L’incameramento della cauzione provvisoria e l’attivazione del pedissequo procedimento di segnalazione all’ANAC

Consiglio di Stato, sezione quinta, Sentenza 24 giugno 2019, n. 4328.

La massima estrapolata:

L’incameramento della cauzione provvisoria e l’attivazione del pedissequo procedimento di segnalazione all’ANAC costituiscono conseguenza automatica del provvedimento di esclusione, come tale non suscettibile di alcuna valutazione discrezionale con riguardo ai singoli casi concreti, nonchè insensibile a eventuali valutazioni volte a evidenziare la non imputabilità a colpa della violazione che ha comportato l’esclusione.

Sentenza 24 giugno 2019, n. 4328

Data udienza 14 marzo 2018

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello numero di registro generale 5237 del 2018, proposto da
Co. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, in proprio e nella qualità di capogruppo mandataria della costituenda ATI con Im. s.r.l. e Consorzio Stabile Ol., rappresentata e difesa dall’avvocato Ma. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto nello studio del difensore in Roma, via (…);
contro
Comune di Napoli, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Fa. Ma. Fe., An. An. e An. Iv. Fu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio dell’avv. Lu. Le. in Roma, via (…);
nei confronti
Al. s.p.a. non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza semplificata del Tribunale amministrativo regionale per la Campania (sezione quarta) n. 02588/2018, resa tra le parti.
Visto il ricorso in appello;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Napoli;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del 14 marzo 2019 il Cons. Anna Bottiglieri e uditi per le parti gli avvocati Dario Ruggiero su delega dell’avvocato Ma. Ma. e Ch. Pe. su delega dell’avvocato An. Iv. Fu.;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

FATTO

1. Co. s.r.l. partecipava in qualità di capogruppo e mandataria della costituenda A.T.I. con Im. s.r.l. e Consorzio Stabile Ol. a una gara indetta dal Comune di Napoli il 10 marzo 2015 per l’affidamento del servizio di gestione del procedimento sanzionatorio delle violazioni delle norme del codice della strada, dei regolamenti comunali e delle ordinanze sindacali, da cui veniva esclusa in sede di verifica del possesso dei requisiti ex art. 48, comma 1 del d.lgs. n. 163 del 2006, estesa, senza sorteggio, a tutti gli operatori economici partecipanti alla selezione, per il difetto dei requisiti di capacità tecnico-organizzativa prescritti dall’art. 83, lett. a) del disciplinare.
Co. impugnava l’esclusione innanzi al Tribunale amministrativo regionale della Campania, che respingeva il ricorso con sentenza della quinta sezione n. 2407 del 2016, confermata con diversa motivazione da questa Sezione del Consiglio di Stato con decisione n. 783 del 2017.
All’esito del giudizio il Comune di Napoli rinnovava la richiesta di escussione della cauzione, precedentemente sospesa.
Co. impugnava anche tale provvedimento con ricorso proposto innanzi al Tribunale amministrativo regionale della Campania; nell’ambito del giudizio così instaurato, impugnava con mezzi aggiunti l’atto che disponeva nuovamente l’escussione, respingendo l’istanza di autotutela presentata dalla società .
2. Con la sentenza semplificata segnata in epigrafe n. 2588 del 2018, l’adito Tribunale, sezione quarta, nella resistenza del Comune di Napoli, dichiarava improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse il ricorso introduttivo del giudizio, avente a oggetto un atto sostituito, e riteneva infondati i motivi aggiunti, diretti avverso l’atto sopravvenuto. Compensava le spese di lite.
