Integra il delitto di peculato la condotta del medico riceva personalmente dai pazienti le somme dovute per la sua prestazione anziché indirizzarli presso gli sportelli di cassa dell’ente

Corte di Cassazione, penale, Sentenza|27 aprile 2021| n. 15945.

Integra il delitto di peculato la condotta del medico il quale, nello svolgimento dell’attività libero – professionale consentita dal d.P.R. 20 maggio 1987 n. 270 (cosiddetta “intra moenia”), riceva personalmente dai pazienti le somme dovute per la sua prestazione, anziché indirizzarli presso gli sportelli di cassa dell’ente, omettendo il successivo versamento all’azienda sanitaria. (In motivazione, la Corte ha precisato che il medico, sia pur in via di fatto e senza essere a ciò espressamente tenuto, si ingerisce nell’incasso di somme appartenenti, almeno in parte, all’ente pubblico, delle quali ha avuto la disponibilità nello svolgimento del suo ufficio).

Sentenza|27 aprile 2021| n. 15945

Data udienza 18 febbraio 2021

Integrale

Tag – parola chiave: Peculato – Continuazione . – Condanna – Presupposti – Legge 189 del 2012 – Elementi probatori – Valutazione del giudice di merito – Articolo 62 cp – Determinazione della pena – Parametri

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RICCIARELLI Massimo – Presidente

