In tema di vendita con riserva della proprietà

Corte di Cassazione, civile, Sentenza 14 ottobre 2020, n. 22190.

In tema di vendita con riserva della proprietà, la disposizione di cui all’art. 1525 c.c. ha lo scopo di limitare l’autonomia contrattuale attraverso “l’eteroregolamentazione legale che richiede, affinché la vendita possa risolversi su domanda del venditore rimasto creditore del prezzo, che il compratore non sia inadempiente per il mancato pagamento di una sola rata che non superi l’ottava parte del prezzo”, con “la rilevanza dell’inadempimento tipizzata dall’ordinamento che preclude al venditore o al suo cessionario di poter chiedere la risoluzione oltre i limiti della rilevanza legale”.

Sentenza 14 ottobre 2020, n. 22190

Data udienza 13 febbraio 2020

Tag/parola chiave: Proprietà – Risoluzione del contratto preliminare di compravendita – Reiterazione di censure già scrutinate nel giudizio di merito – Genericità delle doglianze – Rigetto

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 4653/2016 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS) SNC, quale titolare dell’omonima impresa individuale e, in persona dei soci e legali rappresentanti, elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 1319/2015 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 13/07/2015;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13/02/2020 dal Consigliere Dott. CHIARA BESSO MARCHEIS;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PATRONE Ignazio, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso;
udito l’Avvocato (OMISSIS), difensore dei resistenti che si riporta agli atti depositati.

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione del 19 giugno 2002 (OMISSIS) e la societa’ (OMISSIS) s.n.c. convenivano in giudizio (OMISSIS), chiedendo che venisse dichiarata la risoluzione del contratto preliminare di compravendita, stipulato tra le parti in relazione al complesso aziendale costituito dal (OMISSIS) e dall’impresa individuale (OMISSIS), risoluzione derivante dalla clausola risolutiva espressa prevista dal contratto, operante in caso di mancato pagamento anche di una sola rata del prezzo per inadempimento di (OMISSIS), con conseguente condanna di quest’ultimo al risarcimento dei danni subiti. Costituitosi in giudizio, (OMISSIS) domandava in via riconvenzionale la condanna degli attori al risarcimento del danno per il mancato utilizzo delle aziende.
Il Tribunale di Firenze, sezione distaccata di Empoli, con sentenza n. 131/2011, pur dando atto del parziale inadempimento del convenuto (mancato pagamento di Lire 30.120.000 a fronte dei 500.000.000 di lire pattuiti), ha rigettato la domanda attorea, ritenendo applicabile al caso di specie l’articolo 1525 c.c. e ha rigettato pure la domanda proposta in via riconvenzionale dal convenuto per mancanza di prove.
2. Avverso tale sentenza proponevano appello (OMISSIS) e la societa’ (OMISSIS) s.n.c., lamentando l’erronea applicazione dell’articolo 1525 c.c., al caso di specie nonche’ l’erronea quantificazione dell’inadempimento in Lire 30.120.000 anziche’ in Lire 283.356.000, come provato in atti. (OMISSIS) spiegava appello incidentale in punto rigetto della propria pretesa risarcitoria.
La Corte d’appello di Firenze, preliminarmente condivisa l’interpretazione del contratto operata dal giudice di prime cure quale contratto di vendita con patto di riservato dominio anziche’ quale contratto preliminare, riteneva pero’ inapplicabile al caso di specie l’articolo 1525 c.c., essendo piu’ d’una le rate non pagate da (OMISSIS). Pertanto, con sentenza 30 luglio 2015, n. 1319, in riforma dell’impugnata sentenza, il Tribunale dichiarava la risoluzione del contratto, confermava l’ordinanza di restituzione agli appellanti delle aziende oggetto di compravendita, emessa dal Tribunale di Firenze in data 18 maggio 2002 in seguito a ricorso ex articolo 700 c.p.c. e, operata la compensazione tra il dare e l’avere delle parti, condannava l’appellato al pagamento della somma residua di Euro 15.857,50; dichiarava invece inammissibile, per genericita’ dei motivi, l’appello incidentale.
3. Contro la sentenza ricorre per cassazione (OMISSIS). Resistono con controricorso (OMISSIS) e la societa’ (OMISSIS) s.n.c..

