Intestazione fiduciaria di partecipazioni sociali

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|| n. 12353.

Intestazione fiduciaria di partecipazioni sociali

In caso di intestazione fiduciaria di partecipazioni sociali, al fiduciario che non restituisca le azioni una volta richiesto dal fiduciante e non riversi al medesimo i dividendi azionari percepiti è inapplicabile il regime degli artt. 1147 e 1148 c.c. sul possesso di buona fede della cosa, risolvendosi per intero la vicenda nell’ambito della disciplina delle obbligazioni e dei contratti, onde il fiduciario è tenuto a pagare quanto ricevuto a titolo di dividendi sin dal momento in cui li abbia riscossi dalla società, e, sugli stessi, sono altresì dovuti gli interessi di pieno diritto dallo stesso momento, o, in presenza di una domanda in tal senso limitata ex art. 99 c.p.c., dal giorno della messa in mora.

Ordinanza|| n. 12353. Intestazione fiduciaria di partecipazioni sociali

Data udienza  13 aprile 2023

Integrale

Tag/parola chiave: Società di capitali – Intestazione societaria di partecipazioni – Fiduciario che non restituisce le azioni come richiesto dal fiduciante – Mancato riversamento dei dividendi percepiti – Inapplicabilità del regime sul possesso in buona fede della cosa – Regime sui contratti e sulle obbligazioni – Fiduciario tenuto al pagamento di quanto ricavato dai dividendi più gli interessi – Artt. 820, 1147 e 1148 cc

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere

Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere

Dott. RUSSO Rita Elvira Anna – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 13331-2019 R.G. proposto da:

(OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)

-ricorrenti-

contro

(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) ( (OMISSIS)) che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) ( (OMISSIS)), per procura speciale in calce al controricorso;

-controricorrenti-

avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di BRESCIA n. 156-2019 depositata il 28/01/2019.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/04/2023 dal Consigliere LOREDANA NAZZICONE.

Intestazione fiduciaria di partecipazioni sociali

FATTI DI CAUSA

1. – Con decreto ingiuntivo n. 44/2004, il Tribunale di Brescia, su ricorso di (OMISSIS), ingiunse agli eredi di (OMISSIS) il pagamento dei dividendi, percepiti dai medesimi con riguardo alle azioni della (OMISSIS) s.p.a., quali fiduciari (o aventi causa dai fiduciari) e non riversati al fiduciante, dante causa dell’istante, per gli esercizi sociali dal 1975 al 2000.

Con sentenza pronunciata in data 11 gennaio 2006, n. 45, il Tribunale di Brescia respinse le opposizioni al decreto ingiuntivo proposte da tutti gli ingiunti.

Adi’ta dai soccombenti, la Corte d’appello di Brescia con sentenza del 13 gennaio 2009 accolse l’impugnazione, revocando il decreto ingiuntivo, in quanto ritenne inammissibile la domanda per precedente giudicato.

Avverso tale sentenza venne proposto ricorso per cassazione, e la Corte, con sentenza del 20 novembre 2014, n. 24749, casso’ la medesima con rinvio, affermando che l’esistenza del giudicato esterno deve essere motivata sulla base dell’esame del dispositivo della sentenza e della motivazione che la sorregge, potendosi far riferimento, in funzione interpretativa, alla domanda della parte solo in via residuale.

Infine, decidendo su rinvio, la Corte d’appello di Brescia, con sentenza del 28 gennaio 2019, n. 156, revocato il decreto ingiuntivo ritenendo una diversa decorrenza degli interessi sugli importi dovuti, al cui pagamento ha condannato gli eredi degli intestatari fiduciari delle azioni, ciascuno per quanto di competenza.

