Corte di Cassazione, sezione sesta penale, Sentenza 28 aprile 2020, n. 13153.
Massima estrapolata:
In tema di reati contro la P.A., la continua ed insistente presenza per richiedere elargizioni legate allo stato di indigenza che si finalizza in una generica e semplice condotta invasiva e petulante, non configura il reato di minaccia che tuttavia può configurare il meno grave reato di molestie, per il quale è sufficiente “un atteggiamento di arrogante invadenza e di intromissione continua e inopportuna nella altrui sfera di libertà, con la conseguenza che la pluralità di azioni di disturbo integra l’elemento materiale costitutivo del reato
Sentenza 28 aprile 2020, n. 13153
Data udienza 20 febbraio 2020
Tag – parola chiave: Minaccia – Cittadino indigente che staziona al comune in maniera petulante e talvolta con richieste colorite – Ottenimento dal sindaco aiuti in misura maggiore rispetto a chi si trova si trova come lui in una situazione di marginalità – Non integrazione del reato
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FIDELBO Giorgio – Presidente
Dott. GIORDANO Emilia Anna – Consigliere
Dott. GIORGI Maria Silvi – rel. Consigliere
Dott. AMOROSO Riccardo – Consigliere
Dott. VIGNA Maria Sabina – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 12/06/2019 della Corte d’appello di Caltanissetta;
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere GIORGI Maria Silvia;
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale ORSI Luigi, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per insussistenza del reato;
udito il Difensore dell’imputato, Avv. (OMISSIS) in sostituzione dell’Avv. (OMISSIS), il quale ha concluso riportandosi ai motivi di ricorso e insistendo per l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
1. Con il provvedimento in epigrafe la Corte d’appello di Caltanissetta, in riforma della sentenza 11/05/2017 del Tribunale di Caltanissetta di assoluzione dell’imputato (OMISSIS), dichiarava lo stesso responsabile del reato continuato di minaccia a pubblico ufficiale e lo condannava, con la recidiva reiterata, alla pena di anni due di reclusione. La condotta dell’imputato integrava il reato contestato posto che, anche a seguito della parziale rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, era emerso che l’assidua e petulante presenza di (OMISSIS) presso gli uffici comunali, le sue frequenti richieste di aiuti economici e gli atteggiamenti aggressivi rivolti nei confronti del Sindaco (OMISSIS) avessero determinato nella persona offesa uno stato di timore che lo aveva indotto, di concerto con gli organi comunali a cio’ preposti, non solo alla concessione di contributi non dovuti, ma anche ad una specifica rimodulazione delle modalita’ di erogazione dei contributi, con cio’ fornendo a (OMISSIS), che pur versava in precarie condizioni economiche, vantaggi rispetto a persone versanti nelle medesime situazioni. Sotto il profilo sanzionatorio la Corte riteneva di doversi discostare dal minimo edittale in considerazione dell’arco di tempo interessato dalla reiterazione delle condotte criminose e del turbamento causato all’attivita’ dei pubblici ufficiali, nonche’ di applicare l’aumento di pena per la ritenuta recidiva reiterata.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di (OMISSIS), deducendo:
2.1. violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla sussistenza del reato di cui all’articolo 336 c.p.. Da un lato la condotta posta in essere dall’imputato non ha determinato l’evento lesivo necessario ai fini della configurabilita’ del reato de quo; la violenza o minaccia posta in essere dall’imputato non avrebbero in alcun modo inciso sulla determinazione volitiva del Sindaco, che non ha mai consegnato somme di denaro a (OMISSIS) non dovute in violazione di leggi o regolamenti. Infatti per i fatti contestati nel 2014 l’erogazione era gia’ avvenuta e per quelli commessi nel 2015 era previsto un piano mensile per l’erogazione del sostegno economico a (OMISSIS). Sotto diverso profilo la Corte non avrebbe tenuto nella giusta considerazione la natura dei comportamenti tenuti nei confronti del Sindaco, trattandosi di semplici alterchi, con riguardo ai quali i giudici di appello hanno erroneamente e contraddittoriamente valutato le prove testimoniali.
2.2. violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla dosimetria della pena, in particolare per quanto riguarda l’aumento apportato per la ritenuta recidiva reiterata, non essendo (OMISSIS) gravato da precedenti penali.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Sono fondati i motivi di ricorso attinenti alla configurabilita’ degli elementi costitutivi del reato di cui all’articolo 336 c.p., il cui accoglimento ha natura assorbente rispetto alle altre doglianze.
