In tema di reati fallimentari

Corte di Cassazione, penale, Sentenza|2 dicembre 2020| n. 34303.

In tema di reati fallimentari, non viola il disposto di cui all’ art. 597, comma 4, cod. proc. pen. la sentenza del giudice d’appello che, avendo pronunciato assoluzione per alcuni dei fatti di bancarotta commessi nello stesso fallimento e ritenuto la circostanza aggravante di cui all’art. 219, comma secondo, n. 1, legge fall. subvalente rispetto alle attenuanti riconosciute, abbia mantenuto la pena stabilita dal giudice di primo grado nel minimo edittale con la diminuzione massima per le attenuanti, non esercitando la suddetta aggravante alcun effetto sulla misura della pena.

Sentenza|2 dicembre 2020| n. 34303

Data udienza 7 ottobre 2020

Integrale

Tag – parola chiave: Occultamento di beni aziendali – Pene accessorie – Illegalità – Sentenza della Corte Costituzionale n. 222/2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ZAZA Carlo – Presidente

Dott. SCARLINI Enrico V – rel. Consigliere

Dott. BELMONTE Maria Teresa – Consigliere

Dott. ROMANO Michele – Consigliere

Dott. FRANCOLINI Giovanni – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 18/06/2018 della CORTE APPELLO di ANCONA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. ENRICO VITTORIO STANISLAO SCARLINI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dr. LOCATELLI GIUSEPPE, che ha concluso chiedendo l’inammissibilita’ del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 18 giugno 2018, la Corte di appello di Ancona, in parziale riforma della pronuncia del locale Tribunale, proscioglieva (OMISSIS) dai delitti ascrittigli ai capi A e C, rispettivamente di bancarotta documentale semplice e di ricorso abusivo al credito, per intervenuta prescrizione, e ne confermava la condanna per il delitto sub B, per avere, quale titolare della ditta individuale omonima dichiarata fallita il (OMISSIS), occultato o dissipato i beni aziendali ivi elencati, per un valore complessivo di quasi 5.000,00 Euro, confermando anche la pena di anni due di reclusione (con le attenuanti generiche prevalenti sulla aggravante della pluralita’ dei fatti di bancarotta) e le pene accessorie fallimentari per la durata di anni 10.
1.1. In risposta ai motivi di appello, la Corte territoriale aveva osservato come:
– non fosse consentito dedurre dalle mere dichiarazioni del prevenuto che i beni fossero obsoleti e fosse pertanto attendibile l’asserito conferimento in discarica, anche considerando che erano di recente acquisto (dal gennaio al settembre 2008);
– non fosse, parimenti, attendibile la versione fornita, sempre dall’imputato, circa i danni patiti dal materiale elettronico a causa delle interruzioni nell’erogazione di energia elettrica;
– non fosse concedibile l’invocata attenuante del danno lieve non potendosi considerare esiguo il valore degli stessi;
– anche considerando i proscioglimenti, la pena, con le attenuanti generiche, equivaleva al minimo edittale.
2. Propone ricorso l’imputato, a mezzo del suo difensore, articolando le proprie censure in tre motivi.
2.1. Con il primo deduce il difetto di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza del contestato delitto di bancarotta patrimoniale.
I beni indicati in imputazione erano obsoleti e l’imputato li aveva smaltiti presso la discarica comunale. Del resto, il loro valore reale era cosi’ minimo da non potersi giustificare una loro distrazione.
Sul punto l’imputato aveva rilasciato una dichiarazione sostitutiva di atto di notorieta’ che assumeva valore di prova.
2.2. Con il secondo motivo lamenta il difetto di motivazione in ordine al mancato riconoscimento della circostanza attenuante prevista dall’articolo 219, comma 3, L.F. in considerazione del minimo valore dei beni.
2.3. Con il terzo motivo lamenta la violazione di legge consistita nella reformatio in peius derivante dalla mancata diminuzione di pena a fronte del dichiarato proscioglimento da due delle tre imputazioni ascritte al prevenuto.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso presentato nell’interesse dell’imputato e’ inammissibile ma la sentenza impugnata va annullata d’ufficio in relazione alla durata delle pene accessorie fallimentari a seguito della pronuncia della Corte costituzionale n. 222 del 2018 che ha dichiarato l’illegittimita’ del Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267, articolo 216, u.c., nella parte in cui dispone: “la condanna per uno dei fatti previsti dal presente articolo importa per la durata di dieci anni l’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e l’incapacita’ per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa”, anziche’: “la condanna per uno dei fatti previsti dal presente articolo importa l’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e l’incapacita’ ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa fino a dieci anni”.