La corte territoriale ha, anzitutto, osservato che il giudizio segue a quello precedente, concluso dalla sentenza di cassazione n. 13758-2003, avente ad oggetto la condanna alla restituzione in favore di (OMISSIS) delle azioni della (OMISSIS) s.p.a., fiduciariamente intestate dal padre (OMISSIS) agli altri figli di questi e dalla prima vittoriosamente rivendicate, quale quota dell’eredita’ paterna, ad essa spettante.

Ha, quindi, respinto l’eccezione di giudicato, sollevata dai debitori, escludendo che quel precedente giudizio avesse per oggetto la domanda di restituzione dei dividendi: cio’ ha desunto dalla motivazione e dal dispositivo della sentenza di primo grado ivi pronunciata, ed altresi’ reputando inapplicabile il principio secondo cui il giudicato copre il dedotto e il deducibile, attesa la differenza ontologica tra i frutti e i dividendi, i primi corrispettivo del godimento che altri abbia del bene e che maturano di giorno in giorno, ai sensi degli articoli 820 s. c.c., e i secondi che nascono da un atto sociale e possono non essere affatto distribuiti ai soci.

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Ha, inoltre, ritenuto infondata anche l’eccezione di prescrizione sollevata dai debitori, in quanto, da un lato, ha reputato applicabile il termine ordinario decennale, di cui all’articolo 2946 c.c., all’azione proposta, che attiene al pagamento da parte dei fiduciari (o loro eredi) dei dividendi azionari riscossi nel corso degli anni, ma non riversati al fiduciante (o ai suoi eredi), restando, invece, inapplicabile sia il termine quinquennale ex articolo 2949 c.c., non trattandosi propriamente di un rapporto sociale, sia quello di pari durata ex articolo 2948, n. 4, c.c., non trattandosi di somme da corrispondere a cadenze prestabilite; dall’altro lato, circa il dies a quo per la decorrenza del termine di prescrizione, ha ritenuto che esso andasse collocato al 15 luglio 1985 (dato che la pendenza del giudizio di restituzione delle azioni non impediva ex articolo 2935 c.c. di esercitare il diritto alla ripetizione dei dividendi percepiti dai fiduciari) e che tale termine fu interrotto con la lettera raccomandata del 30 agosto 1996, con la quale la creditrice richiese il pagamento di tutti i dividendi maturati alle controparti, come titolari meramente fiduciari nell’intestazione delle azioni (OMISSIS) s.p.a., e che, da tale momento nuovamente decorso, e’ stato poi interrotto con effetto permanente mediante la notificazione del ricorso e del decreto ingiuntivo nel marzo 2004, introduttivo della presente causa.

Ha disatteso anche la terza eccezione di possesso di buona fede, sollevata dai debitori, i quali in tal modo intendevano sostenere il proprio obbligo di restituire le somme, quali frutti civili, solo dalla domanda giudiziale, ai sensi dell’articolo 1148 c.c.: la sentenza impugnata ha affermato che “a prescindere dalla questione posta circa la configurabilita’ o meno del possesso di buona fede nella pendenza del giudizio con il quale e’ stata richiesta la restituzione delle azioni”, non sia invocabile, in ogni caso, la disposizione citata, perche’ i dividendi non sono frutti civili.

Infine, ha respinto le contestazioni operate in appello circa gli errori di calcolo sul quantum dei dividendi da corrispondere, perche’ nessuna censura specifica al riguardo era stata mai posta con la citazione in opposizione; sulle somme liquidate ha ritenuto dovuti gli interessi legali dalla messa in mora, perche’ cosi’ sono stati richiesti nel ricorso per decreto ingiuntivo, in cui e’ stato invocato al riguardo l’articolo 1219 c.c., quindi dal 30 agosto 1996; mentre, per i dividendi riscossi successivamente, ha fissato la decorrenza del debito degli interessi sulla somma dal 3 marzo 2004, data della notifica del decreto ingiuntivo.

2. – Avverso questa sentenza propongono ricorso per cassazione i soccombenti, sulla base di quattro motivi.

Resistono con controricorso gli intimati.

