In materia di permessi di soggiorno

Consiglio di Stato, Sezione terza, Sentenza 4 maggio 2020, n. 2825.

La massima estrapolata:

In materia di permessi di soggiorno, la valutazione del requisito reddituale non va rigidamente ancorata al conseguimento, nel pregresso periodo di validità del permesso di soggiorno, di redditi non inferiori alla soglia prevista dall’art. 29 del d.lgs. 286/1998, bensì ad una prognosi comprensiva della capacità reddituale futura, desumibile anche da nuove opportunità di lavoro, se formalmente e tempestivamente documentate.

Sentenza 4 maggio 2020, n. 2825

Data udienza 23 aprile 2020

Tag – parola chiave: Stranieri – Permesso di soggiorno – Rinnovo – Diniego – Per carenza del requisito reddituale – Illegittimità

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6423 del 2019, proposto da Ji. Ji., rappresentata e difesa dall’avvocato Gu. Fe. Ce., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero dell’Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici, in Roma via (…), è ope legis domiciliato;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia Sezione Prima n. 00192/2019.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 23 aprile 2020 il Cons. Umberto Maiello e trattenuta la causa in decisione ai sensi dell’art. 84, comma 5. del d.l. n. 18/2020 a seguito di camera di consiglio svoltasi in modalità da remoto;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Con il mezzo qui in rilievo la sig.ra Jin Jianfen ha chiesto la riforma, previa sospensione della sua esecutività, della sentenza n. 192/2019 del 28/02/2019 con cui il TAR per la Lombardia, Sezione staccata di Brescia, Sezione Prima, ha respinto il ricorso proposto avverso il decreto del Questore di Brescia, assunto in data 27/01/2015 e recante il diniego del rinnovo del permesso di soggiorno, diniego opposto per la ritenuta carenza del requisito reddituale.
Il giudice di prime cure, in sede cautelare, ha, dapprima, con ordinanza n. 2016/2015 del 4/11/2015, accolto provvisoriamente la domanda cautelare e, poi, con successiva ordinanza del 7/12/2016, l’ha respinta.
Di poi, con la sentenza qui appellata, ha definitivamente respinto il ricorso condannando la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio in favore dell’Amministrazione resistente.
Avverso la suddetta decisione l’appellante ha articolato i seguenti motivi di gravame:
a) il giudice di prime cure avrebbe impropriamente esaurito il proprio scrutinio ai soli temi trattati in sede cautelare, con i limiti propri della relativa fase;
b) il TAR avrebbe, inoltre, erroneamente attribuito rilievo dirimente a fatto che la ricorrente non aveva chiarito per quale motivo le dichiarazioni sui redditi prodotte in modalità cartacea alla Questura non risultassero registrate in arrivo dall’Agenzia delle Entrate, trattandosi di circostanza, quella mancata meccanizzazione dei relativi dati, che, viceversa, non potrebbe essere imputata alla odierna appellante. Oltretutto, ad ulteriore riprova della esistenza e della operatività della ditta della ricorrente, vi sarebbe il verbale relativo alla visita ispettiva effettuata dall’INPS e conclamata dal verbale confezionato il 15 maggio 2014;
c) il giudice di prime cure avrebbe, comunque, omesso di considerare che l’instaurazione del successivo rapporto di lavoro di carattere subordinato (tuttora in essere) rende la questione “superata” da tale nuova sopravvenienza, sia in punto di sussistenza del rapporto di lavoro sia in punto di adeguata redditività ;
d) il TAR non si sarebbe pronunciato sul pur dedotto vizio di incompetenza territoriale della Questura di Brescia, laddove in ragione della sede di lavoro (in Milano), del domicilio e della residenza coniugale (in (omissis), Provincia di Milano), la Questura competente a decidere sulla richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno avrebbe dovuto essere individuata nella Questura di Milano;
e) la ricorrente, oltre a documentare la propria attività lavorativa, avrebbe comprovato l’esistenza di un vincolo coniugale e la coabitazione con cittadino cinese regolarmente soggiornante in (omissis), circostanza che avrebbe dovuto indurre la Questura a rilasciare un permesso di soggiorno quantomeno per motivi familiari;
d) il TAR non si sarebbe pronunciato sulla nuova istanza cautelare depositata, in corso di causa, il 14.2.2018.
Resiste in giudizio il Ministero intimato.
Con ordinanza n. 4432 del 10.9.2019 questa Sezione, in accoglimento dell’istanza cautelare proposta dalla sig.ra Ji. Ji., ha sospeso l’esecutività della sentenza appellata, al contempo invitando l’amministrazione a fornire chiarimenti sui temi di discussione relativi: a) alla dedotta incompetenza della Questura di Brescia; b) alla mancata valutazione del legame di coniugio che la ricorrente sostiene essere stato allegato nel corso del contraddittorio procedimentale;
All’udienza del 23.4.2020 l’appello è stato trattenuto in decisione allo stato degli atti, a norma dell’articolo 84 comma 5 del d.l. 18/2020.
L’appello è fondato e, pertanto, va accolto.
Va preliminarmente evidenziato come la res iudicanda, quale definita in coerenza con i motivi di censura compendiati nell’atto introduttivo del giudizio, risulta incentrata sui seguenti temi controversi: l’affermata incompetenza per territorio della Questura di Brescia e l’erroneità della statuizione questorile nel rilevare l’insufficienza delle fonti di reddito dell’odierna appellante.
