Consiglio di Stato, Sentenza|15 marzo 2021| n. 2222.
Non rientra nell’ipotesi dell’errore di fatto revocatorio di cui all’art. 395, n. 4, c.p.c. la statuizione del giudice che ha escluso che le operazioni di riconfezionamento dell’Avastin necessitano di un’Autorizzazione all’Immissione in Commercio (AIC) ai sensi dell’art. 6 della direttiva 2001/83 né di un’autorizzazione di fabbricazione ai sensi dell’articolo 40 di detta direttiva allorché tale operazione sia prescritta da un medico mediante una ricetta individuale e sia effettuata da farmacisti ai fini della somministrazione di tale medicinale in ambito ospedaliero.
Sentenza|15 marzo 2021| n. 2222
Data udienza 4 marzo 2021
Integrale
Tag – parola chiave: Processo amministrativo – Revocazione – Errore di fatto revocatorio – Art. 395, n. 4, c.p.c. – Statuizione del giudice sulla necessità di autorizzazione al commercio per il riconfezionamento del farmaco Avastin – Esclusione
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA NON DEFINITIVA
sul ricorso numero di registro generale 9298 del 2019, proposto da
Ro. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati En. Ad. Ra. e Fa. El., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Ru. & Ra. in Roma, via (…);
contro
Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (…);
nei confronti
So. – Am. Società Oftalmologica Italiana, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Ra. La Pl., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Va. Vu. in Roma, via (…);
Regione Emilia Romagna, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Ma. Ro. Ru. Va., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, piazza (…);
Regione Lombardia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. Em. Mo. e Pi. Da. Vi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Cr. Bo. in Roma, viale (…);
Altroconsumo, No. Fa., F. Ho.-La Ro. Ltd, No. Ag non costituiti in giudizio;
Ai., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. Za. e Gi. Mu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Codacons, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. Gi. e Ca. Ri., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Ca. Ri. in Roma, viale (…);
sul ricorso numero di registro generale 9342 del 2019, proposto da
F. Ho.-La Ro. Ltd, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. Si., Ma. Zo. e Pi. Me., con domicilio eletto presso lo studio St.& Ha. – St. Le. Cl. Go. in Roma, p.zza (…);
contro
Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (…);
nei confronti
So. Am. Società Oftalmologica Italiana, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Ra. La Pl., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Va. Vu. in Roma, via (…);
Regione Emilia Romagna, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Ma. Ro. Ru. Va., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Ma. Ro. Ru. Va. in Roma, piazza(…);
Regione Lombardia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. Em. Mo. e Pi. Da. Vi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Cr. Bo. in Roma, viale (…)4;
Altroconsumo, No. Fa., Ro. S.p.A., No. Ag non costituiti in giudizio;
Ai., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. Za. e Gi. Mu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Codacons, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. Gi. e Ca. Ri., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Ca. Ri. in Roma, viale (…);
sul ricorso numero di registro generale 9508 del 2019, proposto da
No. Ag, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Lu. D’A., Pa. Be. ed Al. Vi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (…);
nei confronti
Ministero della Salute – Agenzia Italiana del Farmaco, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (…);
Regione Emilia Romagna, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Ma. Ro. Ru. Va., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Ma. Ro. Ru. Va. in Roma, piazza(…);
Regione Lombardia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. Em. Mo. e Pi. Da. Vi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Cr. Bo. in Roma, viale (…);
So. – Am. Società Oftalmologica Italiana, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Ra. La Pl., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Va. Vu. in Roma, via (…);
Altroconsumo, Ro. S.p.A., No. Fa. S.p.A., F. Ho. – La Ro. Ltd non costituiti in giudizio;
Ai., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. Za. e Gi. Mu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Codacons, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. Gi. e Ca. Ri., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Ca. Ri. in Roma, viale (…);
sul ricorso numero di registro generale 9509 del 2019, proposto da
No. Fa. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Lu. D’A., Pa. Be. ed Al. Vi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, Agenzia Italiana del Farmaco, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (…);
nei confronti
Ministero della Salute – Agenzia Italiana del Farmaco, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (…);
Regione Emilia Romagna, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Ma. Ro. Ru. Va., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Ma. Ro. Ru. Va. in Roma, piazza(…);
Regione Lombardia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. Em. Mo. e Pi. Da. Vi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Cr. Bo. in Roma, viale (…);
So. – Am. Società Oftalmologica Italiana, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Ra. La Pl., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Va. Vu. in Roma, via (…);
Altroconsumo, Ro. S.p.A., F. Ho. – La Ro. Ltd, No. Ag non costituiti in giudizio;
Ai., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. Za. e Gi. Mu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Codacons, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. Gi. e Ca. Ri., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Ca. Ri. in Roma, viale (…);
per la revocazione
della sentenza del Consiglio di Stato n. 4990/2019 e la conseguente riforma della sentenza del T.A.R. per il Lazio n. 12168/2014 e l’annullamento del provvedimento n. 24823 del 27.2.2014 dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.
Visti i ricorsi e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio delle parti;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 4 marzo 2021 il Cons. Giordano Lamberti e uditi per le parti gli avvocati En. Ad. Ra., Fa. El., Ma. Si., Ma. Zo., Me. Pi., Pa. Ge., Ma. Ro. Ru. Va., Ma. Em. Mo., Cr. Ad., in sostituzione dell’avv. Ca. Ri., Lu. D’A., Pa. Be., Ra. La Pl. e Giorgio Muccio, in collegamento da remoto, ai sensi degli artt. 4, comma 1, del Decreto Legge n. 28 del 30 aprile 2020 e 25 del Decreto Legge n. 137 del 28 ottobre 2020, attraverso videoconferenza con l’utilizzo di piattaforma “Microsoft Teams” come previsto della circolare n. 6305 del 13 marzo 2020 del Segretario Generale della Giustizia Amministrativa;
Visto l’art. 36, comma 2, cod. proc. amm.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1 – L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, con il provvedimento n. 24823 del 27.2.2014, ha accertato un’intesa orizzontale restrittiva della concorrenza in violazione dell’art. 101 TFUE tra le società ricorrenti, le quali avrebbero tra loro concertato strategie volte ad ostacolare la possibilità di impiego off label del farmaco ad esclusivo uso ospedaliero “Av.” per la cura di alcune patologie oculari. Tale strategia sarebbe consistita in “un piano condiviso volto a un’artificiosa differenziazione di Av. e Lu.” in ambito oftalmico “ottenuta manipolando la percezione dei rischi dell’uso off label in ambito oftalmico del primo per condizionarne la domanda” al fine di favorire le vendite del più costoso Lu..
1.1 – In particolare, l’intesa avrebbe “mirato a ridurre la domanda, e quindi le quantità vendute, di un prodotto meno costoso (Av., pari a Euro 81,64 per iniezione) a favore del più costoso prodotto concorrente (Lu., inizialmente pari a Euro 1.100 ad iniezione, e poi sceso a Euro 902 dal novembre 2012), attraverso il condizionamento dei soggetti responsabili delle scelte terapeutiche”. L’obiettivo di massimizzare i rispettivi introiti sarebbe derivato: nel caso del gruppo No., dalle vendite dirette di Lu. e dalla partecipazione del 33% detenuta in Ro.; nel caso del gruppo Ro., dalle royalties ottenute sulle stesse tramite la propria controllata Ge.. Tale strategia sarebbe stata posta in essere “nonostante le imprese fossero consapevoli della scarsità e discutibilità dei dati sugli eventi avversi derivanti dall’uso off-label di Av.”. La sostituzione di Av. con Lu. avrebbe comportato “rilevanti difficoltà nell’organizzazione dei servizi sanitari da parte delle Regioni, a fronte della necessità di riprogrammare le risorse finanziarie da destinare all’acquisto del farmaco più costoso con una limitazione nell’accesso alle cure per pazienti affetti da gravi patologie”. Al fine di dimostrare che l’intesa ha prodotto “rilevanti effetti” nel mercato, l’Autorità ha effettuato un “esercizio di stima” dal quale risulterebbe che l’intesa avrebbe “determinato un immediato rallentamento della crescita di Av. con un conseguente spostamento della domanda verso il più costoso Lu., che per il SSN (Servizio Sanitario Nazionale), per il solo anno 2012, avrebbe comportato maggiori costi nella misura di quasi 45 milioni di euro”. Inoltre, “la completa attuazione delle condotte illecite accertate avrebbe condotto ad una piena sostituzione di Av. con Lu. con conseguente aggravio di spesa per il SSN di circa 540 milioni di euro nel 2013 e 615 milioni di euro nel 2014”. Su queste basi, l’Autorità, oltre ad inibire le medesime società ad astenersi in futuro dal porre in essere comportamenti analoghi a quelli oggetto dell’infrazione accertata, ha irrogato, in ragione della gravità e durata delle infrazioni, le seguenti sanzioni amministrative pecuniarie: a carico di Hoffmann-LaRo. e Ro. s.p.a., in solido tra loro, Euro90.539.369; in capo a No. AG e No. Fa. s.p.a., in solido tra loro, Euro92.028.750.
