In tema di riparazione per ingiusta detenzione

Corte di Cassazione, penale, Sentenza|25 marzo 2021| n. 11475.

In tema di riparazione per ingiusta detenzione, il procedimento di cui all’art. 314 cod. proc. pen. ha natura processual-civilistica ed è del tutto diverso dal processo penale da cui trae origine; pertanto non possono applicarsi ad esso, perché inconfigurabili, le situazioni di incompatibilità determinata da atti compiuti nel procedimento previste dall’art. 34 cod. proc. pen. (Fattispecie in tema di partecipazione, alla prima udienza del procedimento, di un componente del collegio che aveva emesso l’ordinanza di custodia cautelare, poi sostituito con altro magistrato pur in difetto di previa dichiarazione di astensione). (Conf. Sez. 4, n. 113 del 1994, Rv. 196972).

Sentenza|25 marzo 2021| n. 11475

Data udienza 23 febbraio 2021

Integrale
Tag – parola chiave: MISURE CAUTELARI – INGIUSTA DETENZIONE

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIAMPI Francesco Mari – Presidente

Dott. PEZZELLA Vincenzo – rel. Consigliere

Dott. RANALDI Alessandra – Consigliere

Dott. BRUNO Mariarosaria – Consigliere

Dott. GIORDANO Bruno – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 04/07/2019 della CORTE APPELLO di MESSINA;
udita la relazione svolta dal Consigliere PEZZELLA VINCENZO;
lette le conclusioni del PG e del Ministero dell’Economia e delle Finanze.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di Appello di Messina, con ordinanza del 4/7/2019 rigettava la richiesta di riparazione per ingiusta detenzione avanzata ex articolo 314 c.p.p., dall’odierno ricorrente, (OMISSIS), subita per i reati di cui agli articoli 640 bis, 48, 476 e 479 c.p., in regime di arresti domiciliari dal 18/11/2011 al 9/12/2011 in cui si chiedeva di tenere conto del licenziamento illegittimamente subito, del danno patrimoniale conseguito ai mancati guadagni, di quello non patrimoniale determinato dal danno all’immagine e del danno biologico, nonche’ delle spese legali sostenute.
A seguito dell’ordinanza di custodia cautelare emessa in data 15/11/2011 (OMISSIS) era stato sottoposto agli arresti domiciliari per reati di cui agli articoli 640 bis, 48, 476 e 479 c.p., per avere, con condotte reiterate nel tempo (dal 2003 al 2006), nella qualita’ di direttore generale dell’ATM (Azienda Municipalizzata Trasporti di Messina) con artifici e raggiri consistiti nel trasmettere alla Regione Siciliana falsi consuntivi relativi alla percorrenza chilometrica annuale dei mezzi di trasporto dell’azienda, che riportavano una falsa percorrenza, ben maggiore di quella reale, indotto in errore la Regione che negli anni erogava maggiori contributi pubblici denominati Contributo di Esercizio, procurando ingiusti profitti per l’Azienda da utilizzare per pagare un maggior numero di ore di straordinario ai dipendenti, consentendo ai dipendenti dell’ATM di percepire indebitamente l’indennita’ mensile detta “premio corse”.
Secondo l’impostazione accusatoria il meccanismo truffaldino si estendeva anche nella trasmissione alla Agenzia delle Dogane di falsi consuntivi sulla percorrenza chilometrica annuale (ben maggiore di quella reale) ottenendo cosi’ indebiti rimborsi delle accise sul carburante effettivamente consumato.
L’ordinanza custodiale veniva annullata dal Tribunale per il Riesame con specifico riferimento alle esigenze cautelari fermo restando il grave quadro indiziario prospettato nell’articolato provvedimento.
Con sentenza emessa dal Tribunale di Messina in composizione monocratica in data 26/2//2016 il (OMISSIS) e’ stato assolto dai reati a lui ascritti perche’ il fatto non sussiste. La sentenza e’ divenuta irrevocabile il 22/3/2017.
2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, (OMISSIS), deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1, nonche’ vizio motivazionale del provvedimento impugnato.
Con un unico motivo si deduce violazione dell’articolo 125 c.p.p., comma 3, articolo 111 Cost., in relazione agli articolo 314 c.p.p., comma 1, articolo 315 c.p.p., commi 2 e 3 e in relazione all’articolo 36 c.p.p., comma 3.
Ci si duole dell’illegittimita’ dell’ordinanza resa all’udienza del 7/2/2019 con cui il Presidente della Corte, rilevato che uno dei componenti del collegio, Dott.ssa ORLANDO, aveva emesso l’ordinanza di custodia cautelare, rinviava il procedimento ad altra udienza, assegnando per la trattazione la Dott.ssa ARENA.