Dott. DE AMICIS Gaetano – Consigliere

Dott. ROSATI Martino – Consigliere

Dott. GIORGI Maria S. – Consigliere

Dott. PATERNO’ RADDUSA B. – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza della Corte di appello di Bari del 24 gennaio 2020;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal componente Benedetto Paterno’ Raddusa;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Cimino Alessandro, che ha chiesto la reiezione del ricorso;
letta la memoria della parte civile costituita Asl di Foggia, con la quale e’ stato chiesta la conferma della decisione impugnata e la condanna del ricorrente alle spese del grado, da determinarsi alla luce della nota spese allegata.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Bari ha riformato solo in punto di pena la condanna resa in primo grado, in esito a giudizio abbreviato, dal Gup del Tribunale di Foggia ai danni di (OMISSIS), ritenuto colpevole di piu’ fatti di peculato avvinti dalla continuazione commessi nella sua qualita’ di dirigente medico dipendente dell’ASL di Foggia in servizio presso l’unita’ operativa di ostetricia e ginecologia del presidio ospedaliero di Lucera, autorizzato a svolgere attivita’ professionale intra-moenia e realizzati appropriandosi di somme spettanti all’amministrazione di riferimento delle quali aveva la disponibilita’ in ragione dell’attivita’ prestata: segnatamente incassando il compenso dovuto per l’attivita’ professionale prestata in intra-moenia agli utenti senza riversare, in tutto o in parte, la percentuale su detto compenso spettante all’azienda sanitaria.
La Corte territoriale, fermo il giudizio di responsabilita’, ha ridotto la pena irrogata riconoscendo l’attenuante di cui all’articolo 62 c.p., n. 4, e comminando anni due e mesi sei di reclusione (muovendo da una pena base di anni cinque di reclusione, ridotta per le generiche ad anni 3 e mesi quattro e per l’attenuante di cui all’articolo 62, n. 4 ad anni due e mesi cinque, aumentata di anni uno e mesi quattro di reclusione per i trentuno episodi di peculato riscontrati in continuazione, e infine ridotta di un terzo per il rito).
2. Propone ricorso, tramite il difensore di fiducia, l’imputato e adduce tre diversi motivi.
2.1.Con i primi due motivi si lamenta violazione di legge avuto riguardo agli articoli 314 e 323 c.p. nonche’ motivazione manifestamente illogica e contraddittoria.
Con l’appello la difesa, facendo leva sulla giurisprudenza di legittimita’ (e segnatamente richiamando la sentenza n. 35988 del 4 settembre 2015 di questa sezione della Corte) aveva contestato la qualificazione del fatto in termini di peculato, ritenendo maggiormente confacente alla specie il reato di cui all’articolo 323 c.p. alla luce del fatto che le somme indebitamente trattenute dal (OMISSIS) si correlavano a condotte rese in spregio alle indicazioni contenute nel regolamento adottato dall’azienda sanitaria di riferimento, in forza del quale l’importo da pagare andava corrisposto al momento di effettuazione della prestazione resa in intra-moenia o in quello della prenotazione presso i centri appositi, sempre e comunque presso le casse della struttura. Tanto, anche alla luce delle previsioni contenute nella L. n. 189 del 2012, che impedisce al medico che utilizza la struttura ospedaliera per le dette prestazioni professionali, di ricevere direttamente danaro dagli utenti sicche’, in coerenza, l’eventuale indebito incameramento non poteva ritenersi riferito a somme delle quali l’imputato aveva la legittima disponibilita’ in ragione del suo ufficio o servizio.
Ne’, come ritenuto dalla Corte territoriale, siffatto titolo di legittimazione legato alla ragione funzionale potrebbe trarsi dalla prassi riscontrata in sentenza, in forza della quale il ricorrente, contro le superiori indicazioni, curava direttamente le prenotazioni delle visite e altrettanto direttamente percepiva i compensi pagati dagli utenti: una eventuale prassi siffatta, non confermata dalle emergenze istruttorie, non potrebbe mai giustificare un comportamento contra legem dal quale ricavare la legittimita’ del possesso del denaro per ” ragioni dell’ufficio o del servizio”.
Da qui anche il vizio prospettato ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., lettera e).
3.Con il terzo motivo si lamenta violazione di legge avuto riguardo agli arti 133 e 314 c.p. La Corte territoriale ha determinato il trattamento irrogato muovendo da una pena base di anni 5, ritenuta erroneamente prossima al minimo edittale, senza considerare che sino alla entrata in vigore della L. n. 190 del 2012, la pena minima prevista per il peculato era determinata in anni tre di reclusione, aumentata a quatto anni per i fatti successivi alla detta novella. Considerato che la gran parte delle condotte in continuazione sono state rese sotto la vigenza del trattamento piu’ favorevole e in ragione della estrema modestia degli importi lucrati (per complessivi Euro 700), la pena base avrebbe dovuto attestarsi nel minimo edittale.
