Corte di Cassazione, sezione lavoro civile, Sentenza 21 ottobre 2019, n. 26764.
La massima estrapolata:
Nel caso in cui il giudice del merito abbia ritenuto, senza ulteriori precisazioni, che le circostanze dedotte per sorreggere una certa domanda (o eccezione) siano generiche ed inidonee a dimostrare l’esistenza dei fatti costitutivi del diritto stesso (o dell’eccezione), non può ritenersi sussistente né la violazione dell’art. 132 n. 4 c.p.c. per difetto assoluto di motivazione o motivazione apparente, né la violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia, mentre, qualora si assuma che una tale pronuncia comporti la mancata valorizzazione di fatti che si ritengano essere stati affermati dalla parte con modalità sufficientemente specifiche, può ammettersi censura, da articolare nel rigoroso rispetto dei criteri di cui agli artt. 366 e 369 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., qualora uno o più dei predetti fatti integrino direttamente elementi costitutivi della fattispecie astratta e dunque per violazione della norma sostanziale, oppure ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., per omesso esame di una o più di tali circostanze la cui considerazione avrebbe consentito, secondo parametri di elevata probabilità logica, una ricostruzione dell’accaduto idonea ad integrare gli estremi della fattispecie rivendicata.
Sentenza 21 ottobre 2019, n. 26764
Data udienza 19 giugno 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente
Dott. TORRICE Amelia – Consigliere
Dott. TRIA Lucia – Consigliere
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere
Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 2701-2018 proposto da:
(OMISSIS), domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) gia’ (OMISSIS) S.P.A.;
– intimata –
avverso la sentenza n. 918/2017 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 16/11/2017 R.G.N. 556/2017;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/06/2019 dal Consigliere Dott. ROBERTO BELLE’;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CIMMINO Alessandro, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega Avvocato (OMISSIS).
FATTI DI CAUSA
1. La Corte d’Appello di L’Aquila ha parzialmente accolto il reclamo proposto nelle forme della c.d. Legge Fornero avverso la sentenza del Tribunale di Pescara che aveva a propria volta accolto l’impugnativa del licenziamento disciplinare irrogato nei confronti di (OMISSIS) da (OMISSIS) s.p.a., nei cui rapporti giuridici era poi subentrata l’Agenzia delle Entrate – Riscossione,.
Premesso che ad (OMISSIS) faceva carico il rimborso di parte degli interessi sul mutuo contratto da proprio dipendente, il licenziamento era stato irrogato perche’ il (OMISSIS) aveva trasmesso al datore di lavoro un’attestazione falsificata per quanto riguardava gli interessi pagati nel 2014 e per avere poi egli omesso, nonostante la richiesta di una nuova trasmissione, di comunicare la predetta certificazione, in luogo della quale era stata consegnata l’attestazione inerente l’anno 2013.
Il Tribunale, nel dichiarare illegittimo il licenziamento, aveva applicato la tutela di cui all’articolo 18, comma 4, ovverosia la reintegrazione con indennita’, mentre la Corte d’Appello ha applicato la tutela soltanto indennitaria di cui al comma 5.
2. La Corte riteneva che il secondo fatto contestato (trasmissione dello certificazione del 2013 in luogo di quella del 2014) non avesse rilievo disciplinare, in quanto si poteva essere trattato di un mero errore, cui non a caso aveva fatto seguito, dopo poco tempo, la trasmissione di quanto richiesto. D’altra parte, secondo la Corte, le giustificazioni addotte dal (OMISSIS) rispetto al primo rilievo disciplinare, ovverosia alla trasmissione di una copia falsificata, erano inverosimili, sicche’ il fatto era da ritenere sussistente. Tuttavia, pur ravvisando, cosi’ come il primo giudice, la sproporzione tra il fatto commesso e la sanzione applicata, la Corte distrettuale rilevava come per tale fatto la contrattazione collettiva non prevedeva la sanzione conservativa, sicche’ l’illegittimita’ trovava sanzione soltanto nel disposto del comma 5 dell’articolo 18.
