In tema di stupefacenti

Corte di Cassazione, sezione prima penale, Sentenza 30 aprile 2020, n. 13453.

Massima estrapolata:

In tema di stupefacenti, non viola il divieto di “reformatio in peius” il giudice dell’esecuzione che, nel procedere a rideterminare la pena inflitta a seguito di patteggiamento, per il reato di cui all’art. 73, comma 1, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, alla luce della diversa cornice edittale applicabile a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 40 del 2019, in assenza di accordo tra le parti, applichi una minore riduzione di pena per le circostanze attenuanti generiche e per il rito, purché renda adeguatamente conto delle ragioni dei rispettivi scostamenti, con motivazione tanto più specifica quanto più essi sono ampi, fermo restando il necessario rispetto delle valutazioni concernenti il complessivo giudizio di disvalore già espresso in sentenza.

Sentenza 30 aprile 2020, n. 13453

Data udienza 3 marzo 2020

Tag – parola chiave: Traffico di stupefacenti – Dpr 309 del 1990 – Condanna – Sentenza della corte costituzionale 40 del 2019 – Rideterminazione della pena – Parametri – Legge 49 del 2006 – Criteri – Sentenza della corte di cassazione a sezioni unite 42858 del 2014 – Limiti edittali – Sentenza della corte costituzionale 32 del 2014 – Droghe pesanti e leggere – Differente trattamento sanzionatorio – Sentenza della corte di cassazione a sezioni unite 33040 del 2015 – Difetto di motivazione

