, e nel merito contestando la fondatezza del ricorso di cui chiedevano il rigetto.
4. L’adito Tribunale, con la sentenza segnata in epigrafe, in accoglimento dell’eccezione preliminare formulata dalle parti resistenti, dichiarava il ricorso inammissibile per difetto di giurisdizione amministrativa, ritenendo non riconducibile l’Istituto di credito sportivo al novero degli organismi di diritto pubblico di cui all’art. 3, comma 1, lettera d) del D.Lgs. n. 50 del 2016, e dichiarando la giurisdizione del giudice ordinario.
5. La BD. ha proposto appello avverso la sentenza, chiedendone la riforma alla stregua di due motivi di ricorso, sostenendo con il primo “la fallacia della conclusione del TAR in ordine al (ritenuto sussistente) requisito del rischio di impresa” e con il secondo la “sussistenza della giurisdizione amministrativa anche tenuto conto dell’applicabilità a IC. dei principi di cui alla legge n. 241/90”, ed invocando la rimessione del giudizio al primo giudice, ai sensi dell’art. 105 Cod. proc. amm., per la decisione dei motivi dedotti in primo grado.
5.1. Hanno resistito all’appello l’Istituto per il Cr. Sp. e l’aggiudicataria Pr., chiedendone il rigetto.
5.2. All’udienza del 4 marzo 2021, tenuta con collegamento da remoto, udita la rituale discussione dei difensori delle parti, la causa è stata trattenuta in decisione.
6. Come accennato la sentenza appellata ha escluso la natura di organismo di diritto pubblico dell’Istituto per il credito sportivo ed ha declinato la propria giurisdizione sulla controversia avente ad oggetto l’affidamento dei servizi di revisione legale, ritenendo che essa spetti al giudice ordinario in quanto si verterebbe in materia “di attività contrattuale svolta da un soggetto operante in regime di diritto privato”.

 

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Con riferimento ai primi quattro motivi ha ritenuto inapplicabili i principi asseritamente violati nella procedura di gara dall’Istituto, “ente pubblico economico, che si porrebbe, nell’esercizio dell’attività imprenditoriale, sullo stesso piano dei comuni imprenditori, non esercitando quindi alcuna funzione pubblicistica disciplinata dalla legge e dai principi sul procedimento amministrativo”; ha poi dichiarato la sopravvenuta carenza di interesse in relazione alla domanda di accesso stante, per un verso, il deposito agli atti processuali della documentazione oggetto di istanza di accesso, per altro verso il nesso di strumentalità tra la domanda principale di annullamento (dichiarata inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice adito) e la domanda incidentale di ostensione.
In sintesi, la sentenza, premesso che non sono decisivi ai fini della qualifica di organismo di diritto pubblico “lo status giuridico di un soggetto (…), né lo scopo di lucro, né il tipo di attività svolta o la strumentalità rispetto a interessi generali” e che all’incontro sia determinante la modalità di svolgimento dell’attività e, segnatamente, “l’assunzione di un metodo economico e del rischio (economico) connesso all’attività medesima”, ha ritenuto che fosse perciò dirimente accertare “le modalità con cui l’Istituto persegue l’interesse pubblico al finanziamento delle attività sportive e culturali”.
Al riguardo ha evidenziato come l’attività dell’Istituto di Credito sportivo, banca pubblica residua ai sensi e per gli effetti dell’articolo 151 del decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385 recante “Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia” (di seguito anche TUB), consiste nella raccolta del “risparmio tra il pubblico, sia sotto forma di depositi sia sotto altra forma ed esercitando il credito, sotto qualsiasi forma” (art. 2, comma 2, lettera a) dello Statuto) nel peculiare settore del credito per lo sport e per le attività culturali e che, pur in presenza di altri indici (la personalità giuridica e il finanziamento pubblico maggioritario, con assoggettamento della gestione al controllo dello Stato o di altri organismi di diritto pubblico e con un organo d’amministrazione costituito da membri dei quali più della metà è designata dallo Stato o da altri organismi di diritto pubblico), non sussista qui il c.d. requisito teleologico: ciò sull’assunto che l’Istituto, per un verso, svolgerebbe l’attività bancaria, tipicamente imprenditoriale, degli istituti di credito (ai sensi dell’art. 10 del TUB), per altro verso opererebbe nel mercato con metodo concorrenziale, sopportando interamente il rischio di impresa collegato a tale attività, nell’ambito di un settore (quello bancario e creditizio) aperto alla concorrenza, tant’è che l’ente può essere sottoposto a liquidazione coatta amministrativa o amministrazione straordinaria e, come si evince dall’art. 28 dello Statuto, non può ripianare delle perdite subite col ricorso al finanziamento pubblico.

 

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E’ stato quindi escluso che l’IC. sia annoverabile tra gli organismi di diritto pubblico per difetto del solo requisito teleologico, ritenendo allo scopo irrilevanti sia la speciale disciplina recata dalle leggi istitutive e dallo Statuto (art. 7) per i Fondi speciali, volti all’erogazione di contributi per l’impiantistica sportiva (considerato che la nozione di organismo di diritto pubblico deve potersi inferire in relazione all’ente inteso in senso “unitario e nel suo complesso” e non “essere predicata e attribuita solo con riferimento a quella parte dell’attività dell’ente che sia finanziata con fondi pubblici”), sia il richiamo operato dalla ricorrente ai più recenti arresti giurisprudenziali (Cons. Stato, sez. V Sezione, 7 febbraio 2020, n. 964).
Pertanto l’Istituto di Credito sportivo, nonostante la presenza di “evidenti peculiarità, con tratti di anomalia sotto il profilo sistematico”, tali da render quanto meno “dubbia la coerenza sistematica, sul piano del diritto nazionale, dell’attuale assetto organizzativo dell’Istituto” (quali, a tacer d’altro, la definizione dell’Istituto come “banca pubblica, ai sensi dell’articolo 151 del testo unico di cui al d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385” e la non avvenuta doverosa trasformazione in società per azioni ai sensi del disposto di cui all’art. 2 della legge 26 novembre 1993, n. 489, entro il termine ivi stabilito del 30 giugno 1994), non avrebbe, secondo il Tribunale, natura organismo di diritto pubblico unicamente per la mancanza di accettazione del rischio di impresa, presenti invece tutti gli altri requisiti che, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. d) del D.Lgs n. 50/2016 caratterizzano tale soggetto giuridico: IC. opererebbe infatti “in regime concorrenziale, senza potere godere di privilegi pubblicistici e accettando il metodo economico nella gestione e nell’impiego del risparmio, essendo assoggettato alle regole del mercato, come qualunque impresa operante nel settore bancario”; dal che la non spettanza della controversia alla giurisdizione amministrativa.

 

