In tema di somministrazione di lavoro

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza 13 ottobre 2020, n. 22066.

In tema di somministrazione di lavoro, ai sensi degli artt. 20 e ss. del d.lgs. n. 276 del 2003, ove venga giudizialmente disposta la trasformazione del rapporto da contratto a tempo determinato alle dipendenze del somministratore a contratto di lavoro a tempo indeterminato alle dipendenze dell’utilizzatore, trova applicazione il trattamento economico e normativo sancito dalla disciplina legale e collettiva in vigore presso quest’ultimo, mentre non è invocabile il trattamento più favorevole applicato dal somministratore, atteso che, nel momento in cui la struttura trilatera del rapporto viene meno per effetto della irregolarità del contratto di somministrazione, la prestazione di lavoro si inserisce nell’assetto organizzativo aziendale dell’utilizzatore nell’ambito di un ordinario rapporto, in analogia con la fattispecie di cui all’art. 2112, comma 3, c.c.

Ordinanza 13 ottobre 2020, n. 22066

Data udienza 4 dicembre 2019

Tag/parola chiave: LAVORO ED OCCUPAZIONE – LAVORO A TEMPO DETERMINATO

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere

Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 35996-2018 proposto da:
(OMISSIS) SPA, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS);
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS), domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 619/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 11/06/2018 r.g.n. 1381/2015.

RILEVATO

CHE:
(OMISSIS) aveva adito il Tribunale di Milano per conseguire, nei confronti di (OMISSIS) s.p.a. una pronuncia dichiarativa dell’illegittimita’ del contratto di lavoro somministrato stipulato con la societa’ inglese (OMISSIS), in relazione al periodo 18.5.2006-18.11.2006, con riconoscimento della sussistenza, nei confronti della utilizzatrice, di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato e di condanna al pagamento delle consequenziali spettanze retributive.
In esito all’accoglimento di dette domande – decorrenti, quanto alle richieste spettanze retributive, dal 26/3/2010, data della messa in mora il lavoratore proponeva ricorso nei confronti della (OMISSIS) innanzi al Tribunale di Busto Arsizio, instando affinche’ la retribuzione dovutagli dalla predetta decorrenza, fosse determinata alla stregua del parametro di quella applicata dalla agenzia di somministrazione e che la convenuta societa’ fosse condannata al pagamento dell’importo di Euro 37.816,61 a titolo di risarcimento del danno, per il periodo decorrente dal di della messa in mora (26/3/2010) sino a quella di effettivo ripristino del rapporto (14/11/2010) e della somma di Euro 27.723,00 in relazione al periodo maturato dalla data di reintegrazione (15/11/2010), sino a quella della ultima busta paga ricevuta (31/3/2011).
Il Tribunale respingeva integralmente il ricorso.
Detta pronunzia veniva riformata dalla Corte distrettuale che, con sentenza resa pubblica in data 11/6/2018 dichiarava il diritto dell’appellante a percepire la retribuzione mensile di Euro 10.115,01 corrispondente a quella erogata dalla societa’ somministratrice e disponeva condanna della societa’ al pagamento in favore dell’appellante, degli importi richiesti per i titoli descritti.
Osservava a fondamento del decisum, che con l’articolo 27, comma 2, il legislatore aveva inteso disporre, unicamente ai fini della “costituzione del rapporto alle dipendenze dell’utilizzatore, la mera sostituzione di diritto del datore di lavoro-fornitore, con il soggetto utilizzatore delle prestazioni, cosi’ rimanendo invariati gli altri elementi contrattuali, ivi compreso quello inerente il trattamento retributivo”. La Corte rilevava al riguardo che (OMISSIS) s.p.a. era subentrata nel rapporto cosi’ come gestito dall’interposto, sicche’, in considerazione del principio di irriducibilita’ della retribuzione, doveva concludersi che la stessa era obbligata a corrispondere il trattamento retributivo gia’ applicato dal somministratore (OMISSIS).
Avverso tale decisione interpone ricorso per cassazione la s.p.a. (OMISSIS) (gia’ s.p.a. (OMISSIS)) sulla base di unico motivo.
Resiste la parte intimata con controricorso, successivamente illustrato da memoria ex articolo 380 bis c.p.c..