In particolare, respingendo i motivi aggiunti, il primo giudice:
– riteneva l’applicabilità alla fattispecie, ratione temporis, dell’art. 48, comma 1 del d.lgs. n. 163 del 2006;
– affermava che la disposizione, nel disciplinare l’iter della modalità ordinaria di comprova del possesso dei requisiti di partecipazione, non esclude il riscontro degli stessi con qualunque altro mezzo idoneo allo scopo, con la conseguenza che, una volta acclarato, in qualunque modo, che un concorrente non li possiede, la stazione appaltante è tenuta a disporne l’esclusione, procedendo al contempo a incamerare la cauzione provvisoria e a segnalare il fatto all’ANAC per i provvedimenti di competenza, conseguenze della oggettiva mancanza dei requisiti e non della falsa dichiarazione del possesso degli stessi;
– affermava che, anche in caso di inoperatività della predetta norma, l’operato della stazione appaltante sarebbe risultato esente da mende, in quanto l’esclusione dalla procedura selettiva costituiva la logica conseguenza della mancanza dei prescritti requisiti di ammissione, mentre l’incameramento della cauzione discendeva automaticamente dall’art. 75, comma 6 del d.lgs. n. 163/2006;
– riteneva infondata la tesi della ricorrente, secondo cui le sanzioni previste dall’art. 48 del d.lgs. n. 163 del 2006 non potevano essere applicate meccanicamente, presupponendo una dichiarazione falsa o un mendacio, che nel caso di specie non si era verificata, avendo l’ANAC archiviato il procedimento di sua competenza;
– affermava, al riguardo, che l’oggettiva e incontestabile mancanza del requisito, definitivamente acclarata in sede giurisdizionale, giustificava sia il provvedimento di esclusione che l’escussione della fideiussione, quale automatica conseguenza della violazione delle regole e dei doveri contrattuali accettati con la sottoscrizione del c.d. “patto di integrità “, restando di contro irrilevanti gli elementi (veridicità della dichiarazione resa dall’impresa; buona fede nella partecipazione alla gara), significativi nel procedimento da svolgersi innanzi all’ANAC.
3. Con l’appello all’odierno esame Co. ha gravato la predetta sentenza, avverso cui ha dedotto, con un unico motivo, error in iudicando, violazione dei principi sul riesame dell’atto amministrativo, erroneità dei presupposti, violazione e falsa applicazione dell’art. 48 del d.lgs. 163/2016, concludendo per la sua riforma e per il conseguente annullamento degli atti impugnati in primo grado.
Il Comune di Napoli, costituitosi in resistenza, ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione a favore del giudice ordinario e per la riproposizione di doglianze già coperte dal giudicato, e ha illustrato l’infondatezza nel merito dell’appello, concludendo per la sua reiezione.
Con ordinanza n. 3892 del 2018 questa Sezione ha accolto l’istanza cautelare proposta dall’appellante, sospendendo, per l’effetto, l’esecutività della sentenza impugnata.
L’appellante ha affidato a memorie lo sviluppo delle proprie tesi difensive.
La causa è stata trattenuta in decisione alla pubblica udienza del 14 marzo 2019.

DIRITTO

1. Va disattesa l’eccezione preliminare sollevata dall’appellato Comune di Napoli in relazione all’asserito difetto di giurisdizione del giudice amministrativo a favore del giudice ordinario.
1.1. L’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo a conoscere della controversia è, infatti, inammissibile, laddove formulata, come nel caso di specie, solo in note defensionali e non con tempestiva proposizione di specifico motivo di appello incidentale contro la sentenza di primo grado, in conformità all’art. 9 Cod. proc. amm., per il quale il difetto di giurisdizione nei giudizi di impugnazione è rilevato se dedotto con specifico motivo avverso il capo della pronunzia impugnata che in modo implicito o esplicito ha statuito sulla giurisdizione (ex multis, Cons. Stato, V, 11 marzo 2019, n. 1612; 17 settembre 2018, n. 5439; III, 4 agosto 2015, n. 3842).
Nel caso in esame, ricorre la prima delle appena dette ipotesi, non avendo la sentenza appellata espressamente statuito sulla giurisdizione del giudice amministrativo, ancorchè l’Amministrazione comunale nel relativo giudizio ne avesse eccepito il difetto a favore del giudice ordinario.