Sul punto il giudice del rinvio applichera’ il principio di diritto formulato sul punto dalla recente pronuncia delle Sezioni unite del 28/02/2019, Suraci: “Le pene accessorie previste dall’articolo 216 L. Fall., nel testo riformulato dalla sentenza n. 222 del 5 dicembre 2018 della Corte Costituzionale, cosi come le altre pene accessorie per le quali la legge indica un termine di durata non fissa, devono essere determinate in concreto dal giudice in base ai criteri di cui all’articolo 133 c.p.”.
2. Si e’ detto come i motivi di censura proposti dal prevenuto siano inammissibili.
Il primo ed il secondo, sull’avvenuta distrazione dei beni e sull’omesso riconoscimento dell’attenuante del danno lieve, perche’ sono entrambi versati in fatto e non tengono cosi’ conto dei limiti del sindacato di legittimita’ che non puo’ pervenire alla riconsiderazione degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione e’, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimita’ la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente piu’ adeguata, valutazione delle risultanze processuali (per tutte: Sez. Un., 30/4-2/7/1997, n. 6402, Dessimone, Rv. 207944; ed ancora: Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003 – 06/02/2004, Elia, Rv. 229369).
La Corte di merito, infatti, con motivazione priva di manifesti vizi logici, aveva rilevato come:
– la mera affermazione labiale dell’imputato (alla quale nulla aggiungeva, in tema di prova, la prodotta dichiarazione sostitutiva di atto di notorieta’) di avere conferito in discarica i beni non rinvenuti, perche’ ormai privi di alcun valore economico residuo, per i danni patiti e per la loro obsolescenza, non si era dimostrata attendibile sia perche’ gli oggetti in questione erano stati acquistati in tempi recenti sia perche’ non appariva credibile che si fossero succeduti tutti quegli accidenti che ne avrebbero determinato il denunciato definitivo danneggiamento;
– conseguentemente, non poteva riconoscersi l’invocata attenuante, non potendosi affermare che la distrazione consumata dal prevenuto avesse creato un danno di particolare tenuita’ ai creditori della massa.
3. Il terzo motivo e’ manifestamente infondato posto che l’invocata applicazione dell’articolo 597 c.p.p. – che prevede la diminuzione della pena a seguito della parziale assoluzione dalle accuse mosse in prime cure – non puo’ condurre ad irrogare all’imputato una pena illegale come avverrebbe se, non concedendosi ulteriori attenuanti, si riducesse la pena, inflitta al ricorrente, di anni due di reclusione, considerando che la pena base per il delitto contestato e’ di anni tre e la stessa era stata diminuita per le attenuanti generiche nella misura massima consentita, di un terzo.
Si deve, inoltre, considerare che la continuazione fallimentare si risolve nella contestazione e nel riconoscimento della circostanza aggravante prevista dall’articolo 219, comma 2, n. 1, L. Fall., che rientra, come tale, nel giudizio di bilanciamento dell’articolo 69 c.p., cosi’ che, quando la stessa sia stata giudicata subvalente (come nell’odierno caso concreto) rispetto alle attenuanti, non esercita alcun effetto sulla misura della pena, con la conseguenza che, in riferimento ai fatti di bancarotta per i quali l’imputato e’ stato prosciolto, non e’ stato applicato alcun segmento di pena che possa essere eliminato (si veda, a sostanziale conferma, la pronuncia Sez. 5, n. 44088 del 09/05/2019, Dzemaili, Rv. 277845 che, pur avendo affermato che occorre diminuire anche la pena illegale in caso di assoluzione per le ulteriori condotte contestate, precisa, pero’, che dalle medesime erano derivati degli aumenti di pena che dovevano essere eliminati).

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla durata delle pene accessorie con rinvio per nuovo esame sul punto alla Corte di appello di Perugia. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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