CONSIDERATO

CHE:
1.Con unico motivo si denuncia violazione e falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 276 del 2003, articolo 27, articoli 2103 e 2697 c.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Si deduce che, con il richiamato articolo 27, il legislatore del 2003 ha certamente inteso stabilire che gli atti di gestione del rapporto di lavoro posto in essere dal somministratore, siano attribuiti all’utilizzatore, ma sotto altro profilo, ha circoscritto “tale eccezionale situazione soltanto al periodo di durata della somministrazione”.
Si argomenta poi, che in caso di accertamento con sentenza, di irregolarita’ della somministrazione, il datore di lavoro che abbia utilizzato la prestazione del lavoratore e’ vincolato agli atti di gestione esclusivamente nel periodo ricompreso fra l’inizio della somministrazione e la pronuncia che ne abbia accertato l’irregolarita’, restando libero di strutturare il rapporto costituito giudizialmente in capo ad esso, secondo la disciplina applicata nella propria azienda.
Si stigmatizza, quindi, la statuizione con la quale i giudici del gravame hanno ritenuto vulnerato nella specie, il principio di irriducibilita’ della retribuzione, sul rilievo che lo stesso non costituisce un generale principio ordinamentale.
2. Il motivo e’ fondato per le ragioni di seguito esposte.
Devesi preliminarmente osservare come l’articolo 12 preleggi, nel dettare i criteri legislativi di interpretazione, stabilisca, anzitutto, che, nell’applicare la legge, non si puo’ ad essa attribuire altro senso se non quello fatto palese: a) dal “significato proprio delle parole secondo la connessione di esse” (criterio cosiddetto di interpretazione letterale); b) dalla “intenzione del legislatore” (criterio cosiddetto di interpretazione teleologica).
L’interprete, in forza dei suddetti criteri, deve acquistare la conoscenza della determinazione legislativa, tenendo presente come, nei diversi sistemi giuridici, alcune proposizioni siano ripetute e conclamate con costanza: una di queste e’ la regola (evidenziata dal citato articolo 12) per cui, nel procedere all’interpretazione della legge, occorre attenersi innanzitutto e principalmente al aato letterale.
Anche se il criterio di interpretazione teleologica tende a questo risultato, le parole sono solo il mezzo attraverso il quale si esprime “l’intenzione del legislatore”; e come tali vanno interpretate, ma non fino al punto di attribuire alla norma un senso diverso da quello che, dal contesto della legge, risulta corrispondere alla finalita’ che la norma si propone. Il primato dell’interpretazione letterale e’, infatti, costantemente ribadito dalla giurisprudenza di legittimita’ (ex multis, vedi Cass. 26/2/1983 n. 1482; Cass. 7/4/1985 n. 2454). L’interpretazione da seguire deve essere, dunque, quella che risulti il piu’ possibile aderente al senso letterale delle parole, nella loro formulazione tecnico giuridica.
Muovendo da tali premesse, deve ritenersi che la Corte di merito sia pervenuta a non corrette conclusioni giuridiche.
Ed invero, la disposizione scrutinata di cui all’articolo 27 Decreto Legislativo cit. prevede che quando la somministrazione di lavoro avvenga al di fuori dei limiti e delle condizioni di cui agli articoli 20 e 21, comma 1, lettera a), b), c), d) ed e), il lavoratore puo’ chiedere, mediante ricorso giudiziale a norma dell’articolo 414 c.p.c., notificato anche soltanto al soggetto che ne ha utilizzato la prestazione, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest’ultimo, con effetto dall’inizio della somministrazione.
Nelle ipotesi di cui al comma 1, tutti i pagamenti effettuati dal somministratore, a titolo retributivo o di contribuzione previdenziale, valgono a liberare il soggetto che ne ha effettivamente utilizzato la prestazione dal debito corrispondente fino a concorrenza della somma effettivamente pagata. Tutti gli atti compiuti dal somministratore per la costituzione o la gestione del rapporto, per il periodo durante il quale la somministrazione ha avuto luogo, si intendono come compiuti dal soggetto che ne ha effettivamente utilizzato la prestazione.
3. Orbene, pur dandosi atto che il legislatore abbia inteso stigmatizzare la violazione dei limiti sanciti dagli articoli 20 e 21, con la sanzione della nullita’ del contratto – coerente con la possibilita’ consentita al lavoratore di agire per ottenere la costituzione del rapporto, ab origine, alle dipendenze dell’utilizzatore, e con la circostanza che tale azione puo’ essere esperita anche soltanto nei confronti dell’utilizzatore come si legge nel cit. articolo 27, comma 1, ipotesi che escluderebbe l’annullabilita’ del contratto, non potendo questa essere pronunciata se non in contraddittorio di tutte le parti del contratto da annullare (cfr. Cass. n. 17540/2014 in motivazione) – non puo’ sottacersi che la relazione biunivoca fra questi soggetti del rapporto trilatero di somministrazione, in relazione agli atti di gestione del rapporto di lavoro, appaia limitata al periodo durante il quale la somministrazione ha avuto luogo, considerato che, quale datore di lavoro, e’ il somministratore il soggetto tenuto all’obbligo retributivo (fatto salvo il rimborso dei relativi oneri da parte dell’utilizzatore).
