L’istituto della revisione prezzi ha un duplice scopo

Consiglio di Stato, sezione terza, sentenza 25 marzo 2019, n. 1980.

La massima estrapolata:

L’istituto della revisione prezzi ha un duplice scopo: per un verso, di tutela dell’esigenza dell’amministrazione di evitare che il corrispettivo del contratto di durata subisca aumenti incontrollati nel corso del tempo e tali da sconvolgere il quadro finanziario sulla cui base è avvenuta la stipulazione del contratto; e per altro verso, di tutela altresì dell’interesse dell’impresa a non subire l’alterazione dell’equilibrio contrattuale conseguente alle modifiche dei costi che ragionevolmente si verificano durante l’arco del rapporto e che potrebbero indurla ad una riduzione degli standard qualitativi delle prestazioni.

Sentenza 25 marzo 2019, n. 1980

Data udienza 11 ottobre 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale
Sezione Terza

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2713 del 2018, proposto da
Fe. S.r.l. in proprio ed in qualità di Mandataria di Ati con Mi. Fu. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Ma. Zo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Ma. Pi. Zo. in Roma, via (…);

contro

ASST Fatebenefratelli Sacco, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Se. Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Ma. Sp.a in Roma, via (…);

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Quarta n. 00080/2018, resa tra le parti, concernente il ricorso per l’accertamento del diritto della società ricorrente alla revisione dei prezzi dell’appalto per il servizio di pulizia generale e di sanificazione ambientale presso l’Ospedale Sa. tra il 2011 ed il 2016 e per la condanna dell’Amministrazione al pagamento della differenza tra l’importo accertato e quanto nel frattempo corrisposto, con maggiorazione di interessi legali, interessi di mora e rivalutazione previo, qualora ritenuto necessario, annullamento ovvero disapplicazione delle note in data 6 e 26 dicembre 2016 e per la disapplicazione o l’annullamento della deliberazione del Direttore Generale n. 220 del 6 marzo 2017 nella parte in cui ha liquidato a favore dell’ATI Fe. l’importo di Euro 82.813,17, anziché Euro 898.475,36.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’ASST Fatebenefratelli Sacco;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 11 ottobre 2018 il Cons. Raffaello Sestini e uditi per le parti gli avvocati An. Li. su delega di Ma. Zo. e Se. Ca.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1 – L’appellante è stata esecutrice, in ATI con Mi. Fu. e Co. Lo. Coop. (in seguito estromessa dall’ATI) dell’appalto di servizi di pulizia generale e sanificazione ambientale delle aree dell’Azienda Ospedaliera “Lu. Sa.”. Il valore complessivo dell’appalto era di Euro 12.830.956,00 per sei annualità, per un valore stimato di Euro 2.566.191,20 annui (iva esclusa), dal 1 marzo 2010 al 28 febbraio 2016, e nell’ottobre 2016, a seguito di una proroga tecnica, l’appalto si è concluso.

2 – Il 26 gennaio 2016, ad appalto ancora in corso, l’odierna appellante ha chiesto l’attivazione del procedimento di revisione prezzi, quantificando la somma che a suo dire le spettava in poco meno di 100.000 Euro. Peraltro, ha poi segnalato di aver compiuto un radicale errore di calcolo con nota del 20 luglio 2016 ed a fine appalto ha corretto la richiesta, con nota del 27 ottobre 2016, in Euro 898.475,36.

L’Amministrazione ha dato risposta all’istanza procedimentale il 6 dicembre 2016, allegando un diverso conteggio per un importo di 82.813,17 Euro, contestato dall’appellante con nota del 9 gennaio 2017, ma confermato dall’Amministrazione prima con la nota del 26 gennaio 2017 e poi nella delibera del 6 marzo 2017 n. 220, che ha concluso il procedimento.

3 – Pertanto, Fe. S.r.l. ha proposto ricorso davanti al TAR chiedendo l’accertamento della fondatezza della propria pretesa alla quantificazione della revisione del prezzo dalla stessa ritenuta corretta secondo le modalità previste dalla legge, per poi estendere l’azione, con motivi aggiunti, alla citata delibera n. Lombardia,220/2017, di cui la ricorrente riferisce di aver avuto conoscenza solo a seguito del ricevimento del pagamento nella misura ridotta il 24 maggio 2017.

