L’istituto della revisione prezzi

Consiglio di Stato, Sezione seconda, Sentenza 6 maggio 2020, n. 2860.

La massima estrapolata:

L’istituto della revisione prezzi si atteggia secondo un modello procedimentale volto al compimento di un’attività di preventiva verifica dei presupposti necessari per il riconoscimento del compenso revisionale, modello che sottende l’esercizio di un potere autoritativo tecnico-discrezionale dell’amministrazione nei confronti del privato contraente, potendo quest’ultimo collocarsi su un piano di equiordinazione con l’amministrazione solo con riguardo a questioni involgenti l’entità della pretesa.

Sentenza 6 maggio 2020, n. 2860

Data udienza 28 aprile 2020

Tag – parola chiave: Contratti della PA – Contratti ad esecuzione periodica – Corrispettivo – Revisione dei prezzi – Procedimento – Natura dell’istituto – Art. 6 della legge 537/1994 – Applicazione

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2378 del 2011, proposto dal Co. It. Co. La. Au. del Tr. So. Co. (CI.), in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avv.ti Lo. Ma. Ag. e Le. Za., elettivamente domiciliata presso l’avv. Gu. Fi., in Roma alla Piazza (…)
contro
Comune di Firenze, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli avv.ti An. Sa., De. Pa. e Ma. At. Lo. ed elettivamente domiciliato presso quest’ultima, in Roma, alla Via (…)
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana Sezione Prima 16 dicembre 2010 n. 6765, resa tra le parti in esito al ricorso N.R.G. 717 del 2010, limitatamente alla parte in cui ha respinto la domanda di revisione prezzi per gli anni 2002-2007, e con salvezza della parte in cui ha accolto la stessa domanda per l’anno 2008.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Firenze;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 28 aprile 2020, tenuta ai sensi dell’art. 84, commi 5 e 6, del decreto legge 17 marzo 2020, n. 18, il Cons. Roberto Politi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Con contratto e capitolato entrambi approvati con deliberazione consiliare n. 1291 del 13 dicembre 2001, il Comune di Firenze ha affidato all’appellante CI. il servizio di controllo e informativo sul patrimonio arboreo.
Tale affidamento, in origine previsto per il periodo 1° gennaio 2002 – 31 dicembre 2006, è stato consensualmente prolungato dapprima fino al 31 dicembre 2008; e, quindi, ulteriormente, nelle more dell’espletamento della nuova procedura di gara aggiudicata alla stessa CI..
Con lettera del 27 maggio 2009, l’appellante chiedeva di effettuare la revisione prezzi per il periodo 2002-2008, quantificando il relativo importo in Euro -OMISSIS-.
Con nota prot. n. 1308/AG028 in data 18 febbraio 2010, l’Amministrazione comunale ha rigettato l’istanza, in quanto le pattuizioni tra le parti non richiamavano l’istituto della revisione prezzi.
2. Con ricorso N.R.G. 717 del 2010, proposto innanzi al T.A.R. della Toscana, CI. chiedeva il riconoscimento della revisione prezzi per le prestazioni effettuate fra il 2002 ed il 2008.
3. L’adito Tribunale ha accolto il gravame, limitatamente alla domanda di revisione prezzi per l’anno 2008; ritenendo, invece insussistenti i presupposti per il riconoscimento della pretesa di CI., relativamente agli anni 2002-2007.
4. Avverso tale pronuncia, quest’ultima ha interposto appello, notificato il 16 marzo 2011 e depositato il successivo 29 marzo.
Premessa la sussistenza, in capo al giudice amministrativo, della cognizione giurisdizionale quanto alle controversie in materia di revisione prezzi, l’appellante ha dedotto i seguenti argomenti di gravame:
4.1) Illegittimità del provvedimento di diniego, e spettanza della revisione prezzi, a norma dell’art. 6 della legge 537/1994, come novellato dall’art. 44 della legge 724/1994, nonché dell’art. 115 del D.Lgs. 163/2006.
Nell’osservare come l’applicazione della normativa di cui in epigrafe comporti la nullità delle clausole contrattuali difformi dalla previsione legale di revisione prezzi e l’inserzione automatica di quest’ultima nel testo delle pattuizioni, rileva CI. come l’Amministrazione abbia addotto, quale unico e solo motivo di rigetto dell’istanza di revisione prezzi, la mancanza di apposita indicazione nelle pattuizioni inter partes, laddove il legislatore e la giurisprudenza sono concordi nell’affermare che la revisione prezzi va effettuata non soltanto ancorché non prevista espressamente, ma addirittura in presenza di prescrizioni che esplicitamente la escludano.