2 – Le quattro società ricorrenti hanno autonomamente impugnato il predetto provvedimento innanzi al T.A.R. per il Lazio che, con la sentenza del 2 dicembre 2014, n. 12168, dopo averne disposto la riunione, ha respinto i ricorsi.
3 – Avvero tale sentenza le società, con autonomi ricorsi, hanno proposto appello al Consiglio di Stato, riproponendo i motivi di ricorso proposti in primo grado.
4 – La Sezione, con l’ordinanza 11 marzo 2016, n. 966, dopo avere disposto la riunione dei quattro appelli, ha sottoposto alla Corte di giustizia dell’Unione Europea le seguenti questioni pregiudiziali di corretta interpretazione del diritto euro-unitario, ai sensi dell’art. 267 comma 3, TFUE: “1) Se la corretta interpretazione dell’art. 101 TFUE consenta di considerare concorrenti le parti di un accordo di licenza laddove l’impresa licenziataria operi nel mercato rilevante interessato solo in virtù dell’accordo stesso. Se, ed eventualmente entro quali limiti, ricorrendo tale situazione, le eventuali limitazioni della concorrenza del licenziante nei confronti del licenziatario, pur non espressamente previste dall’accordo di licenza, sfuggano all’applicazione dell’art. 101, par. 1 TFUE o rientrino, comunque, nell’ambito di applicazione dell’eccezione legale di cui all’art. 101, par. 3, TFUE; 2) Se l’art. 101 TFUE consenta all’Autorità nazionale a tutela della concorrenza di definire il mercato rilevante in maniera autonoma rispetto al contenuto delle autorizzazioni all’immissione in commercio (AIC) dei farmaci rilasciate dalle competenti Autorità di regolazione farmaceutica (AIFA ed EMA) o se, al contrario, per i medicinali autorizzati, il mercato giuridicamente rilevante ai sensi dell’art. 101 TFUE debba ritenersi conformato e configurato in via primaria dall’apposita Autorità di regolazione in modo vincolante anche per l’Autorità nazionale a tutela della concorrenza; 3) Se, anche alla luce delle previsioni contenute nella direttiva 2001/83 CE ed in particolare nell’art. 5 relativo all’autorizzazione all’immissione in commercio dei farmaci, l’art. 101 TFUE consenta di considerare sostituibili e di includere, quindi, nell’ambito dello stesso mercato rilevante un farmaco utilizzato off-label ed un farmaco dotato di AIC in relazione alle medesime indicazioni terapeutiche; 4) Se, ai sensi dell’art. 101 TFUE, ai fini della delimitazione del mercato rilevante, assuma rilevanza accertare, oltre alla sostanziale fungibilità dei prodotti farmaceutici dal lato della domanda, se l’offerta degli stessi sul mercato sia o meno avvenuta in conformità al quadro regolamentare avente ad oggetto la commercializzazione dei farmaci; 5) Se possa comunque considerarsi restrittiva della concorrenza per oggetto la condotta concertata volta ad enfatizzare la minore sicurezza o la minore efficacia di un farmaco, quando tale minore efficacia o sicurezza, sebbene non suffragata da acquisizioni scientifiche certe, non può, comunque, alla luce dello stadio delle conoscenze scientifiche disponibili all’epoca dei fatti, neanche essere incontrovertibilmente esclusa”.
4.1 ? La Corte di Giustizia UE con la sentenza 23 gennaio 2018 si è così espressa in ordine ai quesiti formulati dalla Sezione: 1) “L’articolo 101 TFUE dev’essere interpretato nel senso che, ai fini dell’applicazione di tale articolo, un’autorità nazionale garante della concorrenza può includere nel mercato rilevante, oltre ai medicinali autorizzati per il trattamento delle patologie di cui trattasi, un altro medicinale la cui autorizzazione all’immissione in commercio non copra detto trattamento, ma che è utilizzato a tal fine e presenta quindi un rapporto concreto di sostituibilità con i primi. Per determinare se sussista un siffatto rapporto di sostituibilità, tale autorità deve – sempreché le autorità o i giudici competenti a tal fine abbiano condotto un esame della conformità del prodotto in questione alle disposizioni vigenti che ne disciplinano la fabbricazione o la commercializzazione – tener conto del risultato di detto esame, valutandone i possibili effetti sulla struttura della domanda e dell’offerta”; 2) “L’articolo 101, paragrafo 1, TFUE dev’essere interpretato nel senso che un’intesa convenuta tra le parti di un accordo di licenza relativo allo sfruttamento di un medicinale la quale, al fine di ridurre la pressione concorrenziale sull’uso di tale medicinale per il trattamento di determinate patologie, miri a limitare le condotte di terzi consistenti nel promuovere l’uso di un altro medicinale per il trattamento delle medesime patologie, non sfugge all’applicazione di tale disposizione per il motivo che tale intesa sarebbe accessoria a detto accordo”; 3) “L’articolo 101, paragrafo 1, TFUE dev’essere interpretato nel senso che costituisce una restrizione della concorrenza “per oggetto”, ai sensi di tale disposizione, l’intesa tra due imprese che commercializzano due medicinali concorrenti, avente ad oggetto – in un contesto segnato dall’incertezza delle conoscenze scientifiche – la diffusione presso l’Agenzia europea per i medicinali, gli operatori sanitari e il pubblico, di informazioni ingannevoli sugli effetti collaterali negativi dell’uso di uno di tali medicinali per il trattamento di patologie non coperte dall’autorizzazione all’immissione in commercio di quest’ultimo, al fine di ridurre la pressione concorrenziale derivante da tale uso sull’uso dell’altro medicinale”; 4) “L’articolo 101 TFUE dev’essere interpretato nel senso che una siffatta intesa non può giovarsi dell’esenzione prevista al paragrafo 3 di tale articolo”.
5 – Con la sentenza n. 4990 del 2019, la Sezione, in applicazione dei principi fissati dalla Corte di Giustizia, ha respinto i ricorsi in appello, per l’effetto ha confermando la sentenza di primo grado ed il provvedimento impugnato.
Tale pronuncia è stata impugnata per revocazione dalle medesime società già ricorrenti e soccombenti all’esito del predetto giudizio.
All’udienza del 4 marzo 2021 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1 – Con i ricorsi in esame, che devono essere riuniti ai sensi dell’art. 96 c.p.a., si chiede la revocazione della sentenza del Consiglio di Stato n. 4990 del 2019 ed il conseguente annullamento del provvedimento n. 24823 del 27.2.2014.
1.1 – Il ricorso delle società del gruppo Ro. è affidato a tre motivi:
a) errore di fatto revocatorio ex artt. 106 c.p.a. e 395, comma 1, nr. 4, c.p.c., in relazione alla dichiarata assenza di accertamenti effettuati dalle autorità preposte al controllo del rispetto della normativa farmaceutica o dai giudici nazionali dell’illiceità delle condizioni di riconfezionamento e di prescrizione dell’Av. destinato all’uso off-label;
b) errore di fatto revocatorio ex artt. 106 c.p.a. e 395, comma 1, nr. 4, c.p.c. per omesso accertamento in merito alla natura ingannevole o meno delle informazioni relative alla pericolosità del farmaco;
c) nel caso di inammissibilità dei precedenti motivi, violazione manifesta dei principi di diritto affermati dalla Corte di Giustizia nella sentenza pregiudiziale, con la prospettazione dell’illegittimità costituzionale degli artt. 106 c.p.a. e 395 c.p.c., per violazione degli artt. 117, comma 1, 24, 111, Cost., nella parte in cui non prevedono un’ipotesi di revocazione in caso di violazione manifesta del principio di diritto affermato dalla Corte europea in sede di rinvio pregiudiziale; chiedono, inoltre, il rinvio pregiudiziale, ai sensi dell’art. 267 TFUE, volto a chiarire se un sistema come quello di cui agli artt. 106 c.p.a. e 395 e 396 c.p.c., nella misura in cui non prevede un’ulteriore speciale ipotesi di revocazione in un caso di violazione manifesta dei principi di diritto affermati dalla Corte di Giustizia in sede di rinvio pregiudiziale, e non consente, pertanto, di prevenire la formazione di un giudicato anticomunitario, sia compatibile con il diritto dell’Unione europea, ed in particolare con il principio di leale collaborazione, di uniforme applicazione del diritto dell’Unione europea e di effettività della tutela giurisdizionale.