4 -Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Quarta con sentenza n. 80 del 15 gennaio 2018 ha ritenuto il ricorso infondato ed ha accolto esclusivamente la residua domanda relativa agli interessi di mora sugli importi liquidati dall’Ente. Pertanto, Fe. S.r.l., ritenendo la decisione non satisfattiva dei propri interessi e contraria alle norme che regolano la revisione periodica dei prezzi d’appalto, ha proposto appello per l’annullamento o la riforma della sentenza

nella parte in cui ritiene illegittimo il metodo di calcolo della revisione dei prezzi d’appalto indicato da Fe. S.r.l., per accertare il diritto dell’appellante alla revisione del prezzo d’appalto secondo modalità ritenute conformi all’art. 115 del d.lgs. n. 163/2006 in misura pari a 898.475,36 Euro, o al diverso importo ritenuto corretto, oltre interessi di mora decorrenti da ciascuna mensilità successiva al primo anno di vigenza contrattuale, con deduzione delle somme corrisposte pari a 82.813,17 Euro, da imputarsi previamente agli interessi, poi al capitale, ed inoltre per riformare la sentenza gravata nella parte in cui ha riconosciuto la spettanza degli interessi di mora solo in relazione alla minore somma liquidata a favore di Fe. e nella parte in cui ha compensato solo parzialmente le spese condannando la ricorrente al pagamento di 4.000,00 Euro a favore dell’ASST.

5 – A tal fine Fe. S.r.l. deduce il seguente motivo unico: “erroneità della sentenza gravata nella parte in cui ha ritenuto infondato il metodo di revisione periodica dei prezzi proposto da Fe. – violazione e falsa applicazione dell’articolo 115 del d.lgs. n. 163/2006 e dell’articolo 20 del contratto – erroneità del calcolo operato dall’Ente per violazione di norme, illogicità manifesta e alterazione del sinallagma contrattuale.”

6 – In particolare, Fe. S.r.l. riferisce di aver presentato all’Amministrazione una richiesta di revisione dei prezzi d’appalto, per le annualità successive alla prima, applicando gli indici ISTAT/FOI in modo progressivo, cioè tenendo conto degli adeguamenti già intervenuti negli anni precedenti, sennonché l’Amministrazione ha invece quantificato l’importo dovuto a titolo di revisione dei prezzi applicando a ciascuna fattura l’indice di variazione dei prezzi rispetto al solo anno precedente, e la sentenza appellata ha aderito a tale impostazione sulla base della previsione contrattuale e sul presupposto che il metodo di calcolo individuato dall’odierna appellante implicherebbe un’indebita assimilazione della revisione dei prezzi alla rivalutazione monetaria e quindi contrasterebbe con la ratio dell’articolo 155 del d.lgs. 163/2006. A giudizio dell’appellante, la pronuncia appare tuttavia contraria alla lettera delle disposizioni di legge e contrattuali applicabili, alla ratio dell’istituto, alla logica ed alla prassi.

7 – Infatti, argomenta l’appellante, la lex specialis di gara richiamava, quanto alla revisione prezzi, l’articolo 115 del d.lgs. 163/2006, applicabile ratione temporis alla controversia, secondo cui “tutti i contratti ad esecuzione periodica o continuativa relativi a servizi o forniture debbono recare una clausola di revisione periodica del prezzo” dovendosi quindi rispettare la previsione della “periodicità ” della revisione, da riferire al “prezzo” conformemente alla richiesta di aggiornamento dell’appellante.

Inoltre, la formulazione della clausola contrattuale richiamata dal TAR a conferma della propria tesi interpretativa (articolo 20 rubricato “revisione dei prezzi”, secondo il quale “è prevista la revisione dei prezzi di aggiudicazione, ai sensi dell’art. 115 del D.lgs. 163/06, a partire dalla seconda annualità di vigenza contrattuale (…) con riferimento alla media degli scostamenti rilevati nei dodici mesi antecedenti”), secondo la prospettazione dell’appellante trarrebbe, invece, origine dalla mera circostanza che l’articolo 115, richiamato come detto dalla citata disposizione, prevedeva la revisione dei prezzi sulla base di specifici costi standard, che peraltro non sono mai stati individuati, sicché la stessa disposizione avrebbe ancorato la revisione all’indice medio di variazione dei prezzi per le famiglie di operai ed impiegati pubblicato dall’ISTAT (ex multis, Cons. Stato, Sez. V, 20 agosto 2008, n. 3994), che però sono elaborati su base sia mensile che annuale, potendo quindi il prezzo essere aggiornato con riferimento agli scostamenti mensili, oppure con riferimento alla media annuale (e non mensile) di tali scostamenti, e ciò avrebbe semplicemente indotto l’Amministrazione a precisare l’assunzione, quale parametro, della media degli scostamenti mensili nei dodici mesi precedenti.