Al contempo la sentenza di secondo grado rigettava il reclamo incidentale con cui il lavoratore aveva addotto che il licenziamento fosse da considerare nullo perche’ attuato in frode alla legge. In proposito la Corte riteneva che il (OMISSIS) non avesse assolto all’onere di allegazione e prova su di lui gravante, in ordine ad un intento fraudolento o discriminatorio, tali da avere avuto un’efficacia determinativa sulla volonta’ datoriale.
Avverso la sentenza il (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione con sette articolati motivi.
Agenzia delle Entrate-Riscossione e’ rimasta intimata.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione (articolo 360 c.p.c., n. 4) dell’articolo 132 c.p.c. per avere la Corte territoriale assunto una motivazione confusa e soltanto apparente per quanto riguarda la censura di nullita’ del licenziamento per carattere fraudolento dello stesso.
Il secondo motivo critica la sentenza impugnata per violazione (articolo 360 c.p.c., n. 4) dell’articolo 24 Cost. e dell’articolo 112 c.p.c., con riguardo ancora alla dedotta nullita’ del licenziamento e con esso il ricorrente allega di avere affermato e dedotto a prova elementi idonei a dimostrare che il datore di lavoro aveva proceduto al recesso non per le ragioni formalmente enunciate, ma per altre, consistenti nel fatto che gli interessi corrisposti sarebbero stati incamerati dal lavoratore, senza pagare il mutuo, sicche’ la contestazione di due altri e diversi fatti aveva il fine di eludere le garanzie formali e procedimentali del potere di recesso, cosi’ integrandosi le cause di nullita’ della frode alla legge o del motivo illecito determinante.
Il terzo motivo denuncia ancora la violazione (articolo 360 c.p.c., n. 4) delle medesime norme, per non avere la Corte territoriale valutato la diligenza del (OMISSIS) e le circostanze addotte per dimostrare la sua incolpevolezza rispetto ai fatti addebitati.
2. I motivi, stante la comune radice processuale, possono essere esaminati in un unico contesto.
2.1 L’apparenza della motivazione che, potendosi parificare alla motivazione inesistente, ne consente la censura ai sensi dell’articolo 132 c.p.c., n. 4 si verifica nel caso in cui essa “benche’ graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perche’ recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le pii: varie, ipotetiche congetture” (Cass., S.U., 3 novembre 2016, n. 22232): in questi casi si puo’ dunque parlare di assenza di una motivazione percepibile realmente come tale.
L’omessa pronuncia denunciabile ai sensi dell’articolo 112 c.p.c. consiste invece nella mancanza di presa di posizione del giudice rispetto ad una domanda od eccezione, nulla avendo a che vedere con la mera carenza motivazionale, in una delle sue possibili manifestazioni.
Ipotesi ancora diversa e’ quella regolata dall’articolo 360 c.p.c., n. 5, nell’ultima formulazione della norma, qui applicabile ratione temporis, che si incentra sull’individuazione di un “fatto” il cui esame sia stato omesso dal giudice di merito e che, per la sua decisivita’, da intendere come elevato grado logico di pregnanza, se considerato, potrebbe in se’ sovvertire l’esito della pronuncia impugnata, sicche’ si impone la rivisitazione del giudizio, da svolgere tenendo conto anche della circostanza pretermessa: “fatto” di cui e’ stato omesso l’esame che e’ da intendere in senso storico – naturalistico (Cass. 8 ottobre 2014, n. 21152), quale circostanza rilevante sia in via diretta, perche’ costitutiva, modificativa o impeditiva rispetto alla fattispecie legale, sia in via indiretta, quale fatto secondario, dedotto in funzione di prova (Cass. b settembre 2016, n. 17761).
In sostanza l’inadeguatezza della motivazione, rileva ex articolo 360 c.p.c., n. 5, nel solo caso in cui essa ometta l’esame di uno o piu’ fatti decisivi.
