Infiltrazione mafiosa negli appalti pubblici

Corte di Cassazione, sezione seconda penale, Sentenza 12 novembre 2018, n. 51303.

La massima estrapolata:

L’infiltrazione mafiosa negli appalti pubblici si realizza mediante l’imposizione, all’impresa che si è aggiudicata la gara, delle imprese che attraverso i subcontratti dovranno provvedere all’effettiva realizzazione dei lavori nonché mediante l’imposizione di prezzi, maestranze da assumere e condizioni di lavoro.

Sentenza 12 novembre 2018, n. 51303

Data udienza 2 maggio 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CRESCIENZO Ugo – Presidente

Dott. IMPERIALI L. – rel. Consigliere

Dott. FILIPPINI Stefano – Consigliere

Dott. BELTRANI Sergio – Consigliere

Dott. AIELLI Lucia – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), N. IL (OMISSIS);
avverso l’ordinanza n. 838/2017 TRIB. LIBERTA’ di REGGIO CALABRIA, del 04/09/2017;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCIANO IMPERIALI;
sentite le conclusioni del PG Dott. CENICCOLA Elisabetta, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 4/9/2017 il Tribunale del riesame di Reggio Calabria ha confermato l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari dello stesso Tribunale che il 25/7/2017 aveva applicato a (OMISSIS) la misura coercitiva della custodia in carcere in relazione all’accusa di associazione di stampo mafioso (articolo 416 bis c.p.) quale partecipante all’articolazione di “ndrangheta denominata (OMISSIS), come imprenditore di riferimento di questa per il settore edile, insieme con (OMISSIS), con il compito di assicurare le comunicazioni tra gli associati, di mantenere i contatti con i vertici della cosca anche al fine di promuovere accordi per la spartizione degli appalti, e delle zone di influenza, garantendo l’infiltrazione del sodalizio nel settore degli appalti pubblici, anche per mezzo dell’intestazione fittizia di imprese. Nella prospettazione accusatoria i due si occupavano anche della spartizione dei lavori tra le varie componenti dell’associazione “ndranghetistica, anche quali amministratori e rappresentanti di fatto dell’azienda ” (OMISSIS) s.r.l.”, utilizzata per partecipare alla turbativa del procedimento amministrativo relativo all’aggiudicazione ed esecuzione dell’appalto pubblico per i lavori di “ripristino e sistemazione tubazione rete idrica della frazione di (OMISSIS) indetto dall’Ente Pubblico Comunita’ Montana Aspromonte Orientale di Reggio Calabria, al fine di condizionare la scelta del contraente da parte dell’ente in favore della ” (OMISSIS) s.a.s. (OMISSIS)”, ed acquisire in modo indiretto, con metodi mafiosi, in concorso con altre aziende, il controllo dell’appalto pubblico concluso tra la Provincia di Reggio Calabria e l’appaltatrice (OMISSIS) con capofila (OMISSIS) s.p.a. per la costruzione ed ammodernamento dell’ex (OMISSIS) attraverso l’esecuzione di contratti di nolo a caldo stipulati con l’impresa appaltatrice fino al 12/3/2012.
L’ordinanza cautelare veniva confermata anche in relazione al delitto continuato di estorsione aggravata e di atti di illecita concorrenza sleale volti al controllo ed al condizionamento dell’aggiudicazione e dell’esecuzione di rilevanti e remunerativi appalti pubblici banditi nel settore delle opere infrastrutturali, stringendo un accordo collusivo mirante alla imposizione esterna della scelta delle ditte destinate ad eseguire di fatto i lavori ed i servizi, all’imposizione dei prezzi e delle condizioni di lavoro e degli operai da assumere (capo N), reato aggravato dall’essere state poste in essere la violenza e le minacce da appartenenti all’associazione di stampo mafioso, e dall’aver commesso il fatto avvalendosi delle condizioni di cui all’articolo 416 bis cod. pen. ed al fine di agevolare la predetta associazione, nonche’ in relazione al delitto di cui agli articoli 81 e 110 c.p., Decreto Legge 8 giugno 1992, n. 306, articolo 12 quinques conv. in L. n. 356 del 1992 e L. n. 203 del 1991, articolo 7 per l’intestazione fittizia di quote sociali della (OMISSIS) a (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di prevenzione patrimoniale, agendo al riparo dal rischio di sequestri dell’autorita’ Giudiziaria (capo V).
