Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|2 settembre 2022| n. 25935.
In tema di prove con riferimento all’interrogatorio formale
In tema di prove, con riferimento all’interrogatorio formale, la disposizione dell’articolo 232 del Cpc non ricollega automaticamente alla mancata risposta all’interrogatorio, per quanto ingiustificata, l’effetto della confessione, ma dà solo la facoltà al giudice di ritenere come ammessi i fatti dedotti con tale mezzo istruttorio, imponendogli, però, nel contempo, di valutare ogni altro elemento di prova.
Ordinanza|2 settembre 2022| n. 25935. In tema di prove con riferimento all’interrogatorio formale
Data udienza 6 luglio 2022
Integrale
Tag/parola chiave: EDILIZIA ED URBANISTICA – DISTANZE LEGALI
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere
Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere
Dott. POLETTI Dianora – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1911/2018 R.G. proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), ( (OMISSIS)) rappresentata e difesa dagli avvocati (OMISSIS), ( (OMISSIS)), (OMISSIS), ( (OMISSIS)), (OMISSIS), ( (OMISSIS));
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avv.to (OMISSIS), ( (OMISSIS)) che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3869/2017 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 22/09/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 06/07/2022 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.
In tema di prove con riferimento all’interrogatorio formale
FATTI DI CAUSA
1. (OMISSIS) citava in giudizio dinanzi al Tribunale di Napoli, sezione distaccata di Capri, (OMISSIS) per accertare e dichiarare l’illegittimita’ della costruzione abusivamente realizzata dalla convenuta e, per l’effetto, per sentirla condannare alla rimozione del manufatto realizzato mediante edificazione di pareti perimetrali in muratura e sovrastante copertura con tettoia in lamiera, nonche’ di tutte le costruzioni abusivamente realizzate e di ogni altra ulteriore opera eseguita, con condanna al risarcimento dei danni sopportati per il ripristino dello stato dei luoghi e per ogni altro pregiudizio di natura economica subito.
L’attrice esponeva di essere proprietaria dell’appartamento sito in (OMISSIS), e che la convenuta, proprietaria dell’unita’ immobiliare sottostante, aveva realizzato, per tutta la larghezza del proprio terrazzino, un manufatto mediante edificazione di pareti perimetrali in muratura e sovrastante copertura con tettoia in lamiera senza aver ottenuto le necessarie autorizzazioni tecniche e che, a causa di tali lavori, il lato perimetrale esterno dell’appartamento dell’attrice era stato completamente coperto dalla tettoia ad un’altezza quasi corrispondente a quella del lato inferiore della propria finestra. Tale manufatto oltre a costituire grave limitazione del diritto di proprieta’ costituiva anche un danno di natura economica atteso il diminuito valore di mercato dell’unita’ immobiliare.
2. (OMISSIS) si costituiva in giudizio e proponeva domanda riconvenzionale tesa ad accertare l’intervenuto acquisto per usucapione del diritto a mantenere la tettoia in questione nei modi attualmente esistenti, essendo sempre esistita, da oltre vent’anni, una tettoia di copertura della zona esterna installata su pali di ferro fissati al suolo.
3. Il Tribunale di Napoli, sezione distaccata di Capri, accoglieva la domanda attorea e condannava la convenuta all’esecuzione delle opere necessarie al ripristino dello stato dei luoghi preesistenti alle illegittime trasformazioni edilizie.
4. (OMISSIS) proponeva appello avverso la suddetta sentenza.
In tema di prove con riferimento all’interrogatorio formale
5. (OMISSIS) si costituiva nel giudizio di appello chiedendone il rigetto.
6. La Corte d’Appello di Napoli rigettava il mezzo di gravame. In particolare, la Corte d’Appello evidenziava che il mancato riferimento all’articolo 907 c.c. da parte dell’attrice non aveva alcun rilievo posto che chiaramente era stata dedotta e denunciata l’avvenuta violazione del diritto di veduta per effetto della realizzazione del manufatto da parte della (OMISSIS). In tal senso deponeva l’espressione citata a pagina due dell’atto di citazione. Peraltro, il tema delle distanze era oggetto del quesito posto al consulente tecnico e sul quale non era sorta alcuna contestazione.
