In tema di responsabilità degli organi sociali

Corte di Cassazione, sezione prima civile, Sentenza 11 dicembre 2019, n. 32397.

La massima estrapolata:

In tema di responsabilità degli organi sociali, la configurabilità dell’inosservanza del dovere di vigilanza imposto ai sindaci dall’art. 2407, comma 2, c.c. non richiede l’individuazione di specifici comportamenti che si pongano espressamente in contrasto con tale dovere, ma è sufficiente che essi non abbiano rilevato una macroscopica violazione o comunque non abbiano in alcun modo reagito di fronte ad atti di dubbia legittimità e regolarità, così da non assolvere l’incarico con diligenza, correttezza e buona fede, eventualmente anche segnalando all’assemblea le irregolarità di gestione riscontrate o denunciando i fatti al Pubblico Ministero per consentirgli di provvedere ai sensi dell’art. 2409 c.c., nella formulazione applicabile “ratione temporis” anteriormente alla novella ex d.lgs. n. 6 del 2003.

Sentenza 11 dicembre 2019, n. 32397

Data udienza 11 settembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 23908/2017 proposto da:
(OMISSIS), domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Curatela del Fallimento (OMISSIS) S.p.a., in persona del curatore Dott. (OMISSIS), domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
e contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura a margine del controricorso e ricorso incidentale;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
e contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al controricorso e ricorso incidentale;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
contro
Curatela del Fallimento (OMISSIS) S.p.a., in persona del curatore Dott. (OMISSIS), domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al controricorso ai ricorsi incidentali;
– controricorrente ai ricorsi incidentali-
E sul ricorso successivo:
(OMISSIS), domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente successivo –
contro
Curatela del Fallimento (OMISSIS) S.p.a., in persona del curatore Dott. (OMISSIS), domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente successivo –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS);
– intimati –
avverso la sentenza n. 1794/2017 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 06/10/2017;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11/09/2019 dal cons. Dott. FIDANZIA ANDREA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE RENZIS LUISA, che ha concluso per la cessata materia del contendere (per rinuncia) in relazione ai ricorsi (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS); rigetto del ricorso (OMISSIS);
udito, per il controricorrente e ricorrente incidentale, l’Avvocato (OMISSIS), con delega orale, che ha chiesto l’accoglimento del proprio ricorso.