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7. Con l’appello in trattazione BD. critica le conclusioni cui è pervenuto il primo giudice, argomentando invece per la sicura riconducibilità dell’Istituto alla nozione di organismo di diritto pubblico”: a) per essere la conclusione raggiunta dal primo giudice in punto di giurisdizione fondata su uno sviluppo argomentativo “di portata astratta e congetturale”, nonché erronea, anche per mancata considerazione di elementi decisivi; b) per essere infatti tale convincimento fondato solo sulla frammentata e non sistematica lettura di singole clausole del vigente Statuto di IC. (e, segnatamente, quelle di cui agli articoli art. 2, 28, 8 e 9) e su di una interpretazione completamente avulsa dai principi giurisprudenziali in materia (in particolare dalla sentenza del Cons. Stato, Sez. V, 7 febbraio 2020, n. 964); c) per essere l’Istituto di credito sportivo connotato da indubbi tratti pubblicistici, tali da palesarne l’alterità rispetto al mercato del credito e al conseguente specifico rischio di impresa, inopinatamente trascurati dalla sentenza che ha ritenuto erroneamente di non poterne inferire una connotazione quale organismo di diritto pubblico in senso “unitario e nel suo complesso”; d) per non aver considerato che il settore sportivo è a tal punto caratterizzato dalla presenza di IC. da giustificarne nella dottrina specialistica la qualifica di “banca dello sport”; e) per aver dato eccessivo rilievo alla mera (e soprattutto indimostrata) possibilità di intervento nel settore di altri soggetti appartenenti al ceto bancario, come al divieto statutario di ricorso a fonti pubbliche per il ripiano delle perdite (che non solo, siccome esposto in un testo privatistico quale lo Statuto, non vincola affatto il legislatore, ma che, anche e soprattutto, è dato assolutamente neutrale per la fattispecie in esame, attenendo al diverso piano della predisposizione del bilancio, privo di incidenza quanto alle concrete modalità con cui l’Istituto attende alla sua attività caratteristica, che è il thema decidendum del presente giudizio); f) per aver ritenuto irrilevante l’utilizzo da parte di IC. dei Fondi speciali, svalutando le particolari condizioni di accesso al credito praticate dall’Istituto a favore dei soggetti operanti nel mondo dello sport e della cultura che pongono IC. su un piano assolutamente peculiare, facendone un “unicum” all’interno del panorama bancario nazionale; g) per non aver ancora considerato che l’IC., anche nell’ipotesi in cui l’attività svolta non fosse sottoposta alla disciplina prevista dal Codice dei Contratti pubblici per non essere qualificabile come “organismo di diritto pubblico” ex art. 3, comma 1, lettera d), dello stesso Codice, sarebbe comunque vincolato, in quanto “ente di diritto pubblico economico”, al rispetto dei principi generali previsti dalla legge 7 agosto 1990, n. 241 sul procedimento amministrativo (ai sensi dell’art. 1 comma 1 ter e 29 della legge citata, nonché dell’art. 7, comma 2, Cod. proc. amm.); h) per non aver infine rilevato che IC., “ente di diritto pubblico” e “banca pubblica” (in base alle previsioni statutarie), rientra nella definizione di pubblica amministrazione di cui all’art. 22 della legge n. 241 del 1990 ed è di conseguenza soggetto alla disciplina in materia di accesso agli atti di cui alla stessa legge.

 

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L’appellante aggiunge che la peculiare impronta di carattere pubblicistico risulterebbe vieppiù confermata da vari comunicati ufficiali dell’Ente stesso nel periodo emergenziale, volti a sottolineare “la missione pubblica dell’Istituto di banca sociale per lo sviluppo sostenibile dello Sport e della Cultura al servizio del Paese” (per la sua capacità di assicurare accesso al credito e a risorse finanziarie a condizioni diverse da quelle bancarie, anche sulla base di quanto previsto dall’art. 14 del D.L. n. 23 dell’8 aprile 2020, disciplinante gli interventi emergenziali dell’Istituto in campo finanziario), dai quali emergerebbe, sotto plurimi profili, la funzione di servizio pubblico di IC., quale strumento di intervento pubblico nel settore sportivo. Ulteriore conferma della rilevanza e della natura pubblicistica degli interessi perseguiti dall’Istituto e della circostanza che esso non opera in un mercato realmente concorrenziale (essendo il solo ente preposto al sostegno economico finanziario dello sport mediante l’utilizzo dei c.d. Fondi speciali) si trarrebbe anche dalle audizioni svolte il 27 aprile 2020 dalle Commissioni riunite Finanza e Attività Produttive sul Disegno di conversione in legge del D.L. 23 dell’8 aprile 2020, come pure dalle modalità con cui avverrebbe “il flusso contributivo proveniente dallo Stato ad IC.”.
L’appellante deduce pertanto l’erroneità della sentenza impugnata e la spettanza della controversia de qua alla giurisdizione del giudice adito.
8. Le parti appellate sostengono per converso l’infondatezza delle tesi avverse, assumendo che la partecipazione maggioritaria di pubbliche amministrazioni nel capitale dell’Istituto non incide sulla sussistenza del requisito teleologico, che attiene invece all’attività espletata, e che privo di pregio sarebbe anche il riferimento ai fondi speciali, che non rappresentano strumenti nell’esclusiva disponibilità dell’Istituto, ma possono essere richiesti anche dalle altre banche; rileverebbe poi che l’Istituto per il credito sportivo opera in un mercato concorrenziale in quanto svolge ordinaria attività bancaria (come definita dall’art. 10, comma 1, del TUB, costituita dalla “raccolta di risparmio tra il pubblico e l’esercizio del credito”) che, ai sensi del secondo periodo della stessa norma, “ha carattere di impresa” (a differenza di quanto previsto dalla legge bancaria di cui al d.l. 12 marzo 1936 n. 35, secondo la quale “la raccolta del risparmio fra il pubblico sotto ogni forma e l’esercizio del credito sono funzioni di interesse pubblico”), è priva di contributi o aiuti pubblici e pertanto soggetta al rischio imprenditoriale.

 

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La qualificazione dell’attività bancaria in termini di attività avente carattere imprenditoriale, in alcun modo assimilabile ad un servizio pubblico, escluderebbe che l’IC., “banca pubblica residua” ai sensi dell’art. 151 del Testo unico bancario di cui al d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385 (la cui operatività, organizzazione e funzionamento sono disciplinati dallo stesso Testo Unico, dagli statuti e dalle altre norme in questi richiamati), persegua interessi generali: tale attività, sia con riguardo alla provvista di fondi, sia per quanto concerne i finanziamenti, non si differenzierebbe in alcun modo da quella svolta dagli altri istituti bancari che operano in regime di concorrenza nel medesimo settore, comportando difatti il suo svolgimento piena assunzione del rischio di impresa. Non rileverebbe al contrario la gestione a titolo gratuito da parte dell’IC. dei Fondi Speciali di titolarità dello Stato, aventi natura pubblica e preordinati a incentivare la realizzazione delle infrastrutture sportive – attività di gestione peraltro affidata a un apposito comitato in posizione di terzietà rispetto all’Istituto – che, più che un “privilegio”, costituirebbe un onere del quale l’Istituto è gravato nell’interesse dello Stato: a tali risorse e garanzie possono infatti attingere su un piano di parità tutti gli istituti di credito che svolgono attività creditizia nei settori dello sport e della cultura, non costituendo perciò detti Fondi (i quali integrerebbero, a ben vedere, un peculiare modello operativo di quanto previsto dall’art. 47 del TUB per le banche in generale) alcun vantaggio concorrenziale a favore dell’Ente tale da azzerarne il rischio di impresa, non godendo quest’ultimo di finanziamenti o garanzie speciali da parte dello Stato né di altri regimi di favore rispetto agli altri istituti bancari.

 