2. Quanto all’eccezione di inammissibilità dell’appello per riproposizione di doglianze già coperte dal giudicato, pure spiegata dal Comune di Napoli, si osserva quanto segue.
2.1. Co. s.r.l., in qualità di capogruppo e mandataria della costituenda A.T.I. con Im. s.r.l. e Consorzio Stabile Ol., ha contestato in giudizio la sua esclusione dalla gara indetta dal Comune di Napoli il 10 marzo 2015 per l’affidamento del servizio di gestione del procedimento sanzionatorio delle violazioni delle norme del codice della strada, dei regolamenti comunali e delle ordinanze sindacali, disposta dalla stazione appaltante in ragione del riscontrato difetto dei requisiti di capacità tecnico-organizzativa prescritti dall’art. 83, lett. a) del relativo disciplinare.
Nel relativo contenzioso di primo e di secondo grado Co. ha sostenuto che il requisito esperienziale speso in gara, per il tramite del Consorzio Stabile Ol., corrispondesse a quello richiesto dalla lex specialis.
Le sentenze del Tar Campania n. 2407 del 2016 e la decisione n. 783 del 2017 di questa Sezione del Consiglio di Stato, che hanno definito il predetto contenzioso respingendo i ricorsi di Co., hanno indi statuito la legittimità dell’esclusione sotto il predetto profilo.
In altre parole, il giudicato si è formato in ordine alla questione, risolta negativamente, di se l’ATI possedesse o meno il requisito di partecipazione richiesto dall’art. 8.3, lett. a) del disciplinare della procedura.
Nell’odierno appello viene in esame la legittimità della escussione della polizza fideiussoria da parte del Comune di Napoli, disposta ai sensi dell’art. 48 del d.lgs. 163/2006, applicabile alla fattispecie ratione temporis.
Si tratta di un accertamento che non incontra nessuna preclusione, non essendo stato oggetto dei precedenti apprezzamenti giudiziali.
Sotto tale profilo, pertanto, l’eccezione in esame deve essere respinta.
2.2. Peraltro, nell’ambito del contenzioso in esame, Co. pone anche la questione attinente alla fase della procedura nella quale è stata disposta la sua esclusione dalla gara.
In particolare, Co. sostiene che la difformità del requisito posseduto rispetto a quello richiesto, per la sua evidenza, avrebbe dovuto essere opposta nella fase di ammissione, e non, come avvenuto, all’esito della più avanzata fase di cui all’art. 48 del d.lgs. 163 del 2006, che prevede, nel caso di mancata comprova dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa, oltre che l’esclusione del concorrente dalla gara, anche l’escussione della cauzione provvisoria da questi prestata e la segnalazione del fatto all’ANAC per gli ulteriori provvedimenti di competenza.
Il predetto rilievo viene formulato da Co. sulla scorta delle delibera ANAC n. 1024 del 21 settembre 2016, che ha archiviato il procedimento aperto su segnalazione del RUP per l’applicazione delle sanzioni accessorie.
Tale delibera ha rilevato, tra altro, che:
“… la dichiarazione resa dall’Operatore Economico mandante (Consorzio Stabile Ol.), in sede di partecipazione alla gara, risulta veritiera, non poteva essere assimilata a quanto richiesto dal bando di gara e, di conseguenza, andava esclusa nella fase di ammissibilità delle domande di partecipazione. In conclusione, non si ravvisa alcuna falsa dichiarazione resa dall’operatore in sede di partecipazione alla gara. Egli infatti non ha nascosto le caratteristiche del servizio di notifica reso nel quinquennio per conto di Ri. Si. S.p.a., che in buona fede considerava con caratteristiche analoghe a quelle richieste dal bando”.
