Corte di Cassazione, penale, Sentenza|27 ottobre 2020| n. 29792.
In tema di rapina, attesa la nuova formulazione del comma quarto dell’art. 628 cod. pen. – introdotta dalla legge 23 giugno 2017, n. 103 – il più elevato minimo edittale ivi previsto si applica anche nel caso di concorso di più circostanze aggravanti interne allo stesso n. 1 del terzo comma dell’art. 628 cod. pen. (In motivazione, la Corte ha sottolineato che ciascuno dei numeri interni al catalogo contenuto nel terzo comma dell’art. 628 cod. pen. contiene una disposizione a più norme autonome eventualmente concorrenti).
Sentenza|27 ottobre 2020| n. 29792
Data udienza 9 ottobre 2020
Integrale
Tag – parola chiave: Rapina – Attenuanti generiche – Diniego – Rilevanza della gravità del reato e della capacità a delinquere dell’imputato – Concorrenza di più circostanze aggravanti ex art. 628, co. 3 c.p. – Applicazione di un più elevato minimo edittale – Adeguatezza della motivazione – Rigetto
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GALLO D. – Presidente
Dott. MANTOVANO A. – Consigliere
Dott. MESSINI D’AGOSTINI Piero – Consigliere
Dott. BELTRANI Sergi – Consigliere
Dott. PERROTTI – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), n. a (OMISSIS);
(OMISSIS), n. a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 7/1/2019 della Corte di appello di Napoli;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Massimo Perrotti;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Pedicini Ettore, che ha concluso per la inammissibilita’ dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
1. Il giudice per l’udienza preliminare del tribunale di Nola, con la sentenza emessa in data 21 giugno 2018 all’esito del giudizio abbreviato, aveva riconosciuto la responsabilita’ degli imputati per i fatti loro ascritti e, avvinti i detti reati sotto il vincolo della continuazione, aveva condannato il (OMISSIS) alla pena di anni cinque, mesi uno e giorni dieci ed Euro 2800 di multa, il (OMISSIS) alla pena di anni sette e mesi quattro di reclusione ed Euro 7.000 di multa, oltre le sanzioni accessorie e la confisca disposte nei confronti di entrambi.
1.1 La Corte di appello di Napoli, con la sentenza indicata in epigrafe, preso atto della rinunzia ai motivi di ricorso svolti in tema di accertamento della responsabilita’ (per il solo (OMISSIS)), ha ridotto le sanzioni rispettivamente irrogate, limitando, per (OMISSIS), l’entita’ degli aumenti disposti per la continuazione con i due reati satellite (P e Q) a mesi sette di reclusione ed Euro seicento di multa per ciascun reato, cosi’ riducendo la sanzione finale ad anni cinque di reclusione ed Euro 266 di multa; per (OMISSIS), riducendo la pena base per il piu’ grave reato sub 1 ad anni sei e mesi 5 di reclusione ed Euro 2.400 di multa e contenendo gli aumenti disposti per i singoli reati satellite, posti in continuazione, cosi’ riducendo la sanzione finale ad anni sei e mesi sei di reclusione ed Euro 3.666 di multa. Seguiva la rimodulazione delle sanzioni accessorie.
2. Avverso tale provvedimento ricorrono gli imputati, a mezzo dei rispettivi difensori di fiducia, deducendo a motivi della impugnazione gli argomenti in appresso succintamente rappresentati, secondo quanto previsto dall’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1.
2.1. (OMISSIS):
inosservanza o erronea applicazione della legge penale, vizio esiziale di motivazione (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b ed e), in relazione al rifiuto di riconoscere le circostanze attenuanti generiche, in ragione della giovane eta’ dell’imputato al momento dei fatti, della sua incensuratezza, della ammissione dei fatti, delle difficolta’ economiche che attanagliano il nucleo familiare d’origine, che, se non giustificano il fatto storico, consentono quanto meno di inquadrarlo in una luce differente.