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Secondo le appellate pertanto sarebbe stata corretta la scelta finale dell’aggiudicatario del servizio, infondatamente contestata dalla ricorrente, nell’ambito di una gara a due fasi (come previsto dalla lex specialis), di cui solo la prima regolata in coerenza coi principi dell’evidenza pubblica, con conseguente legittimità dell’aggiudicazione alla seconda graduata sulla base di una preferenza “debitamente motivata”; ciò in quanto l’Istituto sarebbe soggetto alla disciplina pubblicistica solo con riferimento alla sua sfera organizzativa interna, ma non all’attività contrattuale retta invece dal diritto privato. Né a conclusioni diverse potrebbe condurre la circostanza che l’IC. sia vincolato a operare in uno specifico settore di riferimento (quello dei finanziamenti al settore dello sport e della cultura), potendo un siffatto vincolo ben essere riprodotto su base volontaria nell’oggetto sociale di un ente privatistico che mirasse a specializzarsi in un particolare segmento del mercato; d’altra parte né la legge, né lo statuto individuano comunque finalità pubblicistiche ulteriori rispetto alla previsione del tutto neutrale della delimitazione del settore di riferimento. Anche le finalità pubblicistiche richiamate dallo Statuto (cfr. in particolare art. 30) coincidono interamente con l’oggetto dell’attività bancaria (sia pure circoscritto ai settori del credito per lo sport e per le attività culturali). Sarebbe dunque l’attività creditizia in sé, svolta secondo criteri imprenditoriali e con metodo economico, a realizzare in definitiva il fine pubblico in relazione al quale la legge ha istituto l’IC..
Anche le disposizioni di cui all’art. 7 della legge 8 agosto 2019, n. 86 (recante delega al Governo all’adozione di decreti legislativi “per il riordino e la riforma delle norme di sicurezza per la costruzione e l’esercizio degli impianti sportivi nonché della disciplina relativa alla costruzione di nuovi impianti sportivi, alla ristrutturazione e al ripristino di quelli già esistenti compresi quelli scolastici”), impropriamente richiamate dall’appellante (posto che si tratterebbe, a dire dell’Istituto appellato, di “disposizione generica, peraltro rimasta inattuata”), non sovvertirebbe le conclusioni del primo giudice, e cioè che l’IC. risponde soltanto con il suo patrimonio delle eventuali perdite, dovendo totalmente escludersi che gli strumenti economico finanziari a cui fa riferimento la menzionata disposizione siano concepiti come “un flusso contributivo statale” che esclude il rischio di impresa; correttamente, sempre secondo l’istituto appellato, la sentenza impugnata avrebbe escluso la natura di organismo di diritto pubblico dell’Istituto, ritenendone irrilevante la composizione soggettiva.
Analoghe considerazioni valgono per le altre disposizioni citate nell’appello (quali la legge 30 dicembre 2018, n. 145, comma 653; la legge 27 dicembre 2017, n. 205, comma 1061), che non attribuirebbero vantaggi patrimoniali all’IC., né contributi pubblici volti a rafforzarlo patrimonialmente.
Le parti appellate, a conforto della tesi della non riconducibilità dell’Istituto di Credito Sportivo al novero degli “organismi di diritto pubblico” ai sensi del Codice dei contratti pubblici, evidenziano che i poteri di verifica spettanti all’autorità governativa non le attribuirebbero alcuno strumento per influire sull’attività di IC., salvo il potere di disporne per legge lo scioglimento, e che anche la mancata inclusione di IC. nell’avviato e completato processo di trasformazione in società per azioni degli enti pubblici creditizi sarebbe dipesa da ragioni contingenti, correlate all’incerta titolarità del patrimonio dell’IC., e non già da una volontà di mantenimento della soggettività pubblica; risolte quelle incertezze, l’IC. dovrà essere trasformato in società per azioni, come prescrive la legge, e anche dal punto di vista formale sarà parificato agli altri istituti bancari con i quali compete sul mercato. Ad ogni modo tale mero “involucro” di ente pubblico riguarderebbe esclusivamente gli aspetti organizzativi ed interni (attinenti ad esempio alla composizione del capitale e alla struttura degli organi), ma non inciderebbe in alcun modo sull’attività e sulle modalità economiche e gestionali del suo svolgimento.

 

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Infine, anche quanto ai principi giurisprudenziali invocati dall’appellante (Cons. St., Sez. V, 7 febbraio 2020, n. 964), ferma la loro erronea interpretazione, essi non si attaglierebbero affatto alla fattispecie in esame (riferendosi al ben diverso caso di un ente strumentale utilizzato come longa manus di un soggetto pubblico per svolgere i compiti istituzionali propri di questi ultimi, laddove l’Istituto appellato non è uno strumento organizzativo di alcuna pubblica amministrazione, né è compartecipe di alcuna funzione pubblica necessaria, ma mero operatore economico del settore bancario in concorrenza con altri).
In definitiva, secondo le parti appellate, non rileverebbe che l’attività bancaria dell’IC. possa essere effettivamente rivolta ad una generalità di soggetti beneficiari, ma che l’attività in concreto espletata dall’Istituto non sia di interesse pubblico.
In subordine, le parti appellate hanno prospettato la necessità di un rinvio pregiudiziale ex art. 267 del Trattato di Funzionamento dell’Unione Europea alla Corte di Giustizia dell’Unione sul seguente quesito:
se il diritto eurounitario e i principi elaborati dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia in materia di organismo di diritto pubblico “ostino ad una normativa nazionale, quale quella di cui all’art. 3, comma 1, lett. d), decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, interpretata nel senso che la natura pubblicistica di un ente, riconosciuta per legge, determini, di per sé, l’attribuzione della qualifica di organismo di diritto pubblico”.
9. Così riassunte le posizione delle parti, la Sezione è dell’avviso che, alla stregua delle osservazioni che seguono, l’appello sia fondato e che nella controversia de qua sussista la giurisdizione del giudice amministrativo, rivestendo l’Istituto di Credito sportivo i caratteri dell’organismo di diritto pubblico.
9.1. Va anzitutto rammentato che le controversie sulle procedure per l’affidamento dei contratti di lavori, servizi e forniture rientrano nella giurisdizione amministrativa esclusiva (art. 7 Cod. proc. amm.) al ricorrere delle due condizioni dell’art. 133, comma 1, lett. e), n. 1), Cod. proc. amm., vale a dire, quanto al profilo soggettivo, che la procedura di scelta del contraente sia espletata da soggetti “comunque tenuti, nella scelta del contraente o del socio, all’applicazione della normativa comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale” e, quanto al profilo oggettivo, che il contratto da affidare rientri nella tipologia contrattuale per la quale è previsto l’espletamento di una procedura di gara, dunque che abbia ad oggetto “lavori, servizi e forniture”.
Non è pertanto sufficiente un’autonoma determinazione di fare applicazione delle disposizioni del Codice dei contratti pubblici per la selezione del contraente (c.d. autovincolo), ma è necessario un obbligo oggettivo e di legge (cfr. Cass., SS.UU., 20 settembre 2019, n. 23541; Cons. Stato, Ad. plen., 1 agosto 2011, n. 16).
I soggetti tenuti all’applicazione del Codice dei contratti pubblici nella scelta del contraente sono le “amministrazioni aggiudicatrici e gli enti aggiudicatori” (art. 1, comma 1, d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50), la cui definizione è contenuta nell’art. 3, comma 1, dello stesso d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50.

 

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9.2. Tra le “amministrazioni aggiudicatrici” sono ricompresi anche gli “organismi di diritto pubblico”. La nozione di “organismo di diritto pubblico” deriva dalla disciplina europea degli appalti pubblici, ispirata alla tutela della concorrenza, al fine di dare piena attuazione a quest’ultimo principio e contrastare l’elusione dell’obbligo di gara per l’affidamento degli appalti pubblici (cfr., da ultimo, Cass. civ., Sez. Un., 28 marzo 2019, n. 8673), in modo da “escludere sia il rischio che gli offerenti o candidati nazionali siano preferiti nell’attribuzione di appalti da parte delle amministrazioni aggiudicatrici, sia la possibilità che un ente finanziato o controllato dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico si lasci guidare da considerazioni diverse da quelle economiche” (cfr., da ultimo, Corte giust. Ue, Sez. V, 5 ottobre 2017, causa C-567/15, LitSpecMet UAB c. Vilniaus lokomotyvu remonto depas UAB).
Dando seguito a tali principi la giurisprudenza interna ha rilevato che le regole proprie dell’evidenza pubblica sono finalizzate “ad imporre l’osservanza nell’attività contrattuale di norme di comportamento proprie dell’imprenditore privato a soggetti operanti invece secondo logiche non di mercato, cui la nozione di organismo di diritto pubblico è strumentale” (cfr., tra le altre, Cons. St., Sez. V, 12 dicembre 2018, n. 7031).
Tre sono i requisiti dell’organismo di diritto pubblico ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. d) d.lgs. n. 50 del 2016 (che è in ciò conforme alla corrispondente disposizione comunitaria), cumulativamente richiesti: a) che sia istituto per soddisfare specifiche esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale (c.d. requisito teleologico); b) che sia dotato di personalità giuridica (c.d. requisito personalistico); c) che l’attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico oppure la gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi oppure l’organo d’amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico.
Nella controversia in trattazione per l’Istituto di Credito Sportivo si discute della sola sussistenza del requisito c.d. teleologico, escluso dall’appellata sentenza.
9.3. Partendo da quest’ultimo elemento, va premesso, in linea generale, che il requisito teleologico (o “funzionale”) è stato oggetto di approfondimenti esegetici della giurisprudenza, specie comunitaria, in quanto di non facile identificazione (cfr. Cons. Stato, V, 7 febbraio 2020, n. 964 e giurisprudenza ivi citata).
La giurisprudenza si è orientata nel senso di considerare la natura dei bisogni che le prestazioni o i servizi resi dall’ente sono diretti a soddisfare: ha così affermato che, affinché si possa dire diretta a soddisfare un bisogno avente carattere “non industriale o commerciale”, l’attività dell’ente deve rispondere a un interesse primario della collettività, come la salute, l’ambiente, la sicurezza e così via (cfr. Corte di Giustizia CE, 10 novembre 1998, nella causa C-360/96 BFI Holding; in particolare, al riguardo, è stato anche chiarito che si deve trattare di “quei bisogni che, da un lato, sono soddisfatti in modo diverso dall’offerta di beni o servizi sul mercato e al cui soddisfacimento, d’altro lato, per motivi connessi all’interesse generale, lo Stato preferisce provvedere direttamente o con riguardo ai quali intende mantenere un’influenza determinante”: cfr., tra le altre, Corte giust. Ue, 16 ottobre 2003, causa C-283/00, Commissione c. Regno di Spagna); ha inoltre precisato che non è esclusa la qualificazione di organismo di diritto pubblico dal fatto che l’ente offra prestazioni o servizi insieme a soggetti privati in un mercato concorrenziale: ma il regime concorrenziale del mercato è un forte indizio del fatto che esso, pur soddisfacendo bisogni collettivi, in realtà cerca specialmente di conseguire un proprio lucro.