Sul punto, va osservato che non vi è dubbio che la questione appena accennata, investendo lo specifico segmento procedimentale nell’ambito del quale è stata accertata la carenza del requisito e disposta l’esclusione dell’ATI Co. dalla gara, avrebbe potuto essere introdotta dall’interessata nell’ambito del ricorso presentato avverso il provvedimento espulsivo, cui propriamente afferiva, e che la sua proposizione nell’ambito dell’odierno giudizio torna a investire, seppur in maniera tangenziale, il provvedimento espulsivo stesso, ancorchè esso si sia ormai consolidato per effetto del giudicato.
Tuttavia, va considerato, per un verso, che la questione si pone, ora, in riferimento a un interesse diverso da quello che ha connotato il ricorso proposto avverso l’esclusione dalla gara: viene infatti qui in rilevo non l’interesse di Co. a partecipare alla procedura, perseguito con il ricorso definito con la sentenza n. 783 del 2017 di questa Sezione del Consiglio di Stato, bensì l’interesse della società a non subire la diminuzione patrimoniale derivante dall’escussione della garanzia.
Va inoltre rilevato che, nella giurisdizione generale di legittimità, il principio processualcivilistico secondo cui il giudicato copre il dedotto e il deducibile incontra alcuni temperamenti, essendo ripetuta in giurisprudenza l’affermazione secondo cui il principio non è pienamente applicabile, formandosi solo in relazione ai vizi dell’atto di cui è stata accertata la sussistenza (o l’insussistenza) sulla base dei motivi di censura articolati dal ricorrente (ex plurimis, Cons. Stato, IV, 19 novembre 2018, n. 6486; 1° agosto 2016, n. 3475; 27 dicembre 2011, n. 6871; 31 marzo 2009, n. 2023; 27 dicembre 2006, n. 7816; VI, 9 giugno 2005, n. 3027; IV, 30 maggio 2002, n. 3023), con la conseguenza che si ritiene che “altri vizi siano parimenti azionabili, ove non sia intervenuta una diversa preclusione processuale o sostanziale” (così, Cons. Stato, n. 6871 del 2011, cit.).
Alla stregua di tali elementi, l’eccezione in esame, anche sotto il profilo appena descritto, non può trovare favorevole considerazione.
3. Nel merito, l’appello è infondato.
4. Co. afferma che il provvedimento 17 maggio 2017 di escussione della garanzia fideiussoria, impugnato con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, ha integralmente sostituito il precedente provvedimento del 22 ottobre 2015, di identico contenuto, sospeso in attesa della definizione del giudizio, essendosi basato su una nuova istruttoria, che ha tenuto conto della sopravvenuta sentenza di questa Sezione n. 783 del 2017, e che tale condizione ha riguardato, ancor più, il successivo provvedimento del 28 giugno 2017, impugnato con i motivi aggiunti, che ha considerato la già citata delibera n. 1024 del 21 settembre 2016 di archiviazione di ANAC.
Per Co., ne sarebbe derivata la necessità di approfondire la questione in ordine “all’applicabilità della sanzione dell’escussione della garanzia in caso di una dichiarazione originariamente espressiva della carenza del requisito di partecipazione” (secondo l’espressione utilizzata dall’ordinanza della Sezione n. 5087 del 2017 di accoglimento, ai fini della sollecita fissazione dell’udienza di merito, dell’appello cautelare proposto dalla società nel corso del giudizio), mentre, invece, il giudice di primo grado avrebbe prima erroneamente affermato che l’atto del 28 giugno 2017 era un atto di conferma “in senso stretto”, e poi avrebbe obliterato la reale questione su cui si basa il gravame, consistente nella “non applicabilità della sanzione dell’escussione della garanzia in caso di dichiarazione originariamente espressiva della carenza del requisito di partecipazione alla luce delle dichiarazioni rese in sede di gara, sul presupposto della natura non meramente confermativa, bensì di riesame, degli atti impugnati”.