Sta in tale quadro il nuovo assetto processuale quale delineato da Cass., S.U., 7 aprile 2014, n. 8053, e racchiusa nella sintesi delineata in tale pronuncia, secondo la quale l’attuale e novellato assetto si caratterizza per la “riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimita’ sulla motivazione”, sicche’ e’ denunciabile in cassazione, nelle forme di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 4, “solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in se'”, che si determina, quale vizio processuale (articolo 360 c.p.c., n. 4), allorquando l’anomalia si manifesti come ” “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione”, mentre l’aggressione della motivazione nei termini di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 5 presuppone una specifica modalita’ delle critica, rigorosamente articolata attraverso l’indicazione del “”fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sut: “decisivita’ “”.
Resta per altro verso ferma la possibilita’ di dedurre la violazione di legge (articolo 360 c.p.c., n. 3), allorquando vi sia contrasto con la disciplina che regolano l’operativita’ e l’efficacia delle prove, tra cui in particolare puo’ qui richiamarsi l’ipotesi del mancato rispetto delle regole di gravita’, precisione e concordanza (articolo 2729 c.c.) richieste per la prova presuntiva, il che nuovamente consente il sindacato sotto il profilo della elevata probabilita’ logica (Cass. 16 novembre 2018, n. 29635; Cass. 4 agosto 2017, n. 19485).
Cosi’ come, la ritenuta inidoneita’ di un fatto pur dedotto puo’ essere tale, se quel fatto, proprio come allegato, integri in se’ la circostanza costitutiva di un diritto o gli estremi di un eccezione, da permettere di censurare l’erronea valutazione quale violazione della norma sostanziale (articolo 360 c.p.c., n. 3), che si ritenga viceversa intercettata dalla predetta circostanza e risulti pertanto mal apprezzata dal giudice del merito nella propria pregnanza giuridica.
2.2 Venendo al caso di specie, la motivazione della sentenza impugnata, rispetto alla questione sulla nullita’ per frode della legge o per motivo illecito determinante si concentra nell’affermazione, riferita ad entrambe le predette ipotesi giuridiche, secondo cui il lavoratore non aveva soddisfatto “l’onere di allegazione e prova su di lui gravante”, avendo agito sulla base di “allegazioni… sul punto generiche e del tutto inidonee a dimostrare la sussistenza di un intento fraudolento e/o discriminatorio”.
Non puo’ quindi dirsi sussistente la denunciata violazione dell’articolo 132 c.p.c. (primo motivo) in relazione al fondarsi del licenziamento su frode alla legge (…) o motivo illecito determinante.
L’iter logico seguito, fondato sull’assunto per cui quanto dedotto non fosse idoneo alla prova delle fattispecie invocate, e’ infatti del tutto percepibile, a nulla rilevando, perche’ la legge processuale non li valorizza, i profili di sufficienza nell’esplicitazione dei singoli passaggi di interconnessione tra la conclusione (inidoneita’ alla dimostrazione dei fatti idonei ad integrare la fattispecie) e il fondamento di esse (tenore concreto delle allegazioni svolte); ne’ le affermazioni motivazionali presentano profili di contraddittorieta’ che possano far ipotizzare per tale via un difetto di motivazione rilevante ex articolo 132 c.p.c., n. 4.
Ragioni analoghe portano ad escludere che si possa ravvisare la violazione dell’articolo 112 c.p.c. (secondo motivo), sempre rispetto alle medesime domande, in quanto su di esse, palesemente, la pronuncia sussiste ed e’ di rigetto.
Ed ancora da disattendere e’ il terzo motivo ove si addebita alla sentenza la violazione dell’articolo 112 c.p.c., per avere omesso di considerare una serie di fatti che, a dire del ricorrente, avrebbero consentito di apprezzare l’incolpevolezza del medesimo rispetto alla alterazione documentale che sarebbe stata commessa – questa e’ la tesi dal di lui figlio.