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RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Va premesso che non e’ necessaria la presenza in giudizio di (OMISSIS), non essendo controverso che la medesima – come affermano i resistenti, senza essere smentiti sul punto in memoria dai ricorrenti – abbia fatto acquiescenza alla sentenza impugnata.

2. – Con il primo motivo, i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione degli articoli 820, 1147 e 1148 c.c., perche’ le norme sulla tutela del possessore di buona fede prevedono che questo stato soggettivo sia presunto e che il possessore sia tenuto a restituire i frutti solo dalla domanda giudiziale: poiche’ i dividendi si iscrivono in tale categoria, ha errato la corte territoriale nel ritenere dovuti i dividendi sin da epoca anteriore alla domanda, introdotta con il ricorso monitorio notificato il 2-4 marzo 2004, laddove le azioni de quibus erano state ormai restituite il 21 novembre 2003, con conseguente insussistenza di qualsiasi debito. La buona fede va valutata al momento dell’acquisto dei fiduciari, nella specie avvenuto nel 1975, peraltro in via presuntiva, avendo la presunzione di buona fede nel possesso una portata generale; in ogni caso, trattandosi di cose di genere possedute unitamente a quelle in propria titolarita’ piena, non e’ dato stabilire se le azioni consegnate alla (erede del) fiduciante fossero quelle possedute in buona fede, oppure no, dai fiduciari, con ulteriore ragione per ritenere non dovuti in restituzione i frutti percepiti.

Con il secondo motivo, si deduce la violazione o la falsa applicazione dell’articolo 2909 c.c., oltre all’omesso esame di fatto decisivo, in quanto il diritto ai dividendi aveva gia’ formato oggetto del giudizio conclusosi con la pronuncia di legittimita’ Cass. n. 13758/2003, onde sul punto si era formato il giudicato: il Tribunale aveva respinto tutte le domande con la sentenza n. 772/1994 e la sentenza della Corte d’appello n. 291/2000, confermata dalla Cassazione, aveva accolto soltanto la domanda di restituzione delle azioni, formandosi cosi’ il giudicato, almeno implicito, sulla domanda di restituzione anche dei frutti.

Con il terzo motivo, si deduce la violazione e falsa applicazione degli articoli 2946, 2948, n. 4 e 2949 c.c., perche’ al diritto preteso avrebbe dovuto applicarsi il termine di prescrizione quinquennale, sia in quanto il diritto di dividendi e’ soggetto alla prescrizione in materia societaria, sia perche’ e’ somma da pagarsi periodicamente; inoltre, l’eccezione di prescrizione almeno decennale, sollevata in via subordinata, avrebbe dovuto condurre all’accoglimento della stessa per i dividendi dal 1975 al 30 agosto 1986, mentre la corte territoriale l’ha respinta in toto, in violazione dell’articolo 2946 c.c..

Con il quarto motivo, si deduce la violazione o falsa applicazione dell’articolo 2697 c.c., oltre all’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, con riguardo al subordinato profilo del quantum, posto che l’avverso conteggio era stato contestato dai debitori sin dal primo grado e che non poteva invertirsi l’onere della prova, come ha invece operato la sentenza impugnata.

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3. – Il primo motivo e’ infondato, anche se deve essere sul punto corretta la motivazione della sentenza impugnata.

3.1. – La vicenda concreta attiene alla domanda di versamento della somma pari ai dividendi percepiti dai fiduciari, nel corso del periodo di intestazione fiduciaria delle partecipazioni sociali, ma non riversati al fiduciante.

La tesi dei ricorrenti e’ che, dovendo qualificarsi i dividendi azionari quali frutti civili delle partecipazioni, trovino applicazione gli articoli 1147, comma 3, e 1148 c.c., il primo che configura la buona fede come presunta, reputandola sufficiente al tempo dell’acquisto, il secondo che attribuisce al possessore di buona fede il diritto di mantenere i frutti civili maturati fino al giorno della domanda giudiziale.