8 – Quanto, poi, alla dedotta violazione della ratio dell’istituto della revisione prezzi, argomenta l’appellante che, per consolidato orientamento, l’istituto della revisione prezzi ha un duplice scopo: “per un verso, di tutela dell’esigenza dell’amministrazione di evitare che il corrispettivo del contratto di durata subisca aumenti incontrollati nel corso del tempo e tali da sconvolgere il quadro finanziario sulla cui base è avvenuta la stipulazione del contratto”; e “per altro verso, di tutela altresì dell’interesse dell’impresa a non subire l’alterazione dell’equilibrio contrattuale conseguente alle modifiche dei costi che ragionevolmente si verificano durante l’arco del rapporto e che potrebbero indurla ad una riduzione degli standard qualitativi delle prestazioni” (Cons. Stato, Sez. V, 27 maggio 2014 n. 2729, in termini Cons. Stato, Sez. III, 19 luglio 2011, n. 4362). Data tale fondamentale importanza, prosegue l’appellante, all’istituto è riconosciuta natura cogente ed inderogabile (Cons. Stato, sez. III, 9 gennaio 2017, n. 25) ma il TAR, nella sua concreta applicazione, ha adottato modalità operative che non consentono di assicurare il livello qualitativo delle prestazioni, negando la possibilità dell’operatore economico di mantenere inalterata e costante la qualità delle prestazioni offerte per tutta la durata del contratto mediante la conservazione dell’originario equilibrio contrattuale tra i costi di produzione del servizio e i prezzi a cui il servizio è remunerato.

Lo stesso TAR Lombardia (con diversa sezione, la III) avrebbe ben più correttamente giudicato -aggiunge l’appellante- che, “con la previsione dell’obbligo di revisione del prezzo di un appalto di durata su base periodica il legislatore ha inteso munire i contratti di forniture e servizi di un meccanismo che, a cadenze determinate, comporti la definizione di un “nuovo” corrispettivo per le prestazioni oggetto del contratto, conseguente alla dinamica dei prezzi registrata in un dato arco temporale, con beneficio per entrambi i contraenti, in quanto incidente sull’equilibrio contrattuale. Da un lato l’appaltatore vede ridotta, anche se non eliminata, l’alea propria dei contratti di durata, dall’altro la stazione appaltante vede diminuito il pericolo di un peggioramento della qualità o quantità di una prestazione, divenuta per l’appaltatore” eccessivamente onerosa o, comunque, non remunerativa” (TAR Lombardia, Milano, sez. III, 28 febbraio 2018, n. 595).

9 – Secondo l’appellante, la pronuncia appellata sarebbe altresì illogica per la parte in cui equipara la revisione periodica (e quindi progressiva) dei prezzi alla rivalutazione monetaria, ovvero all’operazione che, muovendo da un valore economico ad una certa data, lo “attualizza” sino al momento del pagamento di modo che il creditore non subisca una perdita corrispondente all’inflazione nel periodo intercorrente tra la nascita del credito e la sua esecuzione con una ratio ben diversa da quella della revisione dei prezzi volta, come visto, ad evitare che il prezzo di una prestazione divenga nel tempo esiguo rispetto ai costi necessari per svolgerla con conseguente rischio di detrimento della qualità del servizio.

Quindi, la rivalutazione riguarderebbe una somma fissa ad un certo momento, con applicazione degli indici di attualizzazione sino al momento del pagamento, mentre la revisione prezzi muoverebbe da un prezzo originario per aggiornarlo periodicamente di modo che lungo la durata del rapporto i prezzi siano sempre adeguati anno dopo anno.