Il Tribunale del riesame, invece, ha annullato l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari in relazione ad altro capo di incolpazione provvisoria (capo M), per il reato di cui all’articolo 353 c.p., comma 1 e articolo 513 bis c.p., riconoscendo non essersi raggiunta, in relazione allo stesso, la gravita’ degli indizi necessaria per l’applicazione di misura cautelare.
2. Avverso il provvedimento del Tribunale del riesame ha proposto ricorso per Cassazione il (OMISSIS), sollevando i seguenti motivi di impugnazione:
2.1. Vizio di motivazione in ordine alla sussistenza della gravita’ indiziaria a carico dell’indagato per quel che riguarda la partecipazione ad associazione di tipo mafioso, anche per omesso esame delle deduzioni difensive: il ricorrente contesta a tal proposito il giudizio di attendibilita’ del collaboratore di giustizia (OMISSIS), che assume espresso dal Tribunale del riesame senza in alcun modo considerare le censure difensive che avevano rilevato come questo abbia manifestato la volonta’ di collaborare il 3/11/2006, abbia riconosciuto in foto (OMISSIS) il 4/7/2007 attribuendogli la “santa” e dicendo che aveva un’impresa edile insieme al cognato (OMISSIS), ed il 29/4/2013 (a distanza di sette anni, e dopo essere stato allontanato dal programma di protezione per aver commesso un omicidio) abbia parlato dei tre fratelli (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), ribadendo che (OMISSIS) aveva una ditta di movimento terra con il cognato (OMISSIS) ma affermando che colui che aveva la “santa” era (OMISSIS); soltanto nell’interrogatorio del 28/6/2016, infine, aveva riconosciuto in foto (OMISSIS), affermando che questo era sposato con una (OMISSIS), e mostrando di avere una corretta conoscenza della famiglia di (OMISSIS). Il ricorrente contesta che, nonostante cio’, nell’ordinanza si sia sostenuto che non vi fossero contraddizioni nel narrato del (OMISSIS), che pure avrebbe millantato una conoscenza diretta e perfino un rapporto di amicizia con i (OMISSIS), peraltro negli interrogatori del 2007 attribuendo a (OMISSIS) la titolarita’ fittizia della ditta di movimento terra insieme a (OMISSIS), assumendo che questa era gia’ costituita ed operante per gli appalti indetti dal Comune di (OMISSIS), quando invece la (OMISSIS) e’ stata costituita nel 2008. Anche in ordine agli esiti delle intercettazioni telefoniche ed ambientali, si assume che il (OMISSIS) sarebbe assente dalle conversazioni captate presso l’abitazione del (OMISSIS), e che anche nella conversazione intercettata il 30/9/2009 presso la lavanderia (OMISSIS) il ricorrente non compare ne’ in relazione all’appalto per il ripristino e la sistemazione della rete idrica del Comune di (OMISSIS), ne’ in relazione all’asserita associazione di cui e’ accusato di far parte.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso viene dedotto il vizio di motivazione in ordine alla sussistenza della gravita’ indiziaria a carico dell’indagato per quel che riguarda il concorso nell’attivita’ estorsiva contestata: si evidenzia che l’imputazione si riferisce ad un arco temporale che va dall’8/872008 fino al 13/3/2012 e che la (OMISSIS) s.r.l. ha stipulato un contratto con la (OMISSIS) s.p.a. solo in data 17/6/2010 e, soprattutto, che le conversazioni tra il (OMISSIS) ed il direttore dei lavori (OMISSIS) non rivelerebbero alcuna imposizione a quest’ultimo bensi’, al contrario, toni sereni, cordiali e collaborativi.
2.3. Con il terzo motivo si deducono la violazione di legge ed il vizio di motivazione con riferimento all’asserito riconoscimento di gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di cui all’articolo 513 bis c.p..