1.2 – Il ricorso di No. AG e di No. Fa. S.p.A. è invece affidato alle seguenti censure:
a) errore di fatto ai sensi del combinato disposto degli articoli 106 c.p.a. e 395, comma 1, nr. 4, c.p.c. per l’assenza di qualsivoglia responsabilità diretta di No. AG;
b) errore di fatto ai sensi del combinato disposto degli articoli 106 c.p.a. e 395, comma 1, nr. 4, c.p.c. per l’assenza di qualsivoglia responsabilità indiretta/parentale di No. AG;
c) errore di fatto ai sensi del combinato disposto degli articoli 106 c.p.a. e 395, comma 1, nr. 4, c.p.c. in merito all’assenza dei presupposti per la configurabilità di un’intesa restrittiva per oggetto per la mancata verifica della ingannevolezza delle informazioni;
d) in subordine, istanza di rimessione alla Corte Costituzionale in merito alla questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli articoli 106 del d.lgs. n. 104/2010 e 395 del Codice di Procedura Civile, nella parte in cui non prevede tra le ipotesi di revocazione il contrasto tra una decisione di un giudice interno di ultima istanza e il diritto dell’Unione Europea, incluse le pronunce di rinvio della Corte di Giustizia dell’Unione Europea.
2 – Con la presente sentenza è possibile pronunciare sulle censure con le quali si deduce la sussistenza di un errore di fatto revocatorio alla stregua dell’art. 395 n. 4 del c.p.c.
La decisione sulla censura svolta in via subordinata da tutte le società ricorrenti, che presuppone l’accertamento della dedotta violazione del diritto comunitario ed in particolare dei principi e criteri fissati dalla sentenza della Corte di Giustizia del 23 gennaio 2018, deve essere rimessa all’esito dell’instaurando giudizio pregiudiziale dinnanzi alla Corte di Giustizia ex art. 267 TFUE, oggetto di separata ordinanza.
3 – Tanto precisato, prima di scrutinare le censure delle ricorrenti giova ricordare che l’errore di fatto revocatorio consiste nel cd. abbaglio dei sensi, e cioè nel travisamento delle risultanze processuali dovuto a mera svista, che conduca a ritenere come inesistenti circostanze pacificamente esistenti o viceversa. Esso non è in linea di principio ravvisabile quando si lamenta una presunta erronea valutazione delle risultanze processuali o una anomalia del procedimento logico, in quanto ciò si risolve in un errore di giudizio.
3.1 – La giurisprudenza ha contribuito a chiarire meglio le ipotesi che integrano l’errore di fatto revocatorio.
Come anticipato, costituisce principio pacifico quello per cui l’errore di fatto che legittima il ricorso per revocazione debba consistere nel c.d. “abbaglio dei sensi”. Detto in altri termini, l’errore di fatto revocatorio consiste in una falsa percezione della realtà processuale e cioè in una svista – obiettivamente ed immediatamente rilevabile – che abbia portato ad affermare o soltanto supporre – purché tale supposizione non sia implicita, ma sia espressa e risulti dalla motivazione, in quanto “un abbaglio dei sensi è incompatibile con l’omissione di motivazione, perché è la motivazione che rivela l’abbaglio” (cfr. Cons. St., Ad. plen., 30 luglio 1980, n. 36) – l’esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso dagli atti di causa ovvero la inesistenza di un fatto decisivo che dagli atti risulti invece positivamente accertato. Inoltre, occorre in ogni caso che tale fatto non abbia costituito un punto controverso sul quale sia intervenuta la pronuncia del giudice, perché in tal caso sussiste semmai un errore di diritto (cfr. C.G.A., 3 marzo 1999, n. 83) e con la revocazione si verrebbe in sostanza a censurare la valutazione e l’interpretazione delle risultanze processuali (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 22 febbriao 1980, n. 208).
Più schematicamente, questo Consiglio di Stato (Cons. St., Ad. Plen. n. 1/2013) ha chiarito che l’errore di fatto, idoneo a fondare la domanda di revocazione ai sensi dell’art. 106 c. proc. amm., deve essere caratterizzato: a) dal derivare da una pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, la quale abbia indotto l’organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto di fatto, facendo cioè ritenere un fatto documentalmente escluso ovvero inesistente un fatto documentalmente provato; b) dall’attenere ad un punto non controverso e sul quale la decisione non abbia espressamente motivato; c) dall’essere stato un elemento decisivo della decisione da revocare, necessitando perciò un rapporto di causalità tra l’erronea presupposizione e la pronuncia stessa (cfr. anche Cons. St., Ad. Plen., 17 maggio 2010, n. 2; sez. III, 1 ottobre 2012, n. 5162; 24 maggio 2012, n. 3053; sez. IV, 24 gennaio 2011, n. 503, 23 settembre 2008, n. 4607; 16 settembre 2008, n. 4361; 20 luglio 2007, n. 4097; e meno recentemente, 25 agosto 2003, n. 4814; 25 luglio 2003, n. 4246; 21 giugno 2001, n. 3327; 15 luglio 1999 n. 1243; C.G.A., 29 dicembre 2000 n. 530; sez. VI, 9 febbraio 2009, n, 708; 17 dicembre 2008, n. 6279; C.G.A., 29 dicembre 2000, n. 530; Cass. Civ., sez. I, 24 luglio 2012, n. 12962; 5 marzo 2012, n. 3379; sez. III, 27 gennaio 2012, n. 1197).
L’errore deve, inoltre, apparire con immediatezza ed essere di semplice rilevabilità, senza necessità di argomentazioni induttive o indagini ermeneutiche (cfr. Cons. St., Ad. Plen. n. 1/2013, sez. VI, 25 maggio 2012, n. 2781; 5 marzo 2012, n. 1235).
In applicazioni di tali principi, i motivi di revocazione delle società risultano inammissibili, non rientrando nell’ipotesi dell’errore di fatto di cui all’art. 395 c.p.c. n. 4, come di seguito meglio illustrato.
4 – Con il primo motivo di ricorso le società del gruppo Ro. deducono la sussistenza di un errore di fatto revocatorio ex artt. 106 c.p.a. e 395, n. 4 c.p.c. in relazione alla dichiarata assenza di accertamenti effettuati dalle autorità preposte al controllo del rispetto della normativa farmaceutica o dai giudici nazionali dell’illiceità delle condizioni di riconfezionamento e di prescrizione dell’Av. destinato all’uso off-label.
A tal fine, le società rilevano che le Autorità competenti (AIFA, EMA, ASL, Ministero della Salute) e i giudici nazionali (TAR Lombardia e TAR Veneto) e europei (Corte di Giustizia) all’epoca dell’applicazione dell’articolo 101 TFUE da parte dell’Autorità (27.2.2014) avevano già condotto un approfondito esame sulla non conformità delle condizioni alle quali Av. off label veniva prescritto dai medici e riconfezionato o commercializzato dalle farmacie.
Secondo parte ricorrente, la sentenza impugnata ha ignorato completamente tali verifiche e basa la sua decisione sull’erroneo assunto di fatto che “nel caso di specie, al momento dell’applicazione dell’articolo 101 TFUE da parte dell’Autorità, l’eventuale illiceità delle condizioni di riconfezionamento e di prescrizione dell’Av. destinato all’uso off-label, allegata dalla Ro., non era stata accertata dalle autorità preposte al controllo del rispetto della normativa farmaceutica o dai giudici Nazionali”.
Le società precisano inoltre di aver allegato numerosi elementi tali da dimostrare che: i) l’offerta e la domanda del c.d. Av. off-label in Italia avveniva, in larghissima parte, in violazione del quadro normativo in materia di fabbricazione e commercializzazione dei farmaci, nonché di prescrizione di farmaci off-label; ii) l’illiceità delle prescrizioni massive e delle condizioni di riconfezionamento e messa in commercio del c.d. Av. off-label era stata accertata dalle autorità preposte al controllo del rispetto della normativa.
5 – La censura di parte ricorrente non è idonea ad individuare un vizio revocatorio, il quale, come già ricordato, deve attenere ad un punto non controverso e sul quale la decisione non abbia espressamente motivato. Non solo, l’errore deve, inoltre, apparire con immediatezza ed essere di semplice rilevabilità, senza necessità di argomentazioni induttive o indagini ermeneutiche (cfr. Cons. St., Ad. Plen. n. 1/2013, sez. VI, 25 maggio 2012, n. 2781; 5 marzo 2012, n. 1235).