 

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Altri indici, oltre al fatto che le prestazioni siano rese in un normale mercato concorrenziale, sono stati poi individuati, in particolare, nel perseguimento dello scopo di lucro e nell’assunzione del rischio imprenditoriale, nel senso di subire le perdite connesse all’esercizio dell’attività (cfr. Corte di Giustizia UE, V, 22 maggio 2003 in causa C-18/01 Taitotalo e, più recentemente, sez. IV, 5 ottobre 2017 in causa C-567/15 LitSpecMet).
In sostanza è stato dato rilievo a un approccio funzionale: dalle concrete modalità con cui si esplica l’attività dell’ente, come emergono da una serie di elementi significativi, si trae convincimento della rispondenza dell’azione a un interesse della collettività non industriale o commerciale (per le pronunce più recenti, cfr. Cass., SS.UU, 28 giugno 2019, n. 17567; Cass. SS.UU., 28 marzo 2019, n. 8673; Cons. Stato, V, 10 giugno 2019, n. 3884; Cons. Stato, V, 19 novembre 2019, n. 6534).
9.3.1. E’ stato così affermato che l’organismo di diritto pubblico svolge attività rivolta a un interesse generale ossia un’attività “necessaria affinché la pubblica amministrazione possa soddisfare le esigenze di interesse generale alle quali è chiamata” (v., da ultimo, Cass. civ., Sez. Un., 28 giugno 2019, n. 17567); mentre con specifico riguardo al carattere “non industriale o commerciale”, è necessario che il soggetto “si lasci guidare da considerazioni diverse da quelle economiche”, quand’anche parte della sua operatività sia svolta sul mercato (v., tra le altre, Cass. civ., Sez. Un., n. 17567/2019, cit.; Cons. St., Sez. V 12 dicembre 2018, n. 7031; Cons. Stato, V, 18 dicembre 2017, n. 5930), dal momento che l’ente, se pure svolge anche altre attività a scopo di lucro, continua comunque a farsi carico dei bisogni d’interesse generale che è specificamente obbligato a soddisfare.
In tale contesto, perché ricorra la figura dell’organismo di diritto pubblico si è detto che occorre che il soggetto non fondi la sua attività principale solo su criteri di rendimento, efficacia e redditività e che non assuma su di sé i rischi collegati allo svolgimento dell’attività (i quali devono ricadere sulla pubblica amministrazione controllante), e che il servizio d’interesse generale, oggetto dell’attività, non possa essere rifiutato per mere ragioni di convenienza economica (da ultimo, Cass. SS.UU., 28 marzo 2019, n. 8673; Cons. Stato, V, 19 novembre 2018, n. 6534).

 

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9.3.2. È soprattutto da rammentare che la giurisprudenza (cfr. Cons. Stato, V, 964/2020) ha evidenziato la necessità nell’attività interpretativa sul requisito teleologico di non discostarsi dal dato normativo.
Per l’art. 3, comma 1, lett. d) del Codice dei contratti pubblici, il requisito teologico è presente se l’organismo è “istituito per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale”: con l’evidenziare il dato dell’istituzione, unitariamente alle finalità, la disposizione pone anzitutto l’accento sulle ragioni istitutive del soggetto.
Ricorre pertanto il requisito teleologico se l’organismo è stato costituito da un soggetto pubblico appartenente al perimetro allargato della pubblica amministrazione, per dare esecuzione ad un servizio che è necessario perché è strettamente connesso alla finalità pubblica di quest’ultimo (cfr. Cass., SS.UU., 28 marzo 2019, n. 8673 sullo scopo per il quale è istituito l’ente e la natura essenziale del servizio rispetto alla realizzazione della funzione pubblica di carattere generale cui è istituzionalmente chiamato l’ente controllante; sebbene, poi, si dia carico di controllare anche le modalità di svolgimento dell’attività, secondo la richiamata ricostruzione degli indici presuntivi).
In tale prospettiva la caratterizzazione segnata dai compiti assegnati all’organismo, posti a base della sua istituzione, risulta per norma preminente sulle modalità con cui poi l’attività viene svolta. Infatti, “mentre i primi (i compiti, cioè) sono alla base della nuova modalità organizzativa scelta per perseguire finalità amministrative di interesse generale, dunque concretizzano un particolare modo di autoorganizzarsi della pubblica amministrazione in riferimento al perseguimento di finalità che comunque le appartengono, le seconde riflettono il modo di porsi dell’organismo in rapporto al mercato” (in tal senso Cons. Stato, V, n. 964/2020 cit. e più recentemente Cons. Stato, V, 10 maggio 2021, n. 3621); ne segue che le modalità con le quali l’attività viene svolta cedono rispetto ai compiti assegnati perché le prime: a) non sono espressamente citate dalle disposizioni, neppure quelle eurounitarie; b) sono in realtà inidonee a differenziare con chiarezza l’azione pubblica da quella di un operatore economico privato (la giurisprudenza nega che l’offerta di prestazione in un mercato concorrenziale aperto anche a private imprese escluda la qualificazione come organismo di diritto pubblico: cfr. in tal senso Cons. Stato, V, 12 febbraio 2018, n. 858); c) sono potenzialmente mutevoli nel tempo, perché non si può escludere che de facto un’attività originariamente non remunerativa lo divenga nel tempo; e viceversa, perda, per l’andamento dei mercati – il cui grado di concorrenzialità buon ben variare – tale effettiva capacità: sicché si tratta di un indicatore in realtà instabile perché soggetto a contingenti circostanze esterne, dunque non preciso e dirimente (così Cons. di Stato, sez. V, 964/2020 cit).

 