Il Tribunale non aveva disposto l’arretramento ma cosi’ doveva intendersi la statuizione della condanna all’esecuzione delle opere necessarie al ripristino dello stato dei luoghi e, dunque, in tal senso doveva precisarsi la condanna dell’ (OMISSIS). La quantificazione del danno doveva essere confermata in considerazione della violazione delle distanze di cui all’articolo 907 c.c., in quanto l’inosservanza delle distanze legali comportava una limitazione al godimento del bene quale facolta’ che si riconnetteva al contenuto stesso del diritto di proprieta’. La quantificazione del danno, tenuto conto delle caratteristiche obiettive dello stato dei luoghi e delle considerazioni espresse dal consulente, poteva valutarsi congruo ristoro del pregiudizio subito.
Doveva, invece, confermarsi il rigetto della domanda riconvenzionale di usucapione non risultando provato che la struttura, nelle modalita’ costruttive rinvenute dal consulente, risalisse a prima della sua realizzazione. Infatti, mancava la prova che la precedente copertura del terrazzo della (OMISSIS) fosse costituita da pali in ferro fissati al suolo e fosse oggetto solo di un riammodernamento successivo con i lavori di ristrutturazione eseguiti nel 2003. Nessun errore aveva compiuto il Tribunale nel ritenere irrilevante la mancata risposta dell’attrice all’interrogatorio formale deferito dalla convenuta che costituiva solo un elemento indiziario liberamente valutabile del giudice. Doveva confermarsi anche la liquidazione delle spese.
7. (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di tre motivi.
8. (OMISSIS) ha resistito con controricorso.
9. Entrambe le parti con memoria depositata in prossimita’ dell’udienza hanno insistito nelle rispettive richieste.
In tema di prove con riferimento all’interrogatorio formale
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di ricorso e’ cosi’ rubricato: violazione e falsa applicazione degli articoli 99, 100, 112, 115, 116, 163, 167 e 183 c.p.c., degli articoli 832 e 872 c.c., degli articoli 1362 c.c. e ss., dell’articolo 2697 c.c. e dell’articolo 24 Cost.. Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.
Secondo la ricorrente la Corte d’Appello non avrebbe fornito una motivazione adeguata e congrua sul piano logico-giuridico in relazione alle eccezioni e alle questioni di natura processuale, tempestivamente sollevate, aventi ad oggetto la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato. Infatti, (OMISSIS) aveva eccepito sin dal primo grado che ogni richiesta o domanda formulata all’attrice si fondava sulla natura abusiva della costruzione e non sulla violazione delle distanze. Peraltro, la controparte non aveva eccepito alcunche’ nella memoria ex articolo 183 c.p.c., comma 6, rispetto a tali eccezioni. Il thema decidendum oggetto del giudizio si era dunque incontestabilmente circoscritto alle questioni rilevate dalle parti. D’altra parte la ricorrente non aveva mai potuto assumere una posizione difensiva in ordine all’asserita violazione dell’articolo 907 c.c., in quanto mai dedotta dall’attrice la quale, sia nel corso delle operazioni peritali che nella comparsa conclusionale, aveva fondato le proprie richieste sull’assunta natura abusiva dell’opera, deducendo per la prima volta nella conclusionale la questione del preteso mancato rispetto della distanza in materia di fabbricati di cui all’articolo 873 c.c. e, giammai, alcuna violazione in materia di distanze di vedute.