Il ricorrente rileva che sarebbe stata necessaria la dichiarazione di astensione della Dott.ssa Orlando e la decisione del Primo Presidente della Corte di Appello per l’astensione e la designazione di nuovo consigliere ai sensi dell’articolo 36 c.p.p., comma 3.
Ci si duole, inoltre della contraddittorieta’ del rigetto dell’istanza di riparazione rispetto all’ordinanza del 7/3/2019, con cui la Corte di Appello, rimettendo il procedimento sul ruolo, onerava la difesa della produzione del verbale di interrogatorio di garanzia. L’ordinanza impugnata viene definita antitetica rispetto alla ritenuta necessita’ di allegazione del verbale di interrogatorio, che di fatto non viene valutato, se non per la parte in cui il giudice della riparazione ravvisa un’implicita ammissione della manomissione dei contachilometri.
Ma, rileva il ricorrente, l’ordinanza del 7/3/2019 disponeva l’acquisizione del verbale di interrogatorio di garanzia, mentre la Corte distrettuale analizzava un altro documento, fornito spontaneamente dal difensore, costituito dal verbale di interrogatorio del 6/10/2010, precedente alla fase cautelare.
Si sottolinea, anche, che la corte di appello avrebbe ignorato altri tre verbali, sempre depositati dal difensore.
In ogni caso, con riferimento al verbale di interrogatorio richiamato dal giudice della riparazione, l’ordinanza impugnata viene definita abnorme, laddove ritiene la consapevolezza del (OMISSIS) sull’avvenuta manomissione dei contachilometri, perche’ lo stesso (OMISSIS) definiva equivoco il sistema dei contachilometri.
In realta’, si chiarisce che il (OMISSIS) definiva equivoco il sistema dei contachilometri in quanto tali strumenti segnavano il chilometraggio di tutti i percorsi effettuati dai veicoli, anche per rifornimento carburante, manutenzione, collaudi, dal capolinea al deposito, e non solo quello da capolinea a capolinea ammesso ad ottenere il contributo. Pertanto il riferimento a tale unico sistema avrebbe certamente indotto la Regione a erogare un contributo superiore al dovuto.
Se il giudice della riparazione avesse analizzato tali dichiarazioni contenute nella sentenza del tribunale, non avrebbe potuto ravvisare dolo o negligenza nella condotta del (OMISSIS).
In nessuna considerazione sarebbe stato tenuto che il (OMISSIS), direttore generale, doveva relazionarsi con i responsabili del procedimento per l’elaborazione dei consuntivi chilometrici e non aveva alcuna ragione per contrastare le loro conclusioni.
Ci si duole che il giudice della riparazione abbia fondato il proprio convincimento sugli atti della fase cautelare, sconfessando la sentenza di assoluzione e ignorando le acquisizioni probatorie dibattimentali, tra cui la perizia che avrebbe smentito gli indizi acquisiti durante le indagini, fondati principalmente sulla consulenza disposta dal P.M.
Il provvedimento di rigetto sarebbe fondato, quindi, su elementi fattuali, genericamente evocati, acquisiti in fase di indagine e smentiti dall’istruttoria processuale.
Pertanto, sarebbe illegittimo detto utilizzo di elementi acquisiti in fase di indagini senza verifica delle prove contrarie acquisite nel dibattimento, in particolare della perizia che avrebbe determinato l’assoluzione, non impugnata.
Si sottolinea che anche la Procura concludeva per l’accoglimento dell’istanza di riparazione.
La motivazione del provvedimento impugnato viene definita illogica e carente, in particolare laddove, attribuendo un comportamento doloso o quantomeno negligente al (OMISSIS), sostiene che lo stesso avrebbe dovuto predisporre maggiori controlli.
Vi sarebbe stata una sottovalutazione del ruolo apicale del (OMISSIS), superiore ai funzionari dell’A.T.M. che avevano l’onere di verifica delle schede e di attestazione della veridicita’.
Viene fatto ricorso al principio di gerarchia negli enti pubblici per la diversificazione di funzioni e responsabilita’, che sarebbe stato ignorato dalla corte di appello riconducendo la responsabilita’ al direttore generale (OMISSIS).
Il ricorrente rileva, in relazione all’affermazione contenuta nell’ordinanza impugnata sulla condivisione da parte del tribunale del riesame della valutazione operata dal giudice della cautela sulla sussistenza degli indizi di colpevolezza, che tale convincimento era stato determinato dalle deduzioni del consulente del P.M., poi rivelatesi completamente errate.
Vengono, quindi, riportati numerosi passi della sentenza assolutoria che smentiscono completamente la perizia.
In riferimento alla motivazione del provvedimento impugnato relativamente alla consapevolezza da parte del (OMISSIS) del malfunzionamento dei contachilometri, che avrebbe dovrebbe indurlo ad un maggiore controllo, si osserva, ancora, che la constatazione del malfunzionamento avrebbe rappresentato il maggior elemento di suggestione a fondamento dell’accusa.