2.2. (OMISSIS):
2.2.1. violazione e falsa applicazione della legge penale sostanziale, contraddittorieta’ ovvero manifesta illogicita’ della motivazione (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b ed e, in relazione all’articolo 628 c.p., comma 4 ed alle ipotesi descritte al n. 1 del comma 3 dello stesso articolo), giacche’ la Corte territoriale (cosi’ come il primo giudice) ha individuato il minimo edittale della pena detentiva in anni sei di reclusione, facendo applicazione della disciplina sanzionatoria dettata dall’articolo 628 c.p., comma 4 (introdotto con L. n. 103 del 2017, a decorrere dal 3 agosto 2017), senza tuttavia tener contro del fatto che due delle diverse aggravanti riconosciute (uso dell’arma e piu’ persone riunite) sono inserite nella terna elencata al n. 1 del comma 3 e quindi per esse il legislatore ha gia’ previsto un regime sanzionatorio aggravato, che non puo’ essere ulteriormente inasprito per effetto della disposizione del comma 4, che trova evidentemente applicazione laddove le aggravanti siano collocate in numeri diversi del medesimo comma 3, o qualora esse concorrano con le aggravanti di cui all’articolo 61 c.p.;
2.2.2. ancora, violazione e falsa applicazione della legge penale (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b, in relazione all’articolo 15, articolo 628 c.p., comma 3, n. 1, terza ipotesi e articolo 112 c.p., comma 1, n. 4), non potendo concorrere le due distinte aggravanti (piu’ persone riunite e concorso con il minore), essendo una ipotesi specializzante dell’altra;
2.2.3. nuovamente, violazione della legge penale sostanziale e vizio esiziale di motivazione (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b ed e, in riferimento alla disciplina della continuazione tra reati), per avere la Corte omesso di valutare la evidente omogeneita’ delle violazioni che si chiedeva di avvincere in continuazione (rapine commesse in tempi diverse con le stesse modalita’) in ragione della medesimezza del disegno criminoso;
2.2.4. infine ancora, violazione della legge penale sostanziale e vizio di motivazione (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b ed e, in relazione all’articolo 62 bis c.p.) per avere la Corte di merito rifiutato il riconoscimento delle circostanze attenuanti innominate, pur a fronte della confessione in giudizio, spontanea ed immediata, dei fatti, del risarcimento offerto e del contesto generazionale in cui le condotte sono maturate, elementi tutti sottostimati ed immotivatamente ritenuti soccombenti nel giudizio di merito.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con il motivo comune a entrambi i ricorrenti i difensori lamentano violazione della legge penale sostanziale e mera apparenza della motivazione quanto alla negazione delle richieste circostanze attenuanti generiche.
La Corte di merito ha viceversa espressamente motivato – in modo congruo ed immune da vizi logici – sul tema del trattamento circostanziale, ritenendo di non poter assecondare la richiesta in ragione della gravita’ particolare dei fatti, cosi’ come correttamente aggravati. Tale valutazione risulta conforme ai generali criteri applicativi della norma di cui all’articolo 62 bis c.p..
Sul punto e’ bene ricordare che le circostanze attenuanti atipiche, introdotte dal D.Lgs.Lgt. 14 settembre 1944, n. 288, rappresentano uno strumento – di individualizzazione della risposta sanzionatoria li’ dove sussistano – in positivo elementi del fatto o della personalita’, tali da rendere necessaria la mitigazione, ma non previsti espressamente da altra disposizione di legge. L’applicazione della norma necessita – pertanto – di un substrato cognitivo e di una adeguata motivazione, nel senso che e’ da escludersi l’esistenza di un generico potere discrezionale del giudice di riduzione dei limiti legali della sanzione, dovendo di contro apprezzarsi e valorizzarsi un “aspetto” del fatto o della personalita’ risultante dagli atti del giudizio (tra le molte Sez. VI 28.5.1999 n. 8668). Da qui, stante l’ampia tipizzazione di fattori circostanziali da un lato e la necessita’ di ancorare l’applicazione della norma ad un preciso indicatore di minor disvalore del fatto-reato dall’altro, e’ derivato il filone interpretativo che individua nelle categorie generali descritte nell’articolo 133 c.p. il principale “serbatoio” di ipotesi, capace di razionalizzare e rendere controllabile la valutazione del giudicante. Si e’ pertanto ritenuto che la valutazione sotto diversi profili (commisurazione della pena nell’ambito edittale e riconoscimento o negazione delle attenuanti generiche) della stessa situazione di fatto e’ del tutto legittima, ben potendo un dato polivalente essere utilizzato piu’ volte per distinti fini e conseguenze (Sez. 1, n. 1376, del 28/10/1997, Rv. 209841).