2.4. Il (OMISSIS) deduce, inoltre la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla dedotta insussistenza dell’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, articolo 7: evidenzia a tal fine che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, ai fini della configurabilita’ di tale circostanza aggravante e’ necessario l’effettivo ricorso, nell’occasione delittuosa contestata, al metodo mafioso, il quale deve essersi concretizzato in un comportamento oggettivamente idoneo ad esercitare sulle vittime del reato la particolare coartazione psicologica evocata dalla norma menzionata e non puo’ essere desunto dalla mera reazione delle stesse vittime alla condotta tenuta dall’agente, e che si tratta di circostanza aggravante che ha natura soggettiva e, pertanto, applicabile al concorrente nel reato a condizione che questi abbia conosciuto e fatta propria la finalita’ di agevolare l’associazione.
2.5. Viene dedotta, altresi’, la violazione del Decreto Legge n. 306 del 1992, articolo 12quinques per insussistenza della fattispecie, rilevando il ricorrente che gia’ il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Locri, in sede di convalida del fermo, aveva rigettato la richiesta di custodia cautelare sostenendo non potersi ritenere inverosimile che le fittizie intestazioni fossero finalizzate ad altri scopi, per quanto illeciti, quali l’ottenimento di agevolazioni fiscali o sovvenzioni non dovute o al conseguimento di attestazioni che gli indagati non avrebbero potuto ottenere.
2.6. Con l’ultimo motivo di ricorso, il (OMISSIS) deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine alla dedotta insussistenza di esigenze cautelari: rileva in proposito il ricorrente che la novella del 2015 ha imposto la sussistenza non solo della concretezza del pericolo ma anche quello dell’attualita’, e quindi dell'”imminenza” del pericolo, che si assume non ravvisabile nel caso di specie, in quanto il (OMISSIS) avrebbe meritato un esame differenziato da quello dei coindagati, essendo emersa la sua figura unicamente nell’ambito dei lavori svolti tramite (OMISSIS) e risalendo le ipotesi delittuose contestate ai capi N e V rispettivamente al 2008-2012 e al 2007.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso e’ inammissibile perche’ fondato su motivi manifestamente infondati o comunque non consentiti nella presente sede.
3.1. I primi motivi di ricorso, in particolare, travalicano i limiti di sindacabilita’ da parte di questa Corte dei provvedimenti adottati dal giudice del riesame dei provvedimenti sulla liberta’ personale. Secondo l’orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide, infatti, l’ordinamento non conferisce alla Corte di Cassazione alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, ne’ alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche soggettive dell’indagato, ivi compreso l’apprezzamento delle esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate, trattandosi di apprezzamenti rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice cui e’ stata chiesta l’applicazione della misura cautelare, nonche’ del tribunale del riesame. Il controllo di legittimita’ sui punti devoluti e’, percio’, circoscritto all’esclusivo esame dell’atto impugnato al fine di verificare che il testo di esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro negativo, la cui presenza rende l’atto incensurabile in sede di legittimita’: 1) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; 2) – l’assenza di illogicita’ evidenti, ossia la congruita’ delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (Sez. 6 n. 2146 del 25/05/1995, Rv. 201840; sez. 2 n. 56 del 7/12/2011, Rv. 251760).
