Corte di Cassazione, sezione quinta penale, Sentenza 26 giugno 2020, n. 19370.
Massima estrapolata:
In tema di stupefacenti, il giudice dell’esecuzione che, in sede di rideterminazione della pena inflitta a seguito di patteggiamento per il reato di cui all’art. 73, comma 1, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, alla luce della cornice edittale ridefinita “in melius” per le cd. droghe “pesanti” dalla sentenza della Corte costituzionale n. 40 del 2019, in assenza di accordo tra le parti conservi l’originaria sanzione applicata deve motivare in modo specifico e con rafforzato grado di persuasività in virtù di quali parametri, evincibili dalla sentenza irrevocabile, la pena applicata risulti ancora conforme al complessivo disvalore del fatto e funzionale al reinserimento sociale del condannato.
Sentenza 26 giugno 2020, n. 19370
Data udienza 8 giugno 2020
Tag – parola chiave: Esecuzione – Reati in materia di stupefacenti – Art. 444 c.p.p. – Rideterminazione della pena – Illegittimità costituzionale art. 73, comma 1, D.P.R. 309/90 – Droghe pesanti – Riduzione del minimo edittale della pena – Correzione del trattamento sanzionatorio anche quando la pena in concreto rientri nel range edittale
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PALLA Stefano – Presidente
Dott. ZAZA Carlo – Consigliere
Dott. SESSA Renata – Consigliere
Dott. TUDINO Alessandri – rel. Consigliere
Dott. MOROSINI Elisabetta M. – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 25/11/2019 del GIP TRIBUNALE di ANCONA;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. ALESSANDRINA TUDINO;
lette/sentite le conclusioni del PG.
RITENUTO IN FATTO
1.Con l’ordinanza impugnata, il Giudice per le indagini preliminari di Ancona-giudice dell’esecuzione, decidendo in sede di rinvio in seguito ad annullamento, statuito da questa Corte con sentenza n. 41933/2019, ha rigettato l’istanza di rideterminazione della pena, proposta nell’interesse di (OMISSIS) al medesimo applicata ex articolo 444 c.p.p. in ordine al reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 (importazione dalla Turchia di kg. 8,875 di eroina) con sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Ancona del 26 settembre 2016, irrevocabile il 18 maggio 2017.
2. Con la sentenza di annullamento indicata, la Prima Sezione di questa Corte ha censurato l’ordinanza del giudice dell’esecuzione che, pur a fronte della sentenza della Corte costituzionale n. 40/2019 – che, come noto, ha dichiarato l’illegittimita’ costituzionale del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, nella parte in cui prevedeva la pena edittale minima della reclusione pari ad anni otto, anziche’ ad anni sei, per fatti non lievi aventi ad oggetto sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alle tabelle I e III previste dal cit. Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 14 (cc. dd. droghe pesanti) – aveva ritenuto la sanzione applicata a (OMISSIS) conforme alla cornice edittale vigente e congrua rispetto alla concreta condotta, valorizzando la quantita’ di eroina e le modalita’ dell’azione, ed assumendo come le circostanze del concreto contesto, in uno alla transnazionalita’ dell’operazione, rendessero equa una pena base sensibilmente superiore ai minimi edittali, come gia’ determinato in fase di accordo genetico sulla pena.
Ha, contrariamente, osservato come, a seguito della declaratoria di illegittimita’ costituzionale del Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 73, comma 1, in relazione alle droghe cc.dd. pesanti, l’illegalita’ della sanzione discenda automaticamente dalla circostanza oggettiva della diversita’ tra quadro sanzionatorio vigente al momento di conclusione dell’accordo processuale sulla pena e quadro normativo ripristinato a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 40/2019.