(OMISSIS), come evidenziato nel giudizio di merito, ha sempre rifiutato il contraddittorio sia nel corso delle operazioni peritali che nel corso della successiva fase del giudizio di primo grado sulla violazione della distanza ex articolo 907 c.c.. D’altra parte la stessa conclusione di ripristino dell’originario stato dei luoghi, cioe’ della demolizione integrale del manufatto perche’ abusivo, era conseguenza di tale impostazione. (OMISSIS) si e’ difesa rispetto all’abusivita’ dell’opera, evidenziando la mancanza di legittimazione alla richiesta di demolizione da parte della (OMISSIS). Rispetto a tale, la Corte d’Appello avrebbe omesso ogni valutazione nonostante si trattasse di un punto decisivo ai fini della definizione della controversia.
In ogni caso vi sarebbe violazione della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato avendo il giudice esorbitato dai limiti della mera qualificazione giuridica della sua domanda, sostituendo la causa petendi dedotta in giudizio con una differente fondata su un fatto diverso da quello allegato.
In tema di prove con riferimento all’interrogatorio formale
2. Il secondo motivo di ricorso e’ cosi’ rubricato: violazione e falsa applicazione degli articoli 99, 100, 112, 115, 116, 907, 1223, 1226, 2043, 2058, 2697 c.c. Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.
La censura parte dal medesimo presupposto del primo motivo ovvero che la (OMISSIS) aveva agito solo sulla base della abusivita’ della costruzione della convenuta, chiedendo il risarcimento delle spese che avrebbe dovuto sopportare per il ripristino dell’originario stato dei luoghi con richiesta di autorizzazione all’attrice o alle autorita’ competenti alla demolizione dell’opera qualora la convenuta non vi avesse ottemperato.
In altri termini, la domanda dell’ (OMISSIS) era diretta ad ottenere sostanzialmente il riconoscimento della somma necessaria per il ripristino dello stato dei luoghi qualora la convenuta non vi avesse ottemperato e, dunque, il risarcimento in forma specifica ex articolo 2058 c.c., comma 1. Infatti, la (OMISSIS) aveva chiesto “la condanna della convenuta al risarcimento di tutti danni sopportati da parte attrice per il ripristino dello stato dei luoghi e per ogni altro pregiudizio di natura economica subita dall’istante in ragione della somma che verra’ determinata in corso di giudizio”; non vi era alcun riferimento al risarcimento per la violazione della disposizione di cui all’articolo 907 c.c. In ogni caso, pur volendo interpretare la richiesta di condanna al risarcimento dei danni facendola rientrare nella definizione di ogni altro pregiudizio economico come ritenuto alla Corte d’Appello, la (OMISSIS) avrebbe dovuto provare ex articolo 2697 c.c. il deprezzamento commerciale dell’immobile in ordine al quale nulla si era accertato. Dunque, la condanna della (OMISSIS) sarebbe avvenuta in violazione degli articoli 99 e 112 c.p.c.
Peraltro, la natura dei danni oggetto della domanda risarcitoria non rendeva necessario l’utilizzo del criterio equitativo ex articolo 1226 c.c. con la conseguenza che, anche a volere ritenere utilizzabile tale criterio, in ogni caso la parte attrice era onerata di allegare e dimostrare l’esistenza di fatti potenzialmente lesivi di un proprio diritto in materia di vedute. Infine, con riferimento alla quantificazione dei pretesi danni, il consulente tecnico d’ufficio aveva escluso qualsivoglia limitazione di aria e luce per l’effetto della presenza della struttura in questione e, dunque, anche sotto tale profilo non sarebbe giustificata la liquidazione della somma di Euro 5000. Peraltro, non ricorrerebbe nella fattispecie il presupposto per l’esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, ovvero l’impossibilita’ di provare il danno nel suo preciso ammontare.
2.1 Il primo e il secondo motivo di ricorso, che possono essere esaminati congiuntamente stante la loro evidente connessione, sono in parte inammissibili e in parte infondati.
In primo luogo deve ribadirsi che: in tema di ricorso per cassazione, l’onere di specificita’ dei motivi, sancito dall’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 4), impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3), a pena d’inammissibilita’ della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che e’ tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (Sez. U, Sent. n. 23745 del 2020).