Questa tesi, tuttavia, non puo’ essere accolta.

Al rapporto che si instaura tra fiduciante e fiduciario in caso di intestazione delle partecipazioni sociali ed all’obbligo del secondo di riversare al primo quanto percepito in relazione alla sua qualita’ di intestatario reale delle azioni, ma astretto dal pactum fiduciae, non si applicano, invero, le disposizioni richiamate.

3.2. – Giova ricordare quanto questa Corte ha affermato in tema di intestazione fiduciaria di azioni e di quote societarie, osservando che, nel diritto comune dei contratti, l’intestazione fiduciaria e’ la situazione in cui il trasferimento del bene in favore del fiduciario viene limitato dall’obbligo inter partes del ritrasferimento, in cio’ esplicandosi il contenuto del pactum fiduciae, laddove manca qualsiasi intento liberale e la titolarita’ creata si palesa “soltanto provvisoria e strumentale al ritrasferimento a vantaggio del fiduciante” (Cass. 14 luglio 2015, n. 14695 e Cass. 2 aprile 2009, n. 8024, in tema di immobili; Cass. 29 febbraio 2012, n. 3134, sull’azienda), al pari dello specifico negozio d’intestazione fiduciaria delle partecipazioni sociali, reputato strutturalmente composto da due atti, l’uno di carattere esterno ed efficace verso i terzi, l’altro inter partes ed obbligatorio, diretto a modificare il risultato finale del primo, per effetto dei quali l’interposto acquista la titolarita’ delle quote, pur essendo, in virtu’ di un rapporto interno con l’interponente di natura obbligatoria, tenuto ad osservare un certo comportamento, convenuto in precedenza con il fiduciante, ed a ritrasferirgliele ad una scadenza concordata, ovvero al verificarsi di una situazione che determini il venir meno del rapporto fiduciario (Cass. 21 marzo 2016, n. 5507; 8 settembre 2015, n. 17785; 6 maggio 2005, n. 9402; 27 novembre 1999, n. 13261).

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E si e’ gia’ precisato come, nel contratto in questione, la causa non risiede in se’ ne’ nel trasferimento del bene, ne’ nella sostituzione al mandante nel compimento di specifici atti, ma nella combinazione dei due momenti, al fine di una cosiddetta “spersonalizzazione della proprieta’”, onde puo’ parlarsi di un contratto unitario avente una causa propria, pur nell’ambito del genus dell’agire per conto altrui, attesa la stretta e indissolubile connessione tra le varie pattuizioni, nelle quali il contratto formalmente si scompone, onde unitaria ne e’ la causa.

3.3. – La regola del possesso di buona fede e del diritto del possessore – per tale profilo prevalente, nella logica del legislatore, rispetto al proprietario – a conservare i frutti si fonda sull’esigenza di incentivare il valido sfruttamento produttivo del bene mediante un diritto oggettivo “premiale”, che assicura al possessore la possibilita’ di mantenere i frutti del suo operare. Il possesso di buona fede e’ visto con favore dall’ordinamento, in quanto utile a produrre ricchezza: il trattamento di favore del possessore in buona fede ex articolo 1148 c.c. risponde allo scopo di favorire l’uso attivo, pur non titolato, del bene stesso.

Ma niente di cio’ si ravvisa nel diritto dei contratti e nella disciplina dell’adempimento ed inadempimento alle obbligazioni che ne scaturiscono (in questa sede e vicenda rilevanti).

Il contratto di intestazione fiduciaria di partecipazioni sociali, al pari degli altri negozi, e’ fonte di obbligazioni (articolo 1321 c.c.), dal cui inadempimento possono derivare svariate conseguenze, disciplinate dal diritto comune dei contratti: in particolare, all’inadempimento del fiduciario all’obbligo di corrispondere il denaro percepito in luogo del fiduciante a titolo di utili sociali si applica il regime delle obbligazioni pecuniarie e del loro inadempimento, senza interferenza con l’istituto del possesso quale potere di fatto sulla cosa, ai sensi dell’articolo 1140 c.c..