A parte ogni altro profilo, la Corte territoriale va infatti oltre il tema di chi fosse stato a porre in essere la contraffazione, affermando che “ad ogni buon conto” cio’ che rilevava era che il lavoratore avesse fatto uso di quel documento, senza sincerarsi diligentemente del suo contenuto.
Si tratta di argomentazione in cui si concentra una assorbente, autonoma e finale ratio decidendi rispetto alla quale i fatti opposti con il motivo, riguardando la responsabilita’ per l’alterazione documentale, sono destinati a risultare irrilevanti, mentre quanto dedotto in termini direttamente riguardanti tale profilo, ovverosia il fatto che il (OMISSIS) non potesse prefigurarsi l’avvenuta alterazione neppure al momento di trasmettere la documentazione all’azienda, individua una generica prospettazione di rilettura del merito in senso diverso rispetto a quanto opinato dalla Corte territoriale, come tale parimenti inammissibile (Cass. S.U. 25/10/2013, n. 24148).
2.3 In definitiva, a fronte dell’affermazione della sentenza impugnata secondo la quale le allegazioni svolte erano da considerare “generiche ed inidonee” rispetto alla pretesa azionata, la censura avrebbe potuto essere sviluppata, sul piano sostanziale, individuando l’eventuale contrasto tra uno o piu’ tra i fatti dedotti e le fattispecie sostanziali rivendicate (articolo 360 c.p.c., n. 3), oppure, sul piano motivazionale, individuando uno o piu’ fatti la cui omessa considerazione, quale effetto del giudizio generale di inidoneita’ sopra detto, avrebbe avuto l’effetto di impedire un diverso giudizio, viceversa altamente probabile ove le relative circostanze fossero state considerate (articolo 360 c.p.c., n. 5).
Non e’ tuttavia in questi termini che i motivi – si fa qui riferimento al primo ed ai secondo di essi – sono impostati, in quanto essi consistono in un richiamo complessivo di quanto addotto a sostegno della ricostruzione sostenuta per inficiare la legittimita’ del licenziamento, mentre entrambe le ipotesi appena indicate imporrebbero l’enucleazione esatta e precisa, nel corpo del motivo e con correlata e specifica argomentazione, del (o dei) fatti la cui erronea sussunzione o pretermissione abbia inficiato il giudizio di diritto sulla fattispecie astratta (articolo 360 c.p.c., n. 3) o di fatto sulla fattispecie concreta (articolo 360 c.p.c., n. 5), non essendo in alcun modo ammissibile che una tale stringente impostazione sia surrogata dalla cernita giudiziale, tra i piu’ fatti contestualmente richiamati, dei profili ipoteticamente rilevanti nell’uno o nell’altro senso.
Al di la’ della qualificazione nominale con cui, entro l’ambito dell’articolo 360 c.p.c., nel ricorso sono individuate le ragioni di censura, manca dunque la specifica individuazione degli aspetti eventualmente rilevanti nei termini appena indicati.
3.3 I motivi vanno dunque respinti, potendosi altresi’ esprimere il seguente principio, in sintesi di quanto finora detto: “nel caso in cui il giudice del merito abbia ritenuto, senza ulteriori precisazioni, che le circostanze dedotte per sorreggere una certa domanda (o eccezione) siano generiche ed inidonee a dimostrare l’esistenza dei fatti costitutivi del diritto stesso (o dell’eccezione), non puo’ ritenersi sussistente ne’ la violazione dell’articolo 132 c.p.c., n. 4 per difetto assoluto di motivazione o motivazione apparente, ne’ la violazione dell’articolo 112 c.p.c. per omessa pronuncia, mentre, qualora si assuma che una tale pronuncia comporti la mancata valorizzazione di fatti che si ritengano essere stati affermati dalla parte con modalita’ sufficientemente specifiche, puo’ ammettersi censura, da articolare nel rigoroso rispetto dei criteri di cui agli articoli 366 e 369 c.p.c., ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, qualora uno o piu’ dei predetti fatti integrino direttamente elementi costitutivi della fattispecie astratta e dunque per violazione della norma sostanziale, oppure ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, per omesso esame di una o piu’ di tali circostanze la cui considerazione avrebbe consentito, secondo parametri di elevata probabilita’ logica, una ricostruzione dell’accaduto idonea ad integrare gli estremi della fattispecie rivendicata”.