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SIANI Vincenzo – Presidente

Dott. SARACENO Rosa Anna – Consigliere

Dott. CASA Filipp – rel. Consigliere

Dott. CENTOFANTI Francesco – Consigliere

Dott. CAPPUCCIO Daniele – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 17/06/2019 del GIP TRIBUNALE di COSENZA;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. FILIPPO CASA;
lette le conclusioni del PG Paola FILIPPI, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Su richiesta presentata dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Cosenza alla luce della sentenza n. 40/2019 della Corte costituzionale, il Giudice per le indagini preliminari della sede, in funzione di giudice dell’esecuzione, rideterminava, con l’ordinanza in epigrafe, la pena applicata in sede di cognizione ex articolo 444 c.p.p., nei confronti di (OMISSIS) per una serie di reati unificati dalla continuazione (reato piu’ grave, quello di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 1, ascritto al capo 25).
1.1. Dall’esame della sentenza di “patteggiamento” emessa dal G.I.P. di Cosenza in data 15.11.2017 (irrevocabile il 18.9.2018), solo sommariamente richiamata nel provvedimento impugnato e versata in atti, si evince che l’accordo delle parti, in riferimento a venti reati contestati (per la maggior parte per traffico di droga “pesante” e “leggera”, ma anche per estorsione, incendio, violazione della legge sulle armi, ricettazione e furto aggravato), era stato ratificato dal Giudice adito nei termini che seguono: pena base, calcolata in relazione al reato piu’ grave di cui al capo 25) (detenzione, al fine di cessione, di 276 grammi di hashish e 23 grammi di cocaina) ed esclusa l’aggravante di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 80, dal capo 108), otto anni di reclusione e 27.000,00 Euro di multa; ridotta per effetto del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, prevalenti sulle residue aggravanti contestate, alla pena di cinque anni, quattro mesi di reclusione e 18.000,00 Euro di multa; aumentata, per la continuazione con gli altri diciannove reati ascritti, alla pena di sei anni, undici mesi di reclusione e 19.500,00 Euro di multa; ridotta per il rito del patteggiamento a quattro anni, sei mesi di reclusione e 13.000,00 Euro di multa.
1.2. Il Giudice dell’esecuzione, sulla scorta di una rivalutazione del fatto e della sua gravita’, riteneva che il trattamento sanzionatorio, ferma restando la pena pecuniaria, fosse rideterminabile secondo il seguente calcolo: pena base sei anni di reclusione; ridotta per le circostanze attenuanti generiche, prevalenti sulle aggravanti contestate, alla pena di cinque anni reclusione; aumentata per la continuazione alla pena di sei anni; ridotta per il rito alla pena di quattro anni e sei mesi di reclusione.
2. Ricorre per cassazione (OMISSIS), con il ministero del difensore, deducendo violazione del divieto di reformatio in peius ex articolo 597 c.p.p., articolo 188 disp. att. c.p.p. e articolo 444 c.p.p., per sostanziale elusione dell’accordo originario intercorso tra le parti con particolare riguardo all’entita’ della diminuzione operata per il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e per la scelta del rito.
3. Il Procuratore Generale presso questa Corte, nella sua requisitoria scritta, ha concluso per il rigetto del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ fondato per quanto di ragione.
2. La questione centrale da affrontare trae origine dalla declaratoria di illegittimita’ costituzionale del Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 73, comma 1, pronunciata con la sentenza n. 40 del 23/1/2019 (in G.U. del 13/3/2019) in relazione al minimo edittale di otto anni di reclusione, previsto per la fattispecie delittuosa citata dopo essere stato ripristinato per effetto della precedente decisione della Corte costituzionale n. 32 del 25/2/2014.
Con tale decisione (n. 32/2014) si era, infatti” determinata la reviviscenza del testo normativo in vigore antecedentemente alla modifica introdotta dal Decreto Legge n. 272 del 2005, articolo 4-bis, comma 1, lettera b, convertito con mod. nella L. n. 49 del 2006, con restaurazione, per le condotte relative a detenzione e cessione di droghe cd. pesanti, del trattamento minimo di otto anni di reclusione, soglia che il Giudice delle leggi ha, oggi, dichiarato illegittima, facendo, cosi’, rivivere il limite minimo di sei anni.