Tanto precisato, deve rilevarsi che la questione sottesa al motivo di revocazione risulta ampiamente trattata nei paragrafi 2 e 3 della sentenza impugnata. In particolare, nel paragrafo 2 la sentenza ricostruisce il quadro normativo rilevante circa la possibilità di utilizzare un farmaco per un’indicazione terapeutica, un uso od un dosaggio diversi da quelli per i quali esso sia autorizzato ad essere commercializzato.
Nel paragrafo 3 esamina la censura delle società ricorrenti, secondo le quali: “Una relazione di concorrenza fra il gruppo No. e il gruppo Ro., attraverso i farmaci Lu. e Av., sarebbe infatti giuridicamente inconfigurabile dal momento che: i) le norme vigenti all’epoca dei fatti escludevano che il farmaco autorizzato (Lu.) e quello non autorizzato (Av.) potessero concorrere per le medesime indicazioni terapeutiche, apposite disposizioni vietando a Ro. di promuovere Av. per la cura di disordini vascolari oculari in assenza di un’autorizzazione all’immissione in commercio per tali indicazioni; …In definitiva, secondo le società appellanti, l’Autorità avrebbe errato: sia nel definire il mercato rilevante, avendo trascurato il contesto legale e regolatorio di riferimento che non ammetteva una generale sostituibilità di mercato di farmaci utilizzati off-label con farmaci dotati di AIC in relazione alle medesime indicazioni terapeutiche”.
Di seguito, la sentenza chiarisce le coordinate teoriche necessarie ad individuare il mercato rilevante e descrive compiutamente la differenza tra i due prodotti (Lu. e Av.), precisando in particolare le modalità e caratteristiche dell’utilizzo dell’Av., quando prescritto per il trattamento di patologie oculari che non sono indicate nell’AIC (uso off-label), e le relative implicazioni in termini di spesa.
Quindi, ai fini della definizione del mercato rilevante nel settore farmaceutico in esame, si pone l’interrogativo: i) se nello stesso mercato possa essere incluso un farmaco dotato di AIC e un farmaco utilizzato off-label per la cura della medesima patologia (secondo le appellanti, infatti, la valutazione di sostituibilità dei prodotti farmaceutici sarebbe vincolata dall’AIC per la quale ciascun prodotto è autorizzato e non potrebbe dunque considerare la sostituibilità di prodotti dotati di AIC diverse); ii) se occorra tenere conto della conformità di tale uso off-label alla normativa farmaceutica dell’Unione (le imprese appellanti sostengono infatti che il riconfezionamento su base seriale dell’Av. destinato ad un uso off-label in Italia contrasti con la normativa di settore)”.
Appare pertanto evidente come la questione che le società ricorrenti deducono attraverso lo strumento della revocazione abbia costituito oggetto del giudizio, essendo stata oltretutto attentamente valutata nella sentenza impugnata nei termini di seguito esposti, facendo chiaro riferimento ai criteri a tal fine individuati dalla Corte di Giustizia.
Testualmente si legge: “Secondo la Corte di Giustizia…il fatto che taluni prodotti farmaceutici siano fabbricati o venduti in modo illecito impedisce, in linea di principio, di considerarli come sostituibili o intercambiabili…Sennonché …la normativa dell’Unione in materia di prodotti farmaceutici (direttiva 89/105, direttiva 2001/83, regolamento n. 726/2004) non vieta né la prescrizione di un medicinale off-label né il suo riconfezionamento ai fini di tale uso, ma subordina dette operazioni al rispetto di condizioni stabilite da tale normativa. Su queste basi, è stato affermato che le operazioni di riconfezionamento dell’Av. non necessitano di un’Autorizzazione all’Immissione in Commercio (AIC) ai sensi dell’articolo 6 della direttiva 2001/83 né di un’autorizzazione di fabbricazione ai sensi dell’articolo 40 di detta direttiva. In particolare, secondo i giudici europei, il riconfezionamento dell’Av. alle condizioni previste dalle misure nazionali non necessita di un’AIC allorché tale operazione è prescritta da un medico mediante una ricetta individuale ed è effettuata da farmacisti ai fini della somministrazione di tale medicinale in ambito ospedaliero….Quanto alla inclusione nello stesso mercato di un farmaco dotato di AIC e di un farmaco utilizzato off-label per la cura della medesima patologia, la Corte di Giustizia ha chiarito che il mercato rilevante ai fini dell’applicazione dell’articolo 101, paragrafo 1, del TFUE, è tale da includere i medicinali utilizzabili per le stesse indicazioni terapeutiche, poiché i medici prescriventi sono mossi principalmente da considerazioni di opportunità terapeutica e di efficacia dei medicinali”.
Alla luce di tali coordinate, in applicazione dei principi affermati dal Giudice Europeo, la sentenza ha considerato che: “nel caso in esame, è pacifico che, durante il periodo della violazione oggetto della decisione dell’Autorità, l’Av. era stato spesso prescritto per il trattamento di malattie oftalmiche, nonostante il fatto che la rispettiva AIC non coprisse tali indicazioni. Tale circostanza denota pertanto l’esistenza di un rapporto concreto di sostituibilità tra il medicinale in questione e quelli autorizzati per dette patologie oftalmiche, tra i quali figura il Lu.. E ciò tanto più ove si consideri che, essendo l’Av. soggetto a prescrizione, la domanda di tale medicinale per il trattamento di malattie oftalmiche non coperte dalla relativa AIC poteva essere valutata in maniera precisa” (sentenza 23 gennaio 2018, in C-179/16, punto 66)”.
La sentenza prosegue attraverso l’esplicita valutazione della specifica questione sottesa al ricorso in esame: “Nel caso di specie, al momento dell’applicazione dell’articolo 101 TFUE da parte dell’Autorità, l’eventuale illiceità delle condizioni di riconfezionamento e di prescrizione dell’Av. destinato all’uso off-label, allegata dalla Ro., non era stata accertata dalle autorità preposte al controllo del rispetto della normativa farmaceutica o dai giudici nazionali. Per di più, l’EMA e la Commissione, al momento dell’adozione della decisione impugnata, non avevano accolto la richiesta della Ro. volta ad includere nell’elenco degli “effetti indesiderati”, che figura nel riassunto delle caratteristiche dell’Av., taluni effetti collaterali negativi legati all’uso intravitreale di tale medicinale, e hanno ritenuto che tali effetti giustificassero solo una menzione fra le “avvertenze speciali e precauzioni d’impiego”. In tali circostanze ? conclude la Corte di Giustizia ? “lo stato di incertezza in merito alla liceità delle condizioni di riconfezionamento e di prescrizione dell’Av. per il trattamento di patologie oftalmiche non ostava a che l’AGCM, ai fini dell’applicazione dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, concludesse che tale prodotto rientrava nello stesso mercato di un altro medicinale la cui AIC copre specificamente tali indicazioni terapeutiche” (sentenza 23 gennaio 2018)”; a cui segue in modo coerente la conclusione che: “appurato che l’impiego off-label dell’Av. non era vietato dalla normativa di settore e che neppure poteva ritenersi vietata o preclusa l’attività di riconfezionamento del prodotto, l’Autorità ben poteva procedere ad una valutazione di sostituibilità (e conseguente riconduzione al medesimo mercato) degli usi off-label di Av. con quelli on label di altri prodotti. Il provvedimento impugnato ha quindi correttamente definito il mercato rilevante dei farmaci per la cura di patologie della vista dovute a disordini vascolari oculari, nel quale ricondurre sia prodotti tipicamente autorizzati per tale uso, come il Lu., e sia prodotti impiegati off label per le medesime finalità terapeutiche, come l’Av.”.
Deve anche rilevarsi che la sentenza impugnata – richiamando quanto affermato, proprio in riferimento al medicinale in discorso dalla successiva sentenza della Corte di Giustizia del 21 novembre 2018, nella causa C-29/17, in base alla quale: “le operazioni di riconfezionamento dell’Av. non necessitano di un’Autorizzazione all’Immissione in Commercio (AIC) ai sensi dell’articolo 6 della direttiva 2001/83 né di un’autorizzazione di fabbricazione ai sensi dell’articolo 40 di detta direttiva. In particolare, secondo i giudici europei, il riconfezionamento dell’Av. alle condizioni previste dalle misure nazionali non necessita di un’AIC allorché tale operazione è prescritta da un medico mediante una ricetta individuale ed è effettuata da farmacisti ai fini della somministrazione di tale medicinale in ambito ospedaliero” – recependo il suggerimento della Corte di Giustizia, afferma chiaramente che: “nel caso in esame, è pacifico che, durante il periodo della violazione oggetto della decisione dell’Autorità, l’Av. era stato spesso prescritto per il trattamento di malattie oftalmiche, nonostante il fatto che la rispettiva AIC non coprisse tali indicazioni. Tale circostanza “denota pertanto l’esistenza di un rapporto concreto di sostituibilità tra il medicinale in questione e quelli autorizzati per dette patologie oftalmiche, tra i quali figura il Lu.”.