La stessa circostanza viene richiamata -continua il ricorrente- quale elemento probante la volonta’ di perpetrare i reati contestati dal P.M. ed esclusi dal tribunale con la formula dell’articolo 530 c.p.p., comma 2.
Si insiste sull’avvenuta dimostrazione, in sede dibattimentale, dell’insussistenza dei reati, riportando la motivazione della sentenza di assoluzione ed evidenziando l’ininfluenza del chilometraggio segnato dai contachilometri ai fini dell’erogazione dei contributi e l’incompetenza del consulente del P.M. sull’argomento.
Si evidenzia la mancanza di nesso logico tra malfunzionamento dei contachilometri e presunta alterazione dei consuntivi chilometrici, smentendo cosi’ l’argomentazione dell’impugnato provvedimento, dal momento che il (OMISSIS) non avrebbe mai potuto mettere in relazione il malfunzionamento dei contachilometri con la presunta alterazione dei consuntivi chilometrici.
Si ricorda infine che, come si legge nella sentenza del tribunale, un controllo delle percorrenze nei cinque anni di indagine avrebbe richiesto un impegno di circa 1000 giorni lavorativi, risultando quindi non compatibile con l’impegno del direttore generale, che delegava per tale compito un responsabile del procedimento e due addetti.
Ci si duole, inoltre, della contraddittorieta’ del provvedimento impugnato laddove da un lato rimprovera la mancata manutenzione dei contachilometri, comportante, tra l’altro, una spesa esigua e, dall’altro, da’ atto dei rilevanti problemi di bilancio gravanti sull’azienda.
Si aggiunge che certamente quella spesa non era tra le piu’ urgenti e che l’esiguita’ del costo non comprendeva la manodopera ne’ i minori incassi per il fermo tecnico. Di conseguenza apparrebbe infondata la ritenuta negligenza per non aver provveduto alla riparazione dei contachilometri.
Si contesta l’avvenuta attribuzione al (OMISSIS) della frase “sulla stampa e’ uscito che siamo usciti con 31 autobus” perche’ risalente ad epoca successiva alla notifica degli avvisi di garanzia. Cosi’ come si (OMISSIS)sta la negligenza del (OMISSIS) per non aver tenuto conto del presunto mancato raggiungimento del 97% di corse effettuate rispetto a quelle programmate per la corresponsione del premio risultato ai dipendenti. Anche questa affermazione sarebbe frutto delle errate e suggestive argomentazioni del consulente del P.M. che produceva ben sei relazioni, di volta in volta, a correzione della precedente.
Si lamenta la mancata analisi delle trascrizioni dei verbali di udienza e delle dichiarazioni dei testi (OMISSIS) e (OMISSIS) sulle modalita’ del premio erogato agli autisti. Cosi’ come sarebbe stata ignorata la circostanza che il (OMISSIS) veniva confermato nella carica per 15 anni, con attestati di stima, mentre il licenziamento sarebbe dipeso esclusivamente dal procedimento penale, legittimandosi cosi’ il diritto all’elevato importo chiesto per la riparazione dell’ingiusta detenzione.
Si conclude ribadendo la non ravvisabilita’ di una negligenza del (OMISSIS) ed evidenziando l’incongruenza dell’affermazione sulla possibilita’ di garantire la quasi totalita’ delle corse programmate con un parco mezzi estremamente ridotto.
Anche tale affermazione sarebbe frutto di errore essendo stati esclusi dal conteggio per il rimborso delle accise tutti i veicoli non idonei, ottenendo un rimborso inferiore a quello possibile.
Ancora una volta ci si duole della valorizzazione degli elementi offerti dagli inquirenti dal consulente del P.M., piuttosto che dalla sentenza del tribunale.
Chiede, pertanto, l’annullamento dell’ordinanza impugnata, eventualmente senza rinvio, con quantificazione dei danni morali e patrimoniali.
3. Il P.G. presso questa Corte Suprema in data 18/12/2020 ha rassegnato ex articolo 611 c.p.p., le proprie conclusioni scritte chiedendo l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato.
4. In data 18/1/2021 ha rassegnato le proprie conclusioni scritte il Ministero dell’Economia e delle Finanza, a mezzo dell’Avvocatura Generale dello Stato, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I motivi sopra illustrati appaiono infondati e, pertanto, il proposto ricorso va rigettato.
2. Quanto al primo motivo di ricorso, lo stesso e’ infondato.
Il ricorrente pare chiedere una verifica della legittimita’ della sostituzione del componente del collegio Dott.ssa Orlando, la quale aveva emesso l’ordinanza di custodia cautelare, con la Dott.ssa Arena, senza che la prima avesse dichiarato di astenersi.
