Istituto della rimessione in termini

Corte di Cassazione, sezione seconda civile, ordinanza 17 maggio 2019, n.13455.

La massima estrapolata:

L’istituto della rimessione in termini, previsto dall’art. 153 c.p.c., comma 2, come novellato dalla L. n. 69 del 2009, il quale opera anche con riguardo al termine per proporre impugnazione, richiede la dimostrazione che la decadenza sia stata determinata da una causa non imputabile alla parte, perché cagionata da un fattore estraneo alla sua volontà, che presenti i caratteri dell’assolutezza e non della mera difficoltà.

Ordinanza 17 maggio 2019, n.13455

Ritenuto in fatto

La Corte di appello di Torino, con sentenza del 14 settembre 2017, pubblicata il 2 ottobre 2017, ha dichiarato inammissibile l’appello proposto avverso l’ordinanza d Tribunale di Torino del 20 settembre 2016, che aveva respinto il ricorso presentato da B.A. , cittadino senegalese, contro il provvedimento della Commissione territoriale di diniego della richiesta di protezione internazionale, sub specie di riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione sussidiaria, e, in subordine, di protezione umanitaria, perché proposto, il 20 dicembre 2016, ben oltre il termine perentorio di trenta giorni dalla comunicazione dell’ordinanza, avvenuta il 28 settembre 2016.
A motivo della decisione la Corte territoriale ha rilevato come non ricorressero i presupposti per l’applicazione dell’istituto della rimessione in termini, di cui al combinato disposto dell’art. 153 c.p.c., comma 2, e art. 294 c.p.c., perché le circostanze allegate dall’appellante, indicate come impeditive della possibilità di rispettare il termine d’impugnazione – segnatamente il trasferimento in altra struttura di accoglienza per stranieri e la sostituzione, all’interno di quest’ultima, del personale addetto alla cura dell’assistenza legale degli ospiti – non potevano essere sussunte nel fatto non imputabile alla parte, posto che questa, in virtù del rapporto fiduciario con il difensore che l’aveva patrocinato nel giudizio di primo grado, avrebbe dovuto diligentemente informarsi sulle forme e sui termini per difendersi in giudizio a tutela dei propri diritti e coltivare personalmente il detto rapporto.
2. Il ricorso per cassazione è affidato ad un solo motivo, che denuncia:
– ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il vizio di violazione di legge, in relazione agli artt. 153 e 294 c.p.c., sul rilievo che la retta interpretazione delle norme disciplinanti l’istituto della rimessione nel termine non avrebbe potuto prescindere, onde assicurare l’effettività della tutela dei diritti, da alcuni fatti decisivi relativi alla peculiare situazione dello straniero che adisca la giustizia: in particolare dal contesto nel quale egli si trovi inserito, in cui l’assistenza legale di cui necessita è curata da personale dei centro di accoglienza dotato di specifiche competenze, e dalla mancanza di conoscenza della lingua italiana, come fattore impeditivo della possibilità di attivarsi personalmente e diligentemente onde promuovere e seguire l’iter della difesa dei propri diritti; nondimeno il silenzio serbato dal giudice censurato in ordine alla richiesta di audizione dell’appellante al fine di chiarire il proprio incolpevole ritardo nel proporre impugnazione era tale da integrare una ulteriore violazione di legge sotto il profilo dell’omessa motivazione.
3. L’intimato Ministero dell’Interno non si è costituito in giudizio.
4. Il Procuratore Generale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso

Ragioni della decisione

ricorso è manifestamente infondato.
i. Le Sezioni Unite di questa Corte, con sentenza n. 32725 del 18/12/2018, Rv. 652074 – 01 e con sentenza n. 4135 del 12/02/2019, Rv. 652852 – 03, hanno chiarito che l’istituto della rimessione in termini, previsto dall’art. 153 c.p.c., comma 2, come novellato dalla L. n. 69 del 2009, il quale opera anche con riguardo al termine per proporre impugnazione, richiede la dimostrazione che la decadenza sia stata determinata da una causa non imputabile alla parte, perché cagionata da un fattore estraneo alla sua volontà, che presenti i caratteri dell’assolutezza e non della mera difficoltà.
Alla stregua di tali autorevoli enunciazioni direttive va riconosciuta la correttezza delle conclusioni cui è pervenuta la Corte territoriale ritenendo che, ai fini della remissione in termini per la presentazione dei motivi di impugnazione, non costituisse causa di forza maggiore l’allegato disservizio, verificatosi per sostituzioni del personale della struttura nella quale lo straniero – parte nella causa intentata per il riconoscimento del diritto alla protezione internazionale e alla protezione umanitaria – si trovava ospitato, alla quale il difensore di fiducia del richiedente aveva tempestivamente comunicato la decisione del Tribunale soggetta ad impugnazione, giacché sullo straniero stesso, legato al proprio difensore da un rapporto di mandato fiduciario, di contro inesistente con il personale della struttura, incombeva l’onere di assicurarsi che l’incarico defensionale in precedenza conferito fosse portato a termine regolarmente.
Invero, le circostanze indicate come concretamente impeditive del rispetto della perentorietà del termine di impugnazione, attinenti al contesto esistenziale dello straniero richiedente protezione internazionale e alla mancanza di conoscenza della lingua italiana, non integrano il requisito dell’assolutezza del fattore estraneo alla volontà della parte, come tale connotato in senso marcatamente oggettivo, cioè indipendente da comportamenti del soggetto interessato, ma sono riconducibili al concetto di difficoltà nell’esercizio dei diritti processuali del richiedente, che, per quanto consistenti, erano, comunque, superabili con la diligenza e la prudenza imposte, secondo i principi generali dell’ordinamento, a chiunque intenda esercitare un diritto, concretizzantesi, nella specie, nell’obbligo di informarsi tempestivamente presso il difensore, precedentemente nominato senza l’intermediazione della struttura ospitante, dell’esito della propria domanda. Ne viene allora che le dedotte circostanze non possono essere ulteriormente considerate nel presente giudizio di legittimità, traducendosi i relativi rilievi articolati in ricorso in un’inammissibile petizione di rinnovato apprezzamento di evidenze fattuali plausibilmente valutate dal giudice di merito.
2. Per tutto quanto esposto, il ricorso va Rigettato. Nulla è dovuto a titolo di spese, non avendo l’intimato svolto alcuna attività difensiva. Ricorrono i presupposti per l’applicazione del doppio contributo di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, non essendo stato il ricorrente ammesso al patrocinio a spese dello Stato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.
Ricorrono i presupposti per l’applicazione del doppio contributo di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

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