5.1 – Dal richiamo dei passaggi rilevanti della sentenza impugnata emerge immediatamente come il ricorso in esame tenda a provocare un (inammissibile) riesame della valutazione effettuata nella sentenza impugnata, attraverso la riproposizione delle questioni che hanno caratterizzato il tema controverso al fine di pervenire surrettiziamente ad una diversa decisione (cfr. Cons. St., Ad. Plen. n. 1/2013 e n. 2/2010).
La sentenza impugnata (di cui sono stati trascritti solo i punti fondamentali) dà compiutamente conto delle ragioni – la cui bontà non può certamente essere (ri)valutata attraverso lo strumento della revocazione – per le quali la censura dedotta dalla società è stata disattesa, dovendosi inoltre sottolineare che non costituisce motivo di revocazione il fatto che il giudice, nell’esaminare la domanda di parte, non si sia pronunciato su tutte le argomentazioni poste dalla medesima parte a sostegno delle proprie conclusioni (cfr. Cons. St., Ad. Plen. n. 21/2016).
5.2 – Quanto alla dedotta errata percezione del contenuto meramente materiale degli atti e documenti del processo – dal momento che la Sentenza avrebbe ignorato gli elementi rappresentati dalla società atti a dimostrare che: i) l’offerta e la domanda del c.d. Av. off-label in Italia avveniva in violazione del quadro normativo in materia di fabbricazione e commercializzazione dei farmaci, nonché di prescrizione di farmaci off-label; ii) l’illiceità delle prescrizioni massive e delle condizioni di riconfezionamento e messa in commercio del c.d. Av. off-label era stata accertata dalle autorità preposte al controllo del rispetto della normativa – deve ricordarsi come la giurisprudenza abbia chiarito che non ricorre l’ipotesi dell’errore revocatorio nell’ipotesi di erroneo, inesatto o incompleto apprezzamento delle risultanze processuali ovvero di anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio, trattandosi di ipotesi queste che danno luogo se mai ad un errore di giudizio, non censurabile mediante la revocazione (cfr. Cons. St., Ad. Plen. n. 1/2013).
5.3 – Per le medesime ragioni, anche il dedotto mancato esame di una serie di “prese di posizione” delle Autorità competenti – che, secondo le ricorrenti, avrebbero accertato la non conformità delle condizioni con cui Av. veniva, dal lato della domanda, prescritto dai medici e, dal lato dell’offerta, riconfezionato – non costituisce un errore di fatto revocatorio.
Al riguardo, devono richiamarsi le considerazioni svolte e la giurisprudenza già citata secondo cui l’eventuale circostanza che la sentenza non abbia preso posizione su tutte le eccezioni difensive di una parte non è suscettibile di configurarsi come errore revocatorio, potendo al più costituire mero vizio del procedimento logico-giuridico estraneo alla iniziativa ex artt. 106 c.p.a. e 395 c.p.c. (Cfr. Cons. Stato, 19 novembre 2020, n. 7194; in senso conf. Anche Consiglio di Stato, sez. IV, 28 ottobre 2013, n. 5180). Sul punto, la giurisprudenza (Cons. St., Ad. Plen., n. 21/2016) ha ben chiarito che è “in relazione al motivo di ricorso che si pone l’obbligo di corrispondere, in positivo o in negativo, tra chiesto e pronunciato”, mentre “non tutta l’illustrazione svolta dal ricorrente in un giudizio di impugnazione costituisce motivo di ricorso”, concludendo che “non costituisce motivo di revocazione per omessa pronuncia il fatto che il giudice, nell’esaminare la domanda di parte, non si sia espressamente pronunciato su tutte le argomentazioni poste dalla parte medesima a sostegno delle proprie conclusioni”.
In ogni caso, deve ricordarsi che la prescrizione da parte di un medico dell’uso off label di un farmaco è in linea di principio lecita (cfr. Corte di Giustizia del 21 novembre 2018, nella causa C-29/17 e Consiglio di Stato 15 luglio 2019, n. 4967 relative al medicinale Av.) sicché, al fine di identificare il mercato rilevante dei prodotti farmaceutici, rilevano le indicazioni terapeutiche fornite dai medici, le quali inevitabilmente fanno sì che, indipendentemente dal contenuto più o meno esteso delle AIC, rientrino nel medesimo mercato tutti i farmaci che i medici nella loro competenza e responsabilità prescrivono per la cura delle medesime patologie.
6 – Con il secondo motivo le società del gruppo Ro. deducono la sussistenza di un errore di fatto revocatorio ex artt. 106 c.p.a. e 395, comma 1, n. 4, c.p.c. in relazione alla dichiarata ingannevolezza delle informazioni veicolate da Ro. alle Autorità competenti e al pubblico in relazione alla pericolosità dell’uso off-label di Av..
Più precisamente, le ricorrenti lamentano l’omessa pronuncia in relazione al profilo dell’ingannevolezza delle informazioni diffuse da Ro., rilevando come tale profilo fosse cumulativo e aggiuntivo rispetto alla prova della concertazione e decisivo ai fini della definizione del giudizio.
A tal fine, rilevano che, nel caso di specie, la Corte di Giustizia ha chiarito che un’intesa restrittiva per oggetto è configurabile solo a condizione che le informazioni diffuse a terzi fossero effettivamente ingannevoli, dovendosi considerate ingannevoli le informazioni che: a) non sono rispondenti ai criteri di completezza e precisione di cui all’articolo 1, punto 1, del Regolamento UE n. 658/2007; b) ove effettivamente incomplete o imprecise, hanno avuto l’obiettivo di indurre l’EMA e la Commissione in errore e ad ottenere l’aggiunta della menzione di effetti collaterali negativi nel riassunto delle caratteristiche del prodotto, per consentire al titolare dell’AIC di avviare una campagna di sensibilizzazione dei professionisti della sanità, dei pazienti e delle altre persone interessate, al fine di amplificare artificiosamente tale percezione e di enfatizzare, in un contesto di incertezza scientifica, la percezione da parte del pubblico dei rischi connessi all’uso off-label dell’Av., tenuto conto, in particolare, del fatto che l’EMA e la Commissione non hanno modificato il riassunto delle caratteristiche di tale medicinale in termini di “effetti indesiderati”, ma si sono limitate a formulare “avvertenze speciali e precauzioni d’impiego”; c) hanno avuto diffusione presso EMA, gli operatori sanitari e il pubblico.
Parte ricorrente ricorda inoltre che la Corte ha precisato che spetta al giudice del rinvio effettuare l’indagine sulla ingannevolezza delle informazioni alla luce dei parametri indicati dalla stessa Corte.
Secondo le società, nella sentenza impugnata, di tale indagine non vi è traccia.
6.1 – Nel merito rilevano che:
a) Ro. ha fornito all’EMA informazioni corrette e non ingannevoli, perché rispondenti ai criteri di completezza e precisione di cui all’articolo 1, punto 1, del Regolamento 658/2007, con conseguente inconfigurabilità di una restrizione della concorrenza per oggetto ricadente nel campo di applicazione dell’art. 101 TFUE;
b) in ottemperanza a chiarissimi obblighi di farmacosorveglianza (art. 16, par. 2, del Regolamento 726/2004), Ro. non poteva che sottoporre all’attenzione dell’EMA le (nuove) evidenze in termini di sicurezza relative all’uso off-label di Av. in ambito oftalmico che emergevano dagli studi scientifici e proporre quella che era la logica conseguenza da trarne, ovverosia una modifica del RCP di Av. per includervi un’avvertenza relativa all’osservata insorgenza di gravi eventi avversi sistemici in relazione al suo uso off-label, lasciando che fosse poi l’EMA a valutare e decidere;
c) la Commissione Europea, l’EMA e l’AIFA hanno confermato la correttezza dell’operato di Ro. e la non ingannevolezza delle informazioni fornite (alla medesima conclusione è giunta anche la consulenza tecnica disposta nell’ambito del procedimento penale).
Alla luce di tali considerazioni, le società insistono per l’accoglimento dei motivi di ricorso che lamentano l’inconfigurabilità (in fatto) di un’artificiosa differenziazione dei farmaci e (in diritto) la violazione e falsa applicazione dell’art. 101 TFUE per la non sussistenza, nel caso di specie, di un’intesa restrittiva “per oggetto”, stante l’assenza di ingannevolezza delle informazioni diffuse.