Ebbene, il motivo e’ infondato, dovendosi richiamare sul punto – e qui ribadire l’orientamento di cui alla sentenza di questa Sez. 4, n. 113 del 31/1/1994 Corrias, Rv. 196972 – per cui il procedimento di cui all’articolo 314 c.p.p. (riparazione per l’ingiusta detenzione) ha natura civile processualistica ed e’ del tutto diverso dal processo penale da cui trae origine; pertanto non possono applicarsi ad esso, perche’ inconfigurabili le situazioni di incompatibilita’ determinata da atti compiuti nel procedimento previste dall’articolo 34 c.p.p..
Va anche ricordato, peraltro, che per costante orientamento di questa Corte, l’assegnazione dei processi in violazione delle tabelle di organizzazione dell’ufficio, salvo il possibile rilievo disciplinare, puo’ incidere sulla costituzione e sulle condizioni di capacita’ del giudice, determinando la nullita’ di cui all’articolo 33 c.p.p., comma 1, non in caso di semplice inosservanza delle disposizioni amministrative, ma solo quando si determini uno stravolgimento dei principi e dei canoni essenziali dell’ordinamento giudiziario, per la violazione di norme quali quelle riguardanti la titolarita’ del potere di assegnazione degli affari in capo ai dirigenti degli uffici e l’obbligo di motivazione dei provvedimenti.
Peraltro, al riguardo, il ricorso appare privo della necessaria specificita’ ed anzi meramente “esplorativo”.
3. Infondate sono anche le doglianze che censurano l’ordinanza della Corte messinese laddove ha ritenuto che il (OMISSIS) versasse in colpa grave per aver controfirmato le “schede” pur avendo elementi per dubitare della loro veridicita’ e cosi’ dovendo piuttosto predisporre adeguate verifiche.
Va ricordato, in proposito, che e’ principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte Suprema che nei procedimenti per riparazione per ingiusta detenzione la cognizione del giudice di legittimita’ deve intendersi limitata alla sola legittimita’ del provvedimento impugnato, anche sotto l’aspetto della congruita’ e logicita’ della motivazione, e non puo’ investire naturalmente il merito. Cio’ ai sensi del combinato disposto di cui all’articolo 646 c.p.p., secondo capoverso, da ritenersi applicabile per il richiamo contenuto nell’articolo 315 c.p.p., comma 3.
Dalla circostanza che nella procedura per il riconoscimento di equo indennizzo per ingiusta detenzione il giudizio si svolga in un unico grado di merito (in sede di corte di appello) non puo’ trarsi la convinzione che la Corte di Cassazione giudichi anche nel merito, poiche’ una siffatta estensione di giudizio, pur talvolta prevista dalla legge, non risulta da alcuna disposizione che, per la sua eccezionalita’, non potrebbe che essere esplicita. Al contrario l’articolo 646 c.p.p., comma 3 (al quale rinvia l’articolo 315 c.p.p., u.c.) stabilisce semplicemente che avverso il provvedimento della Corte di Appello, gli interessati possono ricorrere per Cassazione: conseguentemente tale rimedio rimane contenuto nel perimetro deducibile dai motivi di ricorso enunciati dall’articolo 606 c.p.p., con tutte le limitazioni in essi previste (cfr. ex multis, Sez. 4, n. 542 del 21/4/1994, Bollato, Rv. 198097, che, affermando tale principio, ha dichiarato inammissibile il ricorso avverso ordinanza del giudice di merito in materia, col quale non si deduceva violazione di legge, ma semplicemente ingiustizia della decisione con istanza di diretta attribuzione di equa somma da parte della Corte).
4. Il giudice della riparazione, nel caso che ci occupa, motiva in maniera ampia e circostanziata sui motivi del rigetto.
L’articolo 314 c.p., com’e’ noto, prevede al comma 1 che “chi e’ stato prosciolto con sentenza irrevocabile perche’ il fatto non sussiste, per non aver commesso il fatto, perche’ il fatto non costituisce reato o non e’ previsto dalla legge come reato, ha diritto a un’equa riparazione per la custodia cautelare subita, qualora non vi abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave”.
In tema di equa riparazione per ingiusta detenzione, dunque, costituisce causa impeditiva all’affermazione del diritto alla riparazione l’avere l’interessato dato causa, per dolo o per colpa grave, all’instaurazione o al mantenimento della custodia cautelare (articolo 314 c.p.p., comma 1, ultima parte); l’assenza di tale causa, costituendo condizione necessaria al sorgere del diritto all’equa riparazione, deve essere accertata d’ufficio dal giudice, indipendentemente dalla deduzione della parte (cfr. sul punto questa Sez. 4, n. 34181 del 5/11/2002, Guadagno, Rv. 226004).