Nel rammentare di aver quantificato l’ammontare del credito al titolo di cui sopra vantato nei confronti dell’Amministrazione in Euro -OMISSIS-, precisa la parte di essere pervenuta alla individuazione di tale importo mediante applicazione degli indici ISTAT relativi ai consumi delle famiglie di operai ed impiegati, in ossequio alle vigenti disposizioni in materia.
4.2) Error in judicando della sentenza appellata: nullità della costituzione in giudizio dell’Ente
Sul punto, CI. rileva che:
– nella memoria dal Comune depositata il 14 maggio 2010, manca la procura; e le firme del Sindaco e dei difensori sono sì contigue, ma sprovviste di una ancorché succinta dichiarazione di autentica;
– l’autorizzazione a stare in giudizio risulta da una mera determinazione dirigenziale, laddove avrebbe dovuto essere concretizzata tramite deliberazione di Giunta Comunale, a norma del D.Lgs. 267/2000.
4.3) Error in judicando della sentenza appellata: inammissibilità dell’integrazione in giudizio della motivazione
Alle pagine 5-6 della sentenza impugnata, è dato evincere che l’Amministrazione ha mutato la propria linea tra la fase ante causam (in cui veniva eccepita soltanto la mancanza, nel contratto di appalto, di clausole sulla revisione prezzi) e le difese svolte in corso di causa (nelle quali, invece, viene argomentato che la revisione prezzi sarebbe esclusa dalle pattuizioni in sede di rinnovo e/o di proroga).
Nell’osservare come il giudice di prime cure abbia, sul punto, rilevato che le pretese di CI. “attengono a diritti soggettivi e non ad interessi legittimi, per cui non può farsi questione di integrazione motivazionale”, parte appellante sostiene che la posizione fatta in proposito valere abbia consistenza di interesse legittimo (quanto all’an) e di diritto soggettivo per ciò che concerne il quantum.
Dal momento che, nel caso di specie, l’Amministrazione ha contestato sempre e soltanto l’an (senza alcuna considerazione del quantum), verrebbero allora in considerazione le “ordinarie” regole riguardanti il giudizio sull’atto, e non sul rapporto: le quali, notoriamente, precludono l’integrazione della motivazione in corso di giudizio.
4.4) Error in judicando della sentenza appellata: travisamento dei presupposti e/o insufficienza dell’istruttoria.
Nel valorizzare la sola circostanza relativa alla sottoscrizione di un secondo e un terzo capitolato (senza, peraltro, verificarne i contenuti), il T.A.R. Toscana avrebbe trascurato di considerare che tali ultimi due capitolati hanno visto la partecipazione non già di CI., ma di CI. Sa. Ma.: in violazione delle norme sui consorzi – con personalità giuridica – tra cooperative, secondo cui il rapporto giuridico-contrattuale si instaura tra l’Amministrazione e il Consorzio, e non tra l’Amministrazione e il consorziato preposto all’esecuzione.
4.5) Error in judicando della sentenza appellata: in particolare, erroneità del rigetto della domanda per gli anni 2002-2006.
Alle pagine 7-8 della sentenza impugnata, la reiezione della domanda revisionale per gli anni 2002-2006 viene così motivato:
– CI. non avrebbe chiesto la revisione prezzi in occasione della rimodulazione del rapporto negoziale del 2003 e della firma del secondo capitolato nel 2004;
– gli importi relativi al periodo in esame risulterebbero in aumento, con una differenza del 13%, tra il 2002 e il 2006, e quindi avrebbero già computato la revisione prezzi.
A detta dell’appellante, il giudice di prime cure avrebbe trascurato che la rimodulazione occorsa nel 2003 non ha concretizzato una rinegoziazione tra le parti (e, tantomeno, una diminuzione delle prestazioni: le quali, al contrario, sono state ridefinite in aumento, prevedendosi la compilazione anche delle schede con metodologia V.t.a.).
Lo stesso T.A.R., inoltre, avrebbe considerato il solo corrispettivo a carico del Comune; e non anche il contributo a carico di altri Enti (ossia il totale ricavi, per il quale le differenze tra 2002 e 2006 sono minime e, comunque, ben lontane dal 13% e, vieppiù, dall’indice F.o.i. di ISTAT).