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9.4. Alla stregua di tali principi non può essere condivisa la sentenza di prime cure che ha ritenuto insussistente nella fattispecie il requisito teleologico.
Come già evidenziato “la circostanza che simili attività o eventi possano nel territorio essere organizzati anche da soggetti pienamente privati e per loro finalità nulla toglie alla caratterizzazione di cui si verte, una volta che questa è posta in collegamento con i profili strutturali e finanziari di cui tra breve si dirà. Detto carattere di quei soggetti e la ovvia conseguenza di una rispettiva “concorrenza” (concetto che postulerebbe competitori di mercato, finalizzati al lucro) non è certo idonea a escludere che quegli interessi stessi corrispondano all’interesse generale:
che è la ragione giustificatrice per cui enti pubblici, pur insieme a soggetti privati, hanno dato vita alla Fondazione medesima, e che giustifica l’altrimenti ingiustificabile concorso di questi medesimi enti pubblici e relativi impegni di spesa. In nulla ciò è scalfito dalla circostanza, del tutto normale, che simile attività sia liberamente svolta, per lucro o per diletto o per altruismo, anche da soggetti privati, nel qual caso è senz’altro libera attività. È radicalmente privo di fondamento, dunque, il contraddittorio assunto dell’appellante Fondazione che – pur costituita e incisivamente partecipata anche da enti locali e dunque avvalentesi di risorse pubbliche – pretenderebbe, grazie a questa veste formale, di autoestraniarsi dalle dovute regole di legge dell’evidenza pubblica, solo perché svolge dal proprio ben diverso lato attività che può corrispondere a un’altrui libera attività” (Cons. Stato, V, 12 febbraio 2018, n. 858; cfr. Cass. SS.UU. 8 febbraio 2006, n. 2637).
La qualificazione di un ente quale organismo di diritto pubblico deve fondarsi per un verso su un’interpretazione “funzionale” e per altro verso sulla sua essenza di “strumentalità” rispetto ad esigenze di interesse generale, necessarie affinché l’amministrazione partecipante possa esercitare la sua attività, a partire quindi dalla verifica dell’istituzione dell’ente per il soddisfacimento di siffatti bisogni (cfr. Corte di Giustizia dell’Unione Europea, Sezione IV, 5 ottobre 2017, n. C-567/155), così che deve ritenersi che l’Istituto di Credito sportivo sia un organismo di diritto pubblico.
9.5. Come evidenziato in fatto, l’IC. è un ente di diritto pubblico con gestione autonoma istituito con la legge n. 1295 del 24 dicembre 1957, operante nel settore del credito per lo sport e per le attività culturali, ed è soggetto alle disposizioni di cui al d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385.
Esso esercita l’attività bancaria, raccogliendo risparmio tra il pubblico ed esercitando il credito a favore di soggetti pubblici e privati che perseguano, anche indirettamente, finalità sportive, ricreative e di sviluppo dei beni e delle attività culturali.
In base allo Statuto per lo svolgimento di tale attività esso dispone principalmente di un “Capitale”, in cui sono confluiti il “Fondo di Dotazione” ex legge n.1295/57, il “Fondo di Garanzia” ex lege n.1295/57, conferito dal CONI, nonché il “Fondo Patrimoniale” ex lege 50/83 conferito dallo Stato. Il predetto capitale è suddiviso in quote del valore unitario pari a un euro ed è ripartito, tra gli attuali partecipanti, tra cui in larghissima parte Pubbliche amministrazioni, quali: il Ministero dell’Economia e delle Finanze (80,438%), Co. Se. S.p.A. (6,702%), Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. (2,214%), cui si aggiungono, con quote minimali, banche e compagnie assicuratrici.

 

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Esso è altresì preposto alla gestione, a titolo gratuito, di due “Fondi Speciali” (disciplinati dagli artt. 7-9 dello Statuto), di titolarità dello Stato. Si tratta, nello specifico, del: a) “Fondo speciale per la concessione di contributi in conto interessi sui finanziamenti per finalità sportive”, anche se accordati da altre banche e dalla Cassa Depositi e Prestiti S.p.A., alimentato con il versamento da parte dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli dell’aliquota di cui all’art. 5 del Regolamento del Ministro dell’Economia e delle Finanze del 19 giugno 2003, n. 17911; b) “Fondo di Garanzia ex lege n. 289/02”, previsto per “la fornitura di garanzia per i mutui relativi alla costruzione, all’ampliamento, all’attrezzatura, al miglioramento o all’acquisto di impianti sportivi, ivi compresa l’acquisizione delle relative aree, da parte di società o associazioni sportive, nonché di ogni altro soggetto pubblico e privato che persegua anche indirettamente finalità sportive”, la cui dotazione finanziaria, ai sensi dell’art. 90 della legge 27 dicembre 2002 (“Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato- Legge finanziaria 2003”), è costituita dall’importo annualmente acquisito dal Fondo speciale indicato sub a), nonché dai premi riservati al CONI a norma dell’articolo 6 del d.lgs. 14 aprile 1948, n. 496.
Il suo Statuto precisa altresì (nel rispetto delle diposizioni di cui al d.P.R. 27 ottobre 2011, n. 207 “Regolamento recante adeguamento della disciplina di organizzazione dell’Istituto per il credito sportivo”) che la sua struttura organizzativa è composta dai seguenti organi:
a) il Presidente del Consiglio di Amministrazione, nominato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri o dell’Autorità di Governo con la delega allo Sport, ove nominata, d’intesa con il Ministro ai Beni e alle Attività Culturali, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze;
b) il Consiglio di Amministrazione composto, oltre che dal Presidente, da un membro designato dalla Cassa Depositi e Prestiti S.p.A., sentito il Ministro dell’Economia e delle Finanze, un membro designato dalla Giunta Nazionale del CONI, due membri designati da tutti i partecipanti al capitale (da calcolarsi in base alla rispettiva quota di partecipazione);
c) il Comitato di Gestione dei Fondi Speciali, composto dal Presidente del Consiglio di Amministrazione e da due membri (diversi rispetto ai componenti del Consiglio di Amministrazione), di cui uno designato dal Presidente del Consiglio dei Ministri o dall’Autorità di Governo con la delega allo Sport, ove nominata, e uno designato dal Ministro dell’Economia e delle Finanze;
d) il Collegio dei Sindaci, composto da tre membri designati rispettivamente dal Ministro dell’Economia e delle Finanze, dalla Conferenza Unificata in rappresentanza delle Regioni e degli Enti locali, da tutti i partecipanti al capitale, sempre in base alla rispettiva quota di partecipazione;
e) il Direttore Generale, nominato dal Consiglio di Amministrazione.
L’art. 30 di detto Statuto prevede poi che l’attività dell’ente è sottoposta a verifica da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri ovvero dell’Autorità di Governo con la delega allo Sport, ove nominata, del Ministro dell’Economia e delle Finanze e, limitatamente agli interventi in materia di beni e attività culturali, del Ministro con la delega ai Beni e alle Attività Culturali. È inoltre previsto che il bilancio, con l’elenco dei finanziamenti annualmente concessi, sia trasmesso al Presidente del Consiglio dei Ministri o all’Autorità di Governo con la delega allo Sport, ove nominata.
9.6. Tanto precisato, alla luce degli elementi acquisiti agli atti, non è dubitabile l’ascrivibilità dell’IC. al novero degli “organismi di diritto pubblico” di cui all’art.3, comma 1, lettera d), del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 e la conseguente soggezione alla disciplina ivi prevista.
9.6.1. Fermo che non vi è necessità di verificare la sussistenza nel caso di specie del requisito personalistico e di quello dell’influenza pubblica dominante (in quanto ritenuti ricorrenti anche dall’appellata sentenza), che l’IC. sia ente dotato di personalità giuridica è stato espressamente chiarito sin dalla sua legge istitutiva (n.1295/57) che, all’art. 1, così disponeva “È istituito l’Istituto per il Cr. Sp., ente di diritto pubblico con personalità giuridica e gestione autonoma”; quanto all’influenza dominante essa sussiste alla luce di quanto su esposto in ordine alla compagine e alla struttura organizzativa dell’ente.
9.6.2. Neppure è dubitabile che l’IC. sia stato anche “istituito per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale” e che sussista perciò il c.d. “requisito teleologico” ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettera d), n.1 del Codice dei Contratti Pubblici.

 

