Istanza di concessione o di autorizzazione in sanatoria

Consiglio di Stato, Sezione 6 |Sentenza|30 dicembre 2020| n. 8527

Ai sensi del combinato disposto dell’articolo 32 del Dl 30 settembre 2003, n. 269 e delle norme a cui è fatto rinvio, ai fini della operatività del potere del presentatore dell’istanza di concessione o di autorizzazione in sanatoria di completare sotto la propria responsabilità le opere oggetto di condono, devono ricorrere le condizioni dell’avvenuto versamento della seconda rata dell’oblazione, della notifica al Comune del «proprio intendimento», con allegazione di una «perizia giurata ovvero documentazione avente data certa in ordine allo stato dei lavori abusivi», dell’ inizio dei lavori «non prima di trenta giorni dalla data della notificazione»; tali prescrizioni sono finalizzate a consentire all’amministrazione di individuare con precisione la natura e la consistenza delle opere oggetto della domanda condono al fine di tenerle distinte da quelle effettuate dopo tale domanda. Ne consegue, nel caso di realizzazione di nuove ulteriori opere, dopo la presentazione della domanda, da un lato che il Comune non può esprimersi in ordine ad un oggetto che ha cambiato natura rispetto a quello che la legge, eccezionalmente, consente di valutare in sede di procedura di sanatoria; dall’altro lato, l’automatica abusività delle opere effettuate perché esse non sono state autorizzate e si inseriscono in un contesto illecito che ne impone la rimozione.

Sezione 6 |Sentenza|30 dicembre 2020| n. 8527

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Tag – parola chiave: Abusi edilizi – Condono edilizio – Perizia o idonea documentazione in grado di cristallizzare con certezza lo stato delle opere prima dell’inizio dei lavori di completamento – Art. 32 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8488 del 2019, proposto da Li. Gr., Gi. Gr., Ma. Gr., rappresentati e difesi dall’avvocato Um. Ge., con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia;
contro
Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, Ministero dell’Economia e delle Finanze, Agenzia delle Dogane e dei Monopoli – Ufficio dei Monopoli per la Campania – Sez. operativa di Caserta, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Comune di Casoria, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza 22 febbraio 2019, n. 1043 del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, Sezione Seconda.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Agenzia delle Dogane e dei Monopoli e di Ministero dell’Economia e delle Finanze e di Agenzia delle Dogane e dei Monopoli – Ufficio dei Monopoli per la Campania – Sez. Op.Ter.Di Caserta;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 10 dicembre 2020 il Cons. Vincenzo Lopilato.
L’udienza si svolge ai sensi dell’art. 25, comma 2, del decreto-legge28 ottobre 2020, n. 137 attraverso videoconferenza con l’utilizzo di piattaforma “Microsoft Teams” come previsto della circolare n. 6305 del 13 marzo 2020 del Segretario Generale della Giustizia Amministrativa.

