Consiglio di Stato, sezione quinta, Sentenza 9 dicembre 2019, n. 8398
La massima estrapolata:
L’iscrizione di una strada nell’elenco delle vie pubbliche o gravate da uso pubblico genera una presunzione di pubblicità dell’uso, superabile con la prova contraria della natura della strada e dell’inesistenza di un diritto collettivo di godimento (mediante un’azione negatoria di servitù).
Sentenza 9 dicembre 2019, n. 8398
Data udienza 28 novembre 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello numero di registro generale 258 del 2019, proposto da
Ia. Ma. ed altri, rappresentati e difesi dagli avvocati Cl. Pi. e Ru. St., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro-tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Gi. Ri., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza breve del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia Sezione Quarta n. 2725/2018, resa tra le parti, concernente ordine di rilascio di un’area del demanio comunale;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 28 novembre 2019 il Cons. Raffaele Prosperi e uditi per le parti gli avvocati Ru. St. e Gi. Ri.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Risulta dagli atti che i signori Ia., proprietari di un’abitazione a (omissis), la cui piccola corte interna inferiore a nove mq. costituiva l’ultimo tratto di una diramazione lunga circa otto metri della vicina via pubblica (omissis), avevano apposto un cancello in chiusura del cortile e tempo dopo avviato una procedura di mediazione per vedere accertata l’usucapione ultraventennale su detto cortile. Pervenne loro un’ingiunzione datata 11 agosto 2018, con la quale il responsabile dell’area tecnica del Comune aveva rammentato l’appartenenza al demanio comunale dell’area e quindi ordinato la rimozione del cancello in autotutela ex art. 823 c.c. entro quindici giorni unitamente ad una caldaia sita nei pressi ed irrogando una sanzione nella somma complessiva di Euro 1.512,47 per l’occupazione abusiva.
Gli interessati impugnavano l’ordinanza al Tribunale amministrativo della Lombardia per contraddittorietà con altro provvedimento e travisamento dei fatti, violazione dell’art. 378 l. n. 2248 del 1865, eccesso di potere per difetto di motivazione e d’istruttoria, sviamento di potere, omessa indicazione del bene immobile oggetto del provvedimento impugnato, ed incompetenza.
Con sentenza 3 dicembre 2018 n. 2725 il Tribunale amministrativo riteneva la giurisdizione del giudice amministrativo in quanto la controversia investiva la legittimità di un provvedimento e sebbene l’accertamento della proprietà dell’area in questione appartenesse al giudice ordinario, nel caso di specie la questione poteva essere conosciuta in via incidentale.
Nel merito, alla luce degli elementi disponibili, si escludeva innanzitutto la rilevanza della presa d’atto comunale del 30 maggio 1979 alla posa del cancello, in secondo luogo tra la diramazione e il cortile non vi erano soluzioni di continuità, accedendo attraverso di essi a più abitazioni private e non solo a quella di parte ricorrente e tutto ciò in assenza di un titolo di proprietà differenziante; ancora, era provato che il cortiletto fosse pavimentato in continuità con la viabilità principale e la stessa domanda di accertamento di usucapione nei confronti del Comune era la dimostrazione di un’originaria proprietà da parte di questi, visto anche il carattere della diramazione che conduceva a più residenze private e dunque la funzione identica a quella della restante strada pubblica.
Da ciò conseguiva ai sensi degli artt. 822 e 824 Cod. civ. la demanialità del cortiletto, in quanto tale non usucapibile, anche attraverso l’apposizione di impedimenti dell’utilizzo collettivo e l’Amministrazione aveva dunque pieno titolo ad agire per la tutela del bene pubblico, anche mediante autotutela esecutiva ex art. 823 Cod. civ..
Il giudice di primo grado escludeva poi la sussistenza di eventuali altre illegittimità : non vi era l’incompetenza del dirigente, visto che il provvedimento atteneva la generale gestione dell’attività amministrativa ex art. 107 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, né rilevava la mancata pubblicazione all’albo comunale, né l’inclusione nell’elenco delle strade pubbliche data la mera natura dichiarativa di questo.
Quanto alla controversia sull’indennità per l’occupazione del cortile, la materia non riguardava la giurisdizione del giudice amministrativo e quindi il ricorso andava in parte respinto ed in parte dichiarato inammissibile.
Con appello in Consiglio di Stato notificato il 10 gennaio 2019, i signori Ma. ed altri, impugnavano la sentenza ed esponevano un’analisi dettagliata delle proprietà dei luoghi, dei loro confini, dei passati atti notarili e dello stato del cortiletto, criticavano l’adozione della sentenza in forma semplificata a loro dire non adeguata alla complicazione dei fatti ed insistevano sul fatto che l’autorizzazione alla posa del cancello avrebbe riguardato proprio il cancello in questione.
