La legge non stabilisce termini entro i quali deve essere svolta l’attività di vigilanza edilizia

Consiglio di Stato, sezione seconda, Sentenza 9 dicembre 2019, n. 8374

La massima estrapolata:

La legge non stabilisce termini entro i quali deve essere svolta l’attività di vigilanza edilizia da parte degli enti locali, nessun affidamento del privato nel decorso del tempo può trovare tutela nel nostro ordinamento e l’ingiunzione di demolizione di opere abusive costituisce un atto vincolato per l’Amministrazione.

Sentenza 9 dicembre 2019, n. 8374

Data udienza 22 ottobre 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10039 del 2008, proposto dalla signora
Ne. De., rappresentata e difesa dall’avvocato Lu. Bi., con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Fa. Br. Ma. in Roma, via (…);
contro
Il Comune di Rimini, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Ma. As. Fo., con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Ma. Te. Ba. in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia Romagna Sezione Prima n. 01637/2008, resa tra le parti, concernente l’ingiunzione di demolizione di opere abusive.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Rimini;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 22 ottobre 2019 il Cons. Carla Ciuffetti, udito per le parti l’avv. Lu. Fe. Ba. su delega dell’avv. Ma. As. Fo.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. La sentenza in epigrafe ha respinto il ricorso presentato dall’odierna appellante avverso il provvedimento del Comune di Rimini, prot.n. 224822, in data 19 dicembre 2007, di ingiunzione di demolizione di opere abusive realizzate su un fabbricato di cui l’appellante è nuda proprietaria. Nel 1961 il Comune di Rimini aveva autorizzato la costruzione di tale fabbricato, costituito da un piano terra ad uso negozio. Le opere sine titulo di cui è questione riguardano la soprelevazione di un piano, una scala esterna per accedervi, un manufatto sulla copertura del nuovo piano e una veranda al piano terra. La realizzazione di tali interventi edilizi era stata oggetto di accertamento da parte dell’Ufficio controlli edilizi del Comune, come risultante da verbale in data 26 marzo 2007 prot. n. 56509.
Il primo giudice ha ritenuto che: l’intervallo di tempo intercorso tra la realizzazione degli interventi edilizi sine titulo e l’adozione del provvedimento impugnato non sostanziasse lesione di un legittimo affidamento in ragione della natura di atto dovuto di tale provvedimento; l’asserita erronea indicazione nello stesso atto delle misure di una delle opere abusive costituiva un dato di mero fatto, che non impediva la corretta individuazione dell’opera da demolire; gli interventi edilizi controversi costituivano “un ampliamento abusivo che avrebbe richiesto un permesso di costruzione sia se realizzato contestualmente rispetto al titolo edilizio rilasciato sia se realizzato successivamente, costituendo organismi edilizi autonomamente utilizzabili”.
2. Con il presente appello la ricorrente premette in fatto che l’ulteriore piano, rispetto al piano terra autorizzato nel 1961, e la scala per accedervi sarebbero stati realizzati nel corso della costruzione legittimamente assentita; inoltre, “verosimilmente sempre negli anni sessanta” sarebbe stata costruita una veranda a piano terra.
Ad avviso dell’appellante, erroneamente la sentenza impugnata non avrebbe ravvisato i seguenti vizi dell’atto impugnato:
a) “eccesso di potere per difetto di motivazione nonché carente attività istruttoria”: il Comune non avrebbe verificato che le opere in parte erano legittime perché autorizzate nel 1961; inoltre – poiché l’atto era stato adottato a distanza di cinque anni dalla data del sopralluogo svolto nel 2002 dalla Polizia municipale che aveva rilevato che le opere rilevate erano di vecchia realizzazione, risalente di almeno vent’anni – la motivazione dell’atto impugnato avrebbe dovuto dare conto delle specifiche ragioni di interesse pubblico che ne giustificavano l’adozione nonostante il decorso di un notevole intervallo di tempo dalla realizzazione dei manufatti, che aveva fatto sorgere un affidamento dell’appellante meritevole di tutela;
