Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|19 gennaio 2024| n. 2044.
In tema di prova presuntiva
In tema di prova presuntiva, il giudice è tenuto, ai sensi dell’articolo 2729 del codice civile, ad ammettere soltanto presunzioni «gravi, precise e concordanti», laddove il requisito della «precisione» è riferito al fatto noto, che deve essere determinato nella realtà storica, quello della «gravità» al grado di probabilità della sussistenza del fatto ignoto desumibile da quello noto, mentre quello della «concordanza», richiamato solo in caso di pluralità di elementi presuntivi, richiede che il fatto ignoto sia – di regola – desunto da una pluralità di indizi gravi, precisi e univocamente convergenti nella dimostrazione della sua sussistenza, e ad articolare il procedimento logico nei due momenti della previa analisi di tutti gli elementi indiziari, onde scartare quelli irrilevanti, e nella successiva valutazione complessiva di quelli così isolati, onde verificare se siano concordanti e se la loro combinazione consenta una valida prova presuntiva (cosiddetta convergenza del molteplice), non raggiungibile, invece, attraverso un’analisi atomistica degli stessi
Ordinanza|19 gennaio 2024| n. 2044. In tema di prova presuntiva
Data udienza 20 giugno 2023
Integrale
Tag/parola chiave: Mutuo – Rimborso della somma – Conversione del rito ex art. 702 ter cod. proc. civ., comma 3 – Presupposto – Onere di indicazione di tutte le istanze istruttorie negli atti introduttivi – Mancata indicazione dei testi – Preclusione della conversione del rito – Mutuo – Natura di contratti reali – Perfezionamento – Consegna del denaro o delle altre cose fungibili – Prova della messa a disposizione dell’uno o delle altre e del titolo giuridico – Condizione dell’azione – Azione di indebito arricchimento – Proposizione in via subordinata – Ammissibile – Rigetto dell’azione principale per un difetto del titolo
REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
composta dai magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere
Dott. PAPA Patrizia – Consigliere rel
Dott. PICARO Vincenzo – Consigliere
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso 11018 – 2018 proposto da:
Di.CL. e Bi.Eu., elettivamente domiciliati in Roma, piazza (…), presso lo studio dell’avv. Gi.Wa., rappresentati e difesi dall’avv. Pa.Ru., giusta procura a margine del ricorso, con indicazione dell’indirizzo pec;
– ricorrenti –
contro
Sa.Da., elettivamente domiciliata in Roma, via (…), presso lo studio dell’avv. Ma.Pa., rappresentata e difesa dall’avv. Fu.Na., giusta procura in calce al controricorso, con indicazione degli indirizzi pec;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1576/2017 della Corte d’appello di Genova, pubblicata il 13/12/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/6/2023 dal consigliere Patrizia Papa;
lette le memorie dei ricorrenti.
In tema di prova presuntiva
FATTI DI CAUSA
1. Con ricorso ex art. 702 bis cod. proc. civ. del 24/02/2012 Di.CL. ed Bi.Eu. chiesero al Tribunale di Genova la condanna di Sa.Da., moglie del figlio Stefano, al pagamento della somma di Euro 50.416,50, oltre interessi legali, a titolo di rimborso residuo del maggior importo di Euro 63.316,50 asseritamente concessole in mutuo per finanziare la sua attività imprenditoriale (un asilo nido).
Esposero che l’importo era costituito dalla somma delle rate di mutuo bancario pagate per suo conto, nonché dal denaro mutuato per l’acquisto di un’autovettura, di materiale elettrico, di un pc portatile e di altre spese voluttuarie e che la mutuataria si era impegnata ad una restituzione rateale di cui era stato cambiato, nel corso del rapporto, l’importo delle rate, ma aveva poi restituito unicamente Euro 12.900,00.
In subordine, i ricorrenti chiesero la condanna di Sa.Da. a titolo di indebito arricchimento, ex art. 2041 cod. civ.
Costituendosi, Sa.Da. negò che le dazioni di denaro da parte dei suoceri fossero state effettuate a titolo di mutuo con conseguente obbligo restitutorio.