L’obbligo del fiduciario di riversare al fiduciante i benefici tratti dalla titolarita’ reale, ma strumentale, della quota o delle azioni – che caratterizza la stessa causa del negozio in questione – nulla ha a che vedere, infatti, con la situazione del possessore, chiamato a restituire al titolare del diritto soggettivo la res dal primo meramente assoggettata al suo (proficuo) potere di fatto.

Se, invero, il favor per il possessore in buona fede, come esposto, mira a propiziare l’incremento dell’uso fattivo e produttivo del bene, tale scopo nelle concrete vicende che ne occupano non esiste affatto, venendo meno, pertanto, ogni necessita’ di privilegiare il soggetto in buona fede rispetto al suo contraddittore.

La tesi qui non condivisa condurrebbe a conseguenze non razionali e contrarie al sistema: in presenza di una qualsiasi obbligazione contrattuale avente ad oggetto l’obbligo di consegnare una res, invero, ove questa fosse foriera di frutti o interessi, dovrebbe volta a volta verificarsi se – ad esempio – il venditore fosse in buona fede nel mancato rispetto del termine fissato per la consegna (articolo 1476, n. 1, c.c.) o il compratore nel non corrispondere il prezzo entro il termine stabilito; ed, anzi, li si dovrebbe, sempre secondo quella tesi, senz’altro in via presuntiva reputare tali, negando di conseguenza, prima dell’eventuale domanda giudiziale della controparte, ogni diritto agli interessi e ai frutti, come pure, se si tratti di partecipazioni sociali, agli utili nel frattempo maturati (ma basti richiamare, ad esempio, la regola ex articolo 1477, comma 2, c.c. sulla consegna della cosa, per la quale “Salvo diversa volonta’ delle parti, la cosa deve essere consegnata insieme con gli accessori, le pertinenze e i frutti dal giorno della vendita”).

Al contrario, in questo, come in altri casi, lo stato soggettivo di buona o mala fede rileva semmai unicamente con riguardo alla domanda risarcitoria per il pregiudizio eventualmente cagionato, dove il dolo o la colpa costituiscono elementi soggettivi della fattispecie (peraltro, presunto l’inadempiente in colpa ex articolo 1218 c.c.), ma non per l’obbligazione in se’ di consegna anche dei frutti ricavati dal bene, in esecuzione del contratto: le quali – al pari dell’obbligo di restituire una res come nel caso in esame – seguono la regola della necessita’ dell’esecuzione della prestazione nel termine stabilito.

3.4. – E’ vero che sovente sono tradizionalmente qualificati come frutti civili anche gli utili, ritraibili dal bene oggetto del diritto partecipativo, percepiti nel periodo di titolarita’ delle azioni, che dunque vanno calcolati e restituiti al fiduciante, in caso di intestazione fiduciaria del pacchetto azionario e mancato versamento dei medesimi ad opera del fiduciario.

La parte ricorrente segnala la motivazione di alcune decisioni di questa Corte (Cass., sez. un., 5 maggio 2011, n. 9839; Cass. 16 marzo 2018, n. 6664; Cass. 3 giugno 2020, n. 10505, in motivazione; adde Cass. 24 aprile 2018, n. 10116, in motiv.; Cass. 14 marzo 2017, n. 6575); sul piano Eurounitario vi sono del pari pronunce in tal senso (Corte di giustizia UE 10 gennaio 2006, C-222/04; Tribunale Unione Europea 16 giugno 2011, n. 208/08, 209/08; Tribunale Unione Europea 13luglio 2011, n. 141, 142, 145, 146/07).