In altre parole, Co. evidenzia che il giudice di primo grado avrebbe dovuto stigmatizzare l’operato della stazione appaltante, che, in sede di riesame, non ha riconosciuto la carenza ab origine dei requisiti di partecipazione alla gara dell’ATI Co. sin dalla fase di ammissione, e non ha ricondotto l’esclusione, formalmente disposta ai sensi dell’art. 48 del d.lgs. n. 163/2006, al modello di cui agli artt. 38, comma 2-bis e 46, commi 1 e ss. del d.lgs. 163/2006, che non prevede l’applicazione delle sanzioni previste dall’art. 48 dello stesso d.lgs. 163/2006 e, tra esse, l’escussione della garanzia prestata dal concorrente escluso.
Il predetto percorso argomentativo non è condivisibile.
4.1. Va innanzitutto rilevato che il primo giudice non è incorso nella omissione valutativa rilevata dall’appellante.
La sentenza di primo grado ha infatti chiaramente preso in considerazione la tesi di Co. in ordine all’ascrivibilità dell’esclusione a una norma diversa da quella applicata nel relativo provvedimento, e ne ha escluso motivatamente la fondatezza.
In particolare, come già esposto in fatto, il primo giudice ha rilevato la correttezza dell’applicazione alla fattispecie, ratione temporis, dell’art. 48, comma 1 del d.lgs. n. 163 del 2006, in quanto la disposizione, nel disciplinare l’iter della modalità ordinaria di comprova del possesso dei requisiti di partecipazione, non esclude il riscontro degli stessi con qualunque altro mezzo idoneo allo scopo (specificazione che va riconnessa alla doglianza di Co. che lamentava in primo grado anche che la verifica ex art. 48 era stata disposta dalla stazione appaltante in assenza di sorteggio e nei confronti di tutti i concorrenti), traendone la conclusione che, una volta acclarato, in qualunque modo, che un concorrente non li possiede, la stazione appaltante è tenuta a disporne l’esclusione, procedendo al contempo a incamerare la cauzione provvisoria e a segnalare il fatto all’ANAC per i provvedimenti di competenza, conseguenze automaticamente discendenti dall’oggettiva mancanza dei requisiti e non correlate alla falsa dichiarazione del possesso degli stessi, rilevante esclusivamente nel procedimento di competenza dell’ANAC.
Ha poi affermato che, anche per l’ipotesi di inoperatività dell’art. 48, l’operato della stazione appaltante sarebbe comunque risultato esente da mende, sia quanto all’esclusione dalla procedura selettiva per mancanza dei prescritti requisiti di ammissione, sia quanto all’incameramento della cauzione, conseguente automaticamente all’art. 75, comma 6 del d.lgs. n. 163/2006
4.2. Va poi osservato che nel giungere alle predette conclusioni il primo giudice non è incorso in alcun errore.
Alla luce di un consolidato orientamento giurisprudenziale, fatto proprio dalla Sezione e dal quale non si ravvisano ragioni per discostarsi, l’incameramento della cauzione provvisoria e l’attivazione del pedissequo procedimento di segnalazione all’ANAC costituiscono conseguenza automatica del provvedimento di esclusione, come tale non suscettibile di alcuna valutazione discrezionale con riguardo ai singoli casi concreti, nonchè insensibile a eventuali valutazioni volte a evidenziare la non imputabilità a colpa della violazione che ha comportato l’esclusione (ex multis, Cons. Stato, V, 10 settembre 2018, n. 5282; 11 dicembre 2017, n. 5806; 4 dicembre 2017, n. 5709; VI, 15 settembre 2017, n. 4349; V, 28 agosto 2017, n. 4086; 15 marzo 2017, n. 1172; Ad. Plen., 29 febbraio 2016, n. 5).
La finalità dell’istituto è infatti quella di responsabilizzare i partecipanti in ordine alle dichiarazioni rese, oltre che di garantire la serietà e l’affidabilità dell’offerta (Cons. Stato, V, 31 agosto 2016, n. 3751).