3. Per la migliore comprensione della tematica devoluta dal ricorso, occorre prendere le mosse dalle linee ermeneutiche tracciate dalla sentenza Sez. U., n. 42858 del 29/5/2014, P.M. in proc. Gatto, Rv. 260697, che ha enunciato, fra gli altri, il fondamentale principio in base al quale, quando, a seguito di una sentenza irrevocabile di condanna, interviene la dichiarazione d’illegittimita’ costituzionale di una norma penale diversa da quella incriminatrice, incidente sulla commisurazione del trattamento sanzionatorio, e quest’ultimo non sia stato interamente eseguito, il giudice dell’esecuzione deve rideterminare la pena in favore del condannato.
3.1. Con la richiamata decisione, che si innesta su un percorso interpretativo gia’ segnato da precedenti pronunce (Sez. U., n. 18821 del 24/10/2013, Ercolano, Rv. 258650; Sez. U., n. 4687 del 20/12/2005, Catanzaro, Rv. 232610), il Supremo Consesso ha affermato che l’efficacia del giudicato penale non implica l’immodificabilita’ in assoluto del trattamento sanzionatorio stabilito con la sentenza irrevocabile di condanna nei casi in cui la pena debba subire modificazioni necessarie imposte dal sistema a tutela dei diritti primari della persona, a partire dal diritto di liberta’ di cui all’articolo 13 Cost. (principio della cd. “flessibilita’” del giudicato: Sez. U, n. 42858/2014 cit., Rv. 260696; v. anche Corte Cost. sentenze n. 115 del 1987, n. 267 del 1987, n. 282 del 1989).
3.2. Quanto ai limiti dell’esercizio dei poteri spettanti al Giudice dell’esecuzione e alle sue modalita’ d’intervento a seguito di declaratoria di incostituzionalita’ di norma penale non incriminatrice, influente sul trattamento sanzionatorio, le Sezioni Unite hanno successivamente precisato, con la sentenza n. 33040 del 26/2/2015, Jazouli, Rv. 264205, in tema di droghe cd. “leggere”, che “E’ illegale la pena determinata dal giudice attraverso un procedimento di commisurazione che si sia basato, per le droghe cosiddette “leggere”, sui limiti edittali del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, come modificato dalla L. n. 49 del 2006, in vigore al momento del fatto, ma dichiarato successivamente incostituzionale con sentenza n. 32 del 2014, anche nel caso in cui la pena concretamente inflitta sia compresa entro i limiti edittali previsti dall’originaria formulazione del medesimo articolo, prima della novella del 2006, rivissuto per effetto della stessa sentenza di incostituzionalita’”.
3.3. Con la medesima pronuncia e con quella successiva n. 37107 del 26/2/2015, Marcon, Rv. 264858, le stesse Sezioni Unite hanno, quindi, negato validita’ al criterio oggettivo di tipo matematico-proporzionale di trasposizione automatica della pena gia’ quantificata in sede di cognizione nell’ambito della diversa previsione edittale (Sez. 1, n. 51844 del 25/11/2014, Riva, Rv. 261331; Sez. 1, n. 52980 del 18/11/2014, Cassia, non massimata), ribadendo la possibilita’ per il giudice dell’esecuzione di apprezzare in via discrezionale la congruita’ della pena, alla stregua dei parametri di cui agli articoli 132 e 133 c.p. e senza automatismi, onde verificarne la funzionalita’ alla rieducazione del soggetto che vi debba essere sottoposto ai sensi dell’articolo 27 Cost..
3.4. E’ stato, in seguito, affermato, con piu’ recenti arresti delle Sezioni semplici, che gli stessi principi sopra enunciati devono applicarsi anche quando l’operazione di “riqualificazione sanzionatoria” in sede di esecuzione debba essere compiuta per fatti riguardanti sostanze stupefacenti di tipo “pesante”, operazione resasi necessaria a seguito della gia’ evocata declaratoria di illegittimita’ costituzionale del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 1, contenuta nella sentenza C. Cost. n. 40/2019 e relativa al solo limite edittale minimo della pena detentiva (fra molte: Sez. 1, n. 3281 del 12/11/2019, dep. 27/1/2020, El Khairat, Rv. 278173-01; Sez. 1, n. 3280 del 12/11/2019, dep. 27/1/2020, Porcellini, Rv. 277857-01; Sez. 1, n. 2036 dell’11/12/2019, dep. 21/1/2020, Selishta, Rv. 278198-01; Sez. 1, n. 51959 del 30/10/2019, Haziraj, Rv. 277735).
3.4.1. Anche in tali casi, si e’, quindi, ribadito che il Giudice dell’esecuzione, nella ponderazione della lesivita’ della condotta, deve procedere a una riduzione “necessaria” della pena, tenendo presente che la modifica operata attraverso un intervento sul minimo edittale non permette di giudicare “congrua” una sanzione che era stata ritenuta tale quando la soglia della previsione punitiva per quel fatto era, nel minimo, decisamente piu’ alta (otto anni di reclusione).