Ma la questione e’ del tutto estranea alla controversia all’esame: ed invero, resta il fatto che, ai fini in discorso, irrilevante e’ un simile inquadramento, dovendosi concludere pur sempre nel senso che vada escluso il rilievo di interferenze di discipline aliene, come quella sul possesso ex articolo 1148 c.c., nel regolare gli effetti dell’inadempimento all’obbligo di ritrasferimento delle partecipazioni sociali al fiduciante nell’intestazione fiduciaria delle azioni medesime, nonche’ del pagamento dei dividendi nelle more percepiti.

Se il fiduciario risulta inadempiente all’obbligo di restituire le azioni, egli dovra’ provvedere al ritrasferimento in favore del fiduciante. Ma non rileva se egli fosse in buona fede nell’esercitare i diritti di socio e riscuotere i dividendi, che dovranno essere riversati cosi’ come effettivamente percepiti, senza che all’obbligo in questione possa applicarsi la regola della debenza solo dalla domanda giudiziale.

Venuta meno la funzione della causa fiduciae e richiesti indietro i titoli dal fiduciante, si palesa una condictio indebiti retenti: la stessa causa negoziale dell’intestazione fiduciaria rende automaticamente illegittima la ritenzione dei beni da parte del fiduciario. Se, quindi, il fiduciario non restituisce la res, semplicemente sara’ inadempiente ad una obbligazione di dare; se non paga i dividendi ricevuti, semplicemente sara’ inadempiente all’obbligazione pecuniaria di consegnare la relativa somma di denaro.

Inoltre, non solo i dividendi sono dovuti al fiduciante, in adempimento della obbligazione de’tta, ma ad essi afferisce pure la regola della produzione degli interessi di pieno diritto, quali interessi corrispettivi ai sensi dell’articolo 1282 c.c., ed in ogni caso – se in tal senso sia stata limitata la domanda attorea, come nella specie, nel rispetto dell’articolo 99 c.p.c. – dalla messa in mora, ai sensi degli articoli 1219 e 1224 c.c..

Nessun rilievo, al contrario, avra’ lo stato di buona o mala fede del fiduciario, ne’, tanto meno, se il predetto stato soggettivo debba dirsi presunto, oppure no.

3.5. – Va enunciato il seguente principio di diritto:

“In caso di intestazione fiduciaria di partecipazioni sociali, al fiduciario che non restituisca le azioni una volta richiesto dal fiduciante e non riversi al medesimo i dividendi azionari percepiti e’ inapplicabile il regime degli articoli 1147 e 1148 c.c. sul possesso di buona fede della cosa, risolvendosi per intero la vicenda nell’ambito della disciplina delle obbligazioni e dei contratti, onde il fiduciario e’ tenuto a pagare quanto ricevuto a titolo di dividendi sin dal momento in cui li abbia riscossi dalla societa’, e sugli stessi sono altresi’ dovuti gli interessi di pieno diritto dallo stesso momento, o, in presenza di una domanda in tal senso limitata ex articolo 99 c.p.c., dal giorno della messa in mora”.

3.6. – In considerazione di quanto sopra, il primo motivo va respinto, previa correzione della motivazione della sentenza impugnata, ai sensi dell’articolo 384, comma 4, c.p.c., essendo la conclusione in essa raggiunta conforme a diritto.

4. – Il secondo motivo e’ infondato.

Il precedente ricorso per cassazione fu parzialmente accolto da questa Corte con la menzionata sentenza n. 24749 del 2014, la quale ha dettato principi di diritto sulla portata del giudicato esterno, statuendo che, qualora all’esito dell’esame della sentenza e degli atti di parte, eventualmente utilizzati in funzione interpretativa, residuino incertezze in ordine all’effettiva portata del giudicato, la relativa eccezione deve essere respinta; la pronuncia ha, altresi’, affermato che l’esame degli atti difensivi, nella loro interezza, doveva servire anche a “verificare (…) se la generica domanda di “corresponsione dei frutti maturati” potesse realmente ritenersi comprensiva dei dividendi delle azioni e, successivamente, se questa fosse stata concretamente coltivata dalle sorelle (OMISSIS) per l’intero corso del giudizio di primo grado”.