Le divisate contestazioni sono state ritualmente riproposte nel mezzo in epigrafe in aggiunta, però, a nuovi motivi di censura, quali la mancata valorizzazione del vincolo coniugale ai fini del rilascio del permesso di soggiorno familiare ovvero l’instaurazione del successivo rapporto di lavoro di carattere subordinato, non tempestivamente dedotti in primo grado e che, dunque, non possono qui trovare ingresso in quanto incorrono nel divieto dei nova ex articolo 104 del c.p.a.
Né, peraltro, appare fondato l’ulteriore motivo che impinge nella mancata delibazione della nuova istanza cautelare depositata, in corso di causa, il 14.2.2018, evenienza questa di per stessa inconferente ai fini del sindacato sul decisum che ha definito, nel merito, il giudizio di primo grado assorbendo, dunque, le questioni veicolate ai fini della tutela cautelare, avente di per se stessa natura interinale.
Orbene, così perimetrato l’ambito cognitivo del presente giudizio, rileva il Collegio che i motivi di gravame ritualmente proposti si rivelano entrambi fondati.
Anzitutto, non è dato comprendere – anche a cagione del mancato riscontro dell’Amministrazione intimata alla richiesta di chiarimenti contenuta nell’ordinanza cautelare n. 4432 del 10.9.2019 – la ragione di collegamento territoriale che fonderebbe, in via di mera tesi, la competenza esercitata dalla Questura di Brescia: e ciò in considerazione del dato acquisito agli atti di giudizio, e non contestato dall’Amministrazione intimata, secondo cui l’odierna appellante inizialmente dimorava a Gallarate in provincia di Varese per poi trasferirsi nel territorio della Provincia di Milano, profilo quello della dimora che vale ad individuare, ai fini del rinnovo del permesso di soggiorno, l’Ufficio di Questura presso il quale si incardina il relativo procedimento ex articolo 5 comma 4 del d.lgs 286/1998.
Di, poi, sotto distinto profilo deve rilevarsi che nemmeno può dirsi perspicua la lapidaria statuizione compendiata nel provvedimento impugnato in prime cure che non tiene conto del composito vissuto della odierna appellante nel periodo immediatamente antecedente a quello di adozione del provvedimento impugnato. Ed, invero, la predetta, già impiegata in attività lavorativa svolta in regime di rapporto subordinato, e per la quale risultano tracciati i redditi percepiti (ancorchè in misura non sufficiente ad integrare la soglia minima di reddito), ha poi intrapreso un’iniziativa imprenditoriale, come fatto palese dalla visura camerale in atti (oltretutto confermata dalle sanzioni elevate a seguito di verifica ispettiva dell’INPS), che, viceversa, all’epoca dell’adozione del provvedimento impugnato, avrebbe dovuto essere apprezzata dall’autorità procedente in modo dinamico in ragione della capacità di sviluppare reddito.
Ed, invero, la valutazione del requisito reddituale non va rigidamente ancorata al conseguimento, nel pregresso periodo di validità del permesso di soggiorno, di redditi non inferiori alla soglia prevista dall’art. 29 del d.lgs. 286/1998, bensì ad una prognosi comprensiva della capacità reddituale futura, desumibile anche da nuove opportunità di lavoro, se formalmente e tempestivamente documentate (cfr., tra le tante, Cons. Stato, III, nn. 2585/2017; 2335/2018; 1971/2017; 843/2017).
Vale, al riguardo, soggiungere come, in ambito procedimentale, l’appellante non ha avuto modo di poter sviluppare una proficua dialettica con l’Autorità procedente: ha, invero, documentato in prime cure le reiterate istanze inoltrate prima alla Questura di Varese e poi a quella di Brescia senza poter mai concretamente interfacciarsi con i suddetti Uffici onde poter partecipare attivamente al procedimento in vista di una proficua istruttoria.
Né, peraltro, si rivelano dirimenti le considerazioni svolte dal giudice di prime cure che ha sul punto esaurito il proprio vaglio del materiale istruttorio assegnando rilievo dirimente alla mancata ricezione da parte dell’Agenzia delle Entrate delle dichiarazioni dei redditi prodotte in giudizio dalla ricorrente, facendo, dunque, impropriamente dipendere il proprio giudizio, anzitutto, da evenienze successive alla data di adozione del provvedimento impugnato, datato 27.1.2015, sulla scorta di una metodica definita “tutela monitorata” e gestita sul piano cautelare attraverso un monitoraggio della capacità di reddito sviluppata in tale fase che, però, si pone in plateale contrasto con i limiti del sindacato giurisdizionale che va orientato, anche in tale materia, sulla scorta del principio tempus regit actum.
D’altro canto, i suindicati dati istruttori nemmeno si rivelano decisivi non potendo evidentemente da ciò inferirsi, con la pretesa automaticità, ed anche in presenza di un’eventuale omissione degli obblighi dichiarativi (eventualmente sanzionabile sul piano dell’ordinamento fiscale), l’insussistenza, nei termini suesposti, della disponibilità di adeguate fonti di reddito.
Tanto è sufficiente per l’accoglimento del ricorso con conseguente riforma della decisione appellata.
Quanto al regime delle spese di giudizio, in ragione della inammissibilità di parte dei motivi di gravame ed in considerazione della peculiarità della vicenda qui scrutinata, sussistono giusti motivi per disporre la compensazione

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi indicati in parte motiva, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, annulla l’atto impugnato in primo grado.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso nella camera di consiglio del giorno 23 aprile 2020 con l’intervento dei magistrati:
Marco Lipari – Presidente
Massimiliano Noccelli – Consigliere
Stefania Santoleri – Consigliere
Umberto Maiello – Consigliere, Estensore
Pietro De Berardinis – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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