Corte di Cassazione, sezione sesta penale, Sentenza 16 gennaio 2020, n. 1676
Massima estrapolata:
In tema di responsabilità da reato degli enti, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente del profitto di uno dei reati di cui all’art. 322-ter cod. pen. può essere indifferentemente disposto, oltre che nei confronti dell’ente responsabile dell’illecito amministrativo, anche nei confronti delle persone fisiche che lo hanno commesso, con l’unico limite che il vincolo non può eccedere il valore complessivo del suddetto profitto.
Sentenza 16 gennaio 2020, n. 1676
Data udienza 11 dicembre 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FIDELBO Giorgio – Presidente
Dott. TRONCI Andrea – rel. Consigliere
Dott. RICCIARELLI Massimo – Consigliere
Dott. APRILE Ercole – Consigliere
Dott. SILVESTRI Pietro – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1. (OMISSIS), nato l'(OMISSIS);
2. (OMISSIS), nato il (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 26/07/2019 del TRIB. LIBERTA’ di TORINO;
sentita la relazione svolta dal Consigliere TRONCI Andrea;
sentito il P.M., in persona del Sost. Proc. Gen. Dall’Olio Marco, che ha chiesto l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata, in relazione al primo ed assorbente motivo dei ricorsi;
sentito il difensore, avv. (OMISSIS), anche in sostituzione dell’avv. (OMISSIS), che ha insistito per l’accoglimento di entrambi i ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
1. I difensori di fiducia di (OMISSIS) e (OMISSIS), al tempo dei fatti, nell’ordine, presidente del consiglio di amministrazione ed amministratore delegato di (OMISSIS) s.p.a., ciascuno a mezzo di un proprio e distinto atto, impugnano tempestivamente l’ordinanza indicata in epigrafe, con cui il Tribunale di Torino, adito ai sensi dell’articolo 322 c.p.p., ha confermato il decreto emesso dal locale G.i.p., avente ad oggetto il disposto sequestro preventivo a carico dei due prevenuti, oltre che della menzionata societa’, anche per equivalente, del profitto di Euro 16.516342,28, inerente al reato di malversazione di cui all’articolo 316 bis c.p.. Reato ipotizzato in relazione al contratto di finanziamento agevolato stipulato in data 8 marzo 2016 con il Ministero dello Sviluppo Economico (MISE) dalla (OMISSIS) – essa pure inquisita per l’illecito amministrativo previsto e punito dal Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 24, commi 1 e 2, – per non aver destinato la somma in precedenza individuata, parte del maggior anticipo ricevuto per oltre 21 milioni di Euro, “alla realizzazione degli scopi di cui al Programma oggetto del contratto di finanziamento” di cui sopra.
2. La totale sovrapponibilita’ dei due formalizzati ricorsi legittima l’esposizione unitaria delle tre doglianze, tutte per violazione di legge ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., lettera b), attraverso cui essi si articolano.
3. Il primo motivo denuncia l’inosservanza, in cui sarebbe incorso il G.i.p. nel far luogo all’adozione del provvedimento confermato con l’impugnata ordinanza, del principio della domanda cautelare.
Si assume in proposito che la lettura dell’istanza di sequestro, formulata dal pubblico ministero procedente in data 4 giugno 2019, darebbe conto di come il magistrato inquirente avesse chiesto il sequestro del rilevante ammontare gia’ sopra indicato unicamente “in via diretta e specifica”, valorizzando al riguardo la “ampia nozione di profitto a cui la giurisprudenza e’ pervenuta”, al di fuori pertanto di alcuna puntuale richiesta di sequestro per equivalente, l’assenza della quale non sarebbe aggirabile attraverso l’apprezzamento “in via implicita e indiretta” del significato dell’istanza medesima, come invece opinato dal Tribunale circondariale della cautela: cio’ alla luce dell’insegnamento della giurisprudenza di legittimita’, in ordine alla necessita’, appunto, quale presupposto indefettibile per l’applicazione della misura cautelare di cui trattasi, di “una specifica domanda del pubblico ministero”, tenuto conto della sicura diversita’ del sequestro diretto e per equivalente che, ancorche’ previsti in seno al medesimo articolo del codice di rito, nondimeno “sono due misure eterogenee, caratterizzate da fondamento normativo e ambito operativo del tutto differenti”.
4. L’ulteriore violazione di legge dedotta ha ad oggetto il Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articoli 19 e 53.