Nel caso di specie, l’ordinanza impugnata ha dato adeguatamente conto delle ragioni che hanno portato a riconoscere alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS) quell’attendibilita’ che e’ stata, invece, contestata dal ricorrente e, riportando testualmente diversi brani delle dichiarazioni del predetto, ha evidenziato come queste, contrariamente alla prospettazione difensiva, siano state reiterate nel tempo, coerenti ed in alcun modo contraddittorie, avendo il collaboratore di giustizia riferito sin dal primo interrogatorio del 2007 dell’appartenenza del (OMISSIS) alla “ndrangheta ed indicato il ruolo svolto nell’ambito della “Locale” di riferimento, quale titolare di un’impresa edile ed assegnatario di appalti pubblici insieme al cognato; secondo il tribunale del riesame, il collaboratore ha dimostrato sempre un’approfondita e completa conoscenza delle vicende narrate nei vari interrogatori, nel corso dei quali ha manifestato un’unica incertezza in ordine rapporto di affinita’ che lega l’imprenditore (OMISSIS) ed uno dei componenti la famiglia (OMISSIS), inizialmente indicato nel fratello del ricorrente, (OMISSIS), e poi precisato inequivocabilmente in (OMISSIS), effettivamente cognato dello (OMISSIS) per averne sposato la sorella, come chiarito allorche’, nel corso dell’interrogatorio del 28/6/2016, il (OMISSIS) ha riconosciuto in fotografia lo stesso ricorrente.
L’ordinanza impugnata ha dato anche atto della costituzione della societa’ (OMISSIS) srl, di fatto gestita da (OMISSIS) e (OMISSIS), soltanto successivamente agli interrogatori predetti, rilevando come tali elementi assumano significato alla luce delle complessive dichiarazioni del (OMISSIS) che, anche con riferimento al progetto di infiltrazione della cosca nell’appalto relativo alla realizzazione della (OMISSIS), proprio perche’ appartenente alla “ndrangheta e particolarmente legato alla (OMISSIS), senza vizi logici e’ stato riconosciuto disporre di un patrimonio conoscitivo che gli consentiva di essere informato degli interessi imprenditoriali della cosca anche nella fase progettuale e prima che questi venissero realizzati.
Il provvedimento impugnato, cosi’, ha superato le deduzioni difensive volte a contestare l’attendibilita’ del collaborante, rilevando che le dichiarazioni di questo hanno ricevuto numerosi riscontri individualizzanti nelle conversazioni intercettate, in particolare tra il capo cantiere (OMISSIS) e diversi soggetti a vario titolo espressione delle cosche interessate, che di fatto hanno imposto la stipulazione di contratti di fornitura di calcestruzzo e di nolo di macchinari con imprese riconducibili alle cosche, la cui presenza nel cantiere e’ stata documentata, oltre che l’assunzione di soggetti vicini alle stesse cosche e, quindi, la fissazione di turnazioni di lavoro tra le cinque ditte di (OMISSIS) (tra le quali la (OMISSIS)), tutte specificamente individuate, che venivano imposte alla (OMISSIS) ed alle altre ditte appaltatrici con metodo mafioso, in contrasto con le stesse esigenze delle ditte appaltatrici, subordinate alle esigenze di turnazione connesse alla spartizione tra le cosche di “ndrangheta, ne’ puo’ ritenersi determinante che l’ordinanza non abbia attribuito personalmente al ricorrente l’uso di espressioni minacciose nei confronti del capo cantiere (OMISSIS) al fine di realizzare tale imposizione.
Analogamente, l’ordinanza impugnata individua ulteriore riscontro alle dichiarazioni del (OMISSIS) relative al ricorrente anche nella intercettazione ambientale eseguita presso una lavanderia, nel corso della quale (OMISSIS), conversando con (OMISSIS), indicato come esponente di spicco dell’omonima famiglia di (OMISSIS), ad espressa domanda di questo, chiariva l’affiliazione alla “ndrangheta sia di (OMISSIS) che di un suo fratello interessato ai lavori di appalto, senza vizi logici individuato nell’odierno ricorrente (OMISSIS), che di fatto amministrava la (OMISSIS) s.r.l. – di cui era socia la moglie (OMISSIS) – insieme al cognato (OMISSIS).