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La ricorrente nel lungo elenco di norme elencate in rubrica che asserisce essere state violate non ne esamina il contenuto precettivo raffrontandolo con le affermazioni in diritto della sentenza impugnata, sicche’ sotto questo profilo i motivi sono inammissibili.
L’unica censura che in concreto puo’ desumersi dal primo motivo e’ quella relativa alla violazione dell’articolo 112 c.p.c. per aver il giudice pronunciato su una domanda diversa rispetto a quella proposta dall’attrice.
Anche sotto questo profilo il motivo e’ inammissibile in quanto l’interpretazione della domanda e’ attivita’ propria del giudice di merito che ha motivato in ordine allo specifico punto posto con il motivo di appello circa l’esplicito riferimento – contenuto nell’atto di citazione – alla violazione della distanze, essendo irrilevante il mancato espresso richiamo all’articolo 907 c.c. La Corte d’Appello ha evidenziato che la stessa consulenza aveva avuto ad oggetto la violazione delle distanze senza alcuna contestazione sul punto.
Peraltro, deve ribadirsi che: nel giudizio di legittimita’ va tenuta distinta l’ipotesi in cui si lamenti l’omesso esame di una domanda da quella in cui si censuri l’interpretazione che ne ha dato il giudice del merito. Nel primo caso, si verte in tema di violazione dell’articolo 112 c.p.c. e si pone un problema di natura processuale, per la soluzione del quale la S.C. ha il potere-dovere di procedere all’esame diretto degli atti onde acquisire gli elementi di giudizio necessari ai fini della pronuncia richiesta. Nel secondo caso, invece, poiche’ l’interpretazione della domanda e l’individuazione del suo contenuto integrano un tipico accertamento di fatto riservato, come tale, al giudice del merito, in sede di legittimita’ va solo effettuato il controllo della correttezza della motivazione che sorregge sul punto la decisione impugnata (Sez. 6 -5, Ord. n. 30684 del 2017).
Nella specie l’interpretazione della domanda operata dalla Corte d’Appello e’ pienamente corrispondente oltre che al tenore letterale della citazione come riportato nella motivazione della sentenza impugnata anche con il principio, costantemente affermato da questa Corte, secondo il quale il giudice di merito, nell’interpretazione della domanda giudiziale, deve tenere conto della reale volonta’ dell’attore risultante dall’intero contenuto dell’atto e dallo scopo pratico perseguito.
Sul punto il collegio intende dare continuita’ al seguente principio di diritto: il giudice di merito, nell’esercizio del potere di interpretazione e qualificazione della domanda, non e’ condizionato dalle espressioni adoperate dalla parte ma deve accertare e valutare il contenuto sostanziale della pretesa, quale desumibile non esclusivamente dal tenore letterale degli atti ma anche dalla natura delle vicende rappresentate dalla medesima parte e dalle precisazioni da essa fornite nel corso del giudizio, nonche’ dal provvedimento concreto richiesto, con i soli limiti della corrispondenza tra chiesto e pronunciato e del divieto di sostituire d’ufficio un’azione diversa da quella proposta. Il relativo giudizio, estrinsecandosi in valutazioni discrezionali sul merito della controversia, e’ sindacabile in sede di legittimita’ unicamente se sono stati travalicati i detti limiti o per vizio della motivazione (Sez. 3, Ord. n. 13602 del 2019).
Infine, l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio non puo’ riferirsi alla dedotta violazione di una norma processuale. Peraltro, nella specie si e’ in presenza di una c.d. “doppia conforme” come prevista dall’articolo 348 ter c.p.c., comma 5, sicche’ il motivo di ricorso ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e’ inammissibile.
Da ultimo devono rigettarsi le censure proposte con il secondo motivo e rivolte alla condanna al risarcimento del danno in mancanza di prova e dei presupposti per procedere alla liquidazione in via equitativa.