Nell’osservare come il rigetto della domanda per l’anno 2007 sia stato motivato nell’appellata sentenza:
– in quanto CI. non avrebbe chiesto la revisione prezzi in occasione della proroga 2006 e della firma del terzo capitolato nel 2007;
– ed in considerazione del fatto che tale proroga avrebbe comportato un nuovo rapporto, con la conseguenza che la revisione prezzi risulterebbe configurabile non anche per il primo anno ma solo per il secondo anno;
contesta l’appellante che la mera proroga equivalga a rinegoziazione del rapporto; e. quindi assorba, la revisione prezzi.
5. Conclude, pertanto, CI. per l’accoglimento dell’appello; e, in riforma della sentenza impugnata, del ricorso di primo grado, con conseguente:
– annullamento degli atti impugnati, di cui in epigrafe;
– accertamento del diritto alla revisione prezzi, con condanna dell’Amministrazione al pagamento della corrispondente somma (per un importo di Euro -OMISSIS-), o, subordinatamente, per il minor importo che venga ritenuto di giustizia, con maggiorazione per interessi moratori ex D.Lgs. 231/2002 (o, subordinatamente, ex art. 1284 c.c.) dalla richiesta al soddisfo, nonché con maggiorazione per interessi anatocistici dalla domanda giudiziale al soddisfo.
6. In data 26 aprile 2011, l’Amministrazione appellata si è costituita in giudizio.
7. In vista della trattazione nel merito del ricorso, quest’ultima ha depositato in atti documentazione, comprendente, fra l’altro, un accordo transattivo stipulato inter partes, relativamente alla richiesta di revisione prezzi dal CI. avanzata per il periodo 1° luglio 2010 – 31 dicembre 2013.
8. L’appello viene trattenuto per la decisione alla pubblica udienza telematica del 28 aprile

2020.

DIRITTO

1. La delibazione del proposto appello impone una previa ricognizione delle vicende che hanno caratterizzato, per il periodo rilevante ai fini del decidere, i rapporti intercorsi fra CI. ed il Comune di Firenze.
La vicenda che ne occupa, muove dal deliberato consiliare n. 1291 del 20 dicembre 2001, con il quale quest’ultimo ha approvato, ai sensi dell’art. 10, comma 3, del D.Lgs. 468 del 1997, un progetto per l’inserimento di 18 L.S.U. (lavoratori socialmente utili), avente ad oggetto il “Servizio ispettivo ed informativo per il patrimonio arboreo del Comune di Firenze”, disponendone l’affidamento, per la durata di anni cinque, eventualmente rinnovabili, in favore del Consorzio CI..
Il relativo corrispettivo veniva quantificato in misura crescente di anno in anno, in funzione sia delle spese di investimento, sia dei costi di personale; di tal guisa che, fronte di un costo per l’anno 2002 pari ad Euro -OMISSIS-, il costo previsto (ed approvato) per l’anno 2006 risultava pari ad Euro -OMISSIS-
Con successiva deliberazione di Giunta n. 122 dell’11 marzo 2003, l’Amministrazione rivedeva i piani economici, con riduzione della spesa per il progetto di che trattasi, peraltro con un andamento variabile (in aumento) per i cinque anni di affidamento.
Interveniva, quindi, la determinazione dirigenziale n. 5916 del 18 giugno 2004, con la quale il Direttore della Direzione Ambiente del Comune di Firenze approvava un nuovo capitolato d’appalto – in revisione di alcune modalità di esecuzione del servizio – senza, tuttavia, modificarne il quadro economico, che prevedeva un corrispettivo incrementato di anno in anno.
In data 28 novembre 2006, la Giunta Municipale, su richiesta da CI. formulata il 22 marzo 2006, rinnovava l’affidamento per due ulteriori anni (proroga formalizzata, poi, con determinazione dirigenziale 18 dicembre 2006, n. 13545, a seguito della quale, con determinazione 23 gennaio 2007, n. 701 veniva approvato nuovo capitolato di appalto, sottoscritto da CI. per accettazione).
Quanto al corrispettivo del servizio, veniva confermato quello già previsto per l’anno 2006.
In data 31 luglio 2007, CI. chiedeva la revisione del canone mensile in riferimento all’aumento dell’indice ISTAT per gli anni 2003, 2004, 2005 e 2006.
Omogenea richiesta, in data 27 maggio 2009, perveniva al Comune per gli anni 2007 e 2008, con la quantificazione della pretesa economica a tale titolo commisurata ad Euro 104.742,09.
2. Come rappresentato in narrativa, la richiesta di revisione prezzi formulata dal Consorzio odierno appellante è stata respinta dal Comune di Firenze (nota del 18 febbraio 2010) sul presupposto della mancata previsione di una clausola in tal senso nei contratti e nei capitolati sottoscritti dalle parti, relativi al servizio ispettivo ed informativo per il patrimonio arboreo del predetto Comune.