CONSIDERATO

Che:
I. Il ricorso e’ articolato in quattordici motivi, che riportano quasi tutti la seguente rubrica: “ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione e/o falsa applicazione del principio fondamentale dell’uomo del ricorrente sig. (OMISSIS) di peaceful enjoyment of his possessions di cui all’articolo 1 prot. 1 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo ex articoli 2 e 117 Cost. Italiana, con violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 2 Cost., comma 1 e/o articolo 117 Cost. italiana, oltre che violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 42 Cost. italiana, ed oltre che per violazione e/o falsa applicazione degli articoli 1525, 1526, 1362, 1363, 1325, 1455 e 1341 c.c., articoli 112 e 228 c.p.c., anche in relazione a questi stessi; e ovvero in subordine, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ex articolo 112 c.p.c. ed ex articolo 228 c.p.c. e del principio della completezza della prova formatasi in appello; e ovvero in ulteriore subordine ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omessa valutazione di una circostanza essenziale, sulla quale vi e’ stato contraddittorio tra le parti, prova documentale, confessione adversa e comunque nessuna contestazione da parte avversa”.
1) Per il primo motivo – la rubrica e’ sopra riportata – la Corte d’appello avrebbe disatteso la lettera e comunque l’interpretazione costituzionalmente orientata dell’articolo 1525 c.c., cosi’ che il ricorrente chiede al Collegio di sollevare questione di legittimita’ costituzionale dell’articolo nella interpretazione seguita dal giudice d’appello.
Il motivo non puo’ essere accolto. La Corte d’appello non ha disatteso ne’ la lettera ne’ l’interpretazione costituzionalmente orientata dell’articolo 1525 c.c.. L’applicazione della disposizione e’ infatti stata esclusa perche’ le rate, a prescindere dal loro ammontare, erano piu’ di una (p. 11 della sentenza impugnata). In tal modo il giudice ha rispettato la lettera dell’articolo (“nonostante patto contrario, il mancato pagamento di una sola rata, che non superi l’ottava parte del prezzo, non da’ luogo alla risoluzione del contratto”) e il suo scopo, che e’ quello di limitare l’autonomia contrattuale attraverso “l’eteroregolamentazione legale che richiede, affinche’ la vendita possa risolversi su domanda del venditore rimasto creditore del prezzo, che il compratore non sia inadempiente per il mancato pagamento di una sola rata che non superi l’ottava parte del prezzo”, con “la rilevanza dell’inadempimento tipizzata dall’ordinamento che preclude al venditore o al suo cessionario di poter chiedere la risoluzione oltre i limiti della rilevanza legale” (Cass., sez. un., n. 11718/1993), senza per questo violare le svariate norme costituzionali e sovranazionali richiamate dal ricorrente.
Quanto alla richiesta di sollevare la questione di legittimita’ costituzionale essendo necessaria una lettura costituzionalmente orientata della disposizione, la richiesta e’ inammissibile, spettando l’interpretazione conforme al giudice ordinario.
2) Per il secondo motivo – la rubrica e’ sopra riportata – la Corte d’appello non ha tenuto conto “della circostanza essenziale della successiva e continua presentazione all’incasso delle successive cambiali, rispetto a quelle chiamate a fondare il ricorso ex articolo 700 e la risoluzione automatica”.
Il motivo non puo’ essere accolto. Il giudice d’appello ha basato la propria decisione sul mancato pagamento di piu’ di una rata (dal 15 ottobre 2001 al 6 o 15 febbraio 2002), cosi’ che l’eventuale successiva presentazione all’incasso delle cambiali non e’ circostanza decisiva.
3) Per il terzo motivo – la rubrica e’ sopra riportata l’inadempimento fatto valere da controparte sarebbe riconducibile al previo grave inadempimento della medesima rispetto alla “clausola 7/a del contratto”, per “omessa stipulazione con il ricorrente compratore (OMISSIS) del nuovo contratto e delle sue condizioni economiche peggiorative in danno del (OMISSIS) stesso”.