Le linee-guida della “gravita’ del reato” (articolo 133 c.p., comma 1) e della “capacita’ a delinquere del colpevole” (articolo 133 c.p., comma 2) restano pertanto gli indicatori essenziali cui ancorare la particolare valutazione postulata dall’articolo 62 bis c.p. e cio’ conduce – da sempre – a ritenere il “fatto” della confessione processuale, cosi’ come quello del ristoro patrimoniale (solo parziale) del danno patrimoniale e del paterna sofferto, come possibile fattore di attenuazione della sanzione, ai sensi dell’articolo 133 c.p., comma 2, n. 3, (sub specie di condotta susseguente al reato e sua possibile incidenza sulla valutazione della capacita’ a delinquere).
Pur a fronte della commissione di reati di elevata gravita’, non vi e’ dubbio pertanto – che l’apporto confessorio e l’avvenuto, benche’ parziale, risarcimento possono legittimamente fondare il riconoscimento delle circostanze attenuanti, sempre che – ed e’ questo il tema – la confessione non sia un “semplice” fattore di agevolazione nella ricostruzione del fatto controverso ed il risarcimento non si riveli soltanto quale “espediente strategico”; ma l’uno e l’altro siano viceversa precisi “indicatori” di riconsiderazione critica del proprio operato e contrita discontinuita’ con il precedente modus agendi (tra le molte Sez. 6, n. 3018, del 11/10/1990, Rv. 186592; Sez. 6, n. 11732, del 27/1/2012, Rv. 252229). Tanto si impone in ragione della correlazione – interna alla norma dell’articolo 133 c.p. – tra la “condotta susseguente al reato” e la categoria della “capacita’ a delinquere” (nel senso che cio’ che emerge nel primo ambito va qualificato come incidente sulla seconda), specie in un contesto sostanziale e processuale la cui evoluzione “storica” consegna ad altri istituti – a cavallo tra diritto e processo – il compito di attenuare la sanzione in “cambio” di scelte di semplificazione processuale (riti speciali di cui agli articolo 438 c.p.p. ss. e articolo 444 c.p.p., e ss.). Non e’ un caso, pertanto, che anche li’ dove si sia riaffermata – come valore costituzionale – la liberta’ del giudice di valorizzare come indicatore positivo ai fini previsti dall’articolo 62 bis la condotta susseguente al reato (Corte Cost., sentenza n. 183 del 2011 dichiarativa della illegittimita’ del limite di apprezzamento che era stato introdotto dal legislatore del 2005, in ipotesi di recidiva qualificata) si e’ precisato a piu’ riprese che l’irragionevolezza della scelta legislativa era nel suo automatismo di inibizione, posto che la condotta susseguente al reato “puo’ segnare una radicale discontinuita’ negli atteggiamenti della persona e nei suoi rapporti sociali, di grande significato per valutare l’attualita’ della capacita’ a delinquere”. Il finalismo rieducativo della pena trova dunque un riconoscimento li’ dove – in sede di quantificazione processuale – si possa dare peso a condotte “che manifestino una riconsiderazione critica del proprio operato”.
Nella fattispecie, i giudici di merito – rilevato che la confessione (ad opera, peraltro, del solo (OMISSIS)) era intervenuta su una piattaforma indiziaria ben solida ed autonoma – non hanno ritenuto che la scelta fosse espressione di autentica resipiscenza e, tenuto conto della scarsissima efficacia processuale della parziale ammissione degli addebiti, non hanno conferito alla confessione giudiziale ed al ridottissimo ristoro offerto alcuna efficacia attenuante, anche per l’indubbio disvalore che le aggravanti riconosciute rappresentano in soggetti dediti al crimine di settore in forma certamente non episodica, come la pluralita’ dei fatti contestati dimostra. Motivazione altrettale ha sorretto la decisione di rigetto, quanto alla prospettata giovine eta’ (di per se’ non significativa) degli agenti, del contesto ambientale e generazionale, men che meno per la incensuratezza del (OMISSIS), che lo stesso legislatore ha inteso escludere dal novero dei fattori di ricognizione. In un tale coacervo, l’agognato riconoscimento attenuante, come correttamente argomenta la Corte territoriale, confligge con lo spirito stesso delle attenuanti e con la necessaria discrezionalita’ nello scrutinio richiesto al giudice del merito circa l’effettivita’ dei presupposti della valenza attenuante delle circostanze riconosciute. Giudizio che, se correttamente argomentato, non e’ censurabile nella sede di legittimita’ (Sez. 5, n. 5579, del 26/9/2013, Rv. 258874; Sez. 6, n. 6866, del 25/11/2009, Rv. 246134).