Tale motivazione si presta, senz’altro, a fondata critica.
Come recentemente affermato da questa Sezione (cfr. sentenza 6 febbraio 2020, n. 942), anche in presenza di “clausole pattizie che escludono la revisione” (nella fattispecie ivi esaminata, con riferimento ad un contratto di durata annuale) “appare cogente la disciplina normativa inferibile dall’art. 6, comma 4, della legge n. 537 del 1993, alla cui stregua “tutti i contratti ad esecuzione periodica o continuativa debbono recare una clausola di revisione periodica del prezzo”. Al riguardo, la giurisprudenza ha affermato in più occasioni che, con riguardo agli appalti di servizi o forniture, l’art. 6, comma 4, costituisce norma imperativa, la quale non può essere derogata in via pattizia e che, peraltro, secondo il meccanismo dell’inserzione automatica, è integratrice della volontà negoziale difforme” (cfr. anche Cons. Stato, Sez. III, 20 agosto 2018, n. 4985; Sez. V, 28 marzo 2018, n. 1940).
Come evidenziato dalla giurisprudenza, scopo di tale norma è quello di tutelare l’interesse pubblico a che le prestazioni di beni o servizi da parte degli appaltatori delle Amministrazioni pubbliche non subiscano col tempo una diminuzione qualitativa a causa degli aumenti dei prezzi dei fattori della produzione, incidenti sulla percentuale di utile considerata in sede di formulazione dell’offerta, con conseguente incapacità del fornitore di far fronte compiutamente alle stesse prestazioni.
Ad essa è stato, pertanto, riconosciuta natura di norma imperativa, alla quale si applicano gli artt. 1339 (inserzione automatica di clausole) e 1419 (nullità parziale) del codice civile (cfr. Cons. Stato: Sez. V, 2 novembre 2009, n. 6709, 22 dicembre 2014, n. 6275 e 21 luglio 2015, n. 3594; Sez. III, 1° febbraio 2012, n. 504 e 9 maggio 2012, n. 2682); e, appunto in quanto norma imperativa, si inserisce automaticamente nel contratto e prevale sulla specifica diversa regolamentazione pattizia (a nulla rilevando che le parti abbiano o meno previsto il compenso revisionale).
Può quindi affermarsi che (cfr., in termini, Cons. Stato, Sez. III, 9 gennaio 2017, n. 25):
– l’art. 6, comma 4, della L. n. 537 del 1993, come novellato dall’art. 44 della L. n. 724 del 1994, prevede che tutti i contratti pubblici ad esecuzione periodica o continuativa devono recare una clausola di revisione periodica del prezzo pattuito;
– tale disposizione costituisce norma imperativa non suscettibile di essere derogata in via pattizia, ed è integratrice della volontà negoziale difforme secondo il meccanismo dell’inserzione automatica;
– la finalità dell’istituto è da un lato quella di salvaguardare l’interesse pubblico a che le prestazioni di beni e servizi alle pubbliche amministrazioni non siano esposte col tempo al rischio di una diminuzione qualitativa, a causa dell’eccessiva onerosità sopravvenuta delle prestazioni stesse, e della conseguente incapacità del fornitore di farvi compiutamente fronte (cfr. Cons. Stato: Sez. VI, 7 maggio 2015, n. 2295; Sez. V, 20 agosto 2008, n. 3994), dall’altro di evitare che il corrispettivo del contratto di durata subisca aumenti incontrollati nel corso del tempo tali da sconvolgere il quadro finanziario sulla cui base è avvenuta la stipulazione del contratto (cfr. Cons. Stato: Sez. V, 23 aprile 2014, n. 2052; Sez. III, 4 marzo 2015, n. 1074);
– l’obbligatoria inserzione di una clausola di revisione periodica del prezzo, da operare sulla base di un’istruttoria condotta dai competenti organi tecnici dell’Amministrazione, non comporta anche il diritto all’automatico aggiornamento del corrispettivo contrattuale, ma soltanto che l’Amministrazione proceda agli adempimenti istruttori normativamente sanciti;
– in tal senso si è ripetutamente pronunciata la giurisprudenza (Cons. Stato, Sez. V, 22 dicembre 2014, n. 6275 e 24 gennaio 2013, n. 465), rilevando che la posizione dell’appaltatore è di interesse legittimo, quanto alla richiesta di effettuazione della la revisione in base ai risultati dell’istruttoria, poiché questa è correlata ad una facoltà discrezionale riconosciuta alla stazione appaltante (Cass. SS.UU. 31 ottobre 2008 n. 26298), che deve effettuare un bilanciamento tra l’interesse dell’appaltatore alla revisione e l’interesse pubblico connesso al risparmio di spesa, ed alla regolare esecuzione del contratto aggiudicato;
