In tema di responsabilità disciplinare dei notai

Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Sentenza 12 febbraio 2020, n. 3458.

La massima estrapolata:

In tema di responsabilità disciplinare dei notai, nel caso in cui siano commessi gli illeciti di cui all’art. 147, comma 1, l. n. 89 del 1913, ma ricorrano circostanze attenuanti, la sanzione della sospensione può in via generale essere sostituita dalla pena pecuniaria, come stabilito dall’art. 144 l. cit.; una disciplina speciale è, invece, prevista, nel comma 2 del menzionato art. 147, secondo cui viene sempre applicata la destituzione per il caso del notaio, già condannato due volte alla sospensione, che incorra nuovamente nella recidiva reiterata infradecennale.

Sentenza 12 febbraio 2020, n. 3458

Data udienza 11 luglio 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere

Dott. DE MARZO Giuseppe – rel. Consigliere

Dott. VARRONE Luca – Consigliere

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 2879/2018 proposto da:
(OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
CONSIGLIO NOTARILE PADOVA, rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso l’ordinanza della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 27/07/2017;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 11/07/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DE MARZO;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PEPE Alessandro, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato (OMISSIS), difensore del ricorrente che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

FATTI DI CAUSA

1. Con ordinanza depositata il 27 luglio 2017 la Corte d’appello di Venezia, per quanto ancora rileva, ha rigettato il reclamo proposto dal notaio (OMISSIS) avverso la decisione della Commissione amministrativa regionale di disciplina per il Triveneto del 20 gennaio 24 febbraio 2017, che lo aveva condannato al pagamento della sanzione pecuniaria di 10.000,00 Euro, per la violazione della L. 16 febbraio 1913, n. 89, articolo 147 (L. not.), in relazione all’articolo 31, lettera f) dei Principi di deontologia.
2. Per quanto ancora rileva, la Corte territoriale ha osservato: a) che la Commissione regionale di disciplina ha natura amministrativa e non giurisdizionale, con conseguente manifesta infondatezza della questione di legittimita’ costituzionale prospettata con riferimento all’articolo 102 Cost.; b) che la sanzione disciplinare ha come destinatari gli appartenenti ad un ordine professionale ed e’ preordinata all’adempimento dei doveri inerenti al corretto esercizio dei compiti loro assegnati, con la conseguenza che ad essa non puo’ attribuirsi natura sostanzialmente penale; c) che, nella specie, non era in contestazione il fatto oggettivo concernente il numero rilevante di atti stipulati dal notaio presso agenzie di mediazione creditizia e immobiliari, corrispondente al 30,30% di tutti gli atti ricevuti; d) che nel momento in cui il notaio svolge ricorrenti prestazioni presso soggetti terzi, organizzazioni o studi professionali, deve ritenersi violato l’obbligo di imparzialita’ di cui all’articolo 31 del codice deontologico notarile, dal momento che e’ del tutto verosimile che la presenza di un notaio presso siffatte agenzie dipenda dalle indicazioni dell’operatore commerciale che assicura al professionista un flusso di clienti tale da rendere proficuo per lui operare fuori sede; e) che l’articolo 147, lettera b), L. not. prevede, tra le sanzioni applicabili, la sospensione fino ad un anno che la Commissione, applicando le circostanze attenuanti generiche, aveva sostituito con la pena pecuniaria di cui all’articolo 138-bis L. not., in forza del disposto di cui all’articolo 144 L. not., come intuitivamente statuito nella decisione impugnata.
3. Avverso tale sentenza il (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, ai quali ha resistito con controricorso il Consiglio Notarile di Padova. Nell’interesse del (OMISSIS) e’ stata depositata memoria ai sensi dell’articolo 378 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si lamenta, in relazione agli articoli 3, 25, 77 e 102 Cost., nullita’ della sanzione inflitta da un organo che esercita funzioni giurisdizionali, non individuabile come il giudice naturale e al quale non possono essere attribuite funzioni penali.