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In proposito e’ sufficiente richiamare il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimita’ secondo il quale: la violazione della prescrizione sulle distanze tra le costruzioni, attesa la natura del bene giuridico leso, determina un danno in re ipsa, con la conseguenza che non incombe sul danneggiato l’onere di provare la sussistenza e l’entita’ concreta del pregiudizio patrimoniale subito al diritto di proprieta’, dovendosi, di norma, presumere, sia pure iuris tantum, tale pregiudizio, fatta salva la possibilita’ per il preteso danneggiante di dimostrare che, per la peculiarita’ dei luoghi o dei modi della lesione, il danno debba, invece, essere escluso (Sez. 6-2, Ord. n. 25082 del 2020). Nello stesso senso con la sentenza n. 21501 del 2018 di questa sezione si e’ affermato che: in tema di violazione delle distanze tra costruzioni previste dal codice civile e dalle norme integrative, quali i regolamenti edilizi comunali, al proprietario confinante che lamenti tale violazione compete sia la tutela in forma specifica, finalizzata al ripristino della situazione antecedente al verificarsi dell’illecito, sia quella risarcitoria, e il danno che egli subisce (danno conseguenza e non danno evento) deve ritenersi in re ipsa, senza necessita’ di una specifica attivita’ probatoria, essendo l’effetto, certo e indiscutibile, dell’abusiva imposizione di una servitu’ nel proprio fondo e, quindi, della limitazione del relativo godimento che si traduce in una diminuzione temporanea del valore della proprieta’.
Infine, quanto alla liquidazione equitativa, si e’ detto che: la lesione del diritto di proprieta’, conseguente all’esercizio abusivo di una servitu’ di veduta, e’ di per se’ produttiva di un danno, il cui accertamento non richiede, pertanto, una specifica attivita’ probatoria e per il risarcimento del quale il giudice deve procedere ai sensi dell’articolo 1226 c.c., adottando eventualmente, quale parametro di liquidazione equitativa, una percentuale del valore reddituale dell’immobile, la cui fruibilita’ sia stata temporaneamente ridotta (Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 12630 del 13/05/2019).
Tali principi trovano applicazione anche alla violazione delle distanze delle costruzioni dalle vedute ex articolo 907 c.c.
3. Il terzo motivo di ricorso e’ cosi’ rubricato: violazione e falsa applicazione degli articoli 99, 100, 112, 115, 116, 183 e 232 c.p.c., dell’articolo 2697 c.c. e degli articoli 1158 c.c. e ss.. Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.
La censura ha ad oggetto il rigetto della domanda riconvenzionale diretta ad accertare il diritto della convenuta a mantenere la tettoia nei modi esistenti per usucapione ventennale. La Corte d’Appello avrebbe invece negato il diritto della convenuta di mantenere la tettoia a distanza non legale dalla veduta ex articolo 907 c.c. nonostante alcuna violazione di tal genere sia stata dedotta dall’attrice.
Anche in questo caso la censura parte dal presupposto che la domanda dell’attrice non e’ di violazione delle distanze ex articolo 907 c.c. e dunque nello stesso senso dovrebbe esaminarsi la domanda riconvenzionale. Peraltro, la ricorrente ha sempre rifiutato il contraddittorio in ordine all’accertamento di qualsivoglia violazione ex articolo 907 c.c. e il tribunale e la corte d’appello non hanno mai esaminato questo profilo in violazione degli articoli 99 e 112 c.c.