4. Nella vicenda sottoposta all’odierno vaglio, scaturita da una sentenza ex articolo 444 c.p.p., divenuta irrevocabile, il G.I.P. del Tribunale di Cosenza ha provveduto, in sede di esecuzione, alla rideterminazione della pena, utilizzando i criteri di cui agli articoli 132 e 133 c.p., secondo i canoni dell’adeguatezza e della proporzionalita’ che hanno tenuto conto della nuova cornice edittale, pervenendo a una pena finale detentiva ridotta di un mese rispetto a quella applicata in cognizione.
Ha, in particolare, determinato la pena partendo dal minimo edittale “ripristinato” di sei anni di reclusione, pur avendo facolta’ di scegliere altra soglia base.
Questa parte di intervento rideterminativo della pena – invero legittimamente eseguita non e’ stata in alcun modo contestata dal ricorrente.
4.1. La questione sollevata dall’ (OMISSIS) ruota, piuttosto, attorno alla domanda se il Giudice dell’esecuzione abbia, in generale, il potere di rettificare in peius l’entita’ della riduzione della pena “patteggiata”, operata nella fase di cognizione, da un lato, in conseguenza del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e, dall’altro, per la scelta del rito alternativo.
Cio’, ovviamente, nel caso – come quello di specie – in cui non sia intervenuto un accordo tra le parti.
4.1.1. Secondo la tesi del ricorrente, in sostanza, il suddetto Giudice, nel pervenire a una pena finale in assoluto ridotta rispetto a quella applicata in cognizione, avrebbe dovuto rideterminare l’entita’ del trattamento sanzionatorio incidendo unicamente sulla pena-base e sui singoli aumenti da apportare su tale pena, ma non, come ha fatto, anche sulla entita’ della diminuzione derivante dal riconoscimento delle attenuanti generiche e dalla scelta del rito.
4.2. Tale assunto non puo’ essere condiviso, salvo quanto si dira’ sui requisiti della motivazione.
4.2.1. Va, intanto, osservato che il richiamo all’entita’ della pena oggetto di patteggiamento, come parametro in relazione al quale si sarebbe verificata la reformatio in peius, appare errato, atteso che la sentenza ex articolo 444 c.p.p., pronunciata nei confronti del ricorrente in data 15.11.2017 deve ritenersi, sotto il profilo della determinazione dell’entita’ del trattamento sanzionatorio, tamquam non esset.
Con essa, infatti, e’ stata applicata una pena-base illegale, in quanto le parti, nel fissarla, hanno fatto riferimento ai limiti edittali vigenti prima che la Corte costituzionale determinasse, con la sentenza n. 40/2019, la restaurazione del limite edittale minimo, per le cd. droghe “pesanti”, nella misura di sei anni di reclusione.
4.2.2. Competeva, pertanto, al Giudice dell’esecuzione, in assenza di un nuovo accordo tra le parti ex articolo 188 disp. att. c.p.p. (o anche in caso di nuova pena concordata reputata incongrua), procedere, in piena autonomia, a una nuova determinazione del trattamento sanzionatorio, alla luce dei principi in precedenza richiamati, permanendo l’effetto preclusivo del giudicato solo in relazione ai profili relativi alla sussistenza del fatto, alla sua attribuibilita’ soggettiva e alla sua qualificazione giuridica (Sez. U., n. 37107 del 26/2/2015, Marcon, Rv. 264857-264858-01), nonche’ al giudizio di comparazione tra circostanze eterogenee, rimaste estranee alla pronuncia di illegittimita’ costituzionale, giudizio, quest’ultimo, che resta, pertanto, coperto dal giudicato (Sez. 1, n. 5199 del 24/11/2015, P.M. in proc. Vitali, Rv. 266137-01).
4.2.3. In assenza dell’effetto preclusivo del giudicato, sarebbero, allora, potute rientrare, nell’operazione di rideterminazione della sanzione, non soltanto le modifiche strettamente attinenti alla rimodulazione della pena base, intesa come prima approssimazione ad una sanzione individualizzata, ma anche le statuizioni ulteriori, quali quelle – qui rilevanti – riguardanti l’incidenza delle circostanze attenuanti generiche, il cui peso puo’ legittimamente essere variato in sede esecutiva, proprio nel rispetto delle considerazioni all’uopo contenute nella sentenza di merito; e cio’, in quanto il giudizio demandato al Giudice dell’esecuzione, finalizzato alla rideterminazione della pena divenuta illegale per incostituzionalita’ di norma sul trattamento sanzionatorio, concerne la complessiva commisurazione della pena, in tutte le componenti del trattamento sanzionatorio.