L’art. 48 del d.lgs. n. 163/2006 instaura, indi, una precisa correlazione tra una condotta imputabile al concorrente – di non aver fornito la prova delle dichiarazioni rese o dato una prova idonea – e l’escussione della cauzione. Quest’ultima non è “una sanzione che colpisce il concorrente per il comportamento tenuto, ma una garanzia per il corretto adempimento degli obblighi assunti dagli operatori economici in relazione ad una partecipazione ad una gara di appalto, ivi compresi, naturalmente, la dimostrazione del possesso dei requisiti dichiarati in sede di offerta e per i quali è avvenuta la ammissione alla gara” (così, Cons. Stato, V, 16 maggio 2018, n. 2896).
4.3. Nulla muta poi considerando l’ipotesi che l’irregolarità della partecipazione dell’ATI Co. avrebbe potuto essere rilevata già nella fase dell’ammissione.
La Sezione ha infatti affermato che la stazione appaltante può sempre riaprire il procedimento volto alla verifica dei requisiti di partecipazione, è ciò anche a seguito del positivo esaurimento della fase di comprova di cui all’art. 48 del d.lgs. n. 163/2006 (Cons. Stato, V, n. 5282/2018, cit.).
Tale principio deve trovare applicazione a maggior ragione allorquando, come nella fattispecie in esame, la carenza del requisito sia stata rilevata proprio in detta fase.
4.4. Risulta pertanto evidente che la delibera di ANAC n. 1024 del 21 settembre 2016, che ha archiviato il procedimento aperto su segnalazione del RUP per l’applicazione al concorrente escluso delle sanzioni accessorie, non poteva mutare le conseguenze della disposta esclusione dalla procedura, neanche considerando l’affermazione di cui alla delibera stessa, su cui si incentra l’appello, che l’ATI “andava esclusa nella fase di ammissibilità delle domande di partecipazione”.
Tale inciso, infatti, è estraneo all’accertamento demandato all’ANAC, che ha a oggetto l’applicabilità delle sanzioni accessorie di sua competenza e non l’individuazione del corretto momento dell’esclusione, peraltro già disposta, o il titolo della stessa, che era stato, correttamente, individuato dalla stazione appaltante in rapporto alla fase procedimentale nella quale la carenza del requisito si era palesata.
Del resto, come già segnalato al precedente capo 2, neanche l’interessata, nel giudizio incardinato avverso la propria esclusione, nel quale si era limitata ad affermare il possesso del requisito, aveva rilevato l’inapplicabilità dell’art. 48, d.lgs. 163/2006 sotto il profilo che tale delibera sembra evocare, senza peraltro specificarlo.
Inoltre, se tale profilo potesse essere individuato in quello della “evidenza circa la difformità del requisito”, come fa l’appellante, tale correlazione, nel contesto che ha caratterizzato l’esclusione dalla gara dell’ATI Co., si rivelerebbe, quanto meno, singolare, atteso il soccorso istruttorio (dipanatosi nei vari passaggi illustrati dall’appellante) attivato dalla stazione appaltante per concludere in ordine alla carenza del requisito di partecipazione, e i due giudizi promossi dalla medesima ATI sul presupposto del possesso del requisito stesso, che non depongono per l’esistenza di una tale “evidenza”, mentre nulla dice la circostanza che essa sia stata raggiunta nella sentenza del Tar Campania n. 2407 del 2016 e nella decisione n. 783 del 2017 di questa Sezione del Consiglio di Stato, atteso che il compito del giudice è proprio quello di dirimere le questioni insorte tra le parti in ordine ai profili controversi della fattispecie rimessa alla cognizione giudiziale.
4.5. Resta ancora da segnalare la non decisività, in relazione alla soluzione delle questioni trattate, sia dell’ordinanza n. 5087 del 2017 invocata dall’appellante, con cui la Sezione ha evidenziato la necessità di approfondire la questione in ordine “all’applicabilità della sanzione dell’escussione della garanzia in caso di una dichiarazione originariamente espressiva della carenza del requisito di partecipazione”, sia della successiva ordinanza della Sezione n. 3892 del 2018, che ha sospeso l’esecuzione della sentenza qui gravata, riscontrando l’esigenza di un “approfondimento nel merito delle questioni poste dall’appellante circa la natura della dichiarazione resa e se essa fosse o meno già dalla fase di ammissione delle offerte originariamente espressiva della carenza del predetto requisito”.