Altrettanto illogico sarebbe il richiamo all’articolo 1664 c.c. operato dalla sentenza gravata, in quanto la norma, non applicabile agli appalti pubblici per il principio di specialità, si riferisce al verificarsi di aumenti o diminuzioni del costo dei materiali o della mano d’opera che possano determinare un aumento o una diminuzione sul prezzo d’appalto convenuto, precisando che l’appaltatore possa chiedere una revisione del prezzo soltanto nel caso in cui il discostamento tra i prezzi superi di un decimo il prezzo originariamente pattuito.

10 – L’erroneità della sentenza gravata sarebbe, infine, confermata dalla diversa prassi vigente, essendo il metodo individuato da Fe. S.r.l. quello comunemente assunto per l’adeguamento di qualsiasi importo monetario caratterizzato dalla periodicità della prestazione come, per esempio, i canoni di locazione, gli assegni di mantenimento ed ogni altra obbligazione di durata, per i quali la revisione degli importi viene calcolata progressivamente.

11 – L’Amministrazione appellata si è costituita in giudizio per argomentare, in contrasto con le tesi dell’appellante, la correttezza dei propri conteggi di revisione dei prezzi dell’appalto e l’esattezza della sentenza impugnata. Inoltre ha sollevato una eccezione di tardività dei motivi aggiunti aventi ad oggetto la deliberazione n. 220/2017, già dedotta in primo grado, che tuttavia, così come argomentato dalla parte appellante, non poteva essere riproposta se non con appello incidentale in quanto, in assenza di appello incidentale, possono essere riproposte, entro il termine per la costituzione in giudizio, esclusivamente le domande ed eccezioni proposte in primo grado e non esaminate o assorbite dalla sentenza impugnata (Cons. Stato, sez. IV, 28 novembre 2017, n. 5557), mentre qualora le eccezioni proposte in primo grado siano state espressamente disattese, se la parte che le ha proposte vuole ottenere che siano riesaminate dal giudice d’appello deve farlo proponendo appello incidentale (Cass. civ. sez. III, 12 febbraio 2018 n. 3350, Cons. Stato, sez. V, 23 giugno 2016, n. 2812). Infatti, il TAR ha già rigettato la medesima eccezione di tardività poiché “infondata, non essendo stata fornita alcuna prova della piena conoscenza o conoscibilità della delibera n. 220 del 6/3/2017”, in quanto “La fattura elettronica emessa dalla resistente in data 21.3.2017 (…) contiene sì il pagamento dell’importo di cui alla delibera n. 220/2017, ma senza riportarne di quest’ultima gli estremi né tantomeno il contenuto essenziale, necessario a ricavarne la lesività nei confronti dell’esponente”.

12 – Quanto al merito della questione, riferisce l’ASST Fatebenfratelli Sacco che Fe. S.r.l. ha inoltrato istanza di revisione prezzi solo il 26 gennaio 2016, quando il contratto d’appalto quinquennale era già stato correttamente eseguito al prezzo inizialmente concordato, e “rilevato che l’indice di variazione dei prezzi per le famiglie di operai ed impiegati (di seguito, “Indice Foa” ), è pari a 1,022% nell’anno solare 2010; 1,032% nell’anno solare 2011; 1,022% nell’anno solare 2012; 1,006%- nell’anno solare 2013″, ha ritenuto l’Azienda “debitrice dell’importo di Euro 24.482,71 per l’annualità 2011, Euro 24.589,78 per l’annualità 2012, Euro 24.422,87 per l’annualità 2013 ed Euro 24.781,79 per l’annualità 2014, complessivamente pari ad Euro 98.277,15”.