Con siffatta censura il ricorrente muove dalla premessa della natura penale della sanzione irrogata e denuncia l’illegittimita’ costituzionale dell’articolo 148 L. not., introdotto dal Decreto Legislativo 1 agosto 2006, n. 249, articolo 32, istitutivo delle commissioni amministrative regionali di disciplina, perche’: a) l’articolo 7 della legge delega (28 novembre 2005, n. 246) non aveva attribuito alle commissioni il potere di irrogare sanzioni concretamente penali (violazione dell’articolo 77 Cost.); b) il potere attribuito alle commissioni di irrogare sanzioni penali si pone in contrasto con l’articolo 102 Cost., dal momento che la giurisdizione penale e’ riservata all’autorita’ giurisdizionale ordinaria.
Da tali premesse discenderebbe l’accoglimento del reclamo e l’annullamento della sanzione inflitta.
Con distinta articolazione, il ricorrente censura poi lo svolgimento del giudizio dinanzi alla Corte d’appello, rilevando che anche questa conclusione rivela un eccesso di delega, poiche’ della L. n. 246 del 2005, articolo 7, non ha attribuito competenza penale alle Corti d’appello in sede di reclamo e sottolineando che, anzi, della L. 18 giugno 2009, n. 69, articolo 54, sulla cui base e’ stato emanato il Decreto Legislativo 1 settembre 2001, n. 150, articolo 26, ha riguardo ai giudizi civili.
Aggiunge il ricorrente, in via subordinata, che sarebbe incostituzionale la legge delegata, in quanto consentirebbe, in violazione della legge delega, alle commissioni regionali di disciplina di infliggere sanzioni concretamente penali e alle corti di appello, in sede di reclamo, di infliggere sanzioni concretamente penali.
Il ricorrente individua poi altri parametri per sostenere le sopra ricordate conclusioni, cogliendoli negli articolo 3 e 25, oltre che nei gia’ menzionati articolo 77 e 102 Cost..
La censura e’ infondata.
Il ricorso muove dalla non condivisibile premessa, per la quale dalla qualificazione convenzionale della materia penale, ossia operata secondo i canoni, nel caso di specie, desumibili dalle finalita’ perseguite dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali (CEDU), potrebbero trarsi conseguenze per la applicazione delle norme interne che presuppongono nozioni autonome.
In altre parole, nel sistema CEDU cio’ che importa e’ che siano assicurate le garanzie previste dalla Convenzione per la materia penale, mentre non si pretende affatto che, a fini diversi rispetto a quelli di assicurare tale statuto, nell’ambito del diritto interno, siffatta nozione abbia la medesima latitudine.
In altre parole, l’autonomia della nozione e’ reciproca, una volta assicurate le garanzie CEDU.
Per questa ragione tutte le questioni prospettate con riferimento alla attribuzione di una competenza penale alle commissioni e al giudice civile, alla luce di tutti i parametri costituzionali evocati, non colgono nel segno, in quanto i modi di definizione delle controversie e la ripartizione degli affari giudiziari rientrano, anche volendo supporre la natura penale delle sanzioni di cui si discute, nelle scelte discrezionali del legislatore domestico, salva, si ripete, la necessita’ di assicurare le pertinenti garanzie convenzionali.
In ogni caso, in generale, il Collegio condivide le conclusioni reiteratamente raggiunte da questa Corte, anche a sezioni unite, quanto alla non riconducibilita’ della responsabilita’ disciplinare nell’ambito della materia penale (v., ad es., Cass., Sez. Un., 26 ottobre 2017, n. 25457) e, per quanto in questa sede piu’ direttamente rileva, alla natura amministrativa delle commissioni regionali di disciplina (Cass. 31 gennaio 2017, n. 2526 e, di recente, Cass., Sez. Un., 18 gennaio 2019, n. 1415).