2. I Giudici di appello (previa parziale rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale) hanno ricostruito la vicenda storico – fattuale evidenziando come l’imputato, il quale viveva in stato di indigenza: a) aveva ottenuto dal Comune aiuti economici, che tuttavia non aveva ritenuto sufficienti; b) aveva assunto nel tempo atteggiamenti sempre piu’ invadenti; c) grazie alle condotte intimidatorie, minacciose ed ingiuriose aveva conseguito aiuti economici in misura superiore al dovuto (nel 2014 Euro 1500,00 a fronte del tetto massimo fissato in Euro 400,00) oltre a borse lavoro, cantieri lavoro, assegni civici e al pagamento di bollette di varie utenze; d) aveva tenuto comportamenti minacciosi nei confronti del Sindaco e di altri pubblici ufficiali sia dentro che fuori gli uffici comunali, tanto che il 27/02/2015 (OMISSIS) aveva fermato (OMISSIS) per strada, minacciandolo quando costui gli aveva fatto presente che aveva gia’ ricevuto piu’ di quanto gli spettava; e) aveva posto in essere condotte minacciose anche nei confronti di altri soggetti, allorche’, ad esempio, il 27/05/2015 era stato allontanato dai Carabinieri, ma si era poco dopo ripresentato assegnando alla funzionaria (OMISSIS) il termine di sette minuti per contattare il Sindaco e fargli avere il denaro richiesto. La Corte ha rappresentato altresi’ che in relazione alle insistenti minacce (OMISSIS) aveva chiesto e ottenuto il rilascio del porto d’armi e, comunque, la sua serenita’ era stata oltremodo turbata.
La Corte territoriale, nel riformare la decisione assolutoria di primo grado, secondo cui la condotta tenuta da (OMISSIS) appariva “espressione di volgarita’ ingiuriosa e di atteggiamento parolaio genericamente minaccioso” non finalizzata ad incidere sull’attivita’ “conclusasi con l’erogazione di somme uguali per coloro i quali erano nelle stesse condizioni disagiate”, ha concluso, anche alla stregua degli elementi fattuali raccolti nel corso dell’integrazione istruttoria, nel senso della colpevolezza di (OMISSIS).
3. Ritiene questa Corte che l’assunto dei giudici di appello – nell’attribuire valenza minatoria alla petulante e insistente presenza con prospettazione di non andarsene, alla generica rappresentazione di “autoinvitarsi a pranzo” a casa del Sindaco e agli inviti perentori rivolti ad altri funzionari per poter avere un colloquio con il Sindaco – non sia coerente con i criteri ermeneutici fissati nella giurisprudenza di legittimita’ in materia.
Ed invero, non integra il delitto di cui all’articolo 336 c.p., la reazione genericamente minatoria del privato, mera espressione di sentimenti ostili non accompagnati dalla specifica prospettazione di un danno ingiusto, che sia sufficientemente concreta da risultare idonea a turbare il pubblico ufficiale nell’assolvimento dei suoi compiti istituzionali (Sez. 6, n. 20320 del 07/05/2015, Lobina, Rv. 263398; Sez. 6, n. 6164 del 10/01/2011, Stefanello, Rv. 249376). Di talche’, perche’ sia ravvisabile una minaccia idonea a rendere configurabile il reato di cui all’articolo 336 c.p., occorre che la condotta posta in essere dall’agente sia dotata di effettiva potenzialita’ a coartare la volonta’ del pubblico ufficiale nell’assolvimento dei doveri d’ufficio, tale non potendo dirsi un atteggiamento del privato che genericamente esprima sentimenti ostili non accompagnati da specifiche prospettazioni di un danno ingiusto di una qualche concretezza idonee a turbare il pubblico ufficiale nell’assolvimento dei suoi compiti istituzionali, non essendo neppure univocamente dimostrata l’esistenza dell’atto contrario ai doveri di ufficio.
Orbene, nel caso in esame, l’unica espressione dotata di effettiva valenza minatoria e’ quella rivolta da (OMISSIS) al Sindaco (OMISSIS) il 27/02/2015, allorche’ gli diceva “come tu ti diverti con me, lo mi potrei divertire con te”: espressione rimasta pero’ isolata e – come tale – configurabile come minaccia, non perseguibile per mancanza di querela.
Per contro, la continua ed insistente presenza per richiedere elargizioni legate allo stato di indigenza pare piuttosto risolversi in una generica condotta invasiva e petulante, nella quale potrebbe configurarsi il meno grave reato di molestie, per il quale e’ sufficiente “un atteggiamento di arrogante invadenza e di intromissione continua e inopportuna nella altrui sfera di liberta’, con la conseguenza che la pluralita’ di azioni di disturbo integra l’elemento materiale costitutivo del reato” (Sez. 1, n. 6064 del 06/12/2017, Girone, Rv. 272397; Sez. 1, n. 6908 del 24/11/2011, Zigrino, Rv. 252063; Sez. 1, n. 29933 del 08/07/2010, Arena, Rv. 247960).
4. La sentenza impugnata va pertanto annullata con rinvio per nuova valutazione in ordine ai punti indicati.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Caltanissetta.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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