– in ordine alla fissazione dell’adeguamento spettante, è da escludere che la pretesa vantata dal privato fornitore abbia la consistenza di un diritto soggettivo perfetto suscettibile di accertamento e condanna da parte del giudice amministrativo; infatti, le citate disposizioni prescrivono che la determinazione sia effettuata dalla stazione appaltante all’esito di un’istruttoria condotta dai dirigenti responsabili dell’acquisizione di beni e servizi;
– l’istituto della revisione prezzi si atteggia secondo un modello procedimentale volto al compimento di un’attività di preventiva verifica dei presupposti necessari per il riconoscimento del compenso revisionale, modello che sottende l’esercizio di un potere autoritativo tecnico-discrezionale dell’amministrazione nei confronti del privato contraente, potendo quest’ultimo collocarsi su un piano di equiordinazione con l’amministrazione solo con riguardo a questioni involgenti l’entità della pretesa;
– di conseguenza, la posizione del privato contraente si articolerà nella titolarità di un interesse legittimo con riferimento all’an della pretesa ed eventualmente in una situazione di diritto soggettivo con riguardo al quantum, ma solo una volta che sarà intervenuto il riconoscimento della spettanza di un compenso revisionale; peraltro tale costruzione, ormai del tutto ininfluente ai fini del riparto di giurisdizione, mantiene inalterata la sua rilevanza con riferimento alle posizioni giuridiche soggettive del contraente dell’Amministrazione, proprio per effetto dell’art. 133, lett. e), punto 2), c.p.a., che assoggetta l’intera disciplina della revisione prezzi alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo;
– la qualificazione in termini autoritativi del potere di verifica della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del compenso revisionale, comporta che il privato contraente potrà avvalersi solo dei rimedi e delle forme tipiche di tutela dell’interesse legittimo. Ne deriva che sarà sempre necessaria l’attivazione – su istanza di parte – di un procedimento amministrativo nel quale l’Amministrazione dovrà svolgere l’attività istruttoria volta all’accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del compenso revisionale, compito che dovrà sfociare nell’adozione del provvedimento che riconosce il diritto al compenso revisionale e ne stabilisce anche l’importo. In caso di inerzia da parte della stazione appaltante, a fronte della specifica richiesta dell’appaltatore, quest’ultimo potrà impugnare il silenzio inadempimento prestato dall’Amministrazione, ma non potrà demandare in via diretta al giudice l’accertamento del diritto, non potendo questi sostituirsi all’amministrazione rispetto ad un obbligo di provvedere gravante su di essa (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 24 gennaio 2013, n. 465);
– i risultati del procedimento di revisione prezzi sono dunque espressione di facoltà discrezionale, che sfocia in un provvedimento autoritativo, il quale deve essere impugnato nel termine decadenziale di legge (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 27 novembre 2015, n. 5375; 24 gennaio 2013, n. 465).
3. È opportuno, fin da ora, osservare che, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, la revisione dei prezzi come sopra prevista trova applicazione solo alle proroghe contrattuali, ma non agli atti successivi al contratto originario, con cui, attraverso specifiche manifestazioni di volontà, sia stato dato corso tra le parti a distinti, nuovi ed autonomi rapporti giuridici, ancorché di contenuto ana a quello originario (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 1° giugno 2010, n. 3474; Sez. III, 23 marzo 2012, n. 1687 e 11 luglio 2014, n. 3585).
Il presupposto per l’applicazione dell’istituto della revisione risiede, pertanto, nella sussistenza di una mera proroga del contratto: ciò in quanto le manifestazioni negoziali di procedere al rinnovo del contratto, anche se di contenuto ana alle condizioni precedenti, danno luogo a nuovi e distinti rapporti giuridici, in discontinuità con l’originario contratto, che non può essere assunto a parametro di raffronto per la maggiorazione dei corrispettivi a mezzo del procedimento di revisione (Cons. Stato, Sez. V, 8 agosto 2018 n. 4869; Sez. III, 9 maggio 2012 n. 2682).