7 – Risulta sostanzialmente sovrapponibile a tale censura anche il terzo motivo (“B”) dedotto da No. AG e da No. Fa. (“In merito all’assenza dei presupposti per la configurabilità di una condotta illecita e segnatamente, una intesa restrittiva per oggetto – La mancata verifica della ingannevolezza delle informazioni Errore di fatto ai sensi del combinato disposto degli articoli 106 del d.lgs. n. 104/2010 e 395, numero quattro, del Codice di Procedura Civile – Omissione di pronuncia/mancato esame di uno specifico motivo”).
Anche tali società rilevano che all’esito del giudizio, la Corte di Giustizia si è espressa nel senso di ritenere che l’articolo 101, paragrafo 1, TFUE deve essere interpretato nel senso che “costituisce una restrizione della concorrenza per oggetto, ai sensi di tale disposizione, l’intesa tra due imprese che commercializzano due medicinali concorrenti, avente ad oggetto – in un contesto segnato dall’incertezza delle conoscenze scientifiche – la diffusione presso l’Agenzia europea per i medicinali, gli operatori sanitari e il pubblico, di informazioni ingannevoli, sugli effetti collaterali negativi dell’uso di uno di tali medicinali per il trattamento di patologie non coperte dall’autorizzazione all’immissione in commercio di quest’ultimo, al fine di ridurre la pressione concorrenziale derivante da tale uso sull’uso dell’altro medicinale”.
Secondo le ricorrenti, alla luce dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, così come interpretato dalla Corte, sarebbe stato necessario effettuare uno specifico test finalizzato a verificare se le eventuali informazioni diffuse dalle parti fossero o meno ingannevoli. Ne consegue che al fine della configurabilità di un comportamento illecito, l’omissione da parte del giudice del rinvio di tale verifica rappresenterebbe una vera e propria mancanza di esame di una delle censure sollevate dalle società, decisiva ai fini della definizione della controversia in esame; ciò sarebbe reso evidente dal fatto che la sentenza non spenderebbe nemmeno una parola in merito: a) a quali siano le pretese informazioni diffuse; b) in quale misura e per quale ragione tali informazioni possano essere considerate ingannevoli secondo i parametri indicati al paragrafo 92 della Sentenza della Corte.
8 – Le censure, che possono essere esaminate congiuntamente, non devono trovare accoglimento.
Dal punto di vista teorico, deve osservarsi che la revocazione per omesso esame del motivo non costituisce un’autonoma ipotesi di revocazione, ma si fonda sempre sull’errore di fatto, ossia sulla svista materiale, che postula evidentemente la mancata conoscenza del motivo. L’omessa pronuncia su una censura è riconducibile all’errore di fatto revocatorio, purché risulti evidente della lettura della sentenza e sia chiaro che in nessun modo il giudice ha preso in esame la censura medesima (cfr. Cons. St., Sez. VI, n. 587/2012; Sez. IV, n. 5292/2004). Si deve, inoltre, trattare di una totale mancanza di valutazione del motivo, e non di un difetto di motivazione della decisione (cfr. Cons. St., Sez. V, n. 1508/2007).
8.1 – Nel caso di specie, la sentenza dà esplicitamente conto dell’aspetto relativo al profilo dell’ingannevolezza delle informazioni diffuse e dunque non trascura affatto le censure dedotte dalle società .
In particolare, la questione è ampiamente trattata nel paragrafo 4, in cui si prende atto dei motivi di impugnazione delle società che “contestano ? questa volta in fatto ? la tesi, sostenuta dall’Autorità e avallata nella sentenza di primo grado, secondo cui le imprese interessate avrebbero concertato fra loro per “manipolare la percezione dei rischi connessi all’uso non autorizzato di Av.”.
Al riguardo, la sentenza si esprime nel senso che: “Nel caso in esame, gli elementi di prova raccolti dimostrano l’esistenza tra i gruppi Ro. e No. di plurimi contatti finalizzati ad precisa strategia anticompetitiva: quella di enfatizzare i rischi derivanti dall’uso intravitreale del meno costoso Av. a fronte della maggior sicurezza di Lu….Il coordinamento tra le imprese ? avvenuto a mezzo di incontri diretti e scambi di email tra i vertici delle due imprese, i cui contenuti travalicano chiaramente l’accordo di licenza concluso tra No. e Ge. ed i doveri di farmacovigilanza ? ha avuto per oggetto: la modifica del riassunto delle caratteristiche del prodotto (RCP) di Av. in corso presso EMA (che avrebbe consentito di inviare agli operatori sanitari una comunicazione per richiamare la loro attenzione su tali effetti collaterali negativi); le reazioni da tenere nei confronti degli organi di stampa e degli interlocutori istituzionali nel momento in cui era stata tentata l’introduzione di una normativa volta a sostenere gli usi oftalmici di Av.; la strategia per contenere le reazioni provenienti da più parti circa la sproporzione dei costi delle terapie oftalmiche a base di Av. e Lu.”.
La sentenza individua numerosi e precisi riscontri probatori, che porrà poi a fondamento delle proprie valutazioni, di cui di seguito ci si limita a citare i più eloquenti (con l’avvertenza che è comunque solo dalla lettura integrale del paragrafo 4.4 della sentenza che è possibile avere un quadro completo): a) “Il coordinamento delle condotte volte all’ottenimento di apposite variazioni del RCP di Av. (rispetto al quale farmaco solo Ro., in quanto MAH del farmaco, era autorizzata a interventi di farmacovigilanza) è comprovato dalla email del 3 maggio 2012, inviata dall’a.d. di Ro. Italia all’a.d. di No. Fa., dove si legge: “Per favore, a che punto siamo con le attività di “differenziazione” dei 2 prodotti? La modifica in scheda tecnica [RCP]? A maggio avremmo dovuto avere qualche intervento regolatorio, corretto?” (cfr. doc. 32, fascicolo dell’Autorità ). Tale comunicazione faceva seguito ad un messaggio dell’a.d. di No. Fa. che, segnalando all’a.d. di Ro. Italia un articolo pubblicato sul Wall Street Journal in pari data relativo alla notizia di una conferenza stampa tenuta dall’a.d. della capogruppo Ro., avente il seguente titolo: “il CEO di Ro. dice che Lu. è il miglior farmaco per la cura della vista, non Av.””; b) “L’a.d. di Ro. Italia, in data 13 marzo 2012, scrive al suo corrispondente di No. per confermare la centralità delle modifiche al RCP di Av. e il conseguente invio di una comunicazione di avvertenza ai professionisti medici nella strategia congiunta delle imprese: “Caro […], ho controllato con i miei colleghi e compreso che l’opinione per la variazione II/44 sugli effetti dell’Av. in indicazioni intravitreali è prevista entro maggio 2012. Solo allora troveremo i cambi nel RCP e avremo più informazioni sulla [DHCP]. Dal momento che per quel che mi riguarda la situazione è ora ben chiara e indirizzata, suggerisco che possiamo discutere personalmente alla prima occasione, per esempio il prossimo incontro in Farmindustria””; c) “In un’altra mail del direttore medico di Ro. Italia si legge: “No. ci richiede una comunicazione proattiva che sottolinei aspetti etici e rischi professionali degli oftalmologi che utilizzano il farmaco off-label, non la consegna del RCP, qualsiasi sia il canale di trasmissione. Io condivido in linea di principio la richiesta di No.””.
La sentenza chiaramente valorizza tali risultanze – di cui quelle innanzi citate, come già avvertito, non sono che una parte – quali elementi da cui emerge la condotta delle società volta ad “impedire che le applicazioni off-label di Av. erodessero quelle onlabel di Lu., dalle quali sia Ro. che No. attendevano i propri maggiori utili, le stesse hanno concordato le modalità con cui condizionare collusivamente le preferenze di consumo dei soggetti responsabili delle scelte terapeutiche inveratasi: nell’avvio nel giugno 2011 presso EMA della procedura per ottenere la modifica del RCP di Av. (formalmente aperta da Ro., ma era in realtà condivisa e concordata con No.; nel reciproco aggiornamento in ordine agli interventi attesi da EMA; nella concertata circolazione di informazioni, mirate ai professionisti medici e alla stampa specializzata, volte ad aumentare l’incertezza intorno alla sicurezza di Av.”.
Precisa inoltre che, stante il descritto scambio di informazioni in concreto tra le imprese, “grava su queste ultime l’onere di fornire una diversa spiegazione lecita delle loro condotte e dei loro contatti. Tale prova nel presente giudizio non è stata fornita”.
