Ipotesi di ricusazione

Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 5 luglio 2019, n. 29430.

La massima estrapolata:

L’ipotesi di ricusazione di cui all’art. 37, comma 1, lett. b), fondata sull’indebita manifestazione del convincimento sui fatti oggetto dell’imputazione, ricorre quando il giudice esprima valutazioni di merito della res iudicanda, ovvero sulla colpevolezza o innocenza dell’imputato, in ordine ai fatti oggetto del processo, laddove l’avverbio indebitamente va interpretato nel senso di atto arbitrario nel contenuto. Nel caso in cui il giudice esprima valutazioni nell’esame di una questione incidentale la causa di ricusazione sussiste sole se tali valutazioni travalichino i limiti imposti dall’adozione del provvedimento incidentale, con l’espressione indebita di un giudizio non giustificato da un nesso funzionale con l’indicato provvedimento.

Sentenza 5 luglio 2019, n. 29430

Data udienza 10 maggio 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSI Elisabetta – Presidente

Dott. LIBERATI Giovanni – rel. Consigliere

Dott. SEMERARO Luca – Consigliere

Dott. GAI Emanuela – Consigliere

Dott. MACRI’ Ubalda – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 08/01/2019 della CORTE APPELLO di BOLOGNA;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. SCARCELLA ALESSIO;
sentite le conclusioni del Procuratore Generale, Dott. Di Leo Giovanni, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza 8.01.2019, la Corte d’appello di Bologna rigettava la dichiarazione di ricusazione proposta in data 13.12.2018 dal (OMISSIS), nei confronti del GUP/tribunale di Forli’.
2. Contro la ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di fiducia nominato, iscritto all’Albo speciale previsto dall’articolo 613 c.p.p., articolando un unico motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex articolo 173 disp. att. c.p.p..
2.1. Deduce, con tale unico motivo, il vizio di violazione di legge e/o di vizio di motivazione carente in relazione all’articolo 125 c.p.p..
In sintesi, si sostiene la nullita’ dell’ordinanza per carenza di motivazione in quanto, secondo la difesa, la Corte d’appello non darebbe conto del principale argomento difensivo che riguardava il fatto che il giudice, in sede di riesame, quale Presidente del Collegio che aveva esaminato l’istanza proposta avverso il decreto di sequestro preventivo nel medesimo procedimento, non aveva solamente valutato la presenza degli indizi di reita’ in ordine ai reati per i quali era stato disposto il sequestro – in particolare l’aver annotato nel 2012 fatture per operazioni inesistenti e l’aver omesso di presentare nel 2013 la dichiarazione dei redditi -, ma aveva esteso il giudizio agli indizi di colpevolezza circa gli altri reati per i quali si procedeva. Nello specifico si trattava di emissione ed annotazione di fatture false ad opera di altre societa’, associazione per delinquere e bancarotta che non avevano alcuna pertinenza con il sequestro che era stato disposto. Secondo la difesa, nello specifico, il tribunale del riesame, senza alcuna utilita’ rispetto alla decisione del provvedimento cautelare, avrebbe affermato l’esistenza di elementi di colpevolezza dell’allora indagato anche rispetto a tali delitti. Invero, nell’ordinanza non venivano unicamente accertati i reati riferibili all’ (OMISSIS) con riferimento al ruolo del (OMISSIS), ma anche ulteriori fatti di reato e addirittura all’indagato veniva attribuito il ruolo di gestore e regista di altre societa’ dell’intero sistema. Venivano in altre parole superati i limiti dell’accertamento propri del procedimento incidentale e pertanto vi sarebbe incompatibilita’. Del resto, la Corte di appello sottolinea che era necessario per il Tribunale del riesame valutare il ruolo del (OMISSIS) in (OMISSIS), tuttavia il presidente del Collegio non si sarebbe limitato a svolgere tale analisi, ma avrebbe anticipato il giudizio sul merito e sulla colpevolezza dell’indagato, esprimendosi sul ruolo dell’indagato in altre societa’, definendolo come il regista del complesso carosello fiscale. In altre parole, egli avrebbe espresso in sede di riesame cautelare valutazioni non giustificate dalle caratteristiche della decisione adottata, esprimendosi su fatti di reato del tutto indifferenti rispetto al sequestro che aveva formato oggetto di impugnazione.