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Anzitutto, in senso positivo, gli interessi che l’IC. persegue sono senz’altro “generali”, trattandosi di ente che opera istituzionalmente nel settore del credito per lo sport e per le attività culturali, perseguendo così scopi di pubblico interesse; inoltre l’attività istituzionalmente svolta (id est: l’esercizio del credito per lo sport e le attività culturali, inclusa la gestione dei “Fondi Speciali”), in considerazione delle esigenze generali che essa è volta a soddisfare e delle sue concrete modalità di esercizio, non riveste “carattere industriale o commerciale”.
9.6.3. A prescindere dall’orientamento giurisprudenziale che riconduce l’attività bancaria fra le “attività di interesse pubblico in senso lato”, che presentano una “connotazione di interesse generale”, rileva anzitutto che le attività al cui svolgimento l’IC. è istituzionalmente tenuto sono dettagliatamente e direttamente disciplinate dalla legge: in primis dalla sua legge istitutiva (la legge 24 dicembre 1957, n. 1295 “Costituzione di un Istituto per il credito sportivo con sede in Roma”, che all’art. 3 ha previsto che “L’Istituto esercita, sotto forma di mutui a medio e lungo termine, il credito a favore di enti pubblici locali e di altri enti pubblici che, in base a progetti approvati ai sensi di legge, sentito il parere tecnico del C.O.N.I. intendano costruire, ampliare, attrezzare e migliorare impianti sportivi”) e dalle successive modifiche e integrazioni recate dalle leggi 18 febbraio 1983, n. 50 e 24 dicembre 2003, n. 350); poi dal d.P.R. 20 ottobre 2000, n. 453 (recante il “Regolamento per il riordino” dell’IC. ex art. 157 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 122) e dal d.P.R 27 ottobre 2011, n. 207 (recante “Regolamento recante adeguamento della disciplina di organizzazione dell’Istituto di credito sportivo” ex art.6, comma 5, d.l. 31 maggio 2010, n. 78).
La legge disciplina insomma direttamente l’attività dell’ente, sottraendola all’autonomia privata dei suoi partecipanti, in quanto l’esercizio di tale attività costituisce servizio pubblico affidato ex lege all’Istituto; se ne deduce che l’essenzialità dei compiti svolti dall’Istituto del credito sportivo è tale che lo stesso legislatore ne ha disposto l’affidamento a un soggetto costituito ad hoc, che non può rinunciarvi, né modificarne le modalità di svolgimento con atti di autonomia privata, irrilevante essendo peraltro la natura degli atti con cui l’attività svolta può in concreto espletarsi: se anche infatti essi abbiano natura privatistica, permane comunque la qualificazione pubblicistica sottesa ai fini perseguiti con i medesimi, bastando ciò ad escludere la natura industriale o commerciale dell’attività svolta.
9.6.4. È innegabile dunque che l’Istituto di credito sportivo sia stato istituito per soddisfare esigenze “generali” di carattere non industriale o commerciale, nello specifico settore culturale e sportivo.
Ciò costituisce del resto, sotto altro concorrente profilo, attuazione dell’art. 9 della Costituzione (a mente del quale “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica”): la “promozione”, espressamente riferita alla “cultura” quale strumento di formazione, emancipazione e progresso, sottolinea l’impegno attivo dello Stato nella valorizzazione del settore in questione.
Quanto al fenomeno sportivo, sebbene nell’originario assetto costituzionale manchi un riferimento espresso e diretto allo stesso (sia come attività compiuta dal singolo, sia come complesso di individui ed enti)- attenendo l’unica previsione che espressamente richiama tale aspetto al sistema di ripartizione delle competenze legislative tra Stato e Regione, ridefinito in occasione della Riforma del Titolo V della parte seconda della Costituzione del 2001- ne è innegabile la rilevanza sociale, idonee a collocarne le esigenze ed i bisogni ad esso sottesi su un piano “generale” e “collettivo”.

 