La sentenza esclude altresì che le spiegazioni fornite dalle imprese appellanti ? secondo cui, mentre No. aveva un interesse a difendere le vendite del farmaco, Ro. aveva un interesse a non avallare l’uso off-label di Av., sia per ridurre la propria esposizione in termini di possibile responsabilità legale, sia per contenere il rischio di pregiudizi alla reputazione generale di Av. ? siano inidonee a revocare in dubbio l’ipotesi accusatoria. A tal fine, si legge che: “a rendere inattendibile la spiegazione alternativa offerta dalle appellanti sta, in primo luogo, la considerazione (bene sottolineata dalla Corte di Giustizia, nella più volte richiamata sentenza 23 gennaio 2018, in C-179/16, punto 91) che gli obblighi di farmacovigilanza che possono comportare misure quali la diffusione presso gli operatori sanitari e il pubblico di informazioni sui rischi legati all’uso off-label di un medicinale, nonché l’avvio di un procedimento presso l’EMA al fine di includere tali informazioni nel riassunto delle caratteristiche del prodotto, incombono al solo titolare dell’AIC del medicinale in questione e non ad un’altra impresa che commercializza un medicinale concorrente, coperto da un’AIC distinta. La circostanza che due imprese titolari di prodotti farmaceutici concorrenti si concertino ai fini della diffusione di informazioni specificamente riferite al prodotto commercializzato da una sola di esse è indice del fatto che siffatta diffusione persegue obiettivi estranei, sia alla farmacovigilanza, sia alla preoccupazione di incorrere in una generica ipotesi di responsabilità da prodotto (essendo peraltro maggiormente plausibile il rischio professionale dei medici per la prescrizione di farmaci off-label).
8.2 – Il richiamo dei punti salienti, dai quali emerge la logica della decisione, coerente con il motivo di censura avverso il provvedimento impugnato e con i principi espressi dalla Corte di Giustizia (più volte citata nella sentenza impugnata), costituisce di per sé la dimostrazione dell’inammissibilità dei motivi di revocazione che, come anticipato, lungi dal mettere in evidenza un errore di fatto, ovvero una specifica “svista” chiaramente individuabile nel senso innanzi precisato, tendono a criticare la valutazione compiuta dal giudicante, mirando ad una rivalutazione delle medesime questioni sottese al ricorso con il quale era stato impugnato il provvedimento, come testimoniato dal fatto che le stesse, per numero e complessità della relativa articolazione, non sono idonee ad evidenziare “una svista”, criticando invece, attraverso la formale deduzione dell’omesso esame di un motivo, gli aspetti di merito rilevanti della vicenda sui quali la sentenza impugnata si è indubbiamente pronunciata.
Come già più volte rimarcato, ciò è evidentemente incompatibile con lo strumento azionato nel presente giudizio, avuto riguardo al fatto che l’errore idoneo a giustificare il rimedio della revocazione deve essere evidente ed obiettivo, ossia apparire con immediatezza ed essere di semplice rilevabilità, senza la necessità di argomentazione induttive o indagini ermeneutiche. Ne consegue come non vi è stata la mancata percezione del motivo che può fondare la revocazione, ma semmai, al più, un errore logico (in iudicando), per una errata valutazione circa la fondatezza del motivo alla luce delle considerazioni già svolte. Le caratteristiche dell’errore di fatto revocatorio vanno individuate con rigore, per evitare che il distorto uso di tale rimedio straordinario dia inammissibilmente accesso ad un ulteriore grado di giudizio, non previsto e non ammesso dall’ordinamento. Inoltre, come già ricordato, il fatto oggetto di errore non deve aver costituito un punto controverso sul quale la sentenza si sia pronunciata (cfr. Cons. St., sez. IV, n. 4092/2007).
8.3 – Alla luce delle considerazioni che precedono è del tutto irrilevante ai fini del presente giudizio l’esito assolutorio a cui è giunto il giudice penale in riferimento all’imputazione per il reato di aggiotaggio (art. 501 c.p.).
Per altro, deve ricordarsi che, come costantemente ribadito dalla giurisprudenza (cfr. Cons. St., VI, 10 gennaio 2020, nn. 258 e 246), esiste nell’ordinamento un principio di reciproca autonomia tra giudizio penale ed amministrativo, posto che i due accertamenti giurisdizionali “operano in ambiti diversi e con finalità differenti”, così come è differente la regola sottesa alla valutazione dell’ipotesi accusatorie.
Vale in ogni caso la pena di precisare che, anche sotto il profilo sostanziale, la fattispecie incriminatrice non è assimilabile in tutto e per tutto alla fattispecie di cui all’art 101 TFUE che, nel caso di specie, si concretizza nella diffusione concordata tra le società concorrenti di informazioni ingannevoli. Infatti, tale connotato (l’ingannevolezza dell’informazione) deve essere inteso quale componente dell’illecito antitrust, ovvero alla luce dell’accordo delle parti volto ad alterare la concorrenza nel mercato rilevante, attraverso la diffusione di informazioni tendenti a favorire l’utilizzo di un farmaco rispetto al suo concorrente in assenza di certezza circa gli effetti collaterali di quest’ultimo. Più nello specifico, anche nel senso precisato dalla Corte di giustizia nella sentenza del 23 gennaio 2018, il requisito dell’ingannevolezza delle informazioni diffuse è declinato in termini di imprecisione e/o incompletezza delle informazioni fornite – non quindi di assoluta falsità delle stesse – in quanto diffuse in un contesto di incertezza scientifica al fine di conseguire un vantaggio. Per la Corte, come già osservato, devono ritenersi ingannevoli quelle informazioni che, in quanto imprecise ed incomplete, mirino ad “enfatizzare, in un contesto di incertezza scientifica, la percezione da parte del pubblico dei rischi connessi all’uso off-label dell’Av.”, (par. 92 della sentenza) e ciò per “ridurre la pressione concorrenziale derivante da tale uso sull’uso dell’altro medicinale” (par. 95 della sentenza).
E’ su questo crinale della differenza fra enfatizzazione ed ingannevolezza che si svolge la censura revocatoria, non avvedendosi che proprio i fatti che hanno condotto all’accertamento dell’intesa ne hanno evidenziato lo scopo, ossia la finalità di enfatizzazione dei rischi, concretizzatasi anche in appositi rapporti con la stampa; enfatizzazione dei rischi che, per quanto prima rilevato, era ritenuta sufficiente dalla Corte UE a concretizzare l’illecito antitrust, potendosi l’ingannevolezza risolvere in tale enfatizzazione.
9 – Con il primo motivo di censura No. AG deduce la sussistenza di un errore di fatto ai sensi del combinato disposto degli articoli 106 del c.p.a. e 395, numero quattro, del c.p.c. per l’assenza di qualsivoglia responsabilità diretta di No. AG.
Anche il ricorso di No. Fa. contiene un’analoga censura (“L’assenza di alcuna responsabilità di No. AG e la conseguente invalidità del Provvedimento, anche per quel che riguarda la posizione di No. Fa.”).
Secondo le società ricorrenti, la responsabilità diretta di No. AG è stata affermata a fronte della omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, ritenendo documentalmente provato un fatto invece documentalmente escluso.
Nello specifico, le società rilevano che lo scambio di email intercorso nel 2007 citato nella sentenza impugnata non coinvolge in alcun modo No. AG e non riguarda in alcun modo una riunione di un gruppo di lavoro a livello sovranazionale in merito alla vicenda Av./Lu., riferendosi a un periodo temporale (2007) antecedente a quello dell’asserita infrazione (giugno 2011 – febbraio 2014).
No. AG ricorda di essere una holding finanziaria di nazionalità svizzera, priva di dipendenti, non operativa sul piano commerciale e priva di alcuna relazione gestionale con No. Fa. idonea ad incidere sull’asserito rapporto di concorrenza tra Lu. e Av.. Ribadisce inoltre che nessuno dei componenti degli organi direzionali della stessa è stato parte o è coinvolto negli scambi di email, o nella ulteriore documentazione su cui l’Autorità e la sentenza impugnata hanno ritenuto di fondare il coinvolgimento di No. AG nell’illecito contestato.
In definitiva, le società sostengono che: a) nessuno degli scambi di e-mail interni al gruppo No. o documenti interni al gruppo No. citati nel provvedimento ha come mittenti o destinatari dipendenti, manager, amministratori o soggetti che abbiano agito, o abbiano dichiarato di agire, in nome e per conto di No. AG, né i contenuti di tali e-mail menzionano soggetti che siano dipendenti, manager, amministratori o soggetti che abbiano agito o abbiano dichiarato di agire in nome e per conto di No. AG; b) nessuno degli scambi di e-mail intercorsi fra società riconducibili ai gruppi No. e Ro. è riferibile a No. AG; c) nessuno degli altri documenti menzionati nel provvedimento (ad es. comunicati stampa, pubblicazioni scientifiche, ecc.) contiene riferimenti dai quali possa evincersi il possibile coinvolgimento di No. AG nelle asserite pratiche oggetto di contestazione; d) nessuno dei documenti citati nel provvedimento dimostra che No. AG abbia fornito indicazioni o direttive a No. Fa. con riguardo alla vicenda oggetto di accertamento da parte dell’AGCM.