Rappresentano al riguardo i legali ricorrenti che la vicenda per cui e’ procedimento “attiene ad una specifica ipotesi di responsabilita’ dell’ente per il reato di malversazione ai danni dello Stato”, in tal senso essendo ritenuto sintomatico sia l’espresso richiamo all’addebito elevato nei confronti della (OMISSIS) s.p.a. che compare nel decreto di sequestro preventivo, sia la circostanza che “la stessa formulazione dell’imputazione provvisoria declina l’aggravante del conseguimento di un profitto di rilevante entita’ esclusivamente in capo alla societa’… per il solo illecito amministrativo di cui al Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 24, commi 1 e 2”.
Tanto premesso, si sostiene che il G.i.p., dopo aver disposto la ricerca del profitto del reato “in via diretta nell’ambito della sfera economico-patrimoniale della persona giuridica”, erroneamente avrebbe disposto in subordine la misura ablativa “per equivalente sui beni nella disponibilita’ dell’amministratore della societa’” – s’intenda: di ciascun amministratore – anziche’ su quelli riferibili comunque alla societa’ medesima, atteso che lo schema tratteggiato dalla sentenza Gubert delle Sezioni Unite di questa Corte, il cui percorso sarebbe stato riproposto dal confermato provvedimento genetico, con i connessi limiti di sequestrabilita’, si attaglia specificamente ai reati tributari, non essendo pertanto invocabile nel caso di specie.
Ne’ – si prosegue ancora – sarebbe condivisibile il richiamo compiuto dal Tribunale torinese al “principio solidaristico che informa il concorso di persone nel reato e che implica l’imputazione dell’intera azione delittuosa e dell’effetto conseguente in capo a ciascun concorrente”: tanto poiche’ “l’ente non e’ mai autore del reato e non puo’ essere considerato concorrente”, onde, “in presenza di un illecito commesso in vantaggio dell’ente o di cui, comunque, quest’ultimo abbia tratto un beneficio, si dovrebbe propendere per l’esclusiva responsabilita’ della persona giuridica o quanto meno della necessaria sottoposizione a sequestro preventivo, in via diretta e per equivalente, del suo patrimonio prima di procedere a rintracciare il profitto del reato per equivalente nel patrimonio degli amministratori dell’ente”, per i quali per di piu’ – da cio’ discendendo un ulteriore profilo d’illegittimita’ – non sussisterebbe qui alcun profitto aggredibile, in quanto conseguito esclusivamente dalla societa’, cui e’ stata contestata la ricordata aggravante della rilevante misura del medesimo.
5. La terza censura investe la determinazione del profitto, quale compiuta dal G.i.p. del Tribunale del capoluogo piemontese.
Premesse sinteticamente le caratteristiche proprie del finanziamento richiesto ed ottenuto da (OMISSIS) s.p.a., osservano i difensori che la somma percepita dalla societa’ in questione “non e’ un’erogazione a fondo perduto, ma un mutuo agevolato, connotato dall’applicazione di un tasso d’interesse piu’ vantaggioso di quello di mercato”, con conseguente assunzione, in capo alla societa’ medesima, dell’obbligo di “restituire a (OMISSIS) il capitale erogato e gli interessi nei modi e nei tempi previsti dal contratto”. Di qui la conclusione, alla luce della nozione di profitto delineata dalla giurisprudenza ed efficacemente definita come “effettivo incremento del patrimonio conseguito dall’agire illegale”:
– che, in considerazione della “peculiare struttura della fattispecie delittuosa per cui si procede”, come pure della liceita’ in se’ del contratto di finanziamento stipulato da (OMISSIS) con (OMISSIS), il fatto penalmente rilevante e’ qui “circoscritto alla successiva fase di esecuzione della prestazione corrispettiva posta a carico del privato”, ossia al solo momento di inadempienza “all’obbligo di imprimere a tale somma la destinazione pubblicistica concordata”, essendo percio’ l’accrescimento della sfera patrimoniale dell’ente, derivante dalla percezione dell’erogazione pubblicistica, “evento cronologicamente antecedente ed eziologicamente svincolato dalla condotta illecita e pertanto non sussumibile acriticamente e in toto nella nozione di profitto quale incremento causato (quindi conseguente) dal fatto di reato”;
– che, in ragione dell’assoggettamento dell’importo finanziato “a vincolo di restituzione preesistente, immanente e indipendente rispetto alla commissione del reato, lo stesso non puo’ essere tout court ricondotto alla nozione di profitto elaborata dalla giurisprudenza per i “reati in contratto””, categoria in cui rientra appunto la vicenda di cui trattasi, per via dell’assenza del necessario carattere della stabilita’ del connesso accrescimento economico, avente connotazione transitoria;
– da ultimo, che, “pur vertendosi pacificamente in un’ipotesi di reato in contratto, il Tribunale del riesame ha pretermesso totalmente qualunque valutazione in ordine ad esistenza ed entita’ dei costi vivi sostenuti dall’ente per dare esecuzione al contratto con (OMISSIS)”, essi pure incidenti sulla corretta determinazione del quantum suscettibile di essere sottoposto a sequestro.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Nessuno degli illustrati motivi di ricorso – che ripropongono le medesime censure gia’ sottoposte all’attenzione del Tribunale di Torino e dallo stesso disattese – si sottrae ad una previa e doverosa valutazione d’inammissibilita’, sotto il profilo della manifesta infondatezza o della genericita’ della specifica doglianza formulata.