Ne discende che il procedimento davanti alla Corte d’Appello non si puo’ configurare come un secondo grado, ma piu’ propriamente e’ da intendere come un mezzo di tutela giurisdizionale che assicura il riesame del merito rispetto alla decisione dell’organo amministrativo Cass. n. 1415 del 2019 appena citata ha significativamente aggiunto che “In questa logica la scelta del legislatore delegato di aver escluso – solo formalmente – la ricorribilita’ per cassazione per motivi implicanti la possibile nullita’ del procedimento e della sentenza (che costituisce l’ambito proprio della categoria dei vizi riconducibili dell’articolo 360 c.p.c., n. 4), deve, pur sempre, coordinarsi con le regole costituzionali del giusto processo e, quindi, con la ineliminabile tutela delle garanzie riconducibili alla piena effettivita’ dell’esercizio del diritto di difesa e al contraddittorio (che rivestono, per l’appunto, un ruolo centrale ed ineludibile nelle garanzie da preservare nella dinamica processuale e che si identificano, senza dubbio, con i piu’ importanti “principi regolatori del giusto processo” ai quali pone riferimento anche l’articolo 360-bis c.p.c., n. 2)). In questa ottica e’ evidente che la mancata possibilita’, nel procedimento in discorso, di denunciare in cassazione ad esempio – un vizio di omessa pronuncia su uno o piu’ capi dell’impugnazione proposta davanti alla Corte di appello o la nullita’ insanabile di un pregresso vizio processuale o la stessa nullita’ dell’ordinanza decisoria della predetta Corte determinerebbe un evidente vulnus alla tutela degli appena richiamati principi fondamentali dell’ordinamento processuale ormai direttamente costituzionalizzati, che risultano pienamente armonizzati con le norme della Convenzione EDU (e, in particolare, con i suoi articoli 6 e 13)”.
2. Con il secondo motivo si lamenta violazione o falsa applicazione dell’articolo 2697 c.c. e articolo 115 c.p.c..
La doglianza, con la quale si censura l’omessa motivazione sulle richieste istruttorie e il mancato esame degli atti prodotti, e’ infondata, dal momento che: a) le prime non sono affatto decisive, per quanto si dira’ nell’esame del terzo motivo, a proposito del significato di imparzialita’ (non viene contestata la redazione degli atti fuori studio, sicche’ non rileva la circostanza che questi siano stati predisposti nello studio notarile); b) i documenti – prodotti dallo stesso (OMISSIS) e legittimamente acquisiti al materiale sul quale fondare la decisione sono stati esaminati (come dimostra il quarto motivo del reclamo), anche se non nel senso auspicato dal ricorrente.
3. Con il terzo motivo si lamenta falsa applicazione dell’articolo 147, lettera b), L. not. e dell’articolo 31 dei Principi di deontologia notarile, alla luce degli articoli 2727 e 2697 c.c., nonche’ violazione del Decreto Legge 24 gennaio 2012, n. 1, articolo 1 e della L. 11 novembre 2011, n. 180, articolo 1, comma 5, lettera g) e articolo 2, comma 1, lettera a).
Il ricorrente, dopo avere ribadito che l’articolo 26 L. not., nella formulazione precedente all’entrata in vigore della L. 4 agosto 2017, n. 124, nel vietare l’apertura di un recapito fuori del collegio di appartenenza, comprimeva illegittimamente la concorrenza fra notai, osserva: a) che l’articolo 31, lettera f) dei Principi citati si pone in contrasto con la successiva disciplina della concorrenza, mascherando, sotto lo schermo della tutela della imparzialita’ del notaio, un divieto diretto a realizzare la spartizione territoriale del mercato; b) il cit. articolo 31 realizza una presunzione di parzialita’ che si pone in contrasto con l’articolo 2727 c.c. e costringe il notaio ad una probatio diabolica.
La censura e’ infondata.
Quanto alla ricostruzione della vicenda, osserva la Corte che non e’ in contestazione il fatto oggettivo relativo al numero rilevante di atti stipulati dal notaio presso agenzie di mediazione creditizia e immobiliare (nel 2015, circa il 30,30% degli atti ricevuti).
In tale contesto, le censure in fatto sono del tutto fuori fuoco (e si conferma per tale via, la decisione sul secondo motivo di ricorso).
In diritto, una volta che la regola della imparzialita’ venga declinata, alla stregua dell’articolo 31 del codice deontologico, non come concreto esercizio di equidistanza nella redazione degli atti, ma in termini preventivi e di garanzia dell’immagine della categoria come dovere di astensione, nella fase della assunzione dell’incarico, da comportamenti che influiscano sulla designazione, la presenza consistente presso vari recapiti stabili di organizzazioni diviene rilevante.