9.1 – Con il secondo motivo di censura No. AG deduce la sussistenza di un errore di fatto ai sensi degli articoli 106 c.p.a. e 395, numero quattro, del c.p.c., per l’assenza di qualsivoglia responsabilità indiretta/parentale di No. AG.
Anche il ricorso di No. Fa. contiene un’analoga censura (“L’assenza di alcuna responsabilità di No. AG e la conseguente invalidità del Provvedimento, anche per quel che riguarda la posizione di No. Fa.”).
Al riguardo, le società rilevano che la sentenza impugnata contiene considerazioni (punto 6.2 della sentenza) non del tutto comprensibili e coerenti in merito alla asserita sussistenza di una responsabilità indiretta di No. AG (c.d. parental liability), anche in ragione del fatto che tale profilo non era in alcun modo oggetto del giudizio dinanzi al Consiglio di Stato, poiché la sussistenza di una responsabilità parentale indiretta non è mai stata in alcun modo sollevata dall’AGCM.
Secondo le società ricorrente in tal modo il Giudice sarebbe incorso in un errore revocatorio dal quale è derivata una estensione della decisione su domande non rinvenibili negli atti del processo; il Consiglio di Stato avrebbe esteso la propria decisione con riferimento a profili di pretesa responsabilità indiretta di No. AG che, al contrario, non potevano in alcun modo rientrare nell’ambito del relativo giudizio.
Nello specifico, la società rileva che: a) nessun tipo di responsabilità parentale indiretta è stato imputato a No. AG nella Comunicazione delle Risultanze Istruttorie (CRI); b) nel provvedimento, l’AGCM ha confermato l’impostazione accusatoria della CRI secondo cui ci sarebbe stata una responsabilità diretta di No. AG in relazione alla presunta infrazione; c) la responsabilità indiretta risulta logicamente e giuridicamente incompatibile con quanto sostenuto nel provvedimento circa il presunto primario ruolo attivo svolto da No. AG nella ideazione, definizione e supervisione della asserita strategia collusiva.
10 – Le censure, che possono essere esaminate congiuntamente, non devono trovare accoglimento.
E’ dirimente constatare che No. AG ha sostenuto, sin dalla fase inziale del giudizio dinanzi al T.A.R., che ad essa non era ascrivibile alcuna responsabilità in relazione all’infrazione in esame, neanche in via indiretta (cfr. primo motivo di ricorso al T.A.R. per il Lazio, punti A e B).
Come già ricordato, il fatto oggetto di errore non deve aver costituito un punto controverso sul quale la sentenza si sia pronunciata (cfr. Cons. St., sez. IV, n. 4092/2007). Ne consegue che, anche in riferimento alle censure in esame, deve rilevarsi come i supposti errori prospettati dalla società quali vizi revocatori attengano proprio ai motivi di appello che hanno formato, nella sentenza del Consiglio di Stato, oggetto di valutazione, e che non sono affatto qualificabili, pertanto, come meri errori di fatto.
10.1 – Tanto precisato, deve osservarsi che, già nella parte in fatto della sentenza impugnata, nel descrivere l’ipotesi accusatorio dell’Autorità e la sua credibilità logica, si dà atto che le condotte delle imprese trovavano la loro spiegazione economica nei rapporti tra i gruppi Ro. e No., atteso che Ro. aveva interesse ad aumentare le vendite di Lu. perché attraverso la sua controllata Ge. – che ha sviluppato entrambi i farmaci – otteneva su di esse rilevanti royalties da No., che a sua volta, oltre a guadagnare dall’incremento delle vendite di Lu., risultava detenere una rilevante partecipazione in Ro., superiore al 30%.
In riferimento al motivo specifico relativo alla questione circa la responsabilità della società No. AG è dedicato l’intero paragrafo 6 della sentenza impugnata, nel quale vengono delineate in modo chiaro le ragioni per ritenere che le condotte illecite siano riconducibili anche alle società madri dei gruppi Ro. e No., oltre che alle loro filiali italiane. Testualmente si legge: “Tale coinvolgimento è attestato ? oltre che dalle varie QeA predisposte per organizzare le condotte nei confronti di organi di stampa o autorità pubbliche nel caso delle reazioni da tenere rispetto ai risultati degli studi comparativi indipendenti ? dai seguenti elementi: – quanto al gruppo No., dalle frequenti riunioni di gruppi di lavoro appositamente costituiti a livello sovranazionale in ordine alla vicenda Av./Lu. (cfr. in atti lo scambio di mail intercorso nell’aprile 2007)”.
Deve dunque ribadirsi come tale questione rientra proprio tra quelle principali intorno alle quali ruota il giudizio, che non può certamente essere rimessa in discussione tramite il prospettato errore di fatto, trattandosi invece di rivalutare (inammissibilmente) un aspetto fondamentale della vicenda sul quale la sentenza impugnata si è già pronunciata.
Al riguardo, oltre alla giurisprudenza di questo Consiglio, deve ricordarsi che anche per la giurisprudenza della Corte di Cassazione l’errore di fatto previsto dall’art. 395, n. 4, c.p.c., idoneo a costituire motivo di revocazione, consiste in una falsa percezione della realtà o in una svista materiale che abbia portato ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso oppure l’inesistenza di un fatto positivamente accertato dagli atti o documenti di causa, purché non cada su un punto controverso e non attenga a un’errata valutazione delle risultanze processuali (cfr. Cassazione civile 22/10/2019, n. 26890). La giurisprudenza ha inoltre chiarito che non ricorre l’ipotesi dell’errore revocatorio nell’ipotesi di erroneo, inesatto o incompleto apprezzamento delle risultanze processuali ovvero di anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio, trattandosi di ipotesi queste che danno luogo se mai ad un errore di giudizio, non censurabile mediante la revocazione (cfr. Cons. St., Ad. Plen. n. 1/2013).
La conclusione circa l’inammissibilità della censura emerge dalla stessa lettura delle deduzioni delle società, così come articolate nel ricorso per revocazione (innanzi solo sommariamente richiamate), che si risolvono nel contestare il merito delle valutazioni che il giudice di secondo grado ha svolto.
10.2 – Il rigetto della censura innanzi esaminata relativa al diretto coinvolgimento di No. AG rende irrilevante la seconda censura con la quale le società contestano gli estremi, sia dal punto di vista procedurale che sostanziale, per il riconoscimento della cd. parent liability. Ne consegue che, avuto riguardo ai principi che regolano lo strumento della revocazione, il dedotto vizio revocatorio è in ogni caso privo del requisito della decisività . Al riguardo, deve ricordarsi che l’errore di fatto revocatorio deve essere stato elemento decisivo della decisione da revocare, dovendo sussistere un “un rapporto di causalità tra l’erronea presupposizione e la pronuncia stessa” (cfr. Cons. St., Ad. Plen., n. 5 del 2014; Sez. IV, n. 252 del 2006).
In ogni caso, anche sotto il profilo relativo all’applicazione dei principi di origine comunitaria sulla parental liability, deve rilevarsi che la questione risulta sottesa alla domanda svolta dalla stessa No. – non costituendo pertanto una valutazione del giudicante esterna al perimetro delle domande sulle quali era chiamato a giudicare – la quale, dinanzi al TAR (e successivamente dinanzi al Consiglio di Stato), aveva sostenuto la tesi, sostanzialmente riproposta anche con il presente giudizio di revocazione, che l’Autorità avrebbe basato il proprio accertamento solo sulla responsabilità diretta della controllante.
11 – Posto che l’emissione della presente sentenza non definisce i giudizi riuniti, l’esame delle ulteriori questioni di merito, di rito e sulle spese componenti il thema decidendum delle odierne vertenze è rinviato all’esito del rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea cui si provvede con separata ordinanza.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, non definitivamente pronunciando:
– previa la riunione dei ricorsi, ne dichiara l’inammissibilità nei sensi di cui in motivazione laddove direttamente volti ad ottenere la revocazione della sentenza impugnata ai sensi dell’art. 395, n. 4, del c.p.c.;
– provvede come da separata ordinanza al rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea nei termini di cui in motivazione e dispone la sospensione del processo;
– riserva al definitivo, ogni ulteriore decisione in rito, nel merito e sulle spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 marzo 2021 con l’intervento dei magistrati:
Giancarlo Montedoro – Presidente
Diego Sabatino – Consigliere
Silvestro Maria Russo – Consigliere
Giordano Lamberti – Consigliere, Estensore
Stefano Toschei – Consigliere
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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