4. Con memoria pervenuta l’8 febbraio 2020 la parte civile Asl di Foggia ha chiesto la conferma della sentenza impugnata per la non fondatezza dei motivi di ricorso alla luce della giurisprudenza di questa Corte di legittimita’.
5. Con memoria pervenuta il 10 febbraio la difesa del ricorrente ha replicato alle considerazioni e alle conclusioni contenute nella requisitoria della Procura Generale, anche con riguardo alla riferibilita’ al caso di specie della giurisprudenza evocata dalla parte pubblica.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso non merita l’accoglimento per le ragioni precisate di seguito.
2. E’ pacifico in fatto che il ricorrente era autorizzato dall’azienda di riferimento all’esercizio di attivita’ libero professionale in intra-moenia sin dal gennaio del 2011; che tutte le prestazioni prese in considerazione dal capo di imputazione, realizzate in un arco temporale compreso tra l’aprile del 2011 e il dicembre del 2013, furono eseguite presso l’ambulatorio dell’ospedale dove prestava servizio utilizzando le apparecchiature messe a disposizione dall’ente; che i relativi appuntamenti con le utenti venivano direttamente assunti dall’imputato, saltando il centro di prenotazione dell’azienda e che le utenti provvedevano a pagare direttamente al (OMISSIS) il costo della visita; che in taluni casi veniva emessa fattura dall’azienda, per importi minori rispetto a quelli effettivamente incassati dall’imputato mentre in altri quest’ultimo direttamente incamerava l’intero importo pagato dalle pazienti, senza dunque emissione di alcuna fattura da parte dell’ente.
Sempre in punto di fatto, inoltre, rimarca la Corte territoriale che siffatto modo di agire dell’imputato coincideva con una prassi di fatto consolidata e assentita dall’azienda sanitaria: per quanto emerso dall’attivita’ di indagine resa dalla Guardia di Finanza, gli appuntamenti presi dal (OMISSIS) trovavano riscontro nell’agenda dell’ASL con conseguente registrazione delle fatture e degli importi percepiti nel registro ALPI (attivita’ libero professionali intramoenia). Aspetto, questo, che la difesa contrasta solo in via di mera affermazione labiale e che dunque deve ritenersi pacificamente acquisito alla relativa piattaforma probatoria.
3. Ad avviso della difesa, nel caso non sarebbe configurabile il peculato contestato perche’ le prestazioni rese dal ricorrente e le conseguenti indebite, integrali o parziali, percezioni del dovuto senza riversare la quota parte di spettanza dell’ente, sono avvenute in violazione delle disposizioni che imponevano la previa prenotazione e pagamento del dovuto presso i competenti uffici dell’azienda: dovrebbe dunque escludersi che la disponibilita’ delle somme non riversate fosse nella specie legata alla qualita’ di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio dell’imputato in ragione dell’ufficio o del servizio; al piu’, la fattispecie andrebbe configurata in termini di abuso d’ufficio, per la violazione di legge posta a fondamento dell’incasso operato.
4. L’assunto difensivo mal si adatta alla cornice in fatto della fattispecie a giudizio, in linea con quanto sottolineato dalla giurisprudenza espressa sul tema da questa sezione della Corte (da ultimo le sentenze nn. 39435 del 19 giugno 2019; n. 4850 del 9 gennaio 2019; n. 2005 del 25/10/2018, dep. 2019).
5.1.Non e’ in contestazione che l’attivita’ resa intra-moenia, per quanto di natura libero-professionale, implichi una parziale destinazione della somma dovuta dal paziente alla struttura pubblica e che solo a seguito del versamento dell’intera somma, verra’ riversata al medico la quota a lui spettante. Ne consegue che il pagamento da parte del paziente di per se’, immediatamente, comporta il necessario coinvolgimento della sfera pubblicistica nella fase della riscossione, in quanto in tutti i casi il versamento viene fatto anche a vantaggio della struttura pubblica. Parimenti, non e’ dubbio che il soggetto specificamente incaricato della riscossione assuma una qualita’ di rilievo pubblicistico, pur a margine di attivita’ professionale. E cio’ vale anche nel caso in cui il medico, che svolge l’attivita’ libero-professionale, in via di fatto si ingerisca direttamente nell’incasso dell’intera somma, giacche’ in quello specifico frangente egli acquisisce una somma a lui non definitivamente e per l’intero destinata, svolgendo nei confronti del paziente un’attivita’ di incasso strutturalmente corrispondente a quella di rilievo pubblicistico, altrimenti svolta dai soggetti competenti nell’interesse dell’azienda.