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Il fenomeno sportivo d’altronde trova anch’esso tutela, pur in assenza di un riferimento esplicito, nella Costituzione (in particolare, negli artt.2, 3, 13, 18, 32, 33 e 34 Cost., nonché agli artt. 4 e 35 in ordine alla pratica sportiva professionistica), costituendo l’insegnamento e l’esercizio sportivo, in forma individuale (quale espressione della libertà personale sancita dall’art. 13 Cost.) ed organizzata (si pensi al c.d. “associazionismo sportivo”, che ha base nell’art. 18 Cost., inteso come libera e volontaria associazione di più persone che decidano di esercitare in forma organizzata l’attività sportiva) uno strumento di promozione umana e sociale, sicché risponde all’interesse pubblico agevolarne la diffusione, anche ciò determinando la “rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana”. L’esigenza dell’individuo di praticare attività sportiva (con la garantita accessibilità alle strutture e ai relativi impianti) può altresì rientrare a pieno titolo tra le situazioni giuridiche soggettive costituzionalmente garantite riconducibili alla tutela della salute ai sensi dell’art. 32 Cost., diritto fondamentale dell’individuo e interesse della collettività, per tale dovendosi intendere non solo l’assenza di malattia, ma anche lo stato globale di benessere psico-fisico. Infine, anche l’art. 4 Cost., nella misura in cui sancisce il diritto al lavoro e alla libera scelta di un’attività tesa al progresso materiale e spirituale della società, rinvia indirettamente alla pratica sportiva professionale.
La rilevanza sociale del fenomeno sportivo emerge poi incontestabilmente dall’esistenza di un “ordinamento giuridico sportivo”, inteso come “ordinamento giuridico settoriale”, provvisto di una propria autonomia e dotato dei caratteri della plurisoggettività, dell’organizzazione e della normazione (cfr. legge 17 ottobre 2003, n. 280, recante “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto – legge 19 agosto 2003, n. 220, recante disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva”).
L’esercizio della pratica sportiva (e la connessa accessibilità delle strutture impiantistiche) assolve di conseguenza ad un ruolo sostanziale in ambito sociale, rappresentando un innegabile strumento per la tutela della salute e miglioramento della qualità della vita, nonché di promozione dei valori sociali (quali la competizione leale, la cooperazione e la solidarietà), essenziali per lo sviluppo della personalità.
Anche nel contesto europeo è riconosciuto il valore sociale e formativo dello sport (cfr. Risoluzione del Parlamento europeo del 2 febbraio 2012 sulla dimensione europea dello sport il quale tratta il tema del ruolo sociale dello sport e dei suoi vantaggi sotto il profilo sociale, culturale, economico e della salute pubblica, quale “strumento per promuovere la pace, la crescita economica, il dialogo interculturale, la salute pubblica, l’integrazione”, affrontando, per quanto di interesse, anche il profilo dell’effettiva accessibilità alle strutture sportive al punto 9 ove si “sottolinea l’importanza di rendere accessibile lo sport a tutti i cittadini in diversi contesti, ad esempio a scuola, al lavoro, come attività ricreativa o tramite società sportive e associazioni”).
Infine, la c.d. “Carta Olimpica” approvata dal Comitato Internazionale Olimpico all’art. 1 afferma il principio in base al quale “la pratica dello sport è un diritto dell’uomo: ogni individuo deve avere la possibilità di praticare sport secondo le proprie esigenze”.
9.7. In secondo luogo va rimarcato come l’elemento fondante dell’organismo di diritto pubblico sia proprio quello della rilevanza generale degli interessi perseguiti dall’attività in concreto espletata, in rapporto ai quali, anche qualora la gestione sia produttiva di utili, non può venire meno una funzione amministrativa di controllo, da intendere come possibilità di “influenza dominante”, anche in termini di scelta maggioritaria degli amministratori, chiamati a perseguire determinati obiettivi di qualità del servizio.
Peraltro, neppure si può ritenere che l’attività dell’IC., pur astrattamente produttiva di utili, persegua finalità di lucro.
9.7.1. Al riguardo non è superfluo osservare che dagli utili netti annualmente realizzati da IC. “è prelevata una quota del 50% da destinare alla “Riserva ordinaria” e che “una ulteriore quota del 5% è destinata dal Consiglio di Amministrazione: (a) a Fondi di riserva straordinaria; (b) a un Fondo da destinare a finalità culturali e sociali, la cui consistenza massima non impegnata non può superare l’importo di E. 500.000,00 (cinquecentomila/00), secondo le modalità fissate dal Consiglio di Amministrazione”. Dunque, solo “la quota residua del 45% è assegnata ai Partecipanti al “Capitale” (o “Fondo di Dotazione”) come dividendo” (art. 28 dello Statuto).
Inoltre, come già evidenziato, tra le attività svolte da IC. è ricompresa la gestione e l’amministrazione dei c.d. “Fondi Speciali” di titolarità dello Stato, indicati agli artt. 8 e 9 dello Statuto, a cui l’Istituto provvede “a titolo gratuito” (art. 7 dello Statuto).
9.7.2. A ciò si aggiunga l’influenza dominante delle amministrazioni statali nella gestione dell’ente, come si evince: – dalla necessità di approvazione da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri dei conferimenti e dei trasferimenti di quote (art. 4 dello Statuto); – dall’affidamento della gestione dei “Fondi Speciali” ad un organo di nomina integralmente governativa (art. 16 dello Statuto); – dalla verifica delle finalità pubblicistiche dell’IC. affidata al Presidente del Consiglio dei Ministri al quale è, a tal fine, annualmente trasmesso il bilancio dell’ente con l’elenco dei finanziamenti concessi (art. 30 dello Statuto); – dalla necessità di approvazione delle modifiche statutarie da parte del Ministro per i beni e le attività culturali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze (legge 24 dicembre 2003, n. 350, art. 4, comma 14); – dalla nomina dei componenti del Consiglio di Amministrazione, del Collegio dei Sindaci e del Comitato di Gestione dell’IC., da effettuarsi con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri o dell’Autorità di Governo con la delega allo Sport, ove nominata, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze (artt. 13, 16 e 22, Statuto); – dall’emanazione, nei confronti dell’IC., di atti di indirizzo da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri, di concerto con il Ministero per i beni e le attività culturali.
9.7.3. La composizione del capitale dell’Istituto, i meccanismi di nomina dei suoi organi e le attività di “verifica ministeriale”, cui esso è sottoposto ai sensi dell’art. 30 dello Statuto, costituiscono sicuri indici della natura pubblicistica dell’attività volta alla realizzazione di esigenze collettive di interesse generale, affidata per volontà di legge all’Istituto appellato: si tratta nella specie di un’attività (bancaria e creditizia) di interesse pubblico rivolta a soggetti operanti in un settore specifico, quale quello dello sport e delle attività culturali, e destinata così a soddisfare bisogni ed esigenze di rilevanza “generale” con riguardo ai quali lo Stato intende mantenere un’influenza determinante. Ciò è alla base del diffuso intervento dei poteri pubblici nell’attività gestionale, come emerge dalla composizione degli organi di amministrazione, oltre che dalla peculiare gestione dei Fondi speciali, riferiti allo Stato. Tali aspetti pongono l’Istituto al di fuori dei meccanismi concorrenziali del settore creditizio, facendo propendere per la qualifica di organismo di diritto pubblico (cfr. nota ANAC del 30 luglio 2009, AG 20/09, citata nell’appello).
In altri termini, il settore specifico cui istituzionalmente l’Istituto è preposto sin dalla sua costituzione impedisce di assimilarlo agli altri istituti di credito operanti sul territorio nazionale, poiché esso non svolge mera ed ordinaria attività bancaria e creditizia, bensì attività “strumentale” e “funzionale” alla realizzazione di bisogni di interesse generale della collettività, mediante interventi di sostegno economico-finanziario preordinati alla diffusione e promozione dello sport e della cultura.
9.7.4. In tale ottica anche la disciplina della gestione dei Fondi “speciali” convince ulteriormente sulla ascrivibilità di IC. alla categoria degli organismi di diritto pubblico.
Sebbene infatti, come previsto dall’Adunanza della Commissione speciale del Consiglio di Stato 25 settembre 2018 n. 2427, richiamata anche dall’appellata sentenza, non può identificarsi un ente quale organismo di diritto “solo limitatamente all’uso dei fondi di provenienza pubblica e per la spendita di tali fondi”, nondimeno l’utilizzo da parte di IC. dei Fondi Speciali, unitamente agli altri elementi su indicati, non può essere ritenuto irrilevante ai fini della sua qualificazione quale organismo di diritto pubblico: tale elemento consente infatti di escludere l’assunzione del rischio d’impresa proprio dell’azienda bancaria con riferimento all’attività creditizia svolta dall’Istituto.
In particolare, l’art. 7 della legge n. 86 dell’8 agosto 2019 ha affidato al Governo la delega per l’adozione delle norme di riordino del settore sportivo, da esercitarsi sulla base di più “principi e criteri direttivi” (così l’incipit del comma 2), fra cui la “individuazione di strumenti economico-finanziari da affidare alla gestione e al coordinamento dell’istituto per il Credito Sportivo” (così la lett. g) della disposizione citata).
Il previgente Statuto di IC. individuava poi all’art. 3 (rubricato “Patrimonio dell’Istituto e Fondi Apportati da Terzi”) l’esistenza di due “Fondi Apportati”, equiparabili a riserve disponibili di patrimonio netto: si trattava del “Fondo di garanzia – Coni” (comma 3) conferito da Co. Se. s.p.a. (ai sensi dell’art. 5, comma 1, della legge n. 1295/1957) e del “Fondo ex l. 50/83 (…) apportato dallo Stato” (comma 4).
Col nuovo assetto, prodottosi con l’approvazione dello Statuto vigente (approvato con D.M. 24 gennaio 2014, pubblicato sulla G.U. (S.O.) 19 aprile 2014, n. 92), vi è stata la capitalizzazione dei due fondi pubblici apportati da terzi (art. 2, comma 2 dello Statuto) e, a fronte dell’iscrizione dei fondi nel capitale, il Ministero dell’Economia e delle Finanze (in precedenza non presente direttamente nel capitale di IC.) ha acquisito azioni pari all’80,438 per cento del capitale dell’Istituto.
La riallocazione a capitale dei Fondi, così utilizzabili per la copertura delle perdite, consentono senz’altro ad IC. di beneficiare di un elemento di un ulteriore (e peculiare) elemento di stabilità patrimoniale, rispetto alle altre imprese del settore bancario e creditizio: l’Istituto fa fronte, infatti, al rischio imprenditoriale grazie al supporto finanziario dello Stato costituito dai detti Fondi, integrante un flusso contributivo pubblico che esclude il rischio di impresa.
Inoltre, IC. può ricorrere ai due fondi di provenienza istituzionale, definiti “speciali” dallo Statuto (i menzionati “Fondo speciale per la concessione di contributi in conto interessi sui finanziamenti per finalità sportive” di cui all’art. 8 dello Statuto di IC. e il “Fondo di Garanzia ex lege n. 289/02” di cui al successivo art. 9).