Il motivo non puo’ essere accolto. Il giudice d’appello, attesa la natura di vendita con riserva della proprieta’ del contratto e la previsione della clausola risolutiva espressa collegata al mancato pagamento di una sola rata, ha dichiarato la risoluzione del contratto, risoluzione del contratto che non opera ope iudicis, non e’ cioe’ sottoposta al controllo giudiziale sulla notevole importanza dell’inadempimento di cui all’articolo 1455 c.c.: essendo la risoluzione ope legis, “basta la richiesta del creditore per far scattare la risoluzione, senza che sia necessaria l’azione giudiziaria che accerti e controlli la rilevanza dell’inadempimento e all’esito dichiari l’avvenuta risoluzione” (Cass., sez. un., n. 11718/1993, gia’ richiamata), cosi’ che diviene irrilevante, rispetto alla risoluzione del contratto, l’eventuale inadempimento del venditore.
4) Per il quarto motivo – la rubrica e’ sopra riportata – la Corte d’appello avrebbe dovuto tenere conto ai fini della rilevanza dell’inadempimento che le somme pagate da (OMISSIS) ammontano a Lire 323.169.180 e considerare che l’inadempimento era comunque giustificato dall’illecita maggiorazione del contratto di locazione.
Il motivo non puo’ essere accolto. Come nel precedente motivo, il ricorrente non considera che il giudice d’appello ha dichiarato risolto il contratto ope legis e non ope iudicis, quindi senza un controllo della rilevanza dell’inadempimento.
5) Per il quinto motivo – la rubrica e’ sopra riportata – la Corte d’appello ha disatteso le confessioni rese nell’interrogatorio formale da (OMISSIS), cosi’ come le dichiarazioni testimoniali “tutte favorevoli a (OMISSIS)”.
Il motivo e’ inammissibile in quanto chiede a questa Corte – senza trascrivere, in particolare per le dichiarazioni dei testimoni, i capitoli di prova e le dichiarazioni rese – di valutare elementi di prova, valutazione che spetta al giudice di merito e non a questa Corte di legittimita’.
6) Per il sesto motivo – che riporta “ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione e/o falsa applicazione della L. n. 1923 del 1957, articolo 31 e, ovvero in subordine, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ex articoli 112 e 115 c.p.c., ed ex articolo 228 c.p.c. e del principio della completezza della prova formatasi in appello; e ovvero in ulteriore subordine ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omessa valutazione di una circostanza essenziale, sulla quale vi e’ stato contraddittorio tra le parti, prova documentale, confessione adversa e comunque nessuna contestazione da parte avversa” – la consulenza tecnica d’ufficio “e’ del tutto infondata” non avendo (OMISSIS) titolo rispetto all’assegnazione della rivendita ed avendo la medesima consulenza disatteso le risultanze testimoniali.
Il motivo e’ inammissibile perche’ – come nel motivo precedente si chiede a questa Corte di valutare elementi di prova che vengono solo genericamente richiamati, ma non specificamente riportati.
7) Per il settimo motivo – la rubrica e’ sopra riprodotta – la Corte d’appello ha disatteso “l’inesistenza, la nullita’, l’inefficacia, l’irrilevanza della consulenza tecnica d’ufficio, sempre determinata dal dispregio delle preclusioni istruttorie e confessorie e testimoniali”.
Il motivo, generico nella individuazione dei vizi da cui sarebbe affetta la consulenza tecnica d’ufficio, e’ comunque inammissibile in quanto chiede a questa Corte di legittimita’ una rivalutazione del mezzo istruttorio.
8) L’ottavo motivo – che riporta “ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione e/o falsa applicazione degli articoli 334 e 342 c.p.c. e ovvero in subordine, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ex articoli 334, 342, 112, 228, 183 e 184 c.p.c., del principio della completezza della prova formatasi in appello; e ovvero in ulteriore subordine ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omessa valutazione di una circostanza essenziale, sulla quale vi e’ stato contraddittorio tra le parti, prova documentale, confessione adversa e comunque nessuna contestazione da parte avversa” – lamenta la declaratoria di inammissibilita’ dell’appello incidentale proposto dal ricorrente.
