In tema di riparazione per ingiusta detenzione

Corte di Cassazione, penale, Sentenza|28 aprile 2021| n. 16175.

In tema di riparazione per ingiusta detenzione, ove l’ingiustizia sia correlata alla diversa qualificazione, in sede di merito, del fatto di reato i cui limiti edittali di pena non avrebbero consentito l’applicazione della misura custodiale, la condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo, integrata dall’avere dato o concorso a dare causa alla custodia cautelare per dolo o colpa grave, non opera se l’accertamento dell’insussistenza “ab origine” delle condizioni di applicabilità della misura avvenga sulla base dei medesimi elementi trasmessi al giudice che ha adottato il provvedimento cautelare, in quanto in tal caso la condotta dolosa o colposa dell’imputato è priva di efficienza causale in ordine all’emissione della misura.

Sentenza|28 aprile 2021| n. 16175

Data udienza 22 aprile 2021

Integrale

Tag – parola chiave: Riparazione per ingiusta detenzione – Derubricazione del reato – Estinzione per prescrizione – Inapplicabilità della custodia cautelare in carcere – Possibilità per l’imputato di ottenere l’indennizzo – Annullamento con rinvio

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FUMU Giacomo – Presidente

Dott. ESPOSITO Aldo – Consigliere

Dott. BELLINI Ugo – Consigliere

Dott. CAPPELLO Gabriell – rel. Consigliere

Dott. BRUNO Mariarosaria – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 09/05/2019 della CORTE APPELLO di BRESCIA;
svolta la relazione dal Consigliere Dr. CAPPELLO GABRIELLA;
lette le conclusioni del Procuratore generale, in persona del sostituto Dr. FODARONI M. Giuseppina, la quale ha chiesto dichiararsi l’inammissibilita’ del ricorso, con ogni conseguente pronuncia.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d’appello di Brescia ha rigettato l’istanza formulata nell’interesse di (OMISSIS) per il riconoscimento di un indennizzo per la ingiusta detenzione sofferta dal predetto a partire dal 24 settembre 2007 in relazione a un procedimento penale, nel quale gli era stato contestato il reato di cui agli articoli 110, 81 cpv. e 440 c.p. La misura era stata sostituita con altra non custodiale in data 31 gennaio 2008 e la Corte d’appello di Brescia, con sentenza irrevocabile il 1/7/2018, aveva prosciolto il (OMISSIS) dalla contravvenzione di cui alla L. n. 283 del 1962, articolo 5, lettera a) e d), cosi’ riqualificati i fatti ascrittigli, dichiarandone l’estinzione per prescrizione, a seguito dell’annullamento da parte della Corte di cassazione della precedente sentenza confermativa della condanna.
2. Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il (OMISSIS), a mezzo di difensore, formulando due motivi.
Con il primo, ha dedotto violazione e falsa applicazione dell’articolo 314 c.p.p. e ss., oltre a insufficiente e/o illogica e/o contraddittoria motivazione, per non avere la Corte della riparazione considerato che, nel caso in esame, si verte in una ipotesi di c.d. ingiustizia formale del titolo cautelare, mentre la valutazione del comportamento ostativo e’ avvenuta sulla scorta dello stesso materiale probatorio in relazione al quale il giudice del rinvio aveva ritenuto il fatto contravvenzionale, poi dichiarato prescritto, tale da non consentire ab origine l’applicazione di misure custodiali. La sentenza di proscioglimento non e’ stata conseguenza della assunzione di nuovi elementi probatori, ma della scelta, orientata dal giudice di legittimita’, tra due opposte impostazioni prospettabili, come emerge dalla stessa pronuncia irrevocabile, e della conseguente rilettura della consulenza disposta dal pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari.
Con il secondo motivo, ha dedotto analoghi vizi in relazione agli articoli 191, 266, 271, 314 e 623 c.p.p., rilevando che la intervenuta riqualificazione del fatto nell’ipotesi contravvenzionale determinerebbe, quale logico corollario, anche la inutilizzabilita’ delle intercettazioni telefoniche disposte nel corso delle indagini preliminari, la forza del giudicato sulla riqualificazione determinando necessariamente e implicitamente anche la neutralizzazione della valenza probatoria di intercettazioni disposte in assenza dei requisiti di ammissibilita’.