In proposito, le Sezioni Unite di questa Corte hanno da tempo precisato che, in tema di presupposti per la riparazione dell’ingiusta detenzione, deve intendersi dolosa – e conseguentemente idonea ad escludere la sussistenza del diritto all’indennizzo, ai sensi dell’articolo 314 c.p.p., comma 1, – non solo la condotta volta alla realizzazione di un evento voluto e rappresentato nei suoi termini fattuali, sia esso confliggente o meno con una prescrizione di legge, ma anche la condotta consapevole e volontaria i cui esiti, valutati dal giudice del procedimento riparatorio con il parametro dell'”id quod plerumque accidit” secondo le regole di esperienza comunemente accettate, siano tali da creare una situazione di allarme sociale e di doveroso intervento dell’autorita’ giudiziaria a tutela della comunita’, ragionevolmente ritenuta in pericolo (Sez. Unite n. 43 del 13/12/1995 dep. il 1996, Sarnataro ed altri, Rv. 203637).
Poiche’ inoltre, la nozione di colpa e’ data dall’articolo 43 c.p., deve ritenersi ostativa al riconoscimento del diritto alla riparazione, ai sensi del predetto dell’articolo 314 c.p.p., comma 1, quella condotta che, pur tesa ad altri risultati, ponga in essere, per evidente, macroscopica negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una non voluta, ma prevedibile, ragione di intervento dell’autorita’ giudiziaria che si sostanzi nell’adozione di un provvedimento restrittivo della liberta’ personale o nella mancata revoca di uno gia’ emesso.
In altra successiva condivisibile pronuncia e’ stato affermato che il diritto alla riparazione per l’ingiusta detenzione non spetta se l’interessato ha tenuto consapevolmente e volontariamente una condotta tale da creare una situazione di doveroso intervento dell’autorita’ giudiziaria o se ha tenuto una condotta che abbia posto in essere, per evidente negligenza, imprudenza o trascuratezza o inosservanza di leggi o regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una prevedibile ragione di intervento dell’autorita’ giudiziaria che si sostanzi nell’adozione di un provvedimento restrittivo della liberta’ personale o nella mancata revoca di uno gia’ emesso (Sez. 4, n. 43302 del 23/10/2008, Maisano, Rv. 242034).
Ancora le Sezioni Unite, hanno affermato che il giudice, nell’accertare la sussistenza o meno della condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’equa riparazione per ingiusta detenzione, consistente nell’incidenza causale del dolo o della colpa grave dell’interessato rispetto all’applicazione del provvedimento di custodia cautelare, deve valutare la condotta tenuta dal predetto sia anteriormente che successivamente alla sottoposizione alla misura e, piu’ in generale, al momento della legale conoscenza della pendenza di un procedimento a suo carico (Sez. Unite, n. 32383 del 27/5/2010, D’Ambrosio, Rv. 247664). E, ancora, piu’ recentemente, il Supremo Collegio ha ritenuto di dover precisare ulteriormente che in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, ai fini del riconoscimento dell’indennizzo puo’ anche prescindersi dalla sussistenza di un “errore giudiziario”, venendo in considerazione soltanto l’antinomia “strutturale” tra custodia e assoluzione, o quella “funzionale” tra la durata della custodia ed eventuale misura della pena, con la conseguenza che, in tanto la privazione della liberta’ personale potra’ considerarsi “ingiusta”, in quanto l’incolpato non vi abbia dato o concorso a darvi causa attraverso una condotta dolosa o gravemente colposa, giacche’, altrimenti, l’indennizzo verrebbe a perdere ineluttabilmente la propria funzione riparatoria, dissolvendo la “ratio” solidaristica che e’ alla base dell’istituto (cosi’ Sez. Unite, n. 51779 del 28/11/2013, Nicosia, Rv. 257606, fattispecie in cui e’ stata ritenuta colpevole la condotta di un soggetto che aveva reso dichiarazioni ambigue in sede di interrogatorio di garanzia, omettendo di fornire spiegazioni sul contenuto delle conversazioni telefoniche intrattenute con persone coinvolte in un traffico di sostanze stupefacenti, alle quali, con espressioni “travisanti”, aveva sollecitato in orario notturno la urgente consegna di beni).
5. Va poi osservato che vi e’ totale autonomia tra giudizio penale e giudizio per l’equa riparazione anche atteso che i due afferiscono piani di indagine del tutto diversi che ben possono portare a conclusioni affatto differenti pur se fondanti sul medesimo materiale probatorio acquisito agli atti, in quanto sottoposto ad un vaglio caratterizzato dall’utilizzo di parametri di valutazione del tutto differenti. Cio’ perche’ e’ prevista in sede di riparazione per ingiusta detenzione la rivalutazione dei fatti non nella loro portata indiziaria o probatoria, che puo’ essere ritenuta insufficiente e condurre all’assoluzione, occorrendo valutare se essi siano stati idonei a determinare, unitamente ed a cagione di una condotta negligente od imprudente dell’imputato, l’adozione della misura cautelare, traendo in inganno il giudice.