Tuttavia, nel momento in cui la struttura trilatera del rapporto viene meno, per effetto della irregolarita’ del contratto di somministrazione giudizialmente accertata, appare consequenziale che il soggetto il quale sia stato utilizzatore della prestazione del lavoratore, sia libero di gestire il rapporto di lavoro in autonomia secondo le regole che rinvengono applicazione nell’ambito dell’assetto organizzativo aziendale in cui la prestazione del lavoratore viene ad inserirsi.
Cio’ in quanto, al di la’ di ogni questione inerente all’inquadramento del vizio che ha ingenerato la irregolarita’ del rapporto, si determina comunque la costituzione di un nuovo rapporto di lavoro con l’utilizzatore, trattandosi – come affermato in dottrina – di un rapporto ordinario, il quale si differenzia da quello precedente, che era speciale, in quanto funzionale alla somministrazione del lavoratore.
4. Una diversa opzione ermeneutica condurrebbe alla incongrua conclusione che il trattamento economico e normativo applicato da parte del somministratore, dovrebbe rimanere intangibile, pur a seguito dell’inserimento del lavoratore in una diversa compagine organizzativa, ed anche a prescindere da qualsivoglia mutamento nell’esecuzione della prestazione.
Detto inserimento comporta, invece, un adeguamento della obbligazione lavorativa in relazione all’assetto organizzativo disposto dalla parte gia’ “utilizzatrice” della prestazione, con conseguente applicazione del trattamento economico (retribuzione ordinaria, indennita’, premi), e normativo (sede, orari di lavoro, turni, permessi…) sancito dalla disciplina legale e collettiva in vigore presso il nuovo datore di lavoro. Dalla costituzione di un rapporto di lavoro con il soggetto che aveva rivestito il ruolo di utilizzatore, discende, quindi, coerente, l’applicazione al rapporto di tutta la disciplina legale e collettiva in vigore presso il nuovo datore di lavoro.
E tali approdi si rendono vieppiu’ ineludibili ove – cosi’ come verificatosi nella specie – il lavoratore sia stato assunto dalla societa’ di somministrazione, con contratto di lavoro secondo norme di diritto straniero. Le condizioni di contratto che definiscono il rapporto di lavoro in somministrazione, non possono, invero, integrare alcun valido riferimento ai fini della presente decisione, giacche’ l’applicazione di un “contratto collettivo nazionale” a disciplina del rapporto con il nuovo datore di lavoro, esclude in radice l’estensibilita’ del trattamento normativo ed economico applicato ai lavoratori assunti dalla (OMISSIS), in base a disposizioni di norma e di contratto che non siano nazionali.
5. A conforto di quanto sinora esposto, va rimarcato come la problematica esaminata tragga una significativa analogia con la fattispecie di cui all’articolo 2112 c.c., comma 3.
Ed invero, in tale disposizione il richiamo ai contratti collettivi nazionali applicabili deve intendersi riferito ai contratti che risultano adottati dall’acquirente al momento del trasferimento; opinione questa fatta propria dai giudici di legittimita’ secondo i quali, allorquando il cessionario applichi un c.c.n.l., quest’ultimo sostituisce immediatamente e totalmente la disciplina collettiva vigente presso il cedente, anche laddove contenga una disciplina peggiorativa rispetto a quella contenuta nel contratto collettivo applicato presso il cedente (vedi Cass. 29/9/2015 n. 19303, Cass. 13/9/2006 n. 19564, Cass. 1/2/2006 n. 2240), cosi’ realizzandosi un equo contemperamento fra il principio di liberta’ di impresa (consacrato dall’articolo 41 Cost.), e il diritto del lavoratore a conseguire un giusto trattamento normativo e retributivo (diritto sancito dagli articoli 4 e 36 Cost.).
Ai sensi dell’articolo 2112 c.c. i dipendenti transitati sono infatti soggetti al contratto collettivo applicabile presso la societa’ cessionaria, anche se piu’ sfavorevole, atteso il loro inserimento nella nuova realta’ organizzativa e nel mutato contesto di regole, anche retributive, potendo rinvenire applicazione l’originario contratto collettivo nel solo caso in cui presso la cessionaria i rapporti di lavoro non siano regolamentati da alcuna disciplina collettiva; ipotesi questa, non verificatasi nella fattispecie qui scrutinata, in cui questa carenza non e’ ravvisabile ed in cui il lavoratore neanche ha invocato la conclusione inter partes, di una pattuizione individuale recante il trattamento economico oggetto di rivendicazione nel presente giudizio.
Sulla scia delle summenzionate considerazioni, viene quindi a caducarsi ogni sostegno giuridico al richiamo disposto dalla Corte di merito, ad un principio di irriducibilita’ della retribuzione che – peraltro – l’articolo 2103 c.c. pro tempore vigente, riferisce all’aspetto qualitativo della prestazione (cfr. Cass. 15/2/1996 n. 1175), nello specifico neanche prospettata dal lavoratore.
In definitiva, al lume delle superiori argomentazioni, la sentenza impugnata deve essere cassata e la causa va rimessa ad altro giudice di appello, designato in dispositivo il quale, nel procedere al riesame della controversia, si atterra’ ai principi innanzi esposti.
Al medesimo giudice va demandata la regolamentazione delle spese del giudizio di Cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Milano in diversa composizione cui demanda di provvedere anche in ordine alle spese del presente giudizio.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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