3. L’Avvocatura dello Stato, per il Ministero resistente, ha depositato memoria con la quale ha concluso per la declaratoria di inammissibilita’ del ricorso o il suo rigetto, con ogni conseguente statuizione per cio’ che concerne spese, diritti ed onorari di giudizio.
4. Il Procuratore generale ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso, con ogni conseguente pronuncia.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso va accolto.
2. L’esame del primo motivo impone una premessa.
Secondo un piu’ risalente indirizzo di questa Corte, in tema di riparazione per la detenzione indebitamente sofferta, l’ingiustizia formale di essa, anche se conseguente a diversa qualificazione del fatto contestato nell’imputazione come reato procedibile a querela, tuttavia mancante, e/o punito con pena edittale non superiore nel massimo a tre anni di reclusione, doveva risultare da una decisione irrevocabile in fase (o, comunque, come nel giudizio direttissimo, con valenza anche cautelare): invero, una “derubricazione” avvenuta al di fuori del giudicato cautelare e nel giudizio di merito – per effetto della valutazione di circostanze emerse solo nella istruzione dibattimentale o rilevate dal giudice di ufficio, senza che avessero costituito oggetto della controversia – era considerata estranea alla categoria dell’errore giudiziario, giacche’ in tal caso l’applicazione della misura era originariamente legittima, mancando il titolo del diritto alla riparazione, che sorge esclusivamente se, in seguito alla detta “derubricazione”, la custodia cautelare fosse stata illegittimamente mantenuta, come si ricava dalla seconda previsione contenuta nell’articolo 314 cpv. c.p.p. (cfr. sez. 4, n. 36 del 12/1/1999, Rv. 213231, in fattispecie in cui la decisione di merito che riconosceva il diritto all’indennita’ – annullata senza rinvio in applicazione del principio massimato – era relativa a una detenzione disposta per il reato originariamente contestato di sequestro di persona, derubricato in atto a fine di libidine e dichiarato improcedibile per la non equipollenza dell’atto di denuncia a querela, rilevata d’ufficio solo dalla Corte d’appello; cfr., ancora, sez. 4, n. 40126 del 13/11/2002, Rv. 223285). In altre pronunce, pervenute alle medesime conclusioni, si era posta in risalto la circostanza che, in tali ipotesi, non era intervenuta sentenza di proscioglimento nel merito, ne’ decisione irrevocabile che avesse accertato la violazione originaria degli articoli 273 e 280 c.p.p. (cfr. sez. 4, n. 26368 del 3/4/2007, Ucciero e altro, Rv. 236989).
Successivamente, pero’, numerose decisioni hanno affermato che sussiste il diritto alla riparazione per ingiusta detenzione anche nell’ipotesi di misura cautelare applicata in difetto di una condizione di procedibilita’, la cui necessita’ sia stata accertata soltanto all’esito del giudizio di merito in ragione della diversa qualificazione attribuita ai fatti rispetto a quella ritenuta nel corso del giudizio cautelare (cfr. sez. 4 n. 8869 del 22/1/2007, Frajese, Rv. 240332; n. 23896 del 9/4/2008, Greco e altro, Rv. 240333; n. 44596 del 16/4/2009, De Cesare e altro, Rv. 245437; n. 43458 del 15/10/2013, Taliento, Rv. 257194; n. 39535 del 29/5/2014, Scalise, Rv. 261408).
In particolare, si e’ affermato che la nozione di “decisione irrevocabile” di cui all’articolo 314 c.p.p., comma 2, comprende anche quella emessa all’esito del giudizio di merito, sempre che, naturalmente, da essa si evinca la mancanza, sin dall’origine, delle condizioni di applicabilita’ della misura. In tale prospettiva, quindi, non e’ ostativa alla riparazione la circostanza che la ridefinizione dell’imputazione in altra – per la quale non era consentita, in ragione della pena edittale massima, l’emissione della misura custodiale in carcere, ai sensi dell’articolo 280 c.p.p. – sia avvenuta in sede di merito e non gia’ in un giudizio cautelare, per effetto di valutazione di circostanze emerse solo nell’istruzione dibattimentale o rilevate ex officio dal giudice. Una diversa interpretazione e’ stata ritenuta contrastante con i principi affermati dalle Sezioni Unite in punto di rilevanza, ai fini del riconoscimento del diritto alla riparazione, anche degli accertamenti risultanti ex post (sentenza 12 ottobre 1993, Durante), oltre che distonica con il fondamento solidaristico dell’istituto ripetutamente evidenziato dal giudice delle leggi (sent. nn. 231 e 413 del 2004) (cfr., in motivazione, sez. 4 n. 43458 del 2013, Tallento, citata).