E’ pacifico (cfr. tra le tante questa Sez. 4, ord. 25/11/2010, n. 45418) che, in sede di giudizio di riparazione ex articolo 314 c.p.p., ed al fine della valutazione dell’an debeatur occorra prendere in considerazione in modo autonomo e completo tutti gli elementi probatori disponibili ed in ogni modo emergenti dagli atti, al fine di valutare se chi ha patito l’ingiusta detenzione vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, con particolare riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti. A tale fine e’ necessario che venga esaminata la condotta posta in essere dall’istante sia prima che dopo la perdita della liberta’ personale e, piu’ in generale, al momento della legale conoscenza della pendenza di un procedimento a suo carico (cfr. Sez. Un. 32383/2010), onde verificare, con valutazione ex ante, in modo del tutto autonomo e indipendente dall’esito del processo di merito, se tale condotta, risultata in sede di merito tale da non integrare un fatto-reato, abbia ciononostante costituito il presupposto che abbia ingenerato, pur in eventuale presenza di un errore dell’autorita’ procedente, la falsa apparenza della sua configurabilita’ come illecito penale, dando luogo alla detenzione con rapporto di “causa ad effetto” (cfr. anche la precedente Sez. Un. 26/6/2002, Di Benedictis).
A tal fine vanno prese in considerazione tanto condotte di tipo extraprocessuale (grave leggerezza o trascuratezza tale da avere determinato l’adozione del provvedimento restrittivo), quanto di tipo processuale (autoincolpazione, silenzio consapevole sull’esistenza di un alibi) che non siano state escluse dal giudice della cognizione (cfr. questa sez. 4, n. 45418 del 25.11.2010).
La colpa dell’istante e’ ostativa al diritto per le argomentazioni espresse, tra le altre, da Sez. 4, n. 1710 del 27.11.2013; sez. 4, n. 1422 del 16 ottobre 2013: … non potendo l’ordinamento, nel momento in cui fa applicazione della regola solidaristica,… obliterare il principio di autoresponsabilita’ che incombe su tutti i consociati, allorquando interagiscono nella societa’ (trattasi, infondo, della regola che trova esplicitazione negli articoli 1227 e 2056 c.c.), deve intendersi idonea ad escludere la sussistenza del diritto all’indennizzo… non solo la condotta volta alla realizzazione di un evento voluto e rappresentato nei suoi termini fattuali, sia esso configgente o meno con una prescrizione di legge, ma anche la condotta consapevole e volontaria i cui esiti, valutati dal giudice del procedimento riparatorio con il parametro dell’id quod plerumque accidit secondo le regole di esperienza comunemente accettate, siano tali da creare una situazione di allarme sociale e di doveroso intervento dell’autorita’ giudiziaria a tutela della comunita’, ragionevolmente ritenuta in pericolo. Poiche’ inoltre, anche ai fini che qui ci interessano, la nozione di colpa e’ data dall’articolo 43 c.p., deve ritenersi ostativa al riconoscimento del diritto alla riparazione… quella condotta che, pur tesa ad altri risultati, ponga in essere, per evidente, macroscopica, negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una non voluta, ma prevedibile, ragione di intervento dell’autorita’ giudiziaria che si sostanzi nell’adozione di un provvedimento restrittivo della liberta’ personale o nella mancata revoca di uno gia’ emesso…”.
6. Nel provvedimento impugnato e’ stato congruamente e logicamente posto in evidenza come vi siano elementi tali da far ritenere la sussistenza della colpa grave nella condotta del ricorrente.
Come evidenzia il giudice della riparazione, con la sentenza di assoluzione, divenuta irrevocabile, il tribunale ha recepito il contenuto della perizia conferita all’ing. (OMISSIS), avuto riguardo alle contrapposte conclusioni dei consulenti delle parti processuali, ritenendo di non poter affermare con la dovuta certezza la responsabilita’ del (OMISSIS) in ordine ai reati a lui ascritti.