3. Con il quarto motivo e’ dedotta la violazione dell’articolo 116 c.p.c. (e articolo 24 Cost.) con riferimento alla presunzione con cui il giudice del reclamo aveva ritenuto non verosimile che l’alterazione documentale fosse stata operata dal figlio del (OMISSIS) sua sponte.
Tuttavia la Corte, come detto, ha espresso una ratio decidendi finale che prescinde dalla riferibilita’ all’una o altra persona dell’alterazione, in quanto ha valorizzato come definitivamente rilevante il fatto che vi fosse stato comunque l’uso di un atto falso e non diligentemente controllato, rilievo rispetto al quale e’ ininfluente chi fosse stato l’autore della manomissione documentale.
Il motivo e’ dunque inconferente.
4. Con il quinto motivo e’ addotta la violazione o falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, articolo 18, comma 4 e 5, assumendosi che il difetto di proporzione nella sanzione irrogata atterrebbe ai profili di giuridicita’ del fatto, sicche’ il rilievo della Corte d’Appello per cui l’illecito accertato non rientrava nella tipizzazione dei comportamenti rilevanti disciplinarmente secondo la contrattazione collettiva, avrebbe comunque dovuto portare all’applicazione del comma 4, e non del comma 5, con susseguente applicazione della tutela reintegratoria, oltre che indennitaria.
Con il sesto motivo si assume ancora la violazione (articolo 360 c.p.c., n. 3) della L. n. 300 del 1970, articolo 18, comma 4 e 5, in una con quella degli articoli 38 e 75 c.c.n.l. (OMISSIS) del 9.4.2008, per avere comunque la Corte erroneamente ritenuto che la contrattazione collettiva non contemplasse l’ipotesi accertata, in quanto la medesima era invece da essa prevista nella parte in cui si prevedeva comunque la gradazione delle sanzioni “in relazione alla gravita’ o recidivita’ della mancanza o del grado di colpa”.
La violazione delle stesse norme e’ infine addotta a fondamento del settimo ed ultimo motivo di ricorso, secondo cui le due condotte contestate andavano considerate come un unicum inscindibile, sicche’ il riconoscimento dell’infondatezza di uno degli addebiti, quale si era orami definitivamente avuta nel caso di specie, comportava di necessita’ la caducazione anche dell’altro, con riconoscimento quindi dell’insussistenza nel suo complesso del fatto perseguito ed applicazione della tutela reintegratoria di cui all’articolo 18, comma 4.
5. I motivi, riguardando le stesse norme, possono essere esaminati congiuntamente, sulla premessa preliminare che il rapporto, risalendo ad un contratto di lavoro originario tra (OMISSIS) s.p.a. ed il lavoratore, ha natura piena di diritto privato, sicche’ ad esso trova applicazione la L. n. 300 del 1970, articolo 18 quale riformato dalla L. n. 92 del 2012.
5.1 Si deve poi considerare che “qualora il licenziamento sia intimato per giusta causa e siano stati contestati al dipendente diversi episodi rilevanti sul piano disciplinare, ciascuno di essi autonomamente considerato costituisce base idonea per giustificare la sanzione. Non e’ dunque il datore di lavoro a dover provare di aver licenziato solo per il complesso delle condotte addebitate, bensi’ la parte che ne ha interesse, ossia il lavoratore, a dover provare che solo presi in considerazione congiuntamente, per la loro gravita’ complessiva, i singoli episodi fossero tali da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto di lavoro” (Cass. 28 luglio 2017, n. 18836).