Concludevano per l’accoglimento dell’appello con vittoria di spese.
Si è costituito anche in questo grado di giudizio il Comune di (omissis), difendendo la correttezza della sentenza di primo grado.
Con ordinanza n. 572 del 7 febbraio 2019, questa Sezione accoglieva la domanda cautelare di sospensione del provvedimento impugnato in ragione del danno evocato.
All’udienza del 28 novembre 2019 la causa è passata in decisione.
L’appello è fondato.
In primo luogo appare incontestabile l’assunto degli appellanti sulla presenza fin dal 1979 del cancelletto in controversia, allorché essi avevano chiesto – il 7 aprile – al Comune autorizzazione edilizia per la sua posa, ottenendola in seguito a parere favorevole della commissione edilizia: dunque il Comune non si era opposto alla posa del cancello, ed aveva svolto una valutazione sul piccolo spiazzo non classificandolo strada: ora l’ordinanza impugnata non menziona l’autorizzazione, che al momento del rilascio, indicava l’area racchiusa tra i muri portanti degli immobili circostanti e l’erigendo cancelletto come area di pertinenza al mappale (omissis) di proprietà Ia..
Ora, per coerenza dell’azione amministrativa, con l’ingiunzione il Comune avrebbe dovuto – sussistendone i presupposti – adottare un annullamento d’ufficio del detto provvedimento edilizio con le relative ammissioni. Ma la P.A. appellata non ha avuto nemmeno riguardo ad indicare l’ormai datata autorizzazione edilizia ed il riconoscimento esplicito da essa svolto; anzi si cita una relazione dell’ufficio tecnico comunale del 24 maggio 2018 in cui si afferma che l’area “apparterrebbe” al demanio comunale in quanto identificata in mappa catastale come “strada”.
Dunque è assente un riesame delle precedenti determinazioni consolidatesi nel tempo; e si cita al condizionale un’appartenenza dello spazio alle strade comunali, senza indicarne una menzione nell’elenco delle strade comunali, che per quanto non abbia effetti costitutivi potrebbe avere un qualche significato ricognitivo da comunque considerare.
L’iscrizione di una strada nell’elenco delle vie pubbliche o gravate da uso pubblico genera infatti una presunzione di pubblicità dell’uso, superabile con la prova contraria della natura della strada e dell’inesistenza di un diritto collettivo di godimento (mediante un’azione negatoria di servitù ).
L’insistenza di segnaletica stradale e illuminazione pubblica, la percorrenza di linee pubbliche urbane, la funzione di raccordo con altre strade e lo sbocco su piazza e su pubbliche vie sono elementi che, se consolidati, portano verso il riconoscimento della qualità di strada comunale all’interno degli abitati ai sensi dell’art. 7, lett. c), l. n. 126 del 1958 (Cons. Stato, IV. 10 ottobre 2018 n. 5820).
Nel caso di specie della strada – o spazio – non si dà descrizione, fatte salve le misure della superficie. Dalla documentazione in atti, soprattutto fotografie e mappe catastali oppure di piano regolatore, non si desume che il vicolo – di ciò si tratta a fronte di una lunghezza di otto metri per una larghezza di poco superiore al metro – possa con certezza appartenere alla viabilità comunale e dunque al corrispondente demanio. Non vi è, del resto, illuminazione pubblica, né tanto meno segnaletica, né il tracciato mostra una funzione di raccordo, del tipo di traversa o di passaggio tra strade maggiori. Al contrario, si constata che si tratta di un percorso cieco con una pavimentazione irriconoscibile se non inesistente, a differenza del selciato formato da cubetti di porfido che inizia subito dall’immissione sulla via (omissis), questa sì strada pubblica senza dubbi.
Infine l’accesso o meglio la fine del vicolo dà su uno spazio del tutto privo di sfoghi, utile solo per i proprietari della particella (omissis) che appunto chiesero nel 1979 l’autorizzazione alla posa del cancello e la presenza di una porta che sembra riguardare la particella (omissis) – proprietà Ze. – non ha offerto in questi quaranta anni spunti a contestazioni e comunque ha nella specie aspetti civilistici circa la proprietà dello spazio chiuso e non fornisce elementi per immaginare un’ipotetica pubblicità dello spazio.
Tale è la situazione cui si riferisce l’atto impugnato. Ne viene che esso appare viziato secondo quanto lamentato dagli interessati e dunque va in giustizia annullato.
L’appello dunque va accolto, con l’assorbimento di ogni residua censura.
Sussistono le ragioni per compensare le spese di giudizio tra le parti, vista la particolare complessità dei fatti in cui è inquadrata la controversia.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso introduttivo.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 novembre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Giuseppe Severini – Presidente
Raffaele Prosperi – Consigliere, Estensore
Valerio Perotti – Consigliere
Giovanni Grasso – Consigliere
Alberto Urso – Consigliere
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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