FATTO e DIRITTO

1.? I signori Gr., indicati in epigrafe, espongono di aver realizzato entro il 31 marzo 2003 sul lastrico solare del secondo piano di un fabbricato di loro proprietà, sito in Casoria alla via n. Cortese n. 16, un manufatto «costituito da un unico ambiente di circa 80 mq. dotato di un locale bagno, completato al rustico e con tompagnature».
Le parti hanno presentato, in relazione a tali opere, istanza di condono edilizio, con atto del 7 dicembre 2004, prot. 26571.
Il Comune di Casoria, con ordinanza 6 marzo 2012, previo diniego del condono, ha ingiunto la demolizione del suddetto manufatto perché realizzato senza il previo necessario titolo autorizzatorio. In particolare, il rigetto del richiesto condono ed il conseguente ordine di demolizione risiedevano nel fatto che il manufatto era stato trasformato attraverso il suo definitivo completamento in un’unità abitativa composta «da un unico ambiente di circa 80 mq., cucina, salotto ed un piccolo locale bagno», frutto dell’esecuzione di «ulteriori opere abusive, realizzate successivamente alla presentazione della domanda di condono edilizio».
2.? Le parti hanno impugnato tale ordinanza innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Campania, Napoli, per i motivi riproposti in sede di appello e riportati nei successivi punti.
3.? Il Tribunale amministrativo, con sentenza 22 febbraio 2019, n. 1043, ha rigettato il ricorso.
4.? I ricorrenti di primo grado hanno proposto appello.
5.? L’amministrazione comunale intimata non si è costituita in giudizio. L’Agenzia del demanio ha fatto presente di essersi costituita in giudizio per errore.
6.? La causa è stata decisa all’esito dell’udienza pubblica del 10 dicembre 2020.
7.? L’appello non è fondato.
8.? Con un primo motivo si assume l’erroneità della sentenza nella parte in cui non ha rilevato l’illegittimità dell’ordine di demolizione, in quanto adottato senza che il Comune avesse prima esaminato la domanda di condono mediante l’adozione di una determinazione espressa.
Il motivo non è fondato.
Il Comune, con il provvedimento impugnato, ha esaminato la domanda di condono e accertato l’abusività delle opere concretamente eseguite con ordine di demolizione delle stesse. Tale valutazione contestuale risulta dal riferimento fatto alla «non condonabilità» delle opere stesse, essendo stata verificata, successivamente alla presentazione della domanda di condono, la realizzazione di ulteriori opere abusive. La suddetta motivazione, per le ragioni che risulteranno più chiaramente oltre, deve ritenersi adeguata, senza che fosse necessario adottare due provvedimenti separati.
9.? Con gli altri tre motivi di appello si assume l’erroneità della sentenza impugnata, nella parte in cui non ha ritenuto illegittimo il provvedimento impugnato, in quanto: i) l’affermazione relativa alla diversità del manufatto attuale rispetto al rustico oggetto della domanda di condono sarebbe priva di adeguata motivazione e non sarebbe supportata da alcun accertamento probatorio, essendosi gli appellanti limitati ad effettuare mere opere di completamento e di finitura, senza alcun aumento di volumetria; ii) l’art. 35 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 consentirebbe, dopo la presentazione della domanda di condono, il completamento dell’opera sotto la propria responsabilità, non essendo necessario un permesso di costruire ma «una mera comunicazione»; iii) le opere realizzate dopo la domanda di condono sarebbe soggette ad una mera comunicazione ovvero ad una denuncia di inizio attività, ai sensi, rispettivamente, degli artt. 6 e 22 del d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380, con applicazione, in caso di loro mancanza, di una mera sanzione pecuniaria.
I motivi non sono fondati.
L’art. 32 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, applicabile alla domanda di condono in esame, prevede che, alle tipologie di abusi da esso descritte, si applicano le norme della legge n. 47 del 1980.
L’art. 35, comma 14, di tale legge dispone che decorsi centoventi giorni dalla presentazione della domanda «il presentatore dell’istanza di concessione o autorizzazione in sanatoria può completare sotto la propria responsabilità le opere» oggetto di condono.
La norma condiziona l’operatività di tale potere alla sussistenza delle seguenti condizioni: i) versamento della seconda rata dell’oblazione; ii) notifica al Comune del «proprio intendimento», con allegazione di una «perizia giurata ovvero documentazione avente data certa in ordine allo stato dei lavori abusivi»; ii) inizio dei lavori «non prima di trenta giorni dalla data della notificazione».
La finalità di queste prescrizioni è quella di consentire all’amministrazione di individuare con precisione la natura e la consistenza delle opere oggetto della domanda condono al fine di tenerle distinte da quelle effettuate dopo tale domanda. Questa è la finalità della presentazione di una perizia o di idonea documentazione in grado di cristallizzare con certezza lo stato delle opere prima dell’inizio dei lavori di completamento. Soltanto ricorrendo tali condizioni è consentito, eccezionalmente, alla parte di effettuare gli altri lavori sopra indicati.
Nella specie, risulta dato pacifico che gli appellanti dopo avere presentato la domanda di condono hanno effettuato ulteriori opere mediante la realizzazione di due vani (cucina e salotto) risultanti dall’avvenuta distribuzione degli spazi interni.
Gli appellanti non hanno dimostrato di avere effettuato tali opere nel rispetto delle condizioni prescritte dalla norma sopra riportata. In particolare, non è stato provato di avere fatto presente, mediante apposito atto notificato, al Comune di volere completare il manufatto e di avere depositato una perizia giurata ovvero una documentazione avente data certa relativa allo stato, in quel momento, dei lavori abusivi.
Tali mancanze determinano la inapplicabilità dell’art. 35, comma 14.
Ne consegue, da un lato, il rigetto della domanda di condono, non potendo il Comune esprimersi in ordine ad un oggetto che ha cambiato natura rispetto a quello che la legge, eccezionalmente, consente di valutare in sede di procedura di sanatoria; dall’altro lato, l’automatica abusività delle opere effettuate perché esse non sono state autorizzate e si inseriscono in un contesto illecito che ne impone la rimozione.
Alla luce di quanto esposto, il provvedimento del Comune deve ritenersi adeguatamente motivato mediante il riferimento alla circostanza che, in sede di sopralluogo, è stato accertato che gli appellanti hanno realizzato «ulteriori opere abusive successivamente alla presentazione della domanda di condono edilizio». Tale affermazione comporta le conseguenze sopra riportate: rigetto del condono e rimozione delle opere successivamente effettuate.
9.? La particolarità della vicenda giustifica l’integrale compensazione tra le parti le spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando:
1. a) rigetta l’appello proposto con il ricorso indicato in epigrafe;
2. b) dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 dicembre 2020 con l’intervento dei magistrati:
Giancarlo Montedoro, Presidente
Diego Sabatino, Consigliere
Silvestro Maria Russo, Consigliere
Vincenzo Lopilato, Consigliere, Estensore
Dario Simeoli, Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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