1.1. Quanto alla misura della sanzione, individuata per (OMISSIS) nel minimo edittale (anni sei di reclusione) e per (OMISSIS) in misura motivatamente di poco superiore, la Corte di merito ha spiegato, in maniera logica e coerente, che la articolata gravita’ dei fatti, le modalita’ violente degli stessi, la rilevanza del bottino realizzato e la biografia criminale del (OMISSIS), hanno condotto a tale dosaggio; cosi’ valorizzando fattori di calcolo di natura normativa (articolo 133 c.p.) sapientemente maneggiati dal giudice del merito, in guisa tale da inibire sul punto l’inverto censorio della Corte di legittimita’ (per un efficace decalogo si veda Sez. 3, n. 6877, del 26/10/2016).
2. Quanto alla dedotta violazione di legge in materia di efficacia ingravescente della molteplicita’ di aggravanti ritenute (articolo 112 c.p., comma 1, n. 4 e articolo 628 c.p., comma 3, n. 1, nel loro concorrente polimorfismo) – in ragione del minimo edittale (articolo 628 c.p., comma 4) indicato in sei anni dalla riforma del 2017 (L. n. 103 del 2017, in vigore dal 3 agosto dello stesso anno) ed oggi in sette anni (L. 26 aprile 2019, n. 36, articolo 6, comma 1, lettera c), in caso di concorso tra piu’ circostanze indicate all’articolo 628, comma 3 o di concorso tra una di queste e le circostanze di cui all’articolo 61 c.p. – la Corte di merito ha motivato il proprio convincimento (pena base calcolata in anni sei di reclusione per effetto della concorrenza di piu’ circostanze aggravanti interne all’articolo 628 c.p., comma 3, n. 1) sulla base della distinta e diversa ontologia delle fattispecie aggravanti, topograficamente tipizzate all’articolo 628 c.p., comma 3, n. 1 (uso delle armi, travisamento e piu’ persone riunite), richiamando sul punto due precedenti conformi di questa Corte.
2.1. Il tema soffre un quasi secolare contrasto di giurisprudenza in ordine al molteplice effetto aggravante determinato dalla ricorrenza di piu’ fattispecie, tra quelle descritte nell’ambito topografico dello stesso n. 1 (per la concorrenza agli effetti della pena: Cass. 9 marzo 1936, in Giust. pen. 1936, II, 1486; Id. 4 marzo 1936, in Giust. pen. 1936, II, 1324; id. 5 febbraio 1936, in Giust. pen. 1936, II 1168; Sez. 2, n. 2689, del 31/5/1971, Rv. 119522; Sez. 2, n. 1529, del 5/12/1975, Rv. 132449; Sez. 2, n. 7771, del 1/12/1976, Rv. 136215; Sez. 1, n. 550, del 7/3/1978, Rv. 138714; Sez. 2, n. 7010, del 14/3/1985, Cillo, Rv. 170102; Sez. 5, n. 135, del 13/1/2000, Lo Gatto, Rv. 215485; Sez. 5, n. 4621, del 7/11/2000, Polverino, Rv. 217770; Sez. 4, n. 27748, del 10/5/2007, Rv. 236834; Sez. 5, n. 20723, del 29/1/2016, n. m.; Sez. 2, n. 23978, del 20/5/2016, n. m.. Per il cumulo giuridico, con unico aumento, in caso di ricorrenza di piu’ fattori di aggravamento, in ragione della sede topografica di giacenza delle diverse fattispecie: Cass. 10 luglio 1936, in Giust. pen. 1937, II 1101; Cass. 7 luglio 1937, in Giust. pen. 1938, II 142; 26 gennaio 1949, in Giur. compi. della C.S. XXX, 1, 408; 11 gennaio 1949, ibid. 276; 3 luglio 1945, in Riv. Pen. 1945, 1451; Sez. 2, n. 41004, del 6/7/2011, Rv. 251372; Sez. 2, n. 18743, del 6/4/2018, Massimino, n. m.; Sez. 2, n. 7838, del 29/1/2020, n. m., ma le ultime due non affrontano direttamente il tema).