La corte territoriale, in adesione a tale principio di diritto, ha proceduto all’esame degli atti e dei provvedimenti del precedente giudizio, anzitutto sulla base della motivazione e del dispositivo della sentenza di primo grado, concludendo per l’insussistenza di una pronuncia sul punto e di un giudicato al riguardo. La sentenza impugnata emessa in sede di rinvio si e’ attenuta esattamente ai principi esposti dalla sentenza rescindente, avendo escluso la sussistenza del giudicato sui dividendi, esaminando sia il dispositivo, sia la motivazione della sentenza del Tribunale di Brescia n. 772/1994, nella quale non era menzione alla domanda relativa ai dividendi.

La corte territoriale ha, inoltre, correttamente rilevato che la domanda di pagamento dei dividendi era stata abbandonata, situazione che comportava una tacita rinuncia alla medesima, ritenendo che la domanda non fosse stata coltivata dalla parte creditrice, argomentando adeguatamente con riguardo all’iter di quel giudizio: che aveva visto dapprima una pronuncia di rigetto per prescrizione del diritto, e, poi, l’accoglimento della sola domanda di consegna delle azioni. Ed invero, ne conseguiva che, avendo il difensore della parte creditrice validamente rinunciato al predetto capo, l’unica domanda su cui la sentenza di appello si e’ pronunciata e’ quella di condanna alla restituzione dei titoli azionari.

Si ricorda che la rinuncia a una domanda, o a suoi singoli capi, costituisce l’espressione della facolta’ della parte ed autonomamente del difensore, nell’esercizio del suo munus tecnico, di modificare le domande e le conclusioni precedentemente formulate, onde si inquadra nell’ambito della previsione dell’articolo 183 c.p.c. e non produce effetti abdicativi, limitandosi ad esprimere una strategia processuale, senza disporre del diritto, ma potendo sempre il difensore scegliere, in relazione anche agli sviluppi della causa, la condotta processuale da lui ritenuta piu’ rispondente all’interesse del proprio rappresentato (fra le tante, Cass. 17 marzo 2023, n. 7883; Cass. 8 gennaio 2002, n. 140; Cass. 15 maggio 1997, n. 4283); la rinuncia ad un capo della domanda rientra tra i poteri del difensore e puo’ essere fatta senza l’osservanza di forme rigorose (cfr. Cass., sez. un., 14 marzo 2016, n. 4909, in motivazione; Cass. 24 settembre 2013, n. 21848; Cass. 11 agosto 2000, n. 10628, in motiv.; Cass. 10 aprile 1998, n. 3734; Cass. 15 maggio 1997, n. 4283; Cass. 28 gennaio 1995, n. 1047; Cass. 28 ottobre 1988, n. 5859).

Dunque, tale abbandono o rinuncia determina la delimitazione del thema decidendum, e al riguardo non si puo’ formare il giudicato.

Il motivo di ricorso non tiene conto in alcun modo della sentenza rescindente e neppure si confronta con il decisum della Corte d’appello, che ad essa si e’ conformato.

E la decisione impugnata non merita censure, dovendo al riguardo assumere rilievo solo la volonta’ espressa della parte, in ossequio al principio dispositivo che informa il processo civile (articolo 99 c.p.c.).

4. – Il terzo motivo e’ parzialmente fondato.

Non ha errato la sentenza impugnata a ritenere applicabile alla domanda di pagamento dei dividendi percetti dal fiduciario, e non riversati al fiduciante, la generale disposizione in tema di prescrizione dei diritti, di cui all’articolo 2946 c.c..