3. Con requisitoria depositata in data 8.04.2019, il Procuratore Generale presso questa Corte, Dott. Giovanni Di Leo, ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso. Sul punto, il PG, dopo aver evidenziato lo specifico punto di doglianza del ricorrente, richiama la giurisprudenza di questa Corte (il riferimento e’ a Cass. n. 3033/2018), e osserva come la valutazione del giudice ricusato, avente ad oggetto un procedimento cautelare incidentale rispetto al procedimento principale in trattazione, si sarebbe limitata alla valutazione del fumus commissi delicti, donde da tale valutazione, comunque espressa, non e’ lecito trarre un pregiudizio sulle intenzioni del giudice. Il PG, poi, dopo aver riportato ampi passaggi argomentativi della sentenza della Corte costituzionale n. 283/2000 (in cui si afferma che l’effetto pregiudicante puo’ riguardare anche provvedimenti diversi dalla sentenza, ma che la funzione pregiudicata va individuata in una decisione attinente alla responsabilita’ penale, essendo necessario, perche’ si verifichi un pregiudizio per l’imparzialita’, che il giudice sia chiamato ad esprimere una valutazione di merito collegata alla decisione finale della causa), evidenzia come nel provvedimento di riesame – che dovrebbe secondo la tesi del ricorrente svolgere effetto pregiudicante della decisione finale dell’udienza preliminare, chiaramente passaggio processuale non decisorio, a carico del ricusante – non e’ ravvisabile alcun concreto effetto pregiudicante dell’imparzialita’ del giudice ricusato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Deve, preliminarmente, essere osservato che, trattandosi di decisione nel merito sull’istanza di ricusazione, e’ stata correttamente fissata la procedura camerale non partecipata.
Ed infatti, la giurisprudenza di questa Corte e’ consolidata nel senso di affermare che il ricorso per cassazione avverso il provvedimento che decide nel merito sulla ricusazione, va trattato, in difetto di diversa previsione, con il rito camerale non partecipato stabilito in via generale davanti alla Suprema Corte dall’articolo 611 c.p.p. (tra le tante: Sez. 6, n. 3853 del 24/11/1999 – dep. 20/12/1999, Papalia ed altri, Rv. 216836). Ne consegue, pertanto, che non hanno effetto le dichiarazioni, fatte tempestivamente pervenire dai difensori di fiducia del ricorrente (in data 16.04.2019, dall’Avv. (OMISSIS) a mezzo fax; in data 15.04.2019, dall’Avv. (OMISSIS), a mezzo PEC) con cui ambedue i difensori hanno partecipato a questa Corte l’intenzione di aderire all’astensione collettiva dalle attivita’ di udienza proclamata dalla categoria professionale di appartenenza. Sul punto, altrettanto pacifico e’ l’orientamento di questa Corte secondo cui allorquando, in cassazione, il procedimento si svolge in camera di consiglio senza l’intervento del difensore, nessuna rilevanza, ai fini del richiesto rinvio, assume la partecipazione del difensore stesso all’astensione dalle udienze proclamate da organismi di categoria (Sez. 2, n. 9775 del 22/11/2012 – dep. 01/03/2013, Abbaco e altro, Rv. 255353).
5. Tanto premesso, il ricorso e’ inammissibile.
Ed invero, l’inammissibilita’ per manifesta infondatezza del ricorso discende dalla stessa lettura del provvedimento impugnato, da cui emerge quanto segue.