2.1.1. A ben vedere, nessuno ha mai dubitato della natura ontologicamente plurale e ben differente delle tre ipotesi, che conferiscono al fatto dimensione aggravata. Quel che invece e’ -da subito- rimasto controverso e’ se, nella pacifica possibilita’ di concorrenza delle tre distinte ipotesi interne alla sistematica catalogazione, debba riconoscersi alla concorrenza delle ridette circostanze effetto ulteriormente ingravescente (entro i limiti stabiliti dall’articolo 63 c.p., comma 4), oltre quanto gia’ previsto per il grappolo di aggravanti interne al n. 1.; ovvero se, in tali casi, si debba procedere ad aumento unico, in ragione del fatto che quelle diverse ipotesi sono considerate “cumulativamente”, come modalita’ della stessa maggior capacita’ criminale espressa (cosi’ la piu’ ascoltata dottrina coeva alla codificazione del 1930 e ad essa consonante in spirito).
2.2. Nella morfologia della norma, ante riforma del 2017, si contendevano dunque opposti orientamenti che privilegiavano, uno la sistematica topografica (…, sotto lo stesso numero raggruppa la circostanza delle piu’ persone riunite, del travisamento e dell’uso delle armi, si deve far luogo ad un unico aumento. Il collegio ritiene, infatti, corretto, considerare unitariamente la previsione individuata sotto il numero 1, non solo in ragione della sua sistematica collocazione, collegate dalla virgola, in un unico paragrafo, ma soprattutto perche’ l’azione tipica e piu’ frequente della rapina aggravata, per quanto insegna l’esperienza giudiziaria piu’ datata, si connota proprio dalla compresenza delle tre circostanze indicate dal n. 1. Con cio’ non si vuole assolutamente negare quanto gia’ affermato dalla sentenza n. 27748 del 2007, Rv. 236834, in ordine alla natura diversificata delle singole circostanze del n. 1, perche’ anche questo collegio ritiene che le circostanze abbiano individualita’ autonoma e pertanto esse vadano considerate e ritenute per l’affetto aggravante anche quando, nella situazione concreta, non siano compresenti. Ai soli fini della commisurazione della pena, tuttavia, ritiene questo collegio che, quando si verifica la compresenza di piu’ circostanze dello stesso alinea n. 1, e’ logico ed equo ritenere l’aggravante unitaria. Cosi’ Sez. 2, n. 41004 del 2011, Rv. 251372), l’altro la valorizzazione della singola dimensione ontologica o del disvalore specifico reso palese da ciascuna distinta e ben individuata condotta (… le diverse ipotesi dell’articolo 628 c.p., comma 3, n. 1, prevedono distinte circostanze aggravanti, in quanto rappresentano differenti aspetti di criminalita’, che trovano il loro fondamento comune nella maggiore efficacia intimidatrice dell’azione. Dette aggravanti possono concorrere fra loro. Di conseguenza nel caso di imputazione per rapina, aggravata per l’uso dell’arma e per il numero delle persone, il periodo massimo per la carcerazione preventiva nel periodo istruttorio dev’essere fissato in due anni, dovendosi applicare un primo aumento corrispondente al massimo della meta della pena base di dieci anni di reclusione e, successivamente, un secondo aumento corrispondente alla meta della pena cosi calcolata, Sez. 2, n. 2689/1971, Rv. 119522; ancor piu’ esplicitamente, Sez. 2, n. 7771, del 1/12/1976, Rv. 136215).