Per qualificare la tipologia contrattuale (rinnovo, piuttosto che proroga) che viene in rilievo nella materia de qua, non è rilevante il nomen juris formalmente attribuito dalle parti, bensì l’esistenza in concreto:
– per il rinnovo, di una nuova negoziazione;
– e per la proroga, del solo effetto del differimento del termine finale del rapporto, il quale rimane per il resto regolato dall’atto originario;
con la precisazione, peraltro, che la nuova negoziazione può anche concludersi con la conferma delle precedenti condizioni (Cons. Stato: Sez. V, 31 dicembre 2003, n. 9302; Sez. VI, 22 marzo 2002, n. 1767).
In definitiva, la rinnovazione si contraddistingue per la rinegoziazione del complesso delle condizioni (Cons. Stato, Sez. VI, 7 maggio 2015, n. 2295); di talché, per il periodo in cui l’espletamento del servizio è proseguito in virtù di apposita clausola di rinnovo del rapporto contrattuale, si determina uno iato con il contratto originario ed il nuovo periodo contrattuale si configura, pertanto, come autonomo rispetto al precedente (con la conseguenza che non può, quindi, trovare applicazione il meccanismo di revisione dei prezzi, perché incompatibile con la rinnovata volontà negoziale della ditta di rendere il servizio al medesimo costo in precedenza concordato e con accettazione della congruità del corrispettivo: cfr. Cons. Stato, Sez. III, 18 dicembre 2015, n. 5779).
4. Quanto sopra precisato, nella pronunzia appellata il giudice di prime cure osserva che “nelle sue difese l’Amministrazione resistente non fa più cenno alla circostanza di cui sopra” (ovvero alla mancata previsione negoziale della clausola revisionale), “ma contesta le pretese avversarie – che attengono a diritti soggettivi e non ad interessi legittimi, per cui non può farsi questione di integrazione motivazionale – sulla base di considerazioni che il Collegio ritiene almeno in parte fondate e che trovano conferma nella documentazione acquisita al giudizio”.
Tale considerazione, come precedentemente osservato, non può prestarsi a condivisione, laddove la posizione giuridica soggettiva a fronte del diniego di applicazione dell’istituto revisionale (previsto, o meno, nello strumento contrattuale) ha consistenza di interesse legittimo (unitamente alla giurisprudenza sopra citata, cfr. anche, più recentemente, Cons. Stato, Sez. V, 18 giugno 2019, n. 4116), diversamente rispetto alla pretesa volta a contestare il quantum revisionale, nella quale va riconosciuta sostanza di diritto soggettivo.
La critica sul punto fondatamente formulata nei confronti della pronunzia di prime cure (in quanto, pur in assenza di clausola revisionale, l’istituto trova attuazione attraverso un meccanismo di eterointegrazione della disciplina negoziale inter partes stabilita) conduce ad affermare – con riferimento alla caratterizzazione in termini impugnatori del rimedio in primo grado esperito – l’illegittimità della determinazione comunale, in quanto volta a confutare, in radice, l’applicazione della revisione al rapporto intercorrente fra Comune di Firenze e CI..
È ben vero che, con gli scritti difensivi prodotti nel corso dello sviluppo della controversia (di prime cure), l’Amministrazione comunale odierna appellata ha “aggiustato il tiro”, rispetto alla motivazione recata nell’atto oggetto di ricorso dinanzi al T.A.R. Toscana:
– non più denegando, tout court, il diritto al compenso revisionale,
– ma, piuttosto, assumendo che la pretesa a tale titolo vantata da CI. abbia, comunque, trovato soddisfacimento nel corso del rapporto (e per effetto della dinamica di adeguamento dei compensi realizzatasi).
A fronte di tale revirement motivazionale, va rammentato come nel processo amministrativo l’integrazione in sede giudiziale della motivazione dell’atto sia ammissibile soltanto se effettuata mediante gli atti del procedimento – nella misura in cui i documenti dell’istruttoria offrano elementi sufficienti ed univoci dai quali possano ricostruirsi le concrete ragioni della determinazione assunta – oppure attraverso l’emanazione di un autonomo provvedimento di convalida (da ultimo, Cons. Stato, Sez. VI, 2 gennaio 2020, n. 28; ma si confrontino anche Cons. Stato, Sez. III, 7 aprile 2014, n. 1629; Cons. Stato, Sez. VI, 19 ottobre 2018, n. 5984).
È, invece, inammissibile un’integrazione postuma effettuata in sede di giudizio, mediante atti processuali, o comunque scritti difensivi, in quanto la motivazione costituisce contenuto insostituibile della decisione amministrativa, anche in ipotesi di attività vincolata.
In tali termini esclusa la possibilità di immutazione motivazionale dell’atto in prime cure gravato, per come veicolata da scritti difensivi di parte, va confermato il giudizio di illegittimità, nei limiti anzidetti, del provvedimento da CI. impugnato dinanzi al giudice toscano.