Infatti, le pronunzie cautelari sul fumus, per la loro natura di summaria cognitio e per la loro portata interinale, non contengono valutazioni assimilabili a un pieno sindacato giurisdizionale di merito e pertanto non possono essere utilmente invocate in comparazione con quelle assunte nella sentenza che definisce il giudizio, né sono idonee a ingenerare un ragionevole affidamento delle parti circa l’esito della controversia (Cons. Stato, V, 3 maggio 2019, n. 2876).
4.6. In definitiva, al di là di ogni questione relativa alla natura meramente confermativa o confermativa in senso proprio dell’atto oggetto di gravame nella presente sede, non è fondata la pretesa dell’appellante a che la stazione appaltante, sulla base della già citata delibera ANAC, dovesse ripronunziarsi sull’esclusione, emendandone il titolo, o che il primo giudice dovesse concludere nello stesso senso sol perché il provvedimento sopravvenuto nel corso del giudizio ha richiamato la delibera dell’ANAC n. 1024 del 21 settembre 2016.
Quest’ultima, infatti, è entrata nella motivazione del predetto atto solo nella misura in cui la stazione appaltante, nel riesame della fattispecie richiesto dall’interessata, ha dato atto che la propria valutazione, quanto al fatto che l’ATI non possedeva il prescritto requisito di partecipazione, aveva trovato conferma, oltre che nell’esito del contenzioso, anche in tale delibera. E tale attestazione è pacifica, avendo l’ANAC, come visto, affermato che la dichiarazione resa dall’operatore economico mandante in sede di partecipazione alla gara, seppur veritiera, non poteva essere assimilata a quanto richiesto dal bando.
5. A questo punto deve darsi atto, per completezza, che in primo grado l’odierna appellante ha sostenuto anche la tardività della gravata richiesta di escussione della cauzione, e che, al riguardo, il primo giudice non si è pronunziato.
Per l’ipotesi, la giurisprudenza rileva che, ai sensi dell’art. 101, comma 1, Cod, proc. amm., il ricorso in appello non può limitarsi ad una generica riproposizione degli argomenti dedotti in primo grado, quando gli stessi sono stati puntualmente disattesi dal giudice di prime cure, ma deve contenere specifiche censure contro la sentenza, atteso che la mera riproposizione dei motivi di primo grado si giustifica solo se il Tar non li ha esaminato o li ha esaminati con argomenti palesemente non pertinenti o generici, potendo in siffatta ipotesi il ricorrente limitarsi a contestare sinteticamente la mancanza, non pertinenza o genericità della motivazione, e riproporre i motivi originari (tra tante, Cons. Stato, V, 13 marzo 2017, n. 1134).
Pertanto, alla stregua di tali coordinate, la riproposizione in appello di un motivo non esaminato sconta l’onere di contestazione della mancata pronunzia e di riproposizione espressa del motivo.
L’appellante, invece, si è limitato a narrare, e solo in fatto, i termini della ritenuta tardività siccome rappresentati in primo grado.
La questione, pertanto, deve ritenersi come non riproposta o comunque inammissibile.
6. Alle rassegnate conclusioni consegue la reiezione dell’appello.
Il Collegio ravvisa giusti motivi, stanti la particolarità della questione, per compensare tra le parti le spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello di cui in epigrafe, lo respinge.
Compensa le spese di giudizio tra le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 14 marzo 2019 con l’intervento dei magistrati:
Francesco Caringella – Presidente
Paolo Giovanni Nicolò Lotti – Consigliere
Raffaele Prosperi – Consigliere
Giovanni Grasso – Consigliere
Anna Bottiglieri – Consigliere, Estensore

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