2.2.1. Volendo offrire alle opposte interpretazioni la colorazione dogmatica propria delle piu’ avvedute dottrine “repubblicane”, si potrebbe collocare il primo orientamento tra quelli che leggono l’articolo 628 c.p., comma 3, n. 1, come una norma a piu’ fattispecie alternative equipollenti; mentre il secondo potrebbe iscriversi tra quelli che leggono tale elencazione come una disposizione a piu’ norme distinte, che – se concorrenti – cumulano (fuori dalle ipotesi di specialita’, assorbimento o consunzione) i loro effetti ingravescenti.
2.3. In questo immanente e divaricato panorama interpretativo si e’ affacciato l’intervento riformatore del 2017 (seguito, in un crescendo rossiniano, dalla novella del 2019, cit. al punto 2), che con la seguente disposizione normativa “Se concorrono due o piu’ delle circostanze di cui al comma 3 del presente articolo, ovvero se una di tali circostanze concorre con altra fra quelle indicate nell’articolo 61, la pena e’ della reclusione da sei a venti anni…”, mutando la morfologia dell’articolo 628 c.p., comma 4, sembra aver mostrato indifferenza verso la topografica collocazione delle disposizioni aggravanti ad effetto speciale, imponendo solo un piu’ elevato minimo edittale (senza effetti sul computo dei termini massimi della custodia cautelare e senza intaccare il limite invalicabile indicato, quale cumulo giuridico, all’articolo 63 c.p., comma 4) per tutte le ipotesi di concorrenza tra circostanze interne ed esterne (quelle comuni descritte all’articolo 61 c.p.) all’articolo 628 c.p., comma 3.
Ne’ poteva pretendersi dal legislatore una piu’ incisiva precisione didascalica, giacche’ e’ evidentemente compito dell’interprete divisare (indipendentemente dalla collocazione topografica e dalla differente ontologia) sostanziale omogeneita’ o sovrapponibilita’ di disvalori, di offese, di interessi da tutelare, nell’ambito della tipicita’ offerta dal legislatore.
2.4. Naturalmente, la possibile concorrenza presuppone risolta a monte la diversa eventualita’ della continenza (articolo 68 c.p.) o della specialita’ (articolo 15 c.p.); ma non e’ questo il caso delle aggravanti descritte al comma 3, n. 1 (cit.), che rappresentano altrettante ipotesi diverse di maggior disvalore espresso nel differente manifestarsi, essendo evidente che “agire nella violenza” travisati, in piu’ persone riunite o armati, rappresenta modalita’ differenti di manifestare la propria carica criminale, disvalore penale ed accresciuta capacita’ intimidatrice od offensiva, atta ad incutere timore nella vittima o a superare l’eventuale sua resistenza. Ebbene, nessuna -delle tre epifanie criminali “contiene” l’altra, nessuna e’ speciale rispetto all’altra, nessuna assorbe in se’ il disvalore e lo spregio dell’altra. Non vi e’ pertanto ragione di negare che alla concorrenza delle diverse ipotesi aggravanti debba corrispondere una piu’ severa risposta retributiva (minima) della sanzione (agire riuniti in piu’ persone compresenti, travisate nell’aspetto e armate, costituisce anche una notevolissima facilitazione nel guadagnare il risultato voluto e va piu’ gravemente sanzionato rispetto all’azione condotta da una sola persona armata o travisata o unita ad altri). In questi sensi depone l’argomento della interpretazione letterale e la stessa sistematica codicistica.
2.5. Puo’ pertanto affermarsi il seguente principio: l’intervento novellatore del 2017 (L. 23 giugno 2017, n. 103, in vigore dal 3 agosto 2017), che ha dato all’articolo 628 c.p., comma 4 un contenuto nuovo, affermando che “Se concorrono due o piu’ delle circostanze di cui al comma 3 del presente articolo, ovvero se una di tali circostanze concorre con altra fra quelle indicate nell’articolo 61, la pena e’ della reclusione da sei a venti anni…”, indica un piu’ elevato minimo edittale anche nel caso in cui concorrano piu’ circostanze aggravanti interne al medesimo numero (1) dell’articolo 628 c.p., comma 3. Consegue che ciascuno dei numeri interni al catalogo del ridetto comma 3 contiene una disposizione a piu’ norme autonome ed eventualmente concorrenti.