Avendo poi gli uffici competenti riconosciuto in data 18 maggio 2016, all’esito della verifica della richiesta, una revisione prezzi pari ad Euro 77.652,37, prosegue l’Azienda appellata, Fe. S.r.l. in data 18 luglio 2016, anziché compiere le richieste verifiche in merito alla discrepanza tra i due conteggi, ha comunicato un errore nel calcolo della revisione prezzi che, con successiva comunicazione in data 27/10/2016, ha rideterminato in Euro 898.475,36, importo nove volte superiore rispetto a quello chiesto in precedenza. In data 06/12/2016, l’ASST appellata ha riconosciuto, all’esito della nuova istruttoria, la rivalutazione prezzi di Euro 82.813,17, ribadita con la deliberazione di autorizzazione al pagamento n. 220 del 6 marzo 2017 (impugnata, come detto, con motivi aggiunti) e correttamente determinata, si argomenta, nel rispetto del contratto di appalto stipulato e della normativa vigente secondo i principi di trasparenza, correttezza e buona fede in quanto, contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante, la revisione prezzi prevista dall’Art. 115 del D. Lgs 163/2006 non coinciderebbe con la rivalutazione secondo gli indici ISTAT disciplinata in materia di locazioni, di lavoro (TFR) e di famiglia (assegno di mantenimento), essendo diretta a tutelare in via diretta gli equilibri di finanza pubblica e solo di riflesso l’impresa, mediante la fissazione di un limite massimo di variazione da determinare con riguardo alla media degli scostamenti nei dodici mesi precedenti, che non eliderebbe né l’alea propria di ogni contratto di durata, né la discrezionalità dell’Amministrazione rispetto alla quantificazione della rivalutazione prezzi nella fattispecie concreta e che, quindi, determinerebbe una posizione giuridica di interesse legittimo dell’appaltatore, a fronte di una facoltà discrezionale riconosciuta alla stazione appaltante (Cass. SS.UU. 31 ottobre 2008 n. 26298), che deve effettuare un bilanciamento tra l’interesse dell’appaltatore alla revisione e l’interesse pubblico connesso al risparmio di spesa e alla regolare esecuzione del, contratto aggiudicato (Consiglio di Stato, sez. III, 9/1/2017, n. 25).

In tale quadro, in sintesi l’art. 115 del D. Lgs. 163/2006, al quale l’art. 20 del contratto d’appalto si sarebbe conformato, imporrebbe una revisione periodica del prezzo, ove giustificata dalle circostanze di fatto, entro il predetto limite risultante dagli indici ISTAT-FOI, senza affatto implicare un progressivo, automatico adeguamento dei prezzi iniziali secondo il predetto indice, che vanificherebbe l’alea riconosciuta dal codice civile ai contratti di durata.

13 – Definita l’ammissibilità dei motivi aggiunti, e quindi l’ammissibilità e procedibilità dell’originario ricorso, osserva il Collegio che il punto centrale della decisione concerne la questione, giuridicamente complessa ed economicamente molto rilevante, se la revisione prezzi operi sul prezzo iniziale concordato, mediante la sua progressiva rivalutazione secondo l’indice ISTAT – FOI, anno per anno con riferimento al prezzo già rivalutato l’anno precedente, ovvero se operi solo sui pagamenti effettivamente effettuati di anno in anno, mediante la rivalutazione del prezzo iniziale alla stregua dell’aumento intervenuto nell’anno precedente secondo l’indice ISTAT – FOI.

Infatti, secondo il ricorso in appello la sentenza impugnata sarebbe frutto di un’errata applicazione dell’articolo 115 del d.lgs. 163/2006 e dell’articolo 20 del Contratto di appalto, che avrebbe portato il TAR per la Lombardia a ritenere illegittimo il metodo di calcolo proposto da Fe. S.r.l. per la revisione periodica dei prezzi d’appalto, in quanto imputato di intendere la periodicità in termini di progressività e di assimilare indebitamente la revisione dei prezzi alla rivalutazione monetaria in violazione del citato art. 115. Al contrario, secondo l’appellante entrambi gli assunti sarebbero errati, in primo luogo, perché la revisione periodica (prevista dalla legge ed inderogabile) implicherebbe necessariamente la progressività dell’operazione; in secondo luogo, perché la revisione dei prezzi e la rivalutazione monetaria sarebbero due istituti profondamente diversi, la cui confusione sarebbe stata frutto esclusivamente degli errori interpretativi e di applicazione contenuti nella sentenza gravata.

In particolare, il primo errore riguarderebbe l’oggetto della revisione, riferito alle fatture e non ai prezzi d’appalto, stravolgendo il meccanismo della revisione dei prezzi previsto dall’articolo 115 del Codice vigente all’epoca, secondo cui “tutti i contratti ad esecuzione periodica o continuativa relativi a servizi e forniture debbono recare una clausola di revisione periodica del prezzo”. Infatti,

secondo l’appellante se l’oggetto della revisione sono i prezzi, il valore sarà rivisto anno dopo anno tenendo conto degli adeguamenti già intervenuti, mentre se l’oggetto della revisione sono le fatture, gli indici ISTAT/FOI verranno applicati alla singola fattura, una sola volta come valore isolato al momento del pagamento e non periodicamente e ciò genererà un meccanismo di rivalutazione monetaria, cioè di rivalutazione di una somma fissa ad un certo momento con l’applicazione degli indici di attualizzazione sino al momento del pagamento. Viceversa, la revisione del prezzo dovrebbe muovere da un prezzo originario che però viene aggiornato periodicamente, in modo tale che lungo la durata del rapporto contrattuale i prezzi siano sempre adeguati anno dopo anno.