FATTI DI CAUSA

Con sentenza depositata il 6 ottobre 2017 la Corte d’Appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza n. 4968/2009, depositata il 10.10.2009, del Tribunale di Palermo, ha condannato (OMISSIS), gia’ amministratore della (OMISSIS) s.p.a. (gia’ (OMISSIS) s.r.l.) dal 10.5.1993 all’8.4.2002, al pagamento della somma di Euro 191.945,11, oltre rivalutazione monetaria ed interessi.
Il giudice di secondo grado ha, altresi’, condannato (OMISSIS), amministratore della fallita dall’8.4.2002 al 21.8.2003 (data del fallimento) nonche’ (OMISSIS), (OMISSIS), e (OMISSIS), sindaci della predetta societa’ dal 14.11.2002 al 14.02 2003 – in solido tra loro e fino alla concorrenza del limite di Euro 2.110.085,00 per gli ultimi tre – al pagamento della somma di Euro 5.214.314,85, oltre rivalutazione monetaria ed interessi.
La Corte d’Appello di Palermo, ha ritenuto, per quanto ancora rileva, che ai sindaci (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) deve attribuirsi la responsabilita’ ex articolo 2401 c.c., per aver violato gli obblighi previsti dagli articoli 2403, 2405, 2407, 2409 c.c. e articolo 2377 c.c., comma 2, per avere omesso di esercitare i poteri di controllo e vigilanza nonche’ i poteri sostitutivi per salvaguardare gli interessi dei soci e dei creditori sociali, omettendo di sollecitare i provvedimenti di cui agli articolo 2409 c.c. nonostante la presenza delle condizioni di cui all’articolo 2448 c.c..
Avevano proposto ricorso per cassazione (OMISSIS) e (OMISSIS), ricorso da entrambi rinunciato, con accettazione della rinuncia da parte della Curatela del fallimento (OMISSIS) s.p.a..
Ha altresi’ proposto ricorso per cassazione incidentale (OMISSIS), il quale, lo ha, a sua volta, successivamente rinunciato, senza che, tuttavia, consti l’accettazione del fallimento (OMISSIS) s.p.a.
Ha altresi’ proposto ricorso incidentale per cassazione (OMISSIS) affidandolo a tre motivi.
La curatela del fallimento (OMISSIS) s.p.a. si e’ costituita in giudizio con controricorso.
(OMISSIS) ha altresi’ depositato la memoria ex articolo 378 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Va preliminarmente osservato che il presente giudizio va dichiarato estinto, con integrale compensazione delle spese di lite, limitatamente alle posizioni dei signori (OMISSIS) e (OMISSIS), da un lato, e della Curatela del fallimento (OMISSIS) s.p.a., dall’altro.
(OMISSIS) e (OMISSIS) hanno rinunciato al proprio ricorso per cassazione rispettivamente in data 18 settembre 2018 e 8 aprile 2019, rinuncia accettata dalla curatela.
Ne consegue che, relativamente alle posizioni processuali sopra indicate, il giudizio deve essere dichiarato estinto con totale compensazione delle spese di lite.
Deve essere dichiarato estinto il giudizio anche con riferimento alla posizione di (OMISSIS), che ha rinunciato al ricorso per cassazione, con rinuncia notificata in data 9 settembre 2019 al fallimento (OMISSIS) s.p.a..
Anche con riferimento a tale rapporto processuale, sussistono giustificati motivi per la compensazione totale delle spese di lite.
A questo punto, prima di esaminare il merito del ricorso del (OMISSIS), deve essere preliminarmente valutata l’eccezione di inammissibilita’ del ricorso per tardivita’, sollevata dalla curatela, la quale deve essere rigettata.
Espone il fallimento che il ricorso principale proposto dall’ (OMISSIS) e’ stato notificato al Dott. (OMISSIS) il 23.10.2017, con conseguente tardivita’ del ricorso incidentale di quest’ultimo, che e’ stato notificato solo in data 14.12.2017.
L’eccezione della curatela e’ infondata sul rilievo che, non essendo l’impugnazione del ricorrente principale (OMISSIS) diretta al (OMISSIS) (ma alla curatela) – di talche’ l’interesse di costui non e’ sorto per effetto dell’impugnazione altrui, ma in conseguenza dell’emanazione della sentenza impugnata – non si applicano allo stesso i termini di cui all’articolo 371 c.p.c. per la notifica del ricorso incidentale, bensi’ i termini ordinari per la proposizione dell’impugnazione, che, nel caso di specie, sono di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza (avvenuta il 6 ottobre 2017), non avendo il fallimento notificato la sentenza impugnata all’odierno ricorrente.
2. Con il primo motivo (OMISSIS) ha dedotto la violazione degli articoli 2403, 2405, 2407 e 2409 c.c. in relazione alla L. Fall., articolo 147 nonche’ degli articoli 115 e 116 c.p.c..
Lamenta il ricorrente che dalla semplice lettura del verbale della riunione del Collegio Sindacale del 14.02.2003 emerge che i componenti del secondo collegio sindacale hanno effettuato specifici e puntuali rilievi all’operato dell’amministratore, rimarcando la gravita’ dei fatti di cui erano venuti a conoscenza ed invitando quest’ultimo a convocare senza indugio l’assemblea per le determinazioni conseguenti, rimettendo, peraltro, in quella sede formalmente ed in maniera irrevocabile il proprio mandato.
Espone, dunque, il ricorrente di aver puntualmente rilevato le irregolarita’, di aver suggerito le misure piu’ corrette per il risanamento aziendale e di aver rassegnato le dimissioni definitive per giusta causa, avendo l’organo gestorio impedito all’organo di controllo l’esercizio dei propri compiti.