In ogni caso dalle risultanze istruttorie acquisite agli atti sarebbe emersa la prova dell’esistenza della tettoia da oltre vent’anni prima della notifica dell’atto introduttivo del giudizio. In tal senso nel motivo si richiamano le fotografie dello stato dei luoghi e le testimonianze acquisite. Il giudice, dunque, se avesse esaminato le prove in relazione al tema effettivamente sottoposto sarebbe giunto a conseguenze diverse da quelle invece affermate. Peraltro, l’immobile della (OMISSIS) era adibito ad attivita’ commerciale gia’ a partire dagli anni 80 e, dunque, esistevano fotografie dalle quali era agevole rilevare l’esistenza della tettoia in oggetto. Anche per questo motivo doveva valutarsi diversamente l’assenza della (OMISSIS) a rendere l’interrogatorio formale deferito che avrebbe dovuto ritenersi quale ammissione dei fatti dedotti in applicazione dell’articolo 232 c.p.c.
L’interrogatorio formale era stato ammesso su tutti i capitoli di prova formulati dalla (OMISSIS) nelle memorie ex articolo 183 c.p.c., comma 6, compreso quello relativo alla tettoia e alla sua esistenza sin dai primi anni “80”.
3.1 Il terzo motivo di ricorso e’ inammissibile.
La prima parte della censura e’ ripetitiva di quelle proposte con i primi due motivi di ricorso e ne segue la medesima dichiarazione di inammissibilita’, essendo rimessa al giudice del merito l’interpretazione della domanda attorea.
Nella restante parte del motivo le censure si risolvono nella richiesta di rivalutazione in fatto delle risultanze istruttorie al fine di affermare la preesistenza della costruzione posta in essere in violazione del regime legale delle distanze con le vedute.
La Corte d’Appello sul punto ha ampiamente motivato facendo riferimento anche alle conclusioni della consulenza tecnica disposta nel corso del giudizio. Risulta evidente, pertanto, che la ricorrente, lungi dall’indicare uno specifico fatto decisivo ai fini della soluzione della controversia e oggetto di discussione tra le parti, contesta le valutazioni complessive della Corte d’Appello e le risultanze della consulenza tecnica sulle quali tali valutazioni si sono fondate. Il motivo di ricorso, per questa parte, e’ inammissibile perche’ volto ad operare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimita’ in un nuovo, non consentito giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dal giudice di appello non condivisi e per cio’ solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri piu’ consoni ai propri desiderata, quasi che nuove istanze di fungibilita’ nella ricostruzione dei fatti di causa possano ancora legittimamente porsi dinanzi al giudice di legittimita’. Come si e’ detto, la ricorrente non indica alcuno specifico fatto oggetto di discussione e decisivo la cui valutazione sia stata omessa dalla Corte d’Appello, ma si limita a contestare la complessiva valutazione degli elementi di fatto emersi nell’istruttoria oltre che il giudizio di condivisione delle risultanze della CTU. Peraltro, questa Corte ha anche di recente affermato che: “L’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 54 conv. con mod. dalla L. n. 134 del 2012, consente di censurare l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, nozione nel cui ambito non e’ inquadrabile la consulenza tecnica d’ufficio recepita dal giudice, risolvendosi la critica ad essa nell’esposizione di mere argomentazioni difensive contro un elemento istruttorio. (Sez. 1, Sent. n. 8584 del 2022)”.
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Infine quanto all’assenza dell’attrice all’interrogatorio formale deve darsi continuita’ al seguente principio di diritto: in tema di prove, con riferimento all’interrogatorio formale, la disposizione dell’articolo 232 c.p.c. non ricollega automaticamente alla mancata risposta all’interrogatorio, per quanto ingiustificata, l’effetto della confessione, ma da’ solo la facolta’ al giudice di ritenere come ammessi i fatti dedotti con tale mezzo istruttorio, imponendogli, pero’, nel contempo, di valutare ogni altro elemento di prova (Sez. 6-2, Ord. n. 9436 del 2018).
4. Il ricorso e’ rigettato.
5. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
6. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, si da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’ nei confronti della parte controricorrente che liquida in Euro 1800 piu’ 200 per esborsi, oltre al rimborso forfettario al 15% IVA e CPA come per legge;
ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis se dovuto.
In tema di prove con riferimento all’interrogatorio formale
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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