L’insussistenza del fatto attorno alla quale ruota la disciplina di cui all’articolo 18, comma 4 cit., ricorre dunque, in caso di pluralita’ di addebiti, solo qualora nessuno di essi, come detto da presumere base idonea per giustificare la sanzione, sia sussistente o se, comunque, possa dirsi che anche i fatti accertati come verificatisi, siano disciplinarmente del tutto irrilevanti.
Nel caso di specie, l’affermazione, contenuta nel settimo motivo di ricorso, secondo cui il comportamento perseguito dal datore di lavoro, pur consistendo di due fatti, sarebbe da considerare come unico, e’ puramente apodittica, mentre la sussistenza di un fatto disciplinarmente rilevante e’ stata accertata e in se’ resiste ai motivi di ricorso.
Pertanto l’assunto di cui al settimo motivo va disatteso e, residuando comunque uno solo dei due fatti contestati, il problema potrebbe porsi semmai, come del resto ha ritenuto la Corte territoriale, sotto il profilo della proporzionalita’ della sanzione.
5.2 Quanto a tale aspetto ed alla conseguenze della violazione dei canoni di proporzionalita’, deve darsi seguito alla ormai costante giurisprudenza di questa Corte secondo cui “in tema di licenziamento disciplinare, qualora vi sia sproporzione tra sanzione e infrazione, va riconosciuta la tutela risarcitoria se la condotta in addebito non coincida con alcuna delle fattispecie per le quali i contratti collettivi ovvero i codici disciplinari applicabili prevedono una sanzione conservativa; in tal caso il difetto di proporzionalita’ ricade, difatti, tra le “altre ipotesi” di cui all’articolo 18, comma 5, st.lav., come modificato dalla L. n. 92 del 2012, articolo 1, comma 42, in cui non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa di licenziamento ed e’ accordata la tutela indennitaria cd. forte” (Cass. 20 maggio 2019, n. 13533; Cass. 12 ottobre 2018, n. 25534; Cass. 17 ottobre 2018, n. 26013).
L’orientamento si fonda su una nozione rigorosa di tipicita’ (v. il caso deciso da Cass. 13533/2019 cit.), che e’ integrata solo dalle ipotesi in cui la contrattazione collettiva preveda in modo specifico fattispecie e relative sanzioni e non quando essa non contenga tipizzazioni o si esprime attraverso formule generiche di gravita’ o simili, tali da rimettere al giudice il controllo valutativo consequenziale.
Cio’ in coerenza con la ratio della previsione del comma 4, cit., che consiste nella valorizzazione del “grado di divergenza della condotta datoriale dal modello legale e contrattuale legittimante” (Cass. 16 luglio 2017, n. 13178; analogamente, Cass. 16 luglio 2018, n. 18823), nel senso che piu’ grave e’ la sanzione allorquando per tabulas maggiore e’, per la violazione di specifica tipizzazione della contrattazione collettiva, la prevedibilita’ di una sproporzione dell’addebito.
Essendosi altresi’ precisato che la tutela reintegratoria in ambito disciplinare “costituisce l’eccezione alla regola rappresentata dalla tutela indennitaria, presupponendo la L. n. 300 del 1970, articolo 18, comma 4, l’abuso consapevole del potere disciplinare, che implica una conoscenza preventiva, da parte del datore di lavoro, della illegittimita’ del provvedimento espulsivo, derivante o dalla insussistenza del fatto contestato o dalla chiara riconducibilita’ della condotta tra le fattispecie ritenute dalle parti sociali inidonee a giustificare l’espulsione del lavoratore” (Cass. maggio 2019, n. 12365).
Poiche’ nel caso di specie, come precisato dalla Corte di merito, il c.c.n.l. non contiene alcuna tipizzazione delle condotte disciplinari, va da se’, sulla base di quanto finora detto, che sia da ritenere corretta l’applicazione della sola tutela indennitaria.
5. Il ricorso va dunque integralmente rigettato, senza alcun provvedimento sulle spese, in quanto la parte datoriale e’ rimasta intimata.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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