La decisione e’ coerente con i principî enunciati da questa Corte, secondo cui il termine di prescrizione quinquennale, previsto dall’articolo 2949, comma 1, c.c. per “i diritti che derivano dai rapporti sociali” attiene solo a quei diritti derivanti dalle relazioni che si istituiscono fra i soggetti dell’organizzazione sociale in diretta dipendenza con il contratto di societa’ e delle situazioni determinate dallo svolgimento della vita sociale, mentre ne restano esclusi tutti gli altri diritti, che trovano la loro ragion d’essere negli ordinari rapporti giuridici (cfr. Cass. 14 marzo 2017, n. 6561, in tema di azione di regresso spettante al socio che, avendo assunto con altri soci un debito per finanziare la societa’, si sia rivolto ad un altro socio per il recupero della sua quota; Cass. 5 luglio 2016, n. 13686; Cass. 24 giugno 2015, n. 13084, in tema di finanziamento del socio alla societa’; Cass. 27 luglio 2004, n. 14094; Cass. 1 giugno 1993, n. 6107).

Resta, dunque, inapplicabile la prescrizione breve, qual e’ la prescrizione quinquennale di cui all’articolo 2949 c.c., avente carattere speciale rispetto al regime prescrizionale ordinario.

Neppure doveva applicarsi la disposizione dell’articolo 2948, comma 1, n. 4, c.c., secondo cui e’ soggetto alla prescrizione di cinque anni il debito degli “interessi e, in generale, tutto cio’ che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini piu’ brevi”: non rientra, invero, nella fattispecie il debito del fiduciario di riversare quanto riscosso in relazione alle azioni fiduciariamente intestate per conto del fiduciante, sia perche’ non si tratta di somme dovute per il godimento di un bene, sia perche’ l’obbligo gravante sul fiduciario di riversare gli utili non e’ in se’ obbligazione periodica.

Applicata correttamente la prescrizione decennale, era pero’ a quel punto necessario escludere dalla condanna le pretese anteriori al decennio dall’invio della costituzione in mora, avvenuta, con accertamento fattuale della corte territoriale, il 30 agosto 1996: resta, dunque, erroneamente applicata la disposizione dell’articolo 2946 c.c., perche’ il ragionamento svolto avrebbe dovuto condurre all’accoglimento della stessa per i dividendi maturati dal 15 luglio 1985 – momento da cui, come accertato in modo non contestato dalla corte territoriale, ha cominciato a decorrere la prescrizione in quanto il diritto poteva essere fatto valere (e non, dunque, come pretenderebbe la ricorrente, dal 1975, posto che sino al 1985 la prescrizione non e’ proprio decorsa ex articolo 2935 c.c.) – al 30 agosto 1986.

5. – Il quarto motivo, con il quale la ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione dell’articolo 2697 c.c., nonche’ l’omesso esame di fatto decisivo con riguardo alla liquidazione operata dalla Corte d’appello circa la misura dei dividendi da restituire, e’ inammissibile, per genericita’ e per impingere nel merito del giudizio.

Com’e’ noto, la violazione dell’articolo 2697 c.c. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie, basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni (Cass. 23 ottobre 2018, n. 26769) e non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata avesse assolto tale onere, poiche’ in questo caso vi e’ un erroneo apprezzamento sull’esito della prova (Cass. 19 agosto 2020, n. 17313, fra le tante). Il motivo, inoltre, e’ generico e meritale, difettando pure di autosufficienza, perche’ non contiene la trascrizione ne’ il riassunto dei prospetti contabili, prodotti dalla controparte, che si ritengono errati.

6. – In considerazione di quanto esposto, la sentenza impugnata va cassata in accoglimento del terzo motivo, con rinvio della causa innanzi alla Corte d’appello di Brescia, in diversa composizione, per una nuova valutazione circa gli effetti della eccezione di prescrizione decennale.

Alla corte territoriale si demanda la liquidazione delle spese di legittimita’.

P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, nei limiti di cui in motivazione, disattesi gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per la liquidazione delle spese di legittimita’, innanzi alla Corte d’appello di Brescia, in diversa composizione.

 

 

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