5. Quanto al merito della pretesa dalla parte dedotta in giudizio, la funzionalizzazione dell’adeguamento meccanismo revisionale (la cui ragion d’essere risiede, quanto all’interesse di cui è portatore il contraente pubblico, nell’esigenza di scongiurare che le prestazioni di beni e servizi alle pubbliche amministrazioni possano essere esposte, in ragione del fattore tempo, a decrementazione qualitativa, in ragione dell’implementata onerosità delle prestazioni stesse, con conseguente incapacità del fornitore di farvi compiutamente fronte), impone di considerare – quanto alla sottoposta vicenda contenziosa – la documentata presenza di adeguamenti del corrispettivo, temporalmente cadenzati, rivelanti funzione equipollente, quoad effectum, rispetto alla previsione di un vero e proprio “meccanismo revisionale”.
5.1 Viene, in primo luogo, in considerazione il periodo compreso fra l’anno 2002 e l’anno 2006 (durata quinquennale dell’originario rapporto contrattuale).
Come rappresentato negli atti di causa, pur in difetto di clausola revisionale, l’importo contrattuale è stato ab initio previsto con importi annualmente crescenti, secondo quanto di seguito indicato nell’originaria pattuizione, di cui alla scrittura privata sottoscritta il 23 dicembre 2001:
– Euro -OMISSIS-per il 2002 (oltre a un contributo regionale di Euro -OMISSIS-);
– Euro -OMISSIS-per il 2003, con un incremento del 2,2% rispetto a quanto percepito da CI. (Euro -OMISSIS-) l’anno precedente;
– Euro -OMISSIS-per il 2004, con un incremento del 4,3% rispetto all’anno precedente;
– Euro -OMISSIS-per il 2005, con un incremento del 9,2% rispetto all’anno precedente;
– Euro -OMISSIS-per l’anno 2006;
con un incremento, per l’ultimo anno di esercizio (2006) del compenso in misura superiore al 13%, rispetto a quanto complessivamente percepito dalla Cooperativa nell’anno iniziale del rapporto contrattuale.
Né tale tendenza incrementale del compenso nel corso del periodo di vigenza contrattuale muta – come documentato dall’appellata negli scritti difensivi, in punto di fatto non contestati da CI. – tenendo conto della riduzione del compenso disposta (in ragione del minor numero di L.S.U. impiegati) – con deliberazione di Giunta n. 122 del 2003.
Infatti, rispetto a quanto effettivamente percepito per il 2002 (Euro -OMISSIS- I.V.A. inclusa) oltre al contributo regionale di Euro -OMISSIS- CI. ha percepito:
– Euro -OMISSIS-(I.V.A. inclusa) nel 2003
– Euro -OMISSIS-(I.V.A. inclusa) nel 2004
– Euro -OMISSIS-(I.V.A. inclusa) nel 2005 e nel 2006;
dimostrandosi gli adeguamenti conseguiti dall’appaltatrice non inferiori (ma, anzi, significativamente superiori) rispetto agli importi spettanti sulla base dell’adeguamento ISTAT basato sull’indice F.O.I. (aumento del costo della vita per le famiglie degli operai e degli impiegati).
Se, quindi, il conclusivo incremento del corrispettivo riconosciuto dal Comune rispetto a quanto dal medesimo erogato per il primo anno (2002) di vigenza contrattuale si rivela idoneo a coprire l’incremento dei costi, come quantificati dall’indice anzidetto, va conseguentemente esclusa una perdita, in termini di remuneratività, nell’arco di durata negoziale (2002-2006) in capo all’esecutrice dell’appalto: per l’effetto dovendo ravvisarsi, nei sopra indicati adeguamenti ex contractu, un effetto pienamente equipollente al funzionamento del meccanismo revisionale.
5.2 Se, alla stregua di quanto osservato sub 5.1, l’appellata sentenza si sottrae a fondata critica, parimenti vanno disattese le argomentazioni di parte appellante, secondo la quale le vicende negoziali interne al periodo 2002-2005 troverebbero riferibilità giuridica alla sola consorziata CI., e non anche al Co. It. Co. La. Au. del Tr. So. Co..
In particolare, il secondo capitolato del 13 settembre 2004 ed il terzo capitolato, in data 22 gennaio 2007, non sottoscritti dal Consorzio, ma dalla consorziata esecutrice Cooperativa CI. Sa. Ma., non sarebbero riferibili alla volontà dello stesso Consorzio CI.; né a quest’ultimo opponibili, atteso che il solo Consorzio – e non anche le singole consorziate – rivestirebbe legittimazione negoziale nei confronti dell’Amministrazione appaltante.