La Regione Siciliana – ricorda ancora il provvedimento impugnato- eroga alle aziende per i trasporti un contributo d’esercizio in funzione delle percorrenze chilometriche annuali dei veicoli, nonche’ un rimborso dell’accisa sul carburante consumato, sempre in proporzione della percorrenza annuale. E’ evidente, quindi, che l’indicazione di tale dato e, prima ancora, la sua determinazione precisa abbia un rilievo fondamentale al fine dell’ottenimento dei contributi pubblici. Al momento dei fatti contestati il (OMISSIS), Direttore Generale dell’ATM di Messina, azienda con rilevanti problemi di bilancio, secondo l’impostazione recepita dal giudice della cautela, proprio in virtu’ dell’incarico ricoperto, avrebbe avuto un ruolo determinante nella perpetrazione delle condotte truffaldine contestate avendo egli compilato e trasmesso le richieste di contributi in questione determinando l’avvio della procedura di erogazione delle somme. Invero, in base alla ricostruzione effettuata nell’ordinanza di sottoposizione della misura in seno alla predetta azienda pubblica era stato ordito un complesso meccanismo finalizzato, tramite la falsa attestazione dei chilometraggi percorsi dei mezzi del trasporto pubblico e del relativo carburante utilizzato, ad ottenere l’erogazione da parte della Regione di finanziamenti indebiti.
Sulla scorta di tale ricostruzione, il (OMISSIS) veniva quindi sottoposto alla misura degli arresti domiciliari per il periodo compreso tra il 15 novembre 2011 e il 9 dicembre 2011, data in cui la misura veniva revocata da parte del Tribunale del Riesame. Il giudice del gravame cautelare, infatti, pur ritenendo di condividere in toto la valutazione operata dal giudice della cautela sotto il profilo della sussistenza in capo al (OMISSIS) di indizi di colpevolezza di consistenza tale da giustificare l’applicazione della misura giudicava, tuttavia, non attuali le esigenze cautelari, avuto anche riguardo alla cessazione dell’accusato dalla carica per l’innanzi ricoperta ed alla conseguente impossibilita’ di perpetrare ulteriormente le condotte in questione.
Ebbene, con motivazione logica e congrua -che, pertanto, si sottrae alle censure di legittimita’- il giudice della riparazione spiega che la condotta del (OMISSIS)” sebbene non ritenuta dal giudice di merito tale da integrare gli estremi del reato contestato, si e’ certamente prestata a ingenerare dubbi che hanno pienamente giustificato, alla luce del materiale probatorio in atti, l’applicazione della misura.
E’ fuori discussione che, come si legga alle pagg. 64/65 della sentenza e’ risultata accertata ai fini di una possibile condanna “l’assoluta irrilevanza del malfunzionamento dei contachilometri e alla omessa riparazione degli stessi”.
Diversa, tuttavia, e’ la considerazione che le condotte di chi doveva controllare possano costituire la colpa grave ostativa al riconoscimento del chiesto indennizzo.
Logico appare il rilievo del giudice della riparazione che, anche a voler ritenere che il chilometraggio effettivamente percorso dai mezzi non fosse misurabile con precisione a causa di malfunzionamenti dei contachilometri, si tratti di circostanza di cui il (OMISSIS) era perfettamente consapevole e che avrebbe potuto e dovuto indurre quest’ultimo, alla luce del ruolo di responsabilita’ ricoperto, ad effettuare, prima di sottoscrivere le schede da inviare alla Regione e consapevole della loro funzione, controlli particolarmente penetranti. Il (OMISSIS), invece, si limitava a rilasciare di anno in anno, in allegato alla documentazione contabile (peraltro, assai lacunosa) consegnata all’Agenzia delle Dogane in sede di richiesta di rimborso accisa, un’attestazione di responsabilita’ in cui si precisava che “relativamente alle colonne litri consumati e km. percorsi le stesse non sono state compilate per ogni singolo veicolo in quanto a causa della vetusta’ di una consistente parte di essi, i relativi contachilometri non sono piu’ funzionanti ne’ e’ stato possibile procedere alla loro riparazione per la soggettiva difficolta’ od impossibilita’ di reperire sul mercato i necessari ricambi”. Peraltro, anche tale assunto risultava foriero di numerosi dubbi per avere gli investigatori e il consulente tecnico di parte stimato la somma necessaria per la riparazione di siffatta strumentazione in un ammontare particolarmente esiguo (punto questo non oggetto di perizia nel corso del giudizio di primo grado).
Per la Corte messinese la condotta negligente del (OMISSIS) e’ tanto piu’ evidente se si considera che lo stesso, pur consapevole della grave situazione del parco mezzi della societa’ (in una conversazione lo stesso, infatti, affermava: “chiaramente pure sulla stampa e’ uscito che siano usciti con 31 autobus, 27 autobus, 24…e’ ovvio che non mi metto a fare il conto pero'”), non aveva avuto remore nel sottoscrivere le schede in questione attestanti livelli di chilometraggio che ictu oculi dovevano quantomeno destare qualche sospetto in quanto particolarmente elevate se valutate alla luce dei mezzi a disposizione il cui numero nel tempo si era assottigliato.
Sulla scorta di tali emergenze, logica appare la considerazione del giudice della riparazione che ritiene indubbio come un maggior rigore nei conteggi fosse, alla stregua dei mezzi nella disponibilita’ dell’azienda, ben possibile, diversamente non comprendendosi come mai proprio a partire dal 2008, cioe’ in corrispondenza dell’avvio delle indagini dei Carabinieri sull’assenteismo, si sia registrato un maggior rigore nella compilazione delle schede.