In particolare, il Fondo di Garanzia, disposto dall’art. 90, comma 12, della legge n. 289/2002, è di stretta pertinenza dell’Istituto, non essendo previsto l’accesso ad esso in relazione a mutui concessi da altre banche: il comma 13 del citato art. 90 della legge n. 289/2002 prevede che il fondo presta “garanzia con molte operazioni frazionate di importo contenuto, durata limitata e supporto del Fondo di Garanzia, per sostenere gli investimenti di attrezzature sportive e piccoli lavori edili”.
In definitiva, la stessa struttura operativa ed economico-finanziaria dell’Istituto ne dimostra l’estraneità al rischio di impresa (come emerge dal bilancio di IC. del 2019, dal quale si traggono elementi a conferma della rilevanza che i Fondi speciali hanno per la sostenibilità della sua attività, ricavandosi dal medesimo che due delle quattro “direttrici” della “strategia creditizia” di IC. fanno perno su tale fondo (nel 2019 pari a 59,3 euro/ml.; v. pag. 160 del Bilancio) ed inoltre che l’accesso ai fondi speciali avviene anche in relazione allo sviluppo del settore culturale).
Sotto altro concorrente profilo giova evidenziare come l’art. 9 dello Statuto di IC. (dedicato al Fondo di Garanzia), a differenza di quanto previsto dall’art. 8 del medesimo afferente il Fondo Speciale, non facoltizza comunque le imprese del settore bancario ad attingere a tale Fondo, in piena coerenza con i commi 12 e ss. dell’art. 90 della legge n. 289/2002 che ne disciplinano l’accesso. Pertanto, in assenza di concreti elementi di segno contrario, deve ritenersi che il ricorso ai detti Fondi speciali (in particolare il Fondo di Garanzia) da parte di altri istituti di credito sia rimasta mera asserzione, sfornita di ogni supporto probatorio, anche solo a livello indiziario.
9.7.5. In conclusione l’attività di raccolta del risparmio e di esercizio del credito, istituzionalmente svolta dall’Istituto per il Credito sportivo e ad esso affidato per volontà di legge, rientra pacificamente tra le attività “di interesse generale” di cui all’art.3, comma 1, lettera d), n.1), D.lgs. n.58/98. A questo proposito, come già statuito dal Consiglio di Stato (Cons. Stato, V, n. 964/2020 cit.), “non può non essere ricordato che, secondo un principio cardine della costituzione economica, “la Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme” (art. 47 Cost.) e che questo enunciato fa della salvaguardia del risparmio una funzione pubblica di rilevanza costituzionale: dunque un compito di cui – quando è anche operativamente svolto da una pubblica amministrazione o da una sua articolazione – resta innegabile e pregnante il carattere pubblicistico”.
Tale è, con tutta evidenza, anche il caso di IC., partecipato per quota maggioritaria dal Ministero dell’Economia e della Finanza, la cui attività bancaria è svolta in effetti in funzione della promozione delle attività sportive e culturali e con modalità strumentali alla realizzazione di interessi generali della collettività. Non a caso, del resto, lo stesso Statuto di IC. qualifica espressamente come “pubblicistiche” le finalità perseguite da quest’ultimo (art.30).
Tanto spiega e giustifica il concorso dei su indicati enti pubblici e i relativi impegni di spesa (che altrimenti integrerebbero aiuti di stato vietati dalla normativa europea: cfr. in particolare articoli 107 e 108 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea): ed infatti l’Istituto, a suo tempo costituito dallo Stato (con la menzionata legge istitutiva n. 1295/1957), è ora – a seguito dell’approvazione del nuovo assetto statutario del 2014- partecipato per oltre l’80 per cento del capitale dal Ministero dell’Economia e delle Finanze (oltre, a seguire, dal Co. Se. s.p.a. e da Cassa Depositi e Prestiti S.p.A). Inoltre, le funzioni che l’IC. è istituzionalmente tenuto a svolgere sono senz’altro di interesse pubblico, siccome afferenti ad esigenze primarie della collettività (quali la promozione e la tutela del risparmio, il finanziamento alle imprese e la promozione delle attività sportive e culturali), strettamente connesse alle corrispondenti funzioni pubblicistiche realizzate nei medesimi ambiti settoriali, direttamente e talora indirettamente, dai soci ed enti pubblici partecipanti, certamente soggetti alla disciplina di cui al d.lgs. n.50/2016.
Ne segue che l’Istituto è senz’altro compartecipe nell’esercizio di funzioni pubbliche necessarie, volte al perseguimento di interessi generali ed il cui esercizio istituzionalmente spetta alle pubbliche amministrazioni e agli enti pubblici partecipanti; difatti IC., ente la cui istituzione e funzionamento sono disciplinate per legge, non può rinunciare alle funzioni a esso affidate né modificarne le modalità di svolgimento con atti di autonomia privata; dal che la conferma che le funzioni trascendono la mera attività bancaria e creditizia, non esaurendosi nel suo oggetto tipicamente imprenditoriale. Ciò è conseguenza del fatto che l’IC., essendo per legge tenuto a operare nel peculiare settore del credito per lo sport e per le attività culturali, persegue scopi istituzionali che nascono, sono e restano di pubblico interesse, costituendo perciò una sorta di ente esponenziale di un “interesse collettivo”.
9.7.6. Sotto ulteriore profilo che l’attività svolta da IC. implichi assunzione del rischio di impresa è da escludere per via dell’esistenza di relazioni finanziarie con l’ente pubblico che assicurano, secondo diverse modalità, la dazione di risorse in grado di consentire la permanenza sul mercato dell’organismo. L’esistenza di un sostegno finanziario pubblico è infatti un elemento dirimente per attribuire la qualifica di organismo di diritto pubblico (se maggioritario lo stesso integra il requisito della sottoposizione ad influenza pubblica dominante, previsto dall’art. 3, comma 1, lett. d), n. 3), del codice dei contratti pubblici). Esso è infatti incompatibile con il rischio di mercato tipico dell’imprenditore ed in questa mancanza risiede la ragione fondante l’applicazione in via autoritativa degli schemi di azione dell’evidenza pubblica nell’attività di affidamento di contratti, a corollario dell’attribuzione della qualifica di organismo di diritto pubblico.
Emerge in definitiva indiscutibilmente che IC. goda di un sostegno finanziario pubblico: infatti, il Capitale dell’Istituto è costituito, per circa il 90 per cento, da partecipazioni pubbliche e/o di organismi di diritto pubblico (Statuto, art. 3); il 55 per cento degli utili è destinato, secondo quanto espressamente previsto dallo Statuto, alle attività dell’Istituto stesso; tutti gli utili sono obbligatoriamente destinati al ripianamento delle eventuali perdite (art. 29 Statuto), il che garantisce sul piano normativo la solvibilità e la solidità dell’Ente.
Non a caso, in altro precedente giurisprudenziale dai cui principi non vi è ragione qui di discostarsi, proprio la maggioranza della partecipazione pubblica e l’obbligata destinazione delle eccedenze attive al patrimonio di dotazione, a riserve statutarie vincolate agli scopi dell’ente o a copertura di eventuali perdite sono stati considerati quali indicatori della natura di organismo di diritto pubblico dell’Ente (Consiglio di Stato, 9 aprile 2020, n. 2335 sulla natura dell’Ente autonomo Fiere di Foggia).
Il settore di operatività dell’Istituto non è allora un “mercato aperto alla concorrenza”, considerato anche che IC. è l’unico reale operatore del segmento di mercato in questione attese le sue peculiarità (anche sotto il profilo delle condizioni di accesso al credito all’impiantisca sportiva).
10. Le difese delle parti appellate non riescono a scalfire le argomentazioni svolte.
L’Istituto infatti richiama attività decisamente ordinarie, proprie di ogni concessione del credito, che possono, a tutto voler concedere, assumere tratto peculiare solo perché svolte da IC..
Non ha base inoltre il tentativo di svalutare l’art. 7 della legge n. 86/2019, a “disposizione generica” e “inattuata”: con essa il legislatore ha inteso fornire una definitiva e chiara indicazione di programma, utile al contempo a razionalizzare il sistema della contribuzione pubblica destinata al suo principale strumento di intervento nel settore sportivo.
Anche le argomentazioni riferite alla possibilità per l’Istituto di essere posto in liquidazione (una volta intaccati i requisiti minimi di capitalizzazione) come pure all’estraneità dei Fondi speciali al patrimonio dell’Istituto, costituendo essi un patrimonio separato la cui gestione affidata ad un apposito comitato in posizione di terzietà rispetto all’Istituto, pur suggestive, non fanno venir meno la fondatezza della tesi dell’appellante in ordine all’inquadramento dell’ente.
11. Peraltro le osservazioni svolte ed i richiami alla giurisprudenza eurounitaria escludono la necessità del prospettato rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE in ragione del fatto che, alla luce delle considerazioni che precedono, l’attribuzione della qualifica di organismo di diritto pubblico non discende certamente, di per sé, dalla mera natura pubblicistica dell’ente riconosciuta per legge, ma, con tutta evidenza, dalla sussistenza cumulativa dei tre requisiti di cui all’art. 3, comma 1, lett. d) del Codice dei contratti pubblici.
Da ultimo avvalora la tesi della natura di organismo di diritto pubblico di IC. il d.P.C.M. 28 maggio 2020, il cui art. 1, lett c) ha confermato l’attribuzione ad una delle Strutture Generali della Presidenza (Dipartimento per lo Sport) dei “compiti di verifica delle finalità pubblicistiche e di indirizzo” sull’Istituto.
12. La delineata configurabilità dell’Istituto come organismo di diritto pubblico è sufficiente a dichiarare la spettanza alla giurisdizione amministrativa della presente controversia, con assorbimento di qualsiasi altro motivo di censura.
13. Ne segue che, in accoglimento dell’appello, la sentenza di prime cure va annullata con rinvio al primo giudice, sussistendo nel caso di specie la giurisdizione del giudice amministrativo, in ragione della natura di organismo di diritto pubblico dell’Istituto di Credito sportivo, tenuto come tale ad applicare il Codice dei contratti pubblici. La rimessione al primo giudice riguarda anche le istanze istruttorie e la domanda incidentale di ostensione ex art. 116 Cod. proc. amm.
La chiusura in rito della controversia nonché la complessità e particolarità delle questioni trattate giustificano la compensazione delle spese di lite tra le parti in causa.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla con rinvio ai sensi dell’art. 105, comma 1, Cod. proc. amm. la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sez. I quater, 20 maggio 2020, n. 5336.
Compensa tra tutte le parti le spese del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso nella camera di consiglio del giorno 4 marzo 2021, tenuta da remoto secondo quanto stabilito dall’art. 25, comma 1, del d.l. 18 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, e dell’art. 1, comma 17, come modificato dall’art. 1, comma 17, del d.l. 31 dicembre 2020, n. 183, convertito con modificazioni dalla l. 26 febbraio 2021, n. 21, con l’intervento dei magistrati:
Carlo Saltelli – Presidente
Federico Di Matteo – Consigliere
Angela Rotondano – Consigliere, Estensore
Giovanni Grasso – Consigliere
Elena Quadri – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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