3. Con il secondo motivo e’ stata dedotta la violazione e falsa applicazione dell’articolo 2409 c.c. (nella formulazione previgente applicabile ratione temporis) in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Lamenta il ricorrente che la sentenza impugnata gli ha rimproverato l’unico fatto di non aver adempiuto ad un preteso obbligo di formulare denunzia al P.M., non considerando che, secondo la formulazione previgente dell’articolo 2409 c.c., il potere di denunzia al Tribunale spettava solo ai soci che rappresentavano il decimo del capitale sociale, e non quindi anche ai sindaci.
Sostengono che, antecedentemente a tale modifica normativa, la giurisprudenza era incline ad affermare che il potere di intervenuto dei sindaci, nei caso di compimento di gravi responsabilita’ degli amministratori, fosse circoscritto alla sola sfera endosocietaria.
4. Con il terzo motivo e’ stata dedotta la violazione degli articolo 2392, 2403, 2047 e 1223 c.c. e della L. Fall., articolo 146 in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonche’ l’inesistenza della prova del nesso causale tra l’asserito danno e la condotta contestata al secondo collegio sindacale.
Lamenta il ricorrente che, essendosi i sindaci dimessi per giusta causa in data 14.2.2003, il danno di Euro 2.110.085 accertato dalla Corte d’Appello, e derivante dal depauperamento del patrimonio sociale dal 14.2.2003 al fallimento, non puo’ essere loro giuridicamente imputato, essendosi verificato successivamente alla cessazione della loro qualifica.
Ne’, peraltro, e’ applicabile ai sindaci l’istituto di cui all’articolo 2385 c.c. della prorogatio, anche in relazione alla previsione, per l’organo di controllo, della figura dei componenti supplenti.
Nel caso di specie, l’organo gestorio della (OMISSIS) s.r.l., una volta ricevute le dimissioni dei componenti del Collegio Sindacale, non ha eseguito alcuna comunicazione ai supplenti, lasciando la societa’ priva di organo di controllo.
Nulla di quanto avvenuto successivamente puo’ essere addebitato ai sindaci dimissionari, potendo i sindaci rinunciare al proprio incarico in qualsiasi momento, con immediata efficacia della rinunzia non appena pervenuta nella sfera di conoscibilita’ degli amministratori, soprattutto se le dimissioni siano state rassegnate per giusta causa.
5. Tutti e tre i motivi, da esaminare unitariamente in ragione della stretta connessione delle questioni trattate, sono infondati.
L’odierno ricorrente assume di aver adempiuto regolarmente gli obblighi loro imposti dall’articolo 2407 c.c., avendo puntualmente rilevato le irregolarita’ commesse nella gestione della societa’ poi fallita, avendo suggerito le misure piu’ corrette per il risanamento aziendale, rassegnando le dimissioni definitive per giusta causa per avere l’organo gestorio impedito all’organo di controllo l’esercizio dei propri compiti.
Il ricorrente, sostiene, inoltre, che tra i suoi doveri non rientrasse quello di formulare denunzia al P.M., come affermato dalla sentenza impugnata, atteso che in base alla formulazione previgente dell’articolo 2409 c.c. – applicabile ratione temporis – il potere di denunzia al Tribunale spettava solo ai soci che rappresentavano il decimo del capitale sociale, e non quindi anche ai sindaci.
Peraltro, sempre ad avviso del ricorrente, antecedentemente alla predetta modifica normativa, la giurisprudenza era incline ad affermare che il potere di intervenuto dei sindaci, nei caso di compimento di gravi responsabilita’ degli amministratori, fosse circoscritto alla sola sfera endosocietaria.
Questo Collegio non condivide tale impostazione giuridica.
Va osservato che questa Corte ha gia’ affermato in passato (vedi Cass. n. 22911/2010) che dovendo il comportamento dei sindaci ispirarsi al dovere di diligenza proprio del mandatario (secondo la formulazione dell’articolo 2407 c.c., comma 1 vigente al tempo dei fatti di causa) o comunque essere improntato al principio di correttezza e buona fede, esso non puo’ esaurirsi nel solo espletamento delle attivita’ specificamente indicate dalla legge, ma comporta l’obbligo di adottare ogni altro atto che sia necessario per l’assolvimento dell’incarico, come la segnalazione all’assemblea delle irregolarita’ di gestione riscontrate e financo, ove ne ricorrano gli estremi, la denuncia al P.M. per consentirgli di provvedere ai sensi dell’articolo 2409 c.c. (negli stessi termini si era gia’ pronunciata Cass. 17 settembre 1997 n. 9252).
Peraltro, proprio la sentenza n. 9252/1997 aveva evidenziato che, in presenza di gravi irregolarita’ ed illegittimita’ di tipo gestionale, l’insufficienza dei rimedi interni alla societa’ non vale di per se’ a determinare la non imputabilita’ all’organo sindacale del fatto impeditivo dell’efficace adempimento del dovere di controllo sull’amministrazione della societa’. Non essendo dubbia la legittimazione del sindaco (non gia’ a promuovere il procedimento ex articolo 2409, bensi’) a denunziare la irregolarita’ al P.M. per l’esercizio dei poteri di iniziative che gli spettano, anche una tale iniziativa puo’ divenire doverosa, quando sia rimasta, davvero, l’unica praticabile in concreto, per poter legittimamente porre fine alle illegalita’ di gestione riscontrate, o interrompere la successione di comportamenti contra legem che arrecano pregiudizio al patrimonio sociale. Rileva, a tal fine, la diretta incidenza del rimedio cosi’ esperibile non sulla tutela di interessi in qualche modo esterni alla societa’, bensi’ proprio sulla legalita’ e correttezza dell’azione sociale, nell’interesse della societa’ stessa, che sono i valori istituzionalmente affidati anche ai sindaci…”.