Cio’, si ripete, non come fatto espressivo di concreta parzialita’ (e tanto consente di superare i temi della presunzione, che il ricorrente costruisce attorno ad un fatto noto da provare – la concreta parzialita’, appunto, che invece non assume rilievo), ne’ come indice di concorrenza, nonostante il riferimento della sentenza all’accaparramento di clientela, che va inteso, con riferimento alla portata della norma deontologica, come concorso consapevole del notaio in una scelta etero-diretta del professionista, vista come elemento idoneo a turbare le condizioni che ne assicurano l’imparzialita’.
In altri termini, il riflesso sugli esiti economici di tale condotta rappresenta l’effetto indiretto della scelta di garantire la terzieta’ del notaio e non una non ponderata regolamentazione restrittiva delle attivita’ economiche.
4. Con il quarto motivo si lamenta violazione o falsa applicazione degli articoli 144 e 147 L. not., per avere la Corte territoriale applicato l’articolo 144 cit., che alla sospensione sostituisce la sanzione pecuniaria in caso di attenuanti, senza avvedersi che la previsione opera per tutti i casi diversi dall’articolo 147 cit., che, invece, al proprio interno contiene tutte le graduazioni in materia di sanzione in relazione alla gravita’ del caso concreto.
In disparte il tema dell’interesse a dolersi della applicazione di una sanzione pecuniaria rispetto a quella della censura – alla quale, secondo il ricorrente, ammettendo di voler partire dalla sanzione base della sospensione, si sarebbe dovuti giungere -, si osserva: a) che l’applicazione della sospensione rispetto alla censura appare fondata sulla valutazione – che emerge dal complesso della motivazione del provvedimento impugnato – della gravita’ della condotta, desumibile dai dati quantitativi sopra ricordati; b) l’articolo 147 cit. prevede, in linea generale, come sanzione delle condotte descritte, la censura o la sospensione, aggiungendo che la destituzione e’ sempre applicata se il notaio, dopo essere stato condannato per due volte alla sospensione per la violazione del presente articolo, vi contravviene nuovamente nei dieci anni successivi all’ultima violazione.
L’articolo 144 cit., dal canto suo, dispone che, se nel fatto addebitato al notaio ricorrono circostanze attenuanti ovvero quando il notaio, dopo aver commesso l’infrazione, si e’ adoperato per eliminare le conseguenze dannose della violazione o ha riparato interamente il danno prodotto, la sanzione pecuniaria e’ diminuita di un sesto e sono sostituiti l’avvertimento alla censura, la sanzione pecuniaria, applicata nella misura prevista dall’articolo 138-bis, comma 1, alla sospensione e la sospensione alla destituzione.
Cio’ posto, l’ordinanza 18 luglio 2017, n. 27099, invocata dal ricorrente, si e’ occupata non del modo di operare delle attenuanti generiche, con riguardo alla generalita’ delle sanzioni disciplinari, ma del fatto che, in taluni casi (articolo 147, comma 2, L. not.), deve essere necessariamente disposta la destituzione.
Siffatta scelta legislativa e’ stata intesa da questa Corte, nel senso che, in tali ipotesi, “il trattamento sanzionatorio e’ insensibile alla eventuale “lievita’” in concreto del fatto costituente illecito disciplinare, essendo la sanzione prevista dalla legge in modo inderogabile, sulla base di una presunzione iuris et de iure di gravita’ del fatto. In altre parole, in presenza della recidiva reiterata infradecennale richiamata dall’articolo 147, comma 2, della Legge citata, va sempre applicata la sanzione della destituzione, non potendosi, pur quando ricorrano circostanze attenuanti, addivenirsi alla sostituzione della sanzione della destituzione con quella della sospensione”.
In altri termini, la specialita’ dell’articolo 147 L. not. non e’ assoluta, ma riguarda il caso della destituzione. L’articolo 147 cit., invece, non contiene alcuna norma speciale, rispetto all’articolo 144, rispetto al modo nel quale operano le attenuanti generiche rispetto alla sospensione o alla censura. Ne discende che l’unica norma applicabile non puo’ che essere l’articolo 144.
5. In conclusione, il ricorso va rigettato. Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 3.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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