Nella delineata prospettiva, la sentenza di annullamento ha sottolineato come non sia “sufficiente ne’ il richiamo alla conformita’ formale della pena originariamente applicata, in relazione alle cornici sanzionatorie vigenti, al momento del fatto e della originaria decisione di merito, ne’ l’evocazione di affermati criteri di “adeguatezza ed equita’” della pena applicata, criteri che si fondano su ragionamenti puramente nominali. Il nucleo essenziale dello scrutinio va, al contrario, compiuto rinnovando il giudizio di “proporzione sostanziale” tra sanzione edittale e portata lesiva della condotta tenuta in concreto. Cio’ in applicazione del principio di adeguatezza tra trattamento sanzionatorio e quadro normativo di riferimento restaurato”.
Donde, nel caso di specie, la pena inizialmente applicata si era modellata in ragione di una forbice edittale che prevedeva (all’indomani della decisione della Corte costituzionale 32/2014) una pena minima di anni otto di reclusione: su detto minimo edittale si era parametrato l’accordo tra le parti e si era conformato il giudizio espresso dal giudice di merito.
La riduzione del minimo anzidetto, per effetto della declaratoria di incostituzionalita’, avrebbe, invece, imposto una rinnovazione “autonoma” del giudizio sanzionatorio, rapportandolo, nella ponderazione della lesivita’ della condotta, al minimo edittale ripristinato (di anni sei di reclusione), sicche’ il Giudice dell’esecuzione avrebbe dovuto indicare le ragioni per le quali, pur riducendosi il minimo edittale, nel nuovo paradigma legale dell’incriminazione avesse stimato, comunque, equa la pena base indicata in origine, in termini non eccessivamente superiori alla soglia minima (di anni otto di reclusione). Ne’ e’ stato ritenuto decisivo il richiamo a criteri nominali, in quanto questi erano stati utilizzati, anche in origine, dal giudice di merito che aveva ratificato il patteggiamento, prima che mutasse la cornice edittale nella sua soglia minima attuale (di anni sei di reclusione) e prima, dunque, che la pena si riducesse nel minimo di anni due di reclusione.
Il Giudice a quo avrebbe dovuto, pertanto, tenere in considerazione l’anzidetta riduzione e spiegare le ragioni per le quali, pur a fronte di un sostanziale mutamento valutativo da parte del legislatore, nel definire la forbice di pena modificandosi il minimo edittale (da otto a sei anni), si reputasse ancora congrua una pena che era stata ritenuta tale quando la soglia minima del trattamento penale per quel fatto era stata fissata in termini decisamente piu’ alti.
3. Con l’ordinanza impugnata, il giudice dell’esecuzione – dato atto della mancata formulazione di una nuova proposta delle parti – ha rigettato l’istanza, ritenendo la pena congrua anche in riferimento alla cornice edittale come ridefinita dalla sentenza della Consulta indicata, non incidente sulla valutazione della gravita’ della condotta, in considerazione delle specifiche modalita’ del fatto, e della pena – pari ad anni nove di reclusione e dunque tale da disvelare, nella stessa prospettazione delle parti, un apprezzamento di non minima gravita’ – eletta a base del calcolo nell’originaria proposta di patteggiamento.
4. Avverso l’ordinanza del Giudice dell’esecuzione di Ancona ha proposto ricorso l’imputato, per mezzo del difensore, Avv. (OMISSIS), articolando un unico motivo, con il quale deduce violazione di legge in riferimento a plurimi profili.
4.1. Il ricorrente – premessa la ricostruzione del calcolo della pena oggetto dell’accordo ex articolo 444 c.p.p. – censura le argomentazioni rassegnate a fondamento dell’ordinanza reiettiva in quanto sovrappongono due diverse valutazioni tra pena ed offesa fondate, invece, su indici normativi differenti.
Evocando il principio di diritto enunciato nella sentenza delle Sez. U. Jazouli, che richiama il giudice ad una riconsiderazione degli indici di commisurazione della pena in termini di rinnovata proporzione rispetto alla cornice edittale sopravvenuta, il ricorrente denuncia la valutazione astrattizzante operata nell’ordinanza impugnata.