Dunque, ben prima dell’entrata in vigore della riforma del diritto societario di cui al Decreto Legislativo n. 6 del 2003, questa Suprema Corte aveva affermato che ove i rimedi endosocietari si rilevino insufficienti e non vi sia altro modo per interrompere le condotte contra legem dell’amministratore, e’ dovere del sindaco denunciare le irregolarita’ gestionali al P.M. per l’esercizio dei poteri di iniziativa che gli spettano.
Nel caso di specie, il giudice d’appello ha evidenziato come gli stessi sindaci fossero consapevoli dell’impossibilita’ di rimedi endosocietari. Tale circostanza emerge, peraltro, anche dalla stessa ricostruzione del ricorso (vedi pag. 26), nel quale si sottolinea (riportando un passaggio del verbale di riunione del Collegio sindacale del 14/2/2003) che la decisione dei sindaci di rassegnare le dimissioni risiedeva, oltre che nello scarso rispetto dimostrato dall’amministratore nei confronti dell’organo di controllo nell’informare sui fatti che avevano contribuito significativamente al dissesto aziendale, nella coincidenza dell’amministratore con una parte significativa dell’azionariato.
Dunque, i sindaci si sono dimessi in quanto consapevoli che le loro denunce all’assemblea, marcatamente orientata nelle sue decisioni dall’influenza dell’amministratore infedele, non avrebbero sortito alcun effetto.
Ne’, come aveva gia’ evidenziato la citata sentenza n. 9252/1997, rileva che, secondo la previgente formulazione dell’articolo 2409 c.c., i sindaci non avessero il potere di promuovere il procedimento di cui alla predetta norma, essendo stata loro rimproverata dalla Corte territoriale una diversa condotta omissiva, ovvero quella di non aver denunziato le irregolarita’ al P.M. perche’ costui promuovesse il procedimento ex articolo 2409 c.c. (come consentito anche dalla previgente formulazione della norma medesima).
Non puo’ neppure condividersi la prospettazione del ricorrente secondo cui difetterebbe il nesso di causalita’ tra la loro condotta omissiva ed il danno accertato dalla sentenza impugnata, essendosi questo prodotto successivamente alla cessazione del loro incarico per effetto delle dimissioni, che hanno avuto piena efficacia non appena sono state portate a conoscenza dell’organo amministrativo.
Il giudice di secondo grado non ha imputato il danno agli odierni sindaci in relazione alla eventuale inefficacia delle loro dimissioni, ne’ ha ritenuto rilevante la questione della eventuale prorogatio del loro incarico fino alla ricostituzione dell’organo di controllo, avendo rimproverato ai sindaci una precisa condotta omissiva – omessa denuncia al P.M., unico strumento che avrebbe potuto interrompere il comportamento contra legem dell’amministratore – rilevante ai fini della produzione del danno, posta in essere prima di rassegnare le dimissioni.
In particolare, la Corte d’Appello di Palermo ha contestato ai sindaci, ai fini della salvaguardia degli interessi dei soci e dei creditori, e, piu’ in generale, dei terzi che fanno affidamento sull’integrita’ del patrimonio sociale, che “non potevano dimettersi senza aver prima diligentemente osservato gli obblighi di legge”.
In ogni caso, con riferimento alla valenza da attribuire alla condotta del sindaco che, a fronte della evidente gestione contra legem dell’amministratore, si sia limitato a rassegnare le dimissioni dal proprio incarico di organo di controllo, questa Corte, nella sentenza n. 18770/2019, ha recentemente evidenziato che le dimissioni non sono certo idonee ad esimere da responsabilita’, quando – come nel caso di specie – non siano accompagnate anche da concreti atti “volti a contrastare, porre rimedio o impedire il protrarsi degli illeciti, per la pregnanza degli obblighi assunti dai sindaci proprio nell’ambito della vigilanza sull’operato altrui, e perche’ la diligenza impone piuttosto un comportamento alternativo: equivalendo allora le dimissioni ad una sostanziale inerzia ed, anzi, divenendo esemplari della condotta colposa e pilatesca tenuta dal sindaco, del tutto indifferente e inerte nel rilevare la situazione di illegalita’ reiterata”.
Il rigetto del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara estinto il giudizio per rinuncia limitatamente alle posizioni di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), da un lato, e della Curatela del fallimento (OMISSIS) s.p.a., dall’altro, dichiarando compensate le relative spese.
Rigetta il ricorso proposto da (OMISSIS) e, per l’effetto, condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 12.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per ricorrente dell’ulteriore importo a titolo quello dovuto per il ricorso principale, dello stesso articolo 13.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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