2. Relativamente alla pretesa violazione del principio della domanda cautelare, l’ordinanza impugnata ne ha escluso la sussistenza rilevando come lo “espresso richiamo alla possibilita’ di un sequestro per equivalente”, contenuto nella motivazione della relativa istanza, nonche’ la stessa tipologia dei beni di cui alla richiesta d’imposizione del vincolo cautelare, contraddistinta dalla presenza di “immobili senza alcuna specificazione della condizione che dovesse trattarsi di beni oggetto di reimpiego del menzionato profitto”, costituiscano indici sintomatici della tranquillizzante conclusione che “il titolare del potere di iniziativa abbia effettivamente esteso le proprie richieste pure al sequestro preventivo per equivalente”.
A fronte di tanto, la difesa di entrambi i ricorrenti, al di la’ della segnalazione dell’ovvia diversita’ fra sequestro preventivo diretto e per equivalente, si e’ assestata sul requisito di “adeguata specificita’” che deve connotare la richiesta cautelare reale del pubblico ministero, ma nulla ha detto sul significato della indicazione dei beni da sottoporre alla sollecitata misura, tanto piu’ e soprattutto alla luce dell’esplicito riferimento al sequestro per equivalente, della cui effettiva presenza nel corpo della domanda cautelare i due ricorsi danno atto, pur sminuendone apoditticamente la significativita’ sulla base della definizione di “fugace e vano richiamo normativo” all’istituto in questione.
Discende da cio’ la radicale inconsistenza, come pure l’indubbia genericita’ della doglianza, risoltasi in enunciazioni astratte senza un effettivo confronto con il congruo e lineare ragionamento sviluppato dall’ordinanza torinese, sulla base di non confutati dati fattuali.
3. Venendo, quindi, alla dedotta violazione del Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articoli 19 e 53, per non essere stata previamente verificata l’incapienza della (OMISSIS) rispetto all’effettuazione di sequestro per equivalente ai danni delle persone fisiche, l’impostazione difensiva – anche in questo caso – non ha alcun pregio.
Giova premettere, trattandosi della premessa in punto di diritto su cui e’ stato basato il presente motivo di censura, che l’ordinanza del Tribunale torinese – che e’ il provvedimento oggetto d’impugnazione e ben puo’ integrare o anche sostituire la propria motivazione a quella adottata dal G.i.p. – non ha certo fatto proprie le argomentazioni della sentenza Gubert, emessa dalle Sezioni Unite in materia di sequestro preventivo nei reati tributari, giacche’ esplicita e’ la riproduzione di un ampio passaggio di affatto diversa pronuncia delle stesse Sezioni Unite – la n. 26654 del 27.06.2008, ric. (OMISSIS) – ove sono contenuti, tra l’altro e per quanto qui in particolare rileva, i seguenti enunciati formulati dall’Alto Consesso, cui anche la giurisprudenza successiva si e’ uniformata. Ossia che:
– “la confisca per equivalente del profitto di cui al Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 19, ha natura di sanzione principale e autonoma”, senza che ricorra “rapporto di sussidiarieta’ o di concorso apparente tra la detta disposizione e le norme del codice penale che prevedono la stessa misura ablativa a carico delle persone fisiche responsabili del reato, fermo restando logicamente che l’espropriazione non potra’, in ogni caso, eccedere nel quantum l’entita’ complessiva del profitto”;
– “La responsabilita’ della persona giuridica e’ aggiuntiva e non sostitutiva di quella delle persone fisiche, che resta regolata dal diritto penale comune”;