b) “eccesso di potere per travisamento di fatto, illogicità e contraddittorietà manifesta” per erroneità nell’indicazione delle misure della veranda nell’ordinanza di demolizione (mq. 23,16) rispetto a quelle contenute nel verbale di accertamento tecnico (mq. 6,74 circa). Non si sarebbe trattato di un mero errore materiale che non avrebbe compromesso la possibilità di individuare la parte da demolire, come invece ritenuto dal Tar, perché invece la difformità della misurazione non avrebbe consentito tale individuazione;
c) “violazione di legge per violazione ed errata applicazione dell’art. 13 della l.r. n. 23/2004”: l’ordinanza sarebbe stata adottata, senza previo accertamento della possibilità di adottare per le opere in questione la sanzione di cui all’art. 15 della stessa l.r. n. 23/2004.
3. Il Comune di Rimini, costituito in giudizio con controricorso in data 18 agosto 2009, ha chiesto il rigetto dell’appello, conclusione ribadita con memoria ex art. 73 cpa in data 18 settembre 2019. In data 9 settembre 2019 lo stesso Comune ha depositato:
la perizia tecnico estimativa prot. n. 217996 in data 14 novembre 2014, sottoscritta dal Direttore Lavori Pubblici e Qualità Urbana dell’Ente, che aveva individuato le opere per le quali “non sussistono le condizioni per procedere alla demolizione”;
l’ordinanza prot. n. 20229, in data 2 febbraio 2015, adottata ai sensi dell’art. 15 della l.r. n. 23/2004, di irrogazione all’appellante di una sanzione pecuniaria di euro 78.784,44 “per impossibilità di rimozione delle opere senza pregiudizio per la parte legittimamente edificata”, con riferimento al piano soprelevato, alla scala di accesso e al manufatto sovrastante;
la nota in data 2 febbraio 2015 con cui l’Ufficio edilizia pubblica del Comune di Rimini chiedeva all’Ufficio controlli edilizi dello stesso Ente di rivedere la perizia n. 217996/2014 “nello specifico relativa all’impossibilità di procedere alla rimozione della veranda”, ed evidenziava che “medio tempore si provvederà all’applicazione della sanzione pecuniaria per le restanti opere”;
l’atto prot. n. 239077, in data 26 settembre 2017, con cui il Comune si è espresso negativamente sulla SCIA presentata in data 30 aprile 2015 (riguardante il piano soprelevato, il manufatto insistente su di esso, la scala di accesso e il cambio di destinazione d’uso del piano terra da negozio ad abitazione), in quanto non risultava dimostrato che si trattasse di opere in parziale difformità eseguite durante i lavori per l’attuazione del titolo edilizio ottenuto nel 1961; pertanto gli interventi edilizi in questione dovevano essere considerati come nuove opere, richiedenti apposito titolo edilizio e comunque essi si ponevano in contrasto con la disciplina urbanistico edilizia comunale.
4. Il Collegio constata che l’ordinanza del Comune di Rimini richiamata sub 3.2) ha disposto l’irrogazione di sanzione pecuniaria per impossibilità di rimozione, senza pregiudizio per la parte legittimamente edificata, delle seguenti opere realizzate sine titulo: sopraelevazione di tutto il piano primo, scala esterna per accedervi, manufatto sul piano di copertura del nuovo primo piano.
Poiché tale ordinanza, che non risulta essere stata oggetto di impugnazione da parte dell’appellante, è stata emanata per i citati interventi edilizi “in sostituzione della precedente diffida” e costituisce applicazione anche dell’art. 15 della l.r. n. 23/2004 la cui violazione è stata dedotta con il terzo motivo di appello, il Collegio ritiene che per le opere ivi richiamate sia sopravvenuto il difetto di interesse della ricorrente alla decisione dell’impugnazione e l’appello sia quindi improcedibile.
5. Quanto alla veranda, la perizia tecnico estimativa n. 217996/2014, a differenza delle opere sopra richiamate, si è limitata a riscontrare che essa “contribuisce alla regolare distribuzione dei carichi strutturali pertanto è auspicabile mantenere inalterata la struttura” e la nota richiamata sub 3.3) ne ha specificato l’esclusione dalla sottoposizione a sanzione pecuniaria, come risulta dall’ordinanza sub 3.2).
Per tale opera permane, quindi, ad avviso del Collegio, l’interesse della ricorrente alla decisione dell’impugnazione.