2.6. Il motivo di ricorso e’ pertanto infondato.
3. Manifestamente infondato e meramente ripetitivo del motivo di gravame proposto nella sede di merito e rigettato dalla Corte con diffusa, precisa e puntuale motivazione, e’ il secondo motivo speso nell’interesse del (OMISSIS). La Corte ha argomentato sul punto, rappresentando l’evidenza di una totale autonomia tra l’aggravante di cui all’articolo 112 c.p., comma 1, n. 4 (concorso del minore nel fatto commesso o determinazione del minore a commetterlo) e quella del n. 1 dell’articolo 628 c.p., comma 3 (piu’ persone riunite), essendo differenti le modalita’ di manifestazione della condotta, l’interesse tutelato, la ratio aggravatrice e l’oggettivita’ giuridica, potendo dunque ontologicamente coesistere le differenti condotte espressive di differente disvalore della condotta e carica criminale dell’autore. Non ricorrendo le ipotesi di assorbimento consunzione o specialita’ disciplinate dagli articoli 68 e 15 c.p., le due aggravanti evidentemente concorrono. Il motivo di ricorso -che richiama peraltro una contrastante giurisprudenza (Sez. 6, n. 16515 del 11/3/2010, Rv. 247004; Sez. 2, n. 20217 del 6/5/2016, Rv. 266893) formatasi in ordine alla differente ipotesi di concorso tra l’aver agito in “piu’ persone riunite” e quella disciplinata dall’articolo 112 c.p., comma 1, n. 1 (cinque o piu’ partecipi)- cosi’ come quello immediatamente successivo, e’ inconferente e si risolve, pertanto, nella mera riproposizione delle argomentazioni gia’ prospettate al giudice della revisione nel merito e da questi motivatamente respinte, senza svolgere alcun ragionato confronto con le specifiche argomentazioni spese in motivazione; senza cioe’ indicare le ragioni delle pretese illogicita’ o della ridotta valenza dimostrativa degli elementi a carico, e cio’ a fronte di puntuali argomentazioni contenute nella decisione impugnata, con cui il ricorrente rifiuta di confrontarsi.
Si e’ ritenuto “inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli gia’ dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla Corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso” (Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Arnone, Rv. 243838). Nella medesima prospettiva e’ stata rilevata, per un verso, l’inammissibilita’ del ricorso per cassazione “i cui motivi si limitino a enunciare ragioni ed argomenti gia’ illustrati in atti o memorie presentate al giudice a quo, in modo disancorato dalla motivazione del provvedimento impugnato” (Sez. 6, n. 22445 del 08/05/2009, Candita, Rv. 244181). E non e’ comunque sufficiente, ai fini della valutazione di ammissibilita’, che ai motivi di appello vengano aggiunte “frasi incidentali di censura alla sentenza impugnata meramente assertive ed apodittiche, laddove difettino di una critica argomentata avverso il provvedimento attaccato e l’indicazione delle ragioni della loro decisivita’ rispetto al percorso logico seguito dal giudice di merito” (Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo, Rv. 254584).
4. La medesima sorte processuale avvince anche il terzo motivo di ricorso speso nell’interesse del (OMISSIS). Evidente il difetto di specificita’ del motivo che non si confronta con la diffusa, puntuale e precisa motivazione spesa nel merito per negare i presupposti della unicita’ del disegno criminoso tra le rapine oggetto del presente giudizio ed il precedente allegato dalla difesa in appello. La natura stessa dei delitti di rapina commessi presuppone l’improvvisazione e la indipendenza di ciascuna singola ideazione, fuori dalla dimostrazione di una specifica e determinata programmazione criminale che identifichi almeno gli obiettivi da aggredire, in maniera sufficientemente determinata, non puo’ apprezzarsi alcuna unicita’ di disegno ideazione e volizione delle singole condotte cronologicamente ben separate.
5. Dell’ultimo motivo di ricorso (negazione delle circostanze attenuanti generiche) si e’ gia’ detto in apertura; attesa la natura comune all’altro ricorrente del motivo proposto si richiama pertanto il punto 1.
6. Al rigetto dei ricorsi segue, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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