Integrazione “ex officio” delle prove testimoniali

Corte di Cassazione, sezione sesta (terza) civile, Ordinanza 11 febbraio 2020, n. 3144.

La massima estrapolata:

L’integrazione “ex officio” delle prove testimoniali, ai sensi dell’art. 257, comma 1, c.p.c., è espressione di una facoltà discrezionale, esercitabile dal giudice quando ritenga che, dalla escussione di altre persone, non indicate dalle parti, ma presumibilmente a conoscenza dei fatti, possano trarsi elementi utili alla formazione del proprio convincimento; l’esercizio, o il mancato esercizio, di tale facoltà presuppone un apprezzamento di merito delle risultanze istruttorie, come tale incensurabile in sede di legittimità, anche sotto il profilo del vizio di motivazione.

Ordinanza 11 febbraio 2020, n. 3144

Data udienza 12 settembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE TERZA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 16842-2018 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
COMUNE DI PEDEROBBA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
contro
(OMISSIS) SPA;
– intimata –
avverso la sentenza n. 703/2018 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 20/03/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 12/09/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ENZO VINCENTI.

RITENUTO

che (OMISSIS), con ricorso affidato a due motivi, ha impugnato la sentenza della Corte di appello di Venezia, in data 20 marzo 2018, che ne rigettava il gravame avverso la decisione del Tribunale di Treviso che, a sua volta, ne aveva respinto la domanda proposta contro il Comune di Pederobba per sentirlo condannare al risarcimento dei danni patiti nel sinistro verificatosi allorquando, percorrendo in sella alla propria bicicletta una strada comunale, perdeva il controllo a causa della presenza di sconnessioni e “ghiaino sul manto stradale”, cadendo a terra con gravi lesioni personali;
che la Corte territoriale, sulla scorta della svolta istruzione probatoria (deposizione testimoniale di (OMISSIS) e dichiarazione scritta di (OMISSIS), deceduta prima dell’assunzione come testimone), riteneva che, in assenza di testimoni al momento del fatto, non fosse dimostrata l’esistenza del nesso di causa tra la caduta dell’attore e la presenza sul manto stradale di sconnessioni e ghiaino, potendo il sinistro ascriversi a diversa ad “una diversa dinamica, avente in astratto pari dignita’ rispetto a quella proposta dall’appellato”;
che resiste con controricorso il Comune di Pederobba, mentre non ha svolto attivita’ difensiva in questa sede l’ (OMISSIS) S.p.A.;
che la proposta del relatore, ai sensi dell’articolo 380- bis c.p.c., e’ stata ritualmente comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio, in prossimita’ della quale il ricorrente ha depositato memoria;
che il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione in forma semplificata.