3.2. Deve ritenersi manifestamente infondato, oltre che inerente essenzialmente al merito della decisione impugnata, anche il quarto motivo di ricorso, con il quale si contesta il riconoscimento della gravita’ indiziaria anche in relazione all’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, articolo 7: come questa Corte ha gia’ avuto modo di rilevare, ai fini della configurabilita’ dell’aggravante dell’utilizzazione del “metodo mafioso”, prevista dal Decreto Legge 13 maggio 1991, n. 152, articolo 7 (conv. in L. 12 luglio 1991, n. 203), e’ sufficiente – in un territorio in cui e’ radicata un’organizzazione mafiosa storica – che il soggetto agente faccia riferimento, in maniera anche contratta od implicita, al potere criminale dell’associazione, in quanto esso e’ di per se’ noto alla collettivita’ (Sez. 2, n. 19245 del 30/03/2017, Rv. 269938), sicche’ deve ritenersi priva di vizi logici l’ordinanza impugnata, laddove ha riconosciuto che la sottomissione della (OMISSIS) ad una ripartizione dei lavori alla stessa appaltati non gia’ secondo le proprie esigenze economiche, bensi’ secondo quelle delle cosche interessate, sia stata condizionata dalla manifestazione dell’interesse di quella che l’ordinanza medesima ha definito la “nota caratura mafiosa dei sodali”, tanto che la stessa ordinanza ha evidenziato i timori del capocantiere di errare nella turnazione dei lavori e di far torto all’uno o all’altro interessato, ai quali pertanto si rivolgeva per ricevere indicazioni sul punto, ne’ puo’ ritenersi in alcun modo illogica l’attribuzione dell’aggravante anche al ricorrente che, quale partecipe ad uno dei sodalizi criminosi e personalmente interessato al subappalto, era inevitabilmente consapevole di tali modalita’.
3.3. Il provvedimento impugnato ha annullato l’ordinanza cautelare in relazione al reato di cui all’articolo 513 bis cod. pen., non riconoscendo la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza del ricorrente al riguardo: con tale annullamento non si confronta il terzo motivo di ricorso, anch’esso volto a sostenere l’insussistenza della gravita’ indiziaria sul punto, che deve, pertanto, essere ritenuto quantomeno aspecifico, oltre che privo di interesse all’impugnazione.
3.4. Il Tribunale del riesame di Palermo, infine, nell’evidenziare come (OMISSIS) e (OMISSIS) fossero i reali proprietari pro quota della (OMISSIS) srl., non ha taciuto che l’intestazione fittizia di tali quote ed il ricorso a prestanomi potessero comunque favorire l’elusione delle normative antimafia in materia di appalti ma, senza incorrere in alcun vizio logico, appare aver individuato la principale finalita’ dell’intestazione fittizia nell’elusione delle disposizioni di legge in materia di prevenzione patrimoniale, cosi’ da sottrarre la societa’ e le commesse che questa acquisiva ai possibili sequestri dell’Autorita’ Giudiziaria, ben prevedibili alla luce dei precedenti giudiziari e dell’affiliazione alla “ndrangheta degli interessati, sicche’ – in relazione alla contestazione di cui al capo V) – il verosimile concorso di altre illecite finalita’ non puo’ ritenersi aver viziato in alcun modo la motivazione dell’ordinanza impugnata.
3.5. E’ inammissibile, infine, perche’ aspecifico, oltre che inerente al merito della decisione impugnata, anche l’ultimo motivo di ricorso, con il quale viene contestata la riconosciuta sussistenza di esigenze cautelari: si tratta di motivo che, infatti, non si confronta in alcun modo con il riconoscimento della gravita’ indiziaria in ordine al delitto di cui all’articolo 416 bis cod. pen., oltre che della menzionata aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, articolo 7, con conseguente operativita’ della presunzione relativa di cui all’articolo 275 c.p.p., comma 3, senza vizi logici ritenuta non superata da alcun elemento concreto, non risultando nemmeno allegata dalla difesa la rescissione dei legami del (OMISSIS) con l’associazione criminosa di cui viene ritenuto far parte.
4. Alla luce della ricostruzione richiamata, il ricorso va dunque dichiarato inammissibile, con le conseguenze di legge in ordine alle spese processuali ed alla sanzione in favore della Cassa delle Ammende in considerazione dei profili di colpa connessi alla prospettazione di motivi manifestamente infondati o comunque non consentiti in questa sede.
5. Non conseguendo dall’adozione del presente provvedimento la rimessione in liberta’ dell’indagato, deve provvedersi ai sensi dell’articolo 94 disp. att. c.p.p..

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Avv. Renato D’Isa

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