L’orientamento attualmente dominante, al quale anche questa Corte ritiene di aderire, e’ quindi nel senso che la dichiarazione di improcedibilita’ per difetto di querela rientra tra le ipotesi in cui l’imputato puo’ ottenere l’indennizzo, in forza della previsione dell’articolo 314 c.p.p., comma 2, e che, alle stesse conclusioni, stante l’identita’ di ratio, deve giungersi anche in un caso, come quello all’esame, in cui la derubricazione del reato ne abbia determinato l’estinzione per prescrizione e il venir meno delle condizioni di applicabilita’ della misura cautelare custodiale.
3. Fatta tale premessa, anche nella ipotesi di c.d. ingiustizia formale, tuttavia, deve essere verificata la ricorrenza di un comportamento ostativo all’insorgenza del diritto azionato, esso operando, infatti, quale presupposto negativo anche in relazione alle misure disposte in difetto delle condizioni di applicabilita’ previste dagli articoli 273 e 280 c.p.p. (cfr. Sez. U, n. 32383 del 27/5/2010, D’Ambrosio, Rv. 247663).
4. Nello svolgimento dello scrutinio demandatole, la Corte bresciana si e’ pero’ scostata dal solco tracciato dal S.C. di questa Corte con la citata sentenza D’Ambrosio. Ha, infatti, omesso di considerare che la circostanza di avere dato o concorso a dare causa alla custodia cautelare per dolo o colpa grave opera si’ quale condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’equa riparazione per ingiusta detenzione anche in relazione alle misure disposte in difetto delle condizioni di applicabilita’ previste dagli articoli 273 e 280 c.p.p., ma che essa non puo’ concretamente esplicarsi, in forza del meccanismo causale che governa l’indicata condizione ostativa, nei casi in cui l’accertamento dell’insussistenza ab origine delle condizioni di applicabilita’ della misura in oggetto avvenga sulla base dei medesimi elementi trasmessi al giudice che ha reso il provvedimento cautelare, in ragione unicamente di una loro diversa valutazione.
La Corte del merito non ha tenuto conto della circostanza che la derubricazione in ipotesi contravvenzionale era avvenuta non gia’ alla stregua della acquisizione di nuovi elementi probatori, non valutati dal giudice della cautela, bensi’ in virtu’ dell’operata rivalutazione degli elementi secondo diretive ermeneutiche che si sono mosse nel solco tracciato dal giudice di legittimita’ nella sentenza di annullamento. Al contrario, si e’ limitata a richiamare la sentenza di proscioglimento, quanto alla ricostruzione dell’iter processuale e alla indicazione delle evidenze che avevano consentito di raggiungere la certezza in ordine alle condotte materiali, senza nulla aggiungere sull’unico punto rilevante ai fini dello scrutinio demandatole, vale a dire la sopravvenuta acquisizione di elementi alla stregua dei quali era stata esclusa la pericolosita’ concreta delle rilevate alterazioni degli alimenti per la salute pubblica, necessaria per la configurabilita’ dell’ipotesi delittuosa inizialmente contestata.
Anche a voler ritenere che il compendio probatorio si sia arricchito, nella fase del giudizio, delle delucidazioni fornite dall’ausiliario, occorre tuttavia rilevare che il quadro cognitivo e’ rimasto invariato, essendo unicamente mutata la valutazione del medesimo materiale fattuale, che la stessa Corte di cassazione aveva stigmatizzato come viziato nel percorso logico argomentativo che l’ha sostenuta. Cosicche’, ove fosse stata condotta, sulla base del medesimo materiale probatorio, la valutazione rivelatasi, poi, quella giuridicamente piu’ corretta, non potrebbe comunque ravvisarsi la condizione ostativa al riconoscimento dell’indennizzo.
4. L’accoglimento del primo motivo di ricorso determina l’assorbimento del secondo e l’annullamento della ordinanza impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Brescia per nuovo giudizio, che tenga conto dei suindicati principi.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Brescia.

 

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