4.3. Per quanto detto, era pienamente consentito al G.I.P. del Tribunale di Cosenza di intervenire, come ha fatto, nella rideterminazione del trattamento sanzionatorio, anche sull’entita’ della riduzione della pena derivante dal riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche (cosi’, Sez. 1, n. 4085 del 26/11/2019, dep. 30/1/2020, Greganti, Rv. 278186-01; Sez. 1, n. 50693 del 14/11/2019, Frate, Rv. 277865-01; Sez. 5, n. 48373 del 14/7/2017, Moukane, Rv. 271268; contra, Sez. 1, n. 49106 dell’8/11/2019, Cuomo, Rv. 278076-01).
4.3.1. Tuttavia, anche nel giudizio sul quantum della diminuzione di pena per le attenuanti generiche, la valutazione discrezionale del Giudice non puo’ mai prescindere dagli indicatori astratti (il minimo e il massimo edittale) del disvalore del fatto, con la conseguenza che, ove tali indicatori cambino, mutano i parametri entro i quali la valutazione in concreto deve essere effettuata.
4.3.2. Se, dunque, in linea di principio, e purche’ inquadrata nel giudizio di disvalore espresso dal Giudice della cognizione (seppure in sede di ratifica del patteggiamento), la frazione di pena derivante dall’applicazione delle attenuanti puo’ essere rimeditata, va, peraltro, precisato che, quanto piu’ sensibile sia lo scostamento tra la frazione della diminuente convenuta dalle parti nel patteggiamento ratificato dal Giudice e la frazione autonomamente fissata dal Giudice dell’esecuzione, tanto piu’ quest’ultimo e’ chiamato ad assolvere l’onere di motivare la ragione della differenza, senza contrastare le valutazioni contenute nella sentenza originaria.
4.3.3. Ritiene il Collegio che, nel caso di specie, il Giudice dell’esecuzione non abbia assolto all’onere motivazionale cui era chiamato, perche’, pur avendo operato la riduzione della pena per il riconoscimento delle attenuanti generiche in misura inferiore esattamente della meta’ rispetto a quanto concordato nel patto originario ex articolo 444 c.p.p. (un sesto rispetto a un terzo), non ha dato conto delle ragioni della sensibile differenza; ragioni che, nel procedimento d’interesse, si imponevano anche sotto il profilo della coerenza logica di siffatta netta riduzione con l’individuazione di una pena-base ancorata al minimo edittale (sintomatica, cioe’, di un disvalore del fatto stimato, in concreto, non elevato e diminuita di due anni rispetto al giudizio di cognizione), con una frazione di aumento operata ex articolo 81 cpv. c.p., ridotta di sette mesi rispetto all’aumento apportato in cognizione e, infine, con un giudizio di bilanciamento che ha visto il riconoscimento delle attenuanti generiche con carattere di prevalenza.
5. Analoghe considerazioni possono svolgersi quanto all’entita’ della diminuzione operata per la scelta del rito alternativo del “patteggiamento”, atteso che, essendo la misura della riduzione premiale prevista non in misura fissa, ma variabile (“fino a un terzo”: articolo 444 c.p.p., comma 1), la verifica della congruita’ della pena, complessivamente concordata, da parte del Giudice, deve ritenersi investire anche detta diminuente (cosi’ Sez. 5, n. 389 del 25/9/1992, dep. 18/1/1993, Barba, Rv. 193167-01).
Nel caso di specie, oltre a doversi rilevare un errore nel calcolo aritmetico del primo Giudice, che ha portato a una riduzione per il rito in misura addirittura superiore a un terzo (infatti, per giungere alla pena finale di quattro anni e sei mesi di reclusione, egli sarebbe dovuto partire, dopo l’aumento per la continuazione, da sei anni e nove mesi di reclusione e non da sei anni e undici mesi), si osserva che, in fase di esecuzione, il G.I.P. del Tribunale di Cosenza, senza alcuna motivazione sulla differenza rispetto alla pena originaria, ha operato una riduzione premiale pari a poco piu’ di un quarto.
6. Per le esposte ragioni, l’ordinanza impugnata deve essere annullata, con rinvio per nuovo esame al G.I.P. del Tribunale di Cosenza, quale giudice dell’esecuzione, che dovra’ colmare le lacune e sciogliere le incongruenze motivazionali evidenziate sull’entita’ della riduzione della pena, operata in conseguenza del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e per la scelta del rito alternativo.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al G.I.P. del Tribunale di Cosenza.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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