Valgono, a tale fine, le considerazioni esposte dall’Adunanza Plenaria di questo Consiglio (sentenza 20 maggio 2013, n. 14), secondo cui:
– se “un consorzio fra società di cooperative di produzione e di lavoro costituito a norma della legge 25 giugno 1909, n. 422, può partecipare alla procedura di gara utilizzando i requisiti suoi propri e, nel novero di questi, facendo valere i mezzi nella disponibilità delle cooperative”;
– queste ultime “costituiscono… articolazioni organiche del soggetto collettivo, ossia suoi interna corporis”;
con la conseguenza che “il rapporto organico che lega le cooperative consorziate… è tale che l’attività compiuta dalle consorziate è imputata organicamente al consorzio, come unico ed autonomo centro di imputazione e di riferimento di interessi”.
5.3 Quanto poi al secondo periodo contrattuale, accessivo alla sottoscrizione di un nuovo capitolato d’appalto per gli anni 2007-2008, va condivisa la prospettazione di parte appellata (di cui alla memoria depositata in atti il 27 marzo 2020), secondo cui viene in considerazione (non già una mera proroga del già intercorso rapporto, relativo al precedente quinquennio 2002-2007; quanto, piuttosto) una vera e propria rinegoziazione, alla quale consegue – secondo quanto dal Collegio osservato (cfr. sub 3.) – la preclusa riconoscibilità della revisione per il primo anno.
In particolare, per il 2007 risulta essere stato inter partes stabilito un compenso di importo pari a quello riconosciuto per del 2006; mentre per il 2008 non vi è stata previsione revisionale.
Non può, sul punto, non convenirsi con quanto rilevato dal giudice di prime cure, secondo il quale per “l’anno 2008… effettivamente manca l’adeguamento periodico normativamente previsto”; escludendosi che, a tal fine, possa “supplire il richiamo, da parte dell’Amministrazione resistente, al complessivo aumento degli importi dal 2002 in poi, raffrontato con l’andamento dell’indice Istat, proprio perché l’anno in questione riguarda un rapporto contrattuale nuovo e diverso rispetto a quello concluso nel 2006”.
E va, parimenti, condivisa la conclusione alla quale è pervenuto il giudice toscano, nel riconoscere al Consorzio “per il solo 2008… la richiesta revisione prezzi”, con quantificazione del “relativo importo in Euro -OMISSIS-“, come da quest’ultimo richiesto.
6. Da ultimo, va disattesa, in quanto inammissibile, l’eccezione di nullità, sollevata dall’appellante, relativa alla costituzione nel giudizio di primo grado del Comune di Firenze, in ragione dell’affermata carenza di procura e di autentica di sottoscrizione, nonché di autorizzazione a stare in giudizio da parte della Giunta municipale.
L’anticipata inammissibilità consegue alla formulazione, da parte di CI., dell’eccezione di che trattasi per la prima volta nel giudizio di appello, laddove la stessa parte ha omesso di formulare omogeneo rilievo nell’ambito del giudizio di prime cure.
Si dimostra, quindi, sotto tale aspetto violato il principio di preclusione dello jus novorum dinanzi al giudice d’appello; correndo appena il caso di rammentare come l’effetto devolutivo, oggi fissato nell’art. 104 c.p.a., escluda che nel giudizio d’appello possano essere proposte nuove domande (fermo quanto previsto nell’art. 34, comma 3), né nuove eccezioni non rilevabili d’ufficio, sì da scongiurare che l’oggetto del giudizio di secondo grado sia più ampio di quello sul quale si è pronunciato il primo giudice con la sentenza impugnata.
7. La constatata infondatezza della doglianze articolate con il presente appello, ne impone la reiezione, con riveniente conferma, ancorché veicolata da parzialmente difforme percorso motivazionale, della pronunzia in prime cure resa dal T.AR. Toscana.
Le spese di lite possono formare oggetto di compensazione inter partes, in ragione della particolare natura della controversia.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge, nei sensi di cui alla motivazione che precede.
Spese del grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso dalla Seconda Sezione del Consiglio di Stato, con Sede in Roma, nella Camera di Consiglio del giorno 28 aprile 2020, convocata con modalità da remoto e con la contemporanea e continuativa presenza dei magistrati:
Fabio Taormina – Presidente
Giovanni Sabbato – Consigliere
Cecilia Altavista – Consigliere
Francesco Guarracino – Consigliere
Roberto Politi – Consigliere, Estensore

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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