– “Il criterio d’imputazione del fatto all’ente e’ la commissione del reato “a vantaggio” o “nell’interesse” del medesimo ente da parte di determinate categorie di soggetti. V’e’, quindi, una convergenza di responsabilita’, nel senso che il fatto della persona fisica, cui e’ riconnessa la responsabilita’ anche della persona giuridica, deve essere considerato “fatto” di entrambe, per entrambe antigiuridico e colpevole, con l’effetto che l’assoggettamento a sanzione sia della persona fisica che di quella giuridica s’inquadra nel paradigma penalistico della responsabilita’ concorsuale”;
– “Di fronte ad un illecito plurisoggettivo deve applicarsi il principio solidaristico che informa la disciplina del concorso nel reato e che implica l’imputazione dell’intera azione delittuosa e dell’effetto conseguente in capo a ciascun concorrente. Piu’ in particolare, perduta l’individualita’ storica del profitto illecito, la confisca di valore puo’ interessare indifferentemente ciascuno dei concorrenti anche per l’intera entita’ del profitto accertato (entro logicamente i limiti quantitativi dello stesso), non essendo esso ricollegato, per quello che emerge allo stato degli atti, all’arricchimento di uno piuttosto che di un altro soggetto coinvolto, bensi’ alla corresponsabilita’ di tutti nella commissione dell’illecito, senza che rilevi il riparto del relativo onere tra i concorrenti, che costituisce fatto interno a questi ultimi”.
Tanto premesso, e’ vero unicamente che l’esecuzione del sequestro di valore presuppone che non sia stato possibile far luogo previamente – cosi’ come recita l’articolo 322 ter c.p., – alla confisca diretta di quanto costituisce il profitto o il prezzo del reato per cui si procede. Il che, nella presente fattispecie, trova puntuale riscontro: sul piano formale, nel tenore del dispositivo del provvedimento genetico, la’ dove si dispone, in prima battuta, “il sequestro preventivo in forma diretta e specifica del profitto del reato di cui al capo 1) della rubrica”, nella misura specificata, da eseguirsi sulle “somme di denaro sul conto riconducibile a (OMISSIS) s.p.a.”, prevedendosi solo in caso di incapienza “il sequestro per equivalente dei beni mobili e/o immobili rinvenuti nella disponibilita’ degli indagati… per un valore corrispondente al profitto indicato”; sul piano sostanziale, alla luce di quanto leggesi nell’ordinanza impugnata, avuto riguardo alla situazione di incapienza della societa’, definita “gia’ apprezzabile ex ante”, come pure al riferimento alla “complessiva disamina dei verbali di esecuzione”, ancorche’ riguardati con peculiare attenzione al valore di quanto sottoposto a sequestro rispetto all’ammontare del profitto del reato, tenuto conto altresi’ della radicale genericita’ della censura, che nulla di concreto eccepisce onde dare reale sostanza alla critica avanzata, precipuamente insistendo su un inesistente ordine di priorita’ nella selezione dei soggetti sui cui beni eseguire il sequestro di valore.
4. Per cio’ che concerne la contestata determinazione della misura del profitto, va dato atto della complessita’ che e’ propria di tale problematica, ancor piu’ delicata ove la questione, che involge la corretta definizione della nozione stessa di profitto, inerisca a forme di criminalita’ economica, connesse ad un’attivita’ lecita d’impresa nella quale si insinuino condotte integranti reato, solo in tempi relativamente recenti postasi all’attenzione della giurisprudenza e della dottrina, che si e’ tradizionalmente soffermata sulla delimitazione del profitto assoggettabile a confisca in rapporto ai tipici reati contro il patrimonio, che si risolvono nella spoliazione della persona offesa.