Per la Corte messinese una “non comune negligenza nello svolgimento dei compiti a lui affidati” e’ evidente poi se si considera che il (OMISSIS), pur consapevole dell’indisponibilita’ di molti mezzi con conseguente riduzione delle corse effettive rispetto a quelle programmate, non si sarebbe neppure insospettito dall’attribuzione del c.d. “premio corsa” ai dipendenti, premio che presupponeva il raggiungimento della soglia del 97% delle corse programmate. Logico pare in proposito il rilievo che non si vede come, se non a causa di una non comune negligenza e leggerezza nello svolgimento dei suoi compiti, l’accusato potesse ritenere che con un parco mezzi estremamente ridotto e colpito da numerosi guasti, si fossero potute garantire la quasi totalita’ delle corse programmate.
Tenuto conto della situazione in cui versava l’azienda tale da un lato, alla luce della riduzione dei mezzi effettivamente funzionanti, da rendere inverosimile un chilometraggio elevato e dall’altro, essendo il (OMISSIS) consapevole delle manomissioni dei contachilometri o quanto meno dell’equivocita’ di quel sistema di controllo (nel corso dell’interrogatorio del 6/10/2010 lo stesso definiva il sistema dei contachilometri come “equivoco”, e basta questo, al di la’ che cio’ costituisca, come afferma il giudice della riparazione, una consapevolezza della loro manomissione), da imporre una particolare cautela nel relativo calcolo, essendo questi tenuto, per il ruolo ricoperto, a controfirmare le schede attestandone la veridicita’ e curandone la trasmissione all’ente per l’erogazione dei contributi, e’ evidente che lo stesso abbia tenuto una condotta che se non dolosa e’ stata quantomeno gravemente negligente.
7. Il ricorso del (OMISSIS), che non casualmente richiama l’articolo 125 c.p.p., comma 3, si muove sul piano della prova della colpevolezza, che nel caso che ci occupa e’ pacifico essere stata esclusa.
Il piano che ci occupa, invece, e’ quello della colpa sinergica all’adozione della misura a suo carico, e su tale piano appare corretto il rilievo operato dal giudice della riparazione che, anche ammesso che lo stesso non fosse consapevole del carattere indebito delle attestazioni funzionali all’erogazione dei contributi pubblici come ritenuto dal primo giudice, avrebbe dovuto avere il dubbio che le schede da lui controfirmate non corrispondessero al vero e di conseguenza predisporre maggiori e piu’ penetranti controlli.
La motivazione con cui la condotta emersa dall’intero compendio integra appare logica e fare buon governo del gia’ ricordato e richiamato principio secondo cui “la condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo rappresentata dall’avere il richiedente dato causa all’ingiusta detenzione, deve concretarsi in comportamenti, non esclusi dal giudice della cognizione, di tipo extraproces-suale (grave leggerezza o macroscopica trascuratezza tali da avere dato causa all’imputazione) o processuale (autoincolpazione, silenzio consapevole sull’esistenza di un alibi) in ordine alla cui attribuzione all’interessato e incidenza della detenzione il giudice e’ tenuto a motivare specificamente” (conferente il richiamo a Sez. 4, n. 4372 del 21/10/2014 dep. 2015, Garcia De Medina, Rv. 263197).
Coerente appare, pertanto, la conclusione che il (OMISSIS) abbia creato i presupposti per l’applicazione della misura cautelare attraverso la propria condotta connotata di evidente colpa grave poiche’ nel rispetto dell’incarico affidatogli avrebbe dovuto, proprio in quanto consapevole della possibile manomissione dei contachilometri dei mezzi e del numero ridotto di quelli effettivamente in funzione, attivare i controlli necessari (ad esempio, anche tramite la verifica dell’estensione chilometrica effettiva delle varie tratte nonche’ del numero dei mezzi che aveva riportato guasti). Il (OMISSIS), a prescindere dalla questione sollevata in ricorso sul tema della gerarchia nell’amministrazione degli enti, era il firmatario dell’attestazione di responsabilita’ che veniva consegnata annualmente all’Agenzia delle Dogane unitamente alla documentazione contabile, definita assai lacunosa, per il rimborso delle accise.
8. Il ricorrente va altresi’ condannato alla rifusione delle spese al resistente Ministero dell’Economia e delle Finanze che, alla luce dei pertinenti e puntuali motivi versati in atti dall’Avvocatura dello Stato, tesi efficacemente a contrastare quelli di cui al proposto ricorso, vengono liquidati come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche’ alla rifusione delle spese sostenute dal Ministero resistente, che liquida in complessivi Euro mille.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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