Venendo quindi al merito dell’appello, per quanto riguarda tale opera edilizia, il motivo sub 2. a), è infondato. Premesso che, in punto di fatto, non risulta raggiunta la prova dell’epoca di costruzione del manufatto (onere, questo, che ricade in capo al proprietario dell’immobile sfornito di titolo abilitativo) tanto che la stessa appellante formula solo una valutazione di verosimiglianza della riconducibilità della datazione dell’opera agli “anni sessanta” e il richiamato verbale di sopralluogo stima la costruzione delle opere controverse di almeno vent’anni precedente, va richiamata la giurisprudenza di questo Consiglio per cui, posto che la legge non stabilisce termini entro i quali deve essere svolta l’attività di vigilanza edilizia da parte degli enti locali, nessun affidamento del privato nel decorso del tempo può trovare tutela nel nostro ordinamento (cfr. Cons. Stato, A.P., 17 ottobre 2017, n. 9) e l’ingiunzione di demolizione di opere abusive costituisce un atto vincolato per l’Amministrazione (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. VI, 19 novembre 2018, n. 6493).
Il Collegio condivide la tesi del primo giudice per cui l’erronea indicazione nell’atto impugnato delle misure del manufatto non ne comprometteva l’identificazione ai fini dell’adempimento dell’ingiunzione comunale, in quanto ricorrevano elementi sufficienti per una certa individuazione dell’opera da demolire. Dunque, il motivo di appello sub 2. b) è infondato.
Anche il motivo di appello sub 2. c), è infondato, in quanto il Collegio non ravvisa alcun elemento di erroneità nella statuizione del primo giudice circa la necessità di un titolo edilizio per la legittima costruzione degli interventi edilizi contestati, in particolare la veranda, di cui ha rilevato l’autonoma utilizzabilità . Tale conclusione è condivisibile in quanto la veranda – realizzata, secondo la definizione dell’appellante “mediante il tamponamento con infissi in alluminio e vetri dello spazio sottostante il balcone posto al primo piano sul fronte dell’edificio” – costituisce un intervento che “va riguardato dall’ottica del risultato finale, ovvero il rilevato aumento di superficie e di volumetria” (Cons. Stato, sez. VI, 29 agosto 2019, n. 5961) e la valutazione circa la possibilità di applicare la sanzione pecuniaria invece di quella ripristinatoria “costituisce una mera eventualità della fase esecutiva, successiva all’atto di diffida a demolire, sicché la mancata valutazione della possibile applicazione della sanzione pecuniaria sostitutiva non può costituire un vizio dell’ordine di demolizione (v., per tutte: Cons. Stato, Sez. VI, 10 novembre 2017, n. 5180)” (Cons. Stato, sez. II, 4/07/2019, n. 4588). Inoltre, l’applicazione della sanzione pecuniaria di cui all’art. 15, co. 2, della l.r. n. 23/2004 presuppone una “richiesta motivata dell’interessato” che, nella fattispecie, non risulta essere stata presentata, tanto che la ricorrente richiama nell’atto di appello tale presupposto come mera facoltà, senza indicare l’atto con cui essa sarebbe stata effettivamente esercitata.
6. Per quanto sopra esposto l’appello deve ritenersi improcedibile con riferimento alle opere costituite dal piano soprelevato, dalla scala per accedervi e dal manufatto ad esso sovrastante, mentre deve essere respinto con riferimento alla costruzione della veranda. Il regolamento delle spese processuali del grado di giudizio, liquidate in dispositivo, segue la soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo dichiara in parte improcedibile e per altra parte infondato, nei sensi di cui in motivazione.
Condanna la parte appellante alla rifusione in favore del Comune di Rimini delle spese processuali del grado di giudizio, liquidate in complessivi euro 2000 (duemila/00), oltre alle maggiorazioni di legge, se dovute.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 ottobre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Fabio Taormina – Presidente
Giancarlo Luttazi – Consigliere
Giovanni Sabbato – Consigliere
Francesco Frigida – Consigliere
Carla Ciuffetti – Consigliere, Estensore

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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