La sentenza appellata confliggerebbe, quindi, con la lettera e la ratio della citata disposizione elidendo il carattere periodico dell’operazione, previsto espressamente dall’art. 115 del Codice previgente e dall’articolo 20 del Contratto di appalto, che implicherebbe l’attuazione di un calcolo con valenza progressiva, anno per anno, applicando gli indici ISTAT/FOI non al prezzo originario di appalto, ma a quello già adeguato nell’anno precedente, al fine di preservare l’originario rapporto tra i costi di produzione ed il corrispettivo di prestazioni che devono essere svolte su un lungo lasso di tempo e, quindi, di evitare che la crescita dei costi di produzione, ove non compensati dai prezzi, alteri la qualità del servizio.

14 – La pur ampiamente argomentata e suggestiva tesi dell’appellante non può, peraltro, essere condivisa al Collegio, alla stregua della disciplina di legge e contrattuale applicabile alla fattispecie e della consolidata giurisprudenza amministrativa formatasi sul punto.

15 – In particolare, la disciplina della revisione del prezzo dei contratti pubblici di appalto di fornitura di beni e di servizi come prevista dall’art. 115 del D. Lgs. n. 163/2006 (applicabile pro tempore alla fattispecie) prevede l’obbligo di introdurre nei contratti ad esecuzione periodica o continuativa una clausola di revisione periodica del prezzo, da attivare a seguito di una istruttoria condotta dai dirigenti responsabili sulla base dei costi standardizzati per tipo di servizio e fornitura pubblicati annualmente a cura dell’Osservatorio dei contratti pubblici.

La citata disposizione riproduceva il comma 4, art. 6, della previgente legge n. 537/1993, come sostituito dall’art. 44 della 1egge n. 724/1994, che aveva previsto il medesimo obbligo di revisione dei prezzi indicando però, quale parametro di riferimento per il calcolo, il miglior prezzo di mercato tra quelli rilevati ed elaborati dall’ISTAT per i principali beni e servizi acquisiti dalle pubbliche amministrazioni. Non avendo, tuttavia, l’ISTAT provveduto alla rilevazione ed elaborazione dei prezzi di mercato, l’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati (FOI) determinato dall’ISTAT è stato ancora individuato quale parametro di riferimento per supplire a tale carenza (Consiglio di Stato, sez. V, 8 maggio 2002, n. 2461; Consiglio di Stato, sez. V, 16 giugno 2003, n. 3373; Consiglio di Stato, sez. V, 14 dicembre 2006, n. 7461).

Subentrata la nuova norma, in mancanza della prevista pubblicazione dei costi standardizzati di cui all’art. 115, si è poi ritenuto che la revisione di cui all’art. 115 possa ragionevolmente essere ancora effettuata sulla base dell’indice FOI pubblicato dall’ISTAT, che viene però considerato (salvo circostanze eccezionali che devono essere provate dall’impresa) come un limite massimo posto a tutela degli equilibri finanziari della pubblica amministrazione, e che pertanto non esime la stazione appaltante dal dovere di istruire il procedimento, tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto al fine di esprimere la propria determinazione discrezionale.

I risultati del procedimento di revisione prezzi sono quindi espressione di una facoltà discrezionale, che sfocia in un provvedimento autoritativo, il quale deve essere impugnato nel termine decadenziale di legge (Cons. Stato, Sez. V, 27 novembre 2015 n. 5375, Consiglio di Stato sez. IV, 6 agosto 2014, n. 4207; sez. V, 24 gennaio 2013, n. 465; sez. V, 3 agosto 2012 n. 4444; Corte di Cassazione, SS.UU. 30 ottobre 2014, n. 23067; 15 marzo 2011, n. 6016; 12 gennaio 2011, n. 511; 12 luglio 2010, n. 16285).