Il motivo – del quale non si comprende il richiamo alla giurisprudenza “tutta in materia di diritto amministrativo” – e’ inammissibile perche’ generico, non riportando i motivi dell’appello incidentale.
9) Il nono motivo, dopo la rubrica sopra riprodotta, lamenta “l’omessa valutazione della nullita’ di ogni atto processuale di ogni grado e/o fase in quanto sottoscritti unicamente da un solo socio e non come necessario da tutti”.
Il motivo e’ inammissibile nella sua genericita’ e apoditticita’, e sembra sottendere che tutti gli atti del processo debbano essere sottoscritti personalmente dalla parte (pur rappresentata in giudizio da un difensore) e in particolare da tutti i soci di una societa’ in nome collettivo.
10) Il decimo motivo, dopo la rubrica sopra riportata, si limita a contestare “omessa valutazione della vessatorieta’ dell’articolo 700 c.p.c., in quanto non espressamente richiamato e sottoscritto ex articolo 1341 c.c.”.
Il motivo, assolutamente generico, e’ inammissibile.
11) L’undicesimo motivo – la rubrica e’ sopra riprodotta denuncia che si sarebbe formato giudicato implicito sulla sentenza di primo grado “circa l’assenza di danno sulla azienda (OMISSIS), mai ex adverso impugnata.. essendo indistinta e indistinguibile la cifra per l’impresa individuale” e si sarebbe “altresi’ formato il giudicato sulla omessa domanda di risarcimento del danno da parte dell’impresa individuale”.
Il motivo e’ inammissibile in quanto eccepisce la formazione del giudicato interno su una parte della decisione di primo grado si’ riportando le conclusioni di controparte di primo e secondo grado, ma senza riportare la decisione di primo grado.
12) Secondo il dodicesimo motivo – la rubrica e’ sopra riprodotta “nessuna parte avversa mai ha proposto alcuna domanda di equo compenso quale deterioramento della cosa venduta”, cosi’ che i 25.000 Euro riconosciuti dalla Corte d’appello “sono privi di ogni titolo, con violazione e falsa applicazione dell’articolo 112 c.p.c.”.
Il motivo e’ infondato. Il giudice d’appello ha riconosciuto la somma di Euro 25.000 “quale equo compenso per il naturale deterioramento della cosa venduta e contropartita all’uso” e nell’atto di citazione gli attori avevano richiesto “la somma di Euro 104.117,71 o quella maggiore o minore che sara’ ritenuta di giustizia per l’uso delle aziende” (v. p. 4 del controricorso), cosi’ che non e’ ravvisabile il vizio di cui all’articolo 112 c.p.c..
13) Nel tredicesimo motivo alla rubrica sopra riprodotta segue la frase “in quanto le sanzioni per Euro 424 per il gioco lotto che non e’ nemmeno oggetto di contratto tra le parti”.
Il motivo e’ inammissibile perche’ del tutto generico.
14) Per il quattordicesimo motivo – la rubrica e’ sopra riprodotta il ricorrente sarebbe comunque creditore “come provato in atti dalle confessioni avverse e dai documenti avversi offerti in prova e dalle non contestazioni avverse, ut sopra gia’ espresso”, con una debenza finale – sembra – di Euro 74.052,23 in suo favore.
Il motivo, che si limita a richiamare confessioni, documenti, non contestazioni avverse “ut sopra”, e’ inammissibile perche’ generico.
II. Il ricorso va quindi rigettato.
Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, si da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in favore dei controricorrenti che liquida in Euro 9.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge.
Sussistono, del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, ex articolo 13, comma 1-quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis, se dovuto.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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