Puo’ inoltre senz’altro convenirsi con la difesa in ordine alla rilevanza della distinzione fra “reati contratto” e “reati in contratto”. Distinzione che, al fine della perimetrazione del concetto che qui interessa, e’ limpidamente tracciata dalla gia’ citata sentenza delle Sezioni Unite n. 26554/2008, ove si legge, appunto, che, “nel caso in cui la legge qualifica come reato unicamente la stipula di un contratto a prescindere dalla sua esecuzione, e’ evidente che si determina una immedesimazione del reato col negozio giuridico (c.d. “reato contratto”) e quest’ultimo risulta integralmente contaminato da illiceita’, con l’effetto che il relativo profitto e’ conseguenza immediata e diretta della medesima ed e’, pertanto, assoggettabile a confisca. Se invece il comportamento penalmente rilevante non coincide con la stipulazione del contratto in se’, ma va ad incidere unicamente sulla fase di formazione della volonta’ contrattuale o su quella di esecuzione del programma negoziale (c.d. “reato in contratto”), e’ possibile enucleare aspetti leciti del relativo rapporto, perche’ assolutamente lecito e valido inter partes e’ il contratto (eventualmente solo annullabile ex articoli 1418 e 1439 c.c.), con la conseguenza che il corrispondente profitto tratto dall’agente ben puo’ essere non ricollegabile direttamente alla condotta sanzionata penalmente” (v. anche, in senso conforme e da ultimo, Sez. 6, sent. n. 9988 del 27.01.2015, Rv. 262794 e n. 55851 del 14.02.2017 n. m.).
4.1 Tanto premesso, e’ altresi’ vero che, nel caso di specie, il contratto di finanziamento agevolato sottoscritto da (OMISSIS) ed (OMISSIS), sulla base dell’Accordo di Programma precedentemente raggiunto ed avente ad oggetto gli interventi concordati di riconversione e riqualificazione del polo industriale di Termini Imerese, e’ scevro da illiceita’ di sorta, giacche’ il momento di rilevanza penale del fatto si concretizza con la mancata destinazione del finanziamento ricevuto – qui corrispondente al 30% del totale ammesso – alle finalita’ per cui le relative somme erano state erogate. Dopodiche’, tuttavia, non coglie manifestamente nel segno la difesa, la’ dove pretende di sostenere che, essendo il finanziamento (di necessita’) entrato a far parte del patrimonio dell’ente in epoca antecedente alla consumazione del reato e trattandosi in ogni caso di un accrescimento patrimoniale transeunte, per via dell’obbligo di restituzione gravante sull’ente medesimo, maggiorato di un tasso d’interesse ancorche’ agevolato, di esso non si dovrebbe tener conto in funzione della determinazione del profitto assoggettabile a sequestro preventivo ed a successiva confisca.
Invero, se il profitto consiste nel “vantaggio economico ricavato in via immediata e diretta dal reato”, inteso come “beneficio aggiunto di tipo patrimoniale” – come ancora una volta condivisibilmente leggesi nella parte motiva della citata sentenza delle Sezioni Unite – l’assunto difensivo e’ frutto di una evidente forzatura e di un interessato formalismo, giacche’, in coincidenza con il concretarsi del fatto omissivo penalmente sanzionato, per cio’ solo il denaro ricevuto con un preciso vincolo di destinazione va a costituire il non consentito accrescimento patrimoniale, senza che abbia rilievo in senso contrario l’obbligo di restituzione a carico dell’ente, peraltro d’ordinario destinato ad operare su un piano meramente cartaceo, a fronte dell’effettivita’ del finanziamento incassato. D’altro canto, atteso che la ratio cui e’ pacificamente deputata la confisca per equivalente e’ quella di evitare che l’illecito penale consenta l’acquisizione di un qualsivoglia beneficio economico in capo al reo, a cio’ correlandosi la tematica del “reato in contratto” – volta a differenziare, nell’ambito del complessivo assetto negoziale, parti lecite, da ricollegarsi a prestazioni regolarmente eseguite dall’agente e percio’ risoltesi in un utile per la controparte – appare innegabile che qui l’erogazione diviene fine a se’ stessa, per essere stata frustrata la causale posta a base del concesso finanziamento, risolvendosi per cio’ solo in un profitto, immediato e concreto, per il beneficiario del finanziamento medesimo ed in un correlativo danno per il soggetto erogante, a prescindere dal mero diritto di credito legato all’obbligo di restituzione futura (cfr., in termini, Sez. 6, sent. n. 12653 del 09.02.2016, Rv. 267205).
4.2 Quanto, infine, all’omessa considerazione “dei costi vivi sostenuti dall’ente per dare esecuzione al contratto con (OMISSIS)”, e’ di tutta evidenza come si sia al cospetto di una enunciazione totalmente generica, che si esaurisce nella sua mera enunciazione, essendosi i ricorrenti ben guardati dal sostanziarla attraverso l’indicazione di voci a tal fine rilevanti – che, come tali, dovrebbero essere inerenti alla sola parte del finanziamento che ha avuto regolare esecuzione – e nondimeno erroneamente non prese in considerazione dal provvedimento genetico e dall’ordinanza che ne ha confermato le statuizioni.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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