Dunque, la posizione dell’appaltatore è di interesse legittimo, quanto alla richiesta di effettuare la revisione in base ai risultati dell’istruttoria (Cons. Stato, Sez. V, 22 dicembre 2014, n. 6275 e 24 gennaio 2013 n. 465), in presenza di una facoltà discrezionale riconosciuta alla stazione appaltante (Cass. SS.UU. 31 ottobre 2008, n. 26298), che deve effettuare un bilanciamento tra l’interesse dell’appaltatore alla revisione e l’interesse pubblico connesso sia al risparmio di spesa, sia alla regolare esecuzione del contratto aggiudicato.

A tale riguardo, questa Sezione ha chiarito (Cons. Stato, Sez. III, 9/01/2017, n. 25) che “la finalità dell’istituto è da un lato quella di salvaguardare l’interesse pubblico a che le prestazioni di beni e servizi alle pubbliche amministrazioni non siano esposte col tempo al rischio di una diminuzione qualitativa, a causa dell’eccessiva onerosità sopravvenuta delle prestazioni stesse, e della conseguente incapacità del fornitore di farvi compiutamente fronte (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 7 maggio 2015 n. 2295; Consiglio di Stato, Sez. V, 20 agosto 2008 n. 3994), dall’altro di evitare che il corrispettivo del contratto di durata subisca aumenti incontrollati nel corso del tempo tali da sconvolgere il quadro finanziario sulla cui base è avvenuta la stipulazione del contratto” (nello stesso senso cfr. anche Cons. Stato, Sez. V. 23 aprile 2014, n. 2052; Sez. III, 4 marzo 2015, n. 1074; Sez. V, 19 giugno 2009, n. 4079; Sez. III, 9 maggio 2012, n. 2682).

“Va, pertanto, ribadito come lo scopo principale dell’istituto sia e resti quello di tutelare l’interesse pubblico ad acquisire prestazioni di servizi qualitativamente adeguate; solo in via mediata e indiretta la disciplina realizza anche l’interesse dell’impresa, a non subire l’alterazione dell’equilibrio contrattuale conseguente alle modifiche dei costi che si verificano durante l’arco del rapporto” (Consiglio di Stato, Sez. III, Sentenza n. 4362 del 19-07-2011; conforme Sez. V, 22 dicembre 2014, n. 6275; id., 24 gennaio 2013 n. 465)”.

16 – Secondo le pregresse considerazioni, “la determinazione della revisione prezzi viene effettuata dalla stazione appaltante all’esito di un’istruttoria condotta dai dirigenti responsabili dell’acquisizione di beni e servizi” (Consiglio di Stato, sez. III, 9/1/2017, n. 25, citata) secondo un modello procedimentale volto al compimento di un’attività di preventiva verifica dei presupposti necessari per il riconoscimento del compenso revisionale, che sottende l’esercizio di un potere autoritativo tecnico-discrezionale dell’amministrazione nei confronti del privato contraente.

Di conseguenza, la periodicità della revisione non implica affatto che si debba azzerare o neutralizzare l’alea riconosciuta dal codice civile per i contratti commutativi di durata, come confermata dalla disciplina di cui all’art. 1664 c.c. (applicabile in via generale a tutti gli appalti, con esclusione dei contratti pubblici secondo il principio di specialità ) che impone alle parti di provare la sussistenza di eventuali circostanze imprevedibili che abbiano determinato aumenti o diminuzioni nel costo dei materiali o della mano d’opera, e che accorda la revisione solo per la differenza che ecceda il decimo del prezzo complessivo convenuto, di modo che -osserva il Collegio- risulterebbe ben singolare una interpretazione che esentasse del tutto, in via eccezionale, l’appaltatore dall’alea contrattuale, sottomettendo in via automatica ad ogni variazione di prezzo solo le stazioni appaltanti pubbliche, pur destinate a far fronte ai propri impegni contrattuali con le risorse finanziarie provenienti dalla collettività .