4.2. Quanto all’interpretazione della volonta’ delle parti posta a fondamento della richiesta concordata di pena, che – ad avviso del giudice dell’esecuzione – collocherebbe il fatto in una fascia di gravita’ medio alta, deduce il ricorrente come, in presenza di diversa cornice edittale, diverse sarebbero state anche le opzioni in termini di pena, mentre del tutto apodittica e palesemente illegittima s’appalesa la delibazione di congruita’ dell’immutato trattamento sanzionatorio.
5. Con requisitoria scritta in data 20 marzo 2020, il Procuratore generale presso questa Corte ha concluso per l’annullamento con rinvio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso e’ fondato.
1. Il giudice dell’esecuzione non ha fatto corretta applicazione dei principi enunciati nella sentenza di annullamento.
1.1. Nell’annullare l’originario provvedimento di conferma del trattamento sanzionatorio applicato con la sentenza irrevocabile, la Prima Sezione di questa Corte ha chiarito, nel quadro dei principi ermeneutici tracciati dagli interventi della Consulta sulla cornice edittale delineata dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, come, in relazione alle droghe cc. dd. pesanti, l’illegalita’ della sanzione discenda automaticamente dalla circostanza oggettiva della diversita’ tra quadro sanzionatorio vigente al momento di conclusione dell’accordo processuale sulla pena e quadro normativo ripristinato, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 40/2019, precisando come non sia, pertanto, sufficiente ne’ il richiamo alla conformita’ formale della pena originariamente applicata, in relazione alle cornici sanzionatorie vigenti al momento del fatto e della originaria decisione di merito, ne’ l’evocazione di affermati criteri di “adeguatezza ed equita’” della pena applicata, fondati su ragionamenti puramente nominali, mentre il nucleo essenziale dello scrutinio va, al contrario, compiuto rinnovando il giudizio di “proporzione sostanziale” tra sanzione edittale e portata lesiva della condotta tenuta in concreto, in applicazione del principio di adeguatezza tra trattamento sanzionatorio e quadro normativo di riferimento restaurato.
1.2. Con la sentenza indicata, come noto, la Consulta ha dichiarato l’illegittimita’ costituzionale del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 1, nella parte in cui prevedeva la pena minima edittale della reclusione nella misura di anni otto, e non gia’ di sei, per le condotte descritte nel medesimo articolo aventi a oggetto le sostanze stupefacenti e psicotrope di cui alle tabelle I e III previste dall’articolo 14 dello stesso testo normativo.
Ne discende come in ordine alle pene irrogate in data antecedente a detta pronuncia – conformemente a quanto conseguito alla declaratoria di illegittimita’ del trattamento sanzionatorio in materia di “droghe leggere”, pronunciata con la sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014 debbano trovare applicazione i principi fissati dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 42858 del 29/05/2014, Gatto, Rv. 260697. Secondo tale insegnamento, quando, successivamente alla pronuncia di una sentenza irrevocabile di condanna, interviene la dichiarazione di illegittimita’ costituzionale di una norma penale diversa da quella incriminatrice, incidente sulla commisurazione del trattamento sanzionatorio, e quest’ultimo non sia stato interamente eseguito, il giudice dell’esecuzione deve rideterminare la pena in favore del condannato, anche se il suo provvedimento “correttivo” non abbia contenuto predeterminato, potendo egli avvalersi di penetranti poteri di accertamento e di valutazione, fermi restando i limiti fissati dalla pronuncia di cognizione, in applicazione di norme diverse da quelle dichiarate incostituzionali.
L’intervento in sede esecutiva ai fini di siffatta rideterminazione presuppone la preliminare verifica della sussistenza di un interesse, concreto ed attuale, che ricorre non solo quando la pena non sia stata ancora interamente espiata, ma anche laddove la stessa possa essere imputata alla condanna per altro titolo, secondo i principi dettati dall’articolo 657 c.p.p., sempre che la detenzione in eccesso sia sofferta dopo la consumazione del reato in relazione al quale si chiede di applicare la fungibilita’ (Sez. 6, n. 27403 del 10/06/2016, Rv. 267365).