CONSIDERATO

che:
a) con il primo mezzo e’ denunciata, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c., nonche’ degli articoli 2727 e 2729 c.c., per aver la Corte territoriale erroneamente escluso il nesso di causa tra la cosa in custodia (la strada) e il danno (la caduta del ciclista), rilevante ai sensi dell’articolo 2051 c.c., facendo mal governo delle emergenze probatorie, da cui era dato presumere l’esistenza di detto nesso eziologico;
a.1) il motivo e’ inammissibile.
La denuncia di violazione degli articoli 115 e 116 c.p.c. e’ incongruente, giacche’ il ricorrente si duole della valutazione delle prove operata dalla Corte territoriale, ma non gia’ che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nell’articolo 115 c.p.c., ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, ovvero, quanto all’articolo 116 c.p.c., che il giudice abbia disatteso il principio della libera valutazione delle prove in assenza di una deroga normativamente prevista, oppure, al contrario, abbia valutato secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime (Cass. n. 11892/2016).
Quanto alla postulata violazione degli articoli 2727 e 2729 c.c., va osservato (alla luce di Cass., SU, 1785/201(8, in motivazione) che la critica del ricorrente non e’ riconducibile al concetto di falsa applicazione ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ma e’ orientata sia ad evidenziare soltanto che le circostanze fattuali in relazione alle quali il ragionamento presuntivo e’ stato enunciato dal giudice di merito avrebbero dovuto essere ricostruite in altro modo, sia a prospettare una inferenza probabilistica semplicemente diversa da quella che si dice applicata dal giudice di merito; in sostanza, le censure si risolvono in realta’ in un diverso apprezzamento della ricostruzione della quaestio facti, e dunque sollecitano su di questa un controllo sulla motivazione del giudice, senza neppure adeguarsi al paradigma dell’articolo 360 c.p.c., vigente n. 5, ossia mancando di allegare l’omesso esame di fatti storici decisivi e discussi tra le parti;
b) con il secondo mezzo e’ dedotta, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli articoli 244 e 257 c.p.c., per non aver la Corte territoriale, nonostante la richiesta effettuata “in secondo grado”, rimesso la causa in istruttoria al “fine di consentire l’audizione di altro teste in sostituzione della signora (OMISSIS), deceduta prima dell’udienza fissata per l’assunzione delle prove orali”, nonche’ mancato di disporre l’assunzione, come testimoni, delle persone (“una coppia di signori in auto ed un ciclista”) ai quali aveva fatto riferimento il teste (OMISSIS);
b.1.) il motivo e’ inammissibile.
L’assunzione di testi che non siano stati preventivamente e specificamente indicati puo’ essere consentita solamente nei casi previsti dall’articolo 257 c.p.c., con una enunciazione che deve ritenersi tassativa, dal momento che l’obbligo della rituale indicazione e’ inderogabile e la preclusione ex articolo 244 c.p.c. ha il suo fondamento nel sistema del vigente codice e si inquadra nel principio, espresso dal successivo articolo 245 c.p.c., secondo il quale il giudice provvede sull’ammissibilita’ delle prove proposte e sui testi da escutere con una valutazione sincrona e complessiva delle istanze che tutte le parti hanno sottoposto al suo esame. Di conseguenza, la parte non puo’ pretendere di sostituire i testi deceduti prima dell’assunzione con altri che non siano stati da essa stessa indicati nei modi e nei termini di cui all’articolo 244 c.p.c. (Cass. n. 4071/1993, Cass. n. 8929/2019).
Il ricorrente non ha affatto dedotto, anche nel rispetto dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, di aver tempestivamente e ritualmente indicato, ai sensi dell’articolo 244 c.p.c., testimoni che avrebbero potuto sostituire il teste (OMISSIS), deceduta prima dell’assunzione; ne’, peraltro, si da’ contezza, anche tramite idonea localizzazione processuale ai sensi dell’articolo 366 c.p.c., citato n. 6, dell’istanza di “rimessione in istruttoria” che si asserisce proposta in sede di gravame.
Quanto all’ulteriore censura di violazione dell’articolo 257 c.p.c., giova rammentare (al di la’ della stessa circostanza – emergente dal ricorso – della assoluta genericita’ del riferimento operato dal teste escusso ad altre persone, senza che neppure si assuma che siano state specificatamente individuate), in via dirimente, che l’integrazione ex officio delle prove testimoniali, ai sensi dell’articolo 257 c.p.c., comma 1, e’ espressione di una facolta’ discrezionale, esercitabile dal giudice quando ritenga che, dalla escussione di altre persone, non indicate dalle parti ma presumibilmente a conoscenza dei fatti, possano trarsi elementi utili alla formazione del proprio convincimento; l’esercizio, o il mancato esercizio, di tale facolta’ presuppone un apprezzamento di merito delle risultanze istruttorie, come tale incensurabile in sede di legittimita’, anche sotto il profilo del vizio di motivazione (tra le altre, Cass. n. 4384/2007, Cass. n. 10239/2009);
che la memoria di parte ricorrente, la’ dove non inammissibile per non essere soltanto illustrativa della originarie ragioni di censura, non fornisce argomenti tali da scalfire i rilievi che precedono (peraltro, richiamando la succitata Cass., S.U., n. 1785/2018, ma senza prendere effettiva posizione sul principio dalla stessa sentenza enunciato e innanzi ribadito);
che il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile e il ricorrente condannato al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimita’, come liquidate in dispositivo, mentre non occorre provvedere alla regolamentazione di dette spese nei confronti della parte intimata che non ha svolto attivita’ difensiva in questa sede.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore di parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 2.800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del citato articolo 13, comma 1-bis.
Motivazione semplificata.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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