La Corte d’appello, decidendo nel merito l’istanza di ricusazione, aveva rilevato che le doglianze dedotte non erano idonee ad integrare l’ipotesi della manifestazione indebita del convincimento da parte del giudicante prima della pronuncia del provvedimento conclusivo dell’udienza preliminare, dal momento che si trattava di valutazioni processuali fatte dal GUP nel legittimo esercizio delle funzioni giurisdizionali riguardanti il fatto esaminato. La Corte, inoltre, sottolineava che tali valutazioni erano necessarie funzionalmente all’atto adottato, avendo lo scopo di fornire una risposta alle doglianze contenute nell’impugnazione cautelare, avente ad oggetto il sequestro dei beni personali del (OMISSIS) che veniva considerato gestore e proprietario di fatto dell’ (OMISSIS) S.p.a.. Infatti, la difesa aveva contestato il presupposto del provvedimento secondo cui il ricorrente aveva svolto il ruolo di amministratore di fatto prima del marzo 2014 e, pertanto, risultava evidente che il giudice del riesame avesse dovuto valutare gli elementi inerenti alla posizione soggettiva del (OMISSIS); la Corte d’appello, peraltro, nel sancire i limiti delineati dalla giurisprudenza, richiamava il decisum delle S.U. n. 41263/2005 nonche’ quanto affermato da Sez. 5, n. 3033/2017).
6. Orbene, al cospetto di tale apparato argomentativo, le doglianze del ricorrente non hanno pregio in quanto manifestamente infondate, risolvendosi nel “dissenso” sulla ricostruzione dei fatti e sulla valutazione delle emergenze processuali svolta dai giudici di merito, operazione vietata in sede di legittimita’, attingendo la ordinanza impugnata e tacciandola per un presunto vizio motivazionale e per una violazione di legge con cui, in realta’, si propone una doglianza non suscettibile di sindacato da parte di questa Corte.
Ed invero, con riferimento ala causa di ricusazione proposta (articolo 37 c.p.p., comma 1, lettera b), deve qui essere ricordato che l’autonoma ipotesi di ricusazione (ossia l’aver il giudice indebitamente espresso il suo convincimento su fatti oggetto dell’imputazione), viene considerata meno ampia rispetto a quella prevista dall’articolo 36 c.p.p., comma 1, lettera c). Ed invero, la nozione di “convincimento” e’ diversa da quella di “dare consigli o opinioni” e comprende solo quelle situazioni in cui e’ trapelata la soluzione del procedimento circa la responsabilita’ dell’imputato. In altre parole, il termine convincimento si considera espressione di un’attivita’ di riflessione e analisi basata sugli atti processuali ed, infatti, la ratio della disposizione consiste nel tener distinte le fasi processuali dell’acquisizione e della valutazione probatoria.
La giurisprudenza ha delimitato l’ambito della causa in esame e, a tale scopo, ha interpretato l’avverbio indebitamente nel senso di atto arbitrario nel contenuto, in quanto il giudice esprime valutazioni sul merito della res iudicanda ovvero sulla colpevolezza o innocenza dell’imputato in ordine ai fatti oggetto del processo.
Per quanto concerne il caso in esame, poi, e’ opportuno richiamare l’orientamento della giurisprudenza di legittimita’ circa il concetto di indebita manifestazione del convincimento da parte del giudice espressa con la delibazione incidentale di una questione procedurale, anche nell’ambito di un diverso procedimento, atteso che essa rileva come causa di ricusazione solo se il giudice abbia anticipato la valutazione sul merito della “res iudicanda”, ovvero sulla colpevolezza dell’imputato, senza che tale valutazione sia imposta o giustificata dalle sequenze procedimentali, nonche’ quando essa anticipi in tutto o in parte gli esiti della decisione di merito, senza che vi sia necessita’ e nesso funzionale con il provvedimento incidentale adottato (cosi’ Sez. U, sentenza n. 41263 del 27/09/2005). Pertanto, le valutazioni espresse dal giudice nell’esame di una questione incidentale sono causa di ricusazione solo se travalicano i limiti imposti dall’adozione del provvedimento incidentale, con l’espressione indebita di un giudizio non giustificato da un nesso funzionale con l’indicato provvedimento (in questo senso: Sez. 2, sentenza n. 19648 del 29/03/2007; Sez. 1, sentenza n. 35208 del 15/06/2007). E’ necessaria, quindi, in primo luogo, l’assenza di ogni necessita’ funzionale e, in secondo luogo, la mancanza di collegamento con l’esercizio delle funzioni esercitate nella specifica fase procedimentale (sul tema: Sez. 3, sentenza n. 17868 del 17/03/2009; Sez. 6, sentenza n. 43965 del 30/09/2015; Sez. 5, sentenza n. 3033 del 30/11/2017). In altre parole, si considera integrato il motivo di ricusazione in tutti quei casi in cui il giudice abbia espresso valutazioni anticipate sull’oggetto dell’imputazione in modo del tutto avulso dai propri compiti istituzionali e al di fuori di ogni necessita’ funzionale con l’iter del procedimento prefigurato dalla legge.