1.2. Alla stregua di quanto ancora precisato dalle Sezioni Unite di questa Corte nelle pronunce rese in materia di “correzione” del trattamento sanzionatorio a seguito della gia’ citata sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014, l’intervento incidente sull’entita’ della pena, al fine di renderne l’esecuzione in linea con i parametri legali sanciti dalla dichiarazione di illegittimita’, si impone anche quando l’entita’ della pena in concreto fissata sia comunque collocabile all’interno del range edittale corrispondente a quello costituzionale (Sez. U.,n. 33040 del 26/02/2015, Jazouli, Rv. 264205; Sez. U., n. 37107 del 26/02/2015, Marcon, Rv. 264857).
Anche in tal caso, infatti, la “misurazione della responsabilita’” e’ stata operata attraverso un processo valutativo ancorato, sotto il profilo della quantificazione in concreto, a punti di riferimento, costituiti dalla forbice edittale avuta allora presente in sede di cognizione, costituzionalmente non accettabili, di modo che la commisurazione finale e’ rimasta sempre patologicamente alterata.
La sentenza Jazouli, d’altro canto, ha esplicitamente escluso che “per lo stesso fatto, inquadrato nei nuovi limiti edittali scaturiti dalla dichiarazione di incostituzionalita’, il giudice possa operare la rideterminazione partendo dalla stessa pena base individuata in origine”.
Nella delineata prospettiva, questa Corte ha gia’ avuto modo di evidenziare come, nel caso delle “droghe pesanti” e tenuto conto della particolare incidenza della dichiarazione di illegittimita’ costituzionale solo sul minimo del trattamento sanzionatorio, il vulnus evidenziato potra’ essere escluso unicamente quando la pena originariamente irrogata si sia attestata nel massimo o in misura prossima al massimo (Sez. 1, n. 2036 dell’11 dicembre 2019 – dep. 2020, Selistha, Rv. 278198), ovvero in misura notevolmente superiore al minimo e prossima al valore medio rispetto alla cornice edittale previgente (Sez. 1, n. 51305 del 20/11/2019, Xeba, Rv. 277923), giacche’, in siffatte ipotesi, tenuto conto del mantenimento inalterato del massimo edittale, non sussiste quella condizione di sproporzione e di inadeguatezza della pena, rilevabile nei casi puniti con la reclusione nel minimo edittale pari ad otto anni, che ne impone un adeguamento al nuovo limite.
In altri termini, al di fuori di tali ipotesi, in sede di esecuzione, se da un lato non ci si puo’ esimere dall’apportare una “correzione” sanzionatoria in melius, dall’altro – conformemente a quanto riconosciuto dalla sentenza Gatto in tema di ampiezza dell’intervento valutativo in sede di rimodulazione della pena illegale – va escluso che debbano operare rigidi criteri di riduzione di tipo matematico-proporzionale, ovvero automatismi che replichino pedissequamente le opzioni di cognizione.
1.3. Invero, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimita’, al giudice dell’esecuzione va riconosciuto un ampio potere discrezionale ai fini della rideterminazione di cui trattasi, esercitabile secondo i parametri fissati dagli articoli 132 e 133 c.p., tenuto conto del contenuto del giudicato, che segna i contorni oggettivi e soggettivi del fatto e del loro disvalore, secondo gli accertamenti intervenuti in sede di cognizione (Sez. 3, n. 36357 del 19/05/2015, Rv. 264880; Sez. 2, n. 29431 del 08/05/2018, Rv. 273809; Sez. 1, n. 53019 del 04/12/2014, Rv. 261688; Sez. 1, n. 52981 del 8/01/2014, Rv. 261688).