17 – Allo stesso modo, alla luce della descritta finalità di contenimento delle conseguenze economiche derivanti dall’alea gravante su entrambe le parti dell’appalto pubblico in caso di variazione dei prezzi, a tutela del loro reciproco affidamento, non apparirebbe conforme né ai principi di imparzialità e buon andamento di cui all’art. 97 Cost. né ai criteri di ragionevolezza e proporzionalità sanciti dall’ordinamento nazionale e comunitario, un’interpretazione che, una volta riconosciuta la revisione dei prezzi, dovesse parametrare i conseguenti effetti economici al dato del tutto astratto e teorico della prevista ripartizione nel tempo del prezzo inizialmente pattuito (così come parrebbe essere proposto dall’appellante), anziché al dato concreto e puntuale (considerato dall’Amministrazione appellata) dei compensi effettivamente corrisposti, quali risultanti dalla relativa fatturazione, nel periodo considerato ai fini del calcolo della variazione del prezzo del servizio o della fornitura, a maggior ragione qualora, così come nel caso in esame, i prezzi corrisposti per le prestazioni oggetto del contratto di appalto non siano fisse, bensì variabili a seconda delle prestazioni effettivamente rese.

18 – Nell’ambito del predetto quadro ordinamentale e normativo di riferimento, la revisione dei prezzi dell’appalto in esame era espressamente disciplinata dall’articolo 20 del contratto d’appalto, il quale stabiliva che “è prevista la revisione dei prezzi di aggiudicazione, ai sensi dell’art. 115 del D.lgs. 163/06, a partire dalla seconda annualità di vigenza contrattuale. In assenza delle rilevazioni di cui all’art. 7 comma 4 lettera c) e comma 5 del D.lgs. 163/06, la revisione sarà calcolata sulla base dell’indice ISTAT dell’aumento dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, con riferimento alla media degli scostamenti rilevati nei dodici mesi antecedenti”.

La predetta clausola ha, quindi, chiaramente determinato i criteri per l’applicazione della revisione prezzi, prevedendo che il prezzo debba essere oggetto di revisione, “a partire dalla seconda annualità di vigenza” e che tale revisione debba essere calcolata, sulla base dell’indice ISTAT dell’aumento dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, “con riferimento alla media degli scostamenti rilevati” (solo) “nei dodici mesi antecedenti.”

Secondo gli atti di causa acquisiti al giudizio, nel caso di specie la stazione appaltante ha, dunque, doverosamente rispettato la predetta clausola -che non appare né irragionevole né in contrasto col richiamato quadro normativo- effettuando la rivalutazione, in seguito all’istanza presentata da Fe. S.r.l. in data 26 gennaio 2016, mediante un’istruttoria che ha consentito di individuare, nel prezzo corrisposto a Fe. nell’anno precedente, la base di calcolo per l’applicazione dell’indice ISTAT dell’aumento dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati con riferimento alla media degli scostamenti rilevati nei dodici mesi antecedenti, in applicazione della clausola revisione prezzi prevista dall’Art. 20 del contratto di appalto la quale indica chiaramente che si deve prendere in considerazione “la media degli scostamenti rilevati nei dodici mesi antecedenti”, a

“partire dalla seconda annualità di vigenza” e non tutti gli scostamenti a partire dalla stipulazione del contratto, come richiesto dall’appellante in irrimediabile contrasto con il tenore letterale del citato art. 20 del contratto di appalto.

19 – Conclusivamente, alla stregua delle pregresse considerazioni il motivo unico d’appello proposto risulta non fondato, in quanto l’applicazione del diverso criterio di calcolo proposto dall’appellante si porrebbe in diretto contrasto con il tenore letterale dell’art. 20 del regolamento contrattuale, che a sua volta non palesa profili d irrimediabile conflitto con la normativa applicabile pro tempore e con la relativa ratio, né con i principi di riferimento dell’ordinamento nazionale e comunitario.

20 – Deve essere, quindi, confermata la sentenza di primo grado respingendo l’appello, ad eccezione del punto di domanda concernente le spese di giudizio che, considerata la complessità, novità e non univocità delle questioni dedotte, possono essere integralmente compensate con riferimento ad entrambi i gradi di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte ed in parte lo respinge, e per l’effetto conferma integralmente l’appellata sentenza di primo grado, fatta eccezione per il solo punto concernente le spese processuali, che vengono integralmente compensate per entrambi i gradi di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 ottobre 2018 con l’intervento dei magistrati:

Lanfranco Balucani – Presidente

Umberto Realfonzo – Consigliere

Massimiliano Noccelli – Consigliere

Pierfrancesco Ungari – Consigliere

Raffaello Sestini – Consigliere, Estensore

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