7. Orbene, alla stregua della predetta esegesi giurisprudenziale e, soprattutto, di una lettura costituzionalmente orientata dell’istituto, il motivo deve essere considerato inammissibile.
In particolare, come ben evidenzia il PG nella sua requisitoria scritta, il Giudice delle Leggi (Corte Cost., sentenza 14.07.2000, n. 283), nel dichiarare “l’illegittimita’ costituzionale dell’articolo 37 c.p.p., comma 1, nella parte in cui non prevede che possa essere ricusato dalle parti il giudice che, chiamato a decidere sulla responsabilita’ di un imputato, abbia espresso in altro procedimento, anche non penale, una valutazione di merito sullo stesso fatto nei confronti del medesimo soggetto”, ebbe a fornire alcune fondamentali puntualizzazioni sui limiti dell’estensione della causa di ricusazione in questione. In particolare, affermo’ la Corte costituzionale, che “…non e’ sufficiente, ai fini della individuazione dell’attivita’ pregiudicante, che il giudice abbia in precedenza avuto mera cognizione dei fatti di causa, raccolto prove, ovvero si sia espresso solo incidentalmente e occasionalmente su particolari aspetti della vicenda processuale sottoposta al suo giudizio (v. la costante giurisprudenza costituzionale in materia e, in particolare, le sentenze nn. 131 e 155 del 1996 e le decisioni in queste richiamate, nonche’, da ultimo, le ordinanze nn. 444, 153, 152, 135 e 29 del 1999, 206 e 203 del 1998 e la sentenza n. 364 del 1997). L’effetto pregiudicante non puo’, inoltre, essere limitato ai soli casi in cui la valutazione di merito sia contenuta in una sentenza, in quanto il giudice puo’ esprimersi nella forma del decreto, come nella ipotesi – oggetto del presente giudizio – del procedimento di prevenzione, ovvero nelle altre forme eventualmente previste dal diverso procedimento in cui sia intervenuta la valutazione pregiudicante. La funzione pregiudicata va a sua volta individuata in una decisione attinente alla responsabilita’ penale, essendo necessario, perche’ si verifichi un pregiudizio per l’imparzialita’, che il giudice sia chiamato ad esprimere una valutazione di merito collegata alla decisione finale della causa….”.
8. Ed allora, operando, come detto, una lettura costituzionalmente orientata della causa di ricusazione in esame, non puo’ non condividersi l’argomento espresso dal PG, secondo cui nel caso di specie erano presenti necessita’ funzionali, essendosi limitato il giudice del riesame ad esprimere una valutazione “continente” rispetto ai fatti oggetto del procedimento. Infatti, le valutazioni compiute risultavano essere strettamente connesse alle doglianze difensive avanzate in sede di riesame, le quali riguardavano il ruolo svolto dall’allora indagato e risultavano, quindi, funzionali al provvedimento da adottare. A cio’, peraltro, deve essere aggiunto che non costituisce indebita manifestazione del convincimento del giudice, in grado di fondare una richiesta di ricusazione, il fatto che egli, nel corso del procedimento, come componente del tribunale del riesame, abbia confermato una misura cautelare reale, atteso che l’adozione di quest’ultima prescinde da qualsiasi valutazione sulla sussistenza o meno dei gravi indizi di colpevolezza in capo all’imputato (Sez. 1, n. 58024 del 18/10/2017 – dep. 29/12/2017, Pirini, Rv. 271779).
9. Alla dichiarazione di inammissibilita’ del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche’, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’, al versamento della somma, ritenuta adeguata, di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di duemila Euro in favore della Cassa delle ammende.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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