Ne consegue che nella specie e’ l’attivita’ di incasso, svolta nel quadro di attivita’ libero professionale intra-moenia, ad assumere rilievo pubblicistico, con la conseguenza che riveste la corrispondente qualita’ chi sia incaricato di svolgerla e chi in concreto la svolga, direttamente rapportandosi al paziente per l’incasso sulla base di una consolidata consuetudine, implicante in via di fatto una strutturazione dei rapporti incentrata sul ruolo esterno direttamente svolto dal medico, che, incassando, svolge un compito di rilievo pubblicistico, assumendo la connessa qualita’ (in termini, in motivazione, la citata sentenza n. 39435 del 2019).
Da cio’ discende che in siffatti casi il medico, il quale, dopo aver incassato per conto della struttura somme ad essa destinate, non le riversi, si appropria delle stesse nella veste di pubblico ufficiale e si rende responsabile di peculato, avendo avuto la disponibilita’ delle somme per ragioni inerenti al concreto svolgimento del suo ufficio.
Cio’ del resto in linea con il consolidato principio per cui “integra il delitto di peculato la condotta del medico il quale, avendo concordato con la struttura ospedaliera lo svolgimento dell’attivita’ libero – professionale consentita dal Decreto del Presidente della Repubblica 20 maggio 1987, n. 270 (cosiddetta “intra moenia”), e ricevendo per consuetudine dai pazienti (anziche’ indirizzarli presso gli sportelli di cassa dell’ente) le somme dovute per la sua prestazione, ne ometta il successivo versamento all’azienda sanitaria. Infatti, per quanto la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio non possa essere riferita al professionista che svolga attivita’ intramuraria (la quale e’ retta da un regime privatistico), detta qualita’ deve essere attribuita a qualunque pubblico dipendente che le prassi e le consuetudini mettano nelle condizioni di riscuotere e detenere denaro di pertinenza dell’amministrazione” (Cass. Sez. 6, n. 2969 del 6/10/2004, dep. nel 2005, Moschi, rv. 231474; ma nello stesso senso anche Cass. Sez. 6, n. 25255 del 14/2/2012, Minervini, rv. 253098 e Cass. Sez. 6, n. 39695 del 17/9/2009, Russo, rv. 245003).
5. Non puo’ condurre a diverse conclusioni la sentenza invocata dalla difesa del ricorrente (Cass. Sez. 6, n. 35988 del 21/5/2015, Berti, rv. 264578).
Sul punto, ancora una volta, basta rifarsi alle considerazioni gia’ svolte da questa Corte nell’arresto in precedenza piu’ volte citato (la sentenza n. 39435 del 2019), pienamente condivise dal Collegio, in ragione delle quali “se puo’ in partenza condividersi l’assunto che non possa aver rilievo una situazione “contra legem”, tuttavia cio’ va rapportato al tipo di attivita’ in concreto svolta. In particolare non puo’ non considerarsi che, una volta definito il profilo ontologico dell’attivita’ infra moenia e il rilievo pubblicistico all’attivita’ di incasso, la strutturazione di fatto di un sistema, in forza del quale il medico viene ad assumere un ruolo onnicomprensivo verso l’esterno, implica altresi’ l’assunzione della relativa veste pubblicistica, giacche’ per il paziente e’ sostanzialmente indifferente il destinatario del pagamento e nel contempo non puo’ non darsi rilievo al ruolo che deliberatamente il medico ha assunto, dovendosi escludere che esso possa per sua scelta e per suo arbitrio far perdere all’attivita’ di incasso il suo rilievo pubblicistico”.
6. Ne viene l’infondatezza delle prime due censure esposte con il ricorso, dovendosi escludere, alla luce della superiori considerazioni, anche la manifesta illogicita’ denunziata con il secondo motivo di impugnazione.
7. E’ inammissibile, infine, il terzo motivo di ricorso.
Si denunzia una asserita violazione di legge che il motivo non riesce ad argomentare se non ancorandosi a valutazioni, inerenti la scelta operata dalla Corte territoriale nella dosimetria sanzionatoria, che attengono alla discrezionalita’ del giudice del merito; scelta che, laddove si riveli perfettamente coerente al quadro normativo di riferimento (atteso che, seppur implicitamente, altrettanto evidentemente il reato piu’ grave risulta scelto tra quelli commessi dopo l’entrata in vigore della novella apportata dalla L. n. 190 del 2012), possono essere sindacate in sede di legittimita’ solo sul versante della tenuta motivazionale, nel caso non attinta dal ricorso.
8.Alla reiezione del ricorso segue la condanna del ricorrente alle spese processuali nonche’ alla rifusione di quelle affrontate dalla parte civile in sede di legittimita’, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna inoltre il ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ASL di Foggia che liquida in Euro 3510 oltre accessori di legge.

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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