In particolare, la citata sentenza delle Sezioni Unite Marcon ha indicato lo strumento attivabile nel caso di pena illegale applicata con il “patteggiamento”, precisando che il giudice dell’esecuzione procede alla rideterminazione secondo lo stesso iter previsto dall’articolo 188 disp. att. c.p.p. e, solo in caso di mancato accordo o di pena concordata ritenuta incongrua, puo’ autonomamente provvedere mediante l’esercizio di un potere discrezionale, secondo i criteri di cui agli articoli 132 e 133 c.p..
In tali casi, viene a definirsi, nel procedimento di esecuzione, un vero e proprio incidente di cognizione, circoscritto alla rideterminazione della pena, che il giudice dovra’ discrezionalmente commisurare, alla luce dei parametri normativi evocati e secondo i dati cristallizzati nella sentenza irrevocabile, esplicitando nella motivazione gli indicatori valutati in riferimento al nuovo perimetro sanzionatorio. E dell’esercizio di siffatto potere discrezionale il giudice dovra’ dar conto in motivazione, articolando un percorso giustificativo tanto piu’ persuasivo quanto piu’ si discosti dal minimo edittale e dai parametri sanzionatori vigenti all’epoca in cui si e’ formato l’accordo sulla pena, si’ da esplicitare il rinnovato giudizio di adeguatezza e proporzionalita’ della sanzione penale entro i nuovi limiti definiti dall’intervento della Consulta.
In altri termini, al giudice dell’esecuzione che, restituito nella piena cognizione sanzionatoria ex articolo 188 disp. att. c.p.p., operi un intervento correttivo in senso conservativo dell’originaria sanzione applicata sull’accordo delle parti, non rinnovato o rinnovato in misura ritenuta incongrua, e’ richiesta una motivazione rafforzata, che espliciti compiutamente in virtu’ di quali parametri, evincibili dalla sentenza irrevocabile, la sanzione originariamente applicata, pur in un quadro legale ridefinito in melius, risulti ancora conforme al disvalore del fatto e funzionale al reinserimento sociale del condannato.
2. A siffatti principi il giudice dell’esecuzione non si e’ attenuto.
Nel confermare il trattamento sanzionatorio applicato, su richiesta delle parti, in anni nove di reclusione, secondo il quadro edittale dichiarato nel minimo costituzionalmente non legittimo, il giudice dell’esecuzione ha mantenuto ferma la pena (ben inferiore anche solo ai valori medi) allora irrogata, limitandosi a richiamare la gravita’ del fatto ed operando una (re)interpretazione della volonta’ delle parti invece orientata dal previgente range edittale.
In tal guisa, e’ stata confermata – come base di calcolo della sanzione finale – una pena che, da un lato, evidenzia una sproporzione per eccesso rispetto al giudizio di gravita’ formulato dalla previsione legale restaurata, compromettendo la funzione rieducativa della pena (Sez. 1, n. 3280 del 12/11/2019 – dep. 2020) e che, dall’altro, finisce per rivelarsi frutto di un’abdicazione alla rinnovazione del giudizio valutativo, non esplicitando il provvedimento impugnato, con rafforzato grado di persuasivita’, quali
elementi, nel ridefinito quadro edittale, giustifichino ancora
quell’apprezzamento di congruita’, gia’ espresso in riferimento al limite incostituzionale, che costituisce condizione necessaria per assicurare il rispetto del principio della personalita’ della responsabilita’ penale.
La commisurazione originariamente effettuata in sede cognitiva ha costituito, difatti, il frutto dell’esercizio di una valutazione di congruita’ esplicatasi nell’ambito di un range edittale, tra il minimo e il massimo, diverso da quello ripristinato dalla Consulta, cosi’ da rendere necessaria una rivalutazione piena di siffatto profilo ed una conseguente, appagante giustificazione, invece non rappresentata nel provvedimento impugnato.
3. L’ordinanza impugnata deve essere, pertanto, annullata con rinvio per nuovo esame da parte del giudice dell’esecuzione, ai fini della rideterminazione della pena conformemente ai criteri sopra enunciati.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame al giudice per le indagini preliminari del tribunale di Ancona.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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