2. Il Tribunale, con ordinanza del 28/05/2012, respinse la domanda principale, per mancanza di prova dell’obbligo di restituzione, rilevando che i documenti non erano significativi e che all’udienza gli stessi ricorrenti avevano chiesto che “la causa fosse decisa senza alcuna istruttoria”, non reiterando l’istanza di prova orale e omettendo anche l’indicazione dei testi; respinse pure la domanda subordinata, perché la prestazione volontaria escludeva l’indebito arricchimento in quanto lo squilibrio economico era stato generato dal consenso delle parti.
In tema di prova presuntiva
3.Con sentenza n. 1567 del 13/12/17, la Corte di Appello di Genova rigettò l’appello di Di.CL. e Bi.Eu., rigettando l’istanza di prova per testi, perché non reiterata nell’udienza di decisione in primo grado quanto alle circostanze articolate sin dal ricorso e perché inammissibile ex art. 345 cod. proc. civ. quanto alle circostanze formulate per la prima volta in impugnazione; ritenne quindi ammissibili ma non significative le prove documentali prodotte in primo grado al fine di provare il convenuto obbligo di restituzione.
Respinse, infine, la domanda di restituzione del denaro a titolo di indebito arricchimento perché l’azione tipica non era stata respinta per difetto del titolo posto a suo fondamento, ma per difetto di prova.
4. Avverso questa sentenza Di.CL. e Bi.Eu. hanno proposto ricorso per Cassazione, affidato a cinque motivi. Sa.Da. si è difesa con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, Di.CL. e Bi.Eu. hanno prospettato, in riferimento all’art. 360 comma I n. 5 cod. proc. civ., la violazione dell’art. 24 co. II Cost., la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ. e dell’art. 702 ter cod. proc. civ. per avere la Corte respinto le istanze istruttorie in violazione degli artt. 115 e 702 ter cod. proc. civ., con ingiustificata compressione del diritto alla difesa di cui all’art. 24 Cost.: in particolare, la Corte avrebbe immotivatamente rigettato la censura formulata con l’appello con cui è stato denunciato che non vi è stata alcuna rinuncia alle istanze istruttorie e che il primo giudice ben avrebbe potuto, ritenendo non sufficienti gli elementi offerti dai documenti, provvedere all’espletamento della prova per testi richiesta sin dal primo grado.
1.2. Il motivo è infondato. Il Tribunale, riservando la decisione alla prima e unica udienza di trattazione, ha dapprima rilevato che erano state dedotte le circostanze da provare a mezzo testi, ma non erano stati indicati i soggetti da escutere, quindi ha ritenuto che chiedendo che “la causa fosse decisa senza istruttoria” i ricorrenti avessero inteso rinunciare ad ogni istanza.
In tema di prova presuntiva
Di là, pertanto, del riferimento inconferente, in rubrica, al n. 5, vi è che la mancata conversione del rito sommario in rito ordinario, coinvolgendo un’attività discrezionale del giudice, non si pone quale motivo di nullità del giudizio di primo grado per violazione dei diritti processuali e di difesa. Difatti la valutazione, da parte del giudice, della necessità di un’istruzione non sommaria, ai fini della conversione del rito ex art. 702 ter cod. proc. civ., comma 3, presuppone pur sempre che le parti – e in primo luogo il ricorrente – abbiano dedotto negli atti introduttivi tutte le istanze istruttorie che ritengano necessarie per adempiere all’onere probatorio ex art. 2967 cod. civ., non potendosi attribuire a tale decisione la funzione di rimetterle in termini per la formulazione delle deduzioni istruttorie, che siano state omesse o insufficientemente articolate in limine litis (Cass. Sez. 3, n. 24538 del 05/10/2018; Sez. 3, n. 22158 del 05/09/2019).
È vero, in diritto, che nel rito ex art. 702 ter cod. proc. civ. nella formulazione applicabile ratione temporis (prevista nell’art. 51, comma 1, della L. 18 giugno 2009, n. 69), la verifica della compatibilità tra istruzione sommaria propria del procedimento di cui agli artt. 702-bis e ss. cod. proc. civ. e la fattispecie concretamente portata in giudizio avrebbe dovuto essere effettuata con riferimento non alle sole deduzioni probatorie formulate dalle parti, ma all’intero complesso delle difese ed argomentazioni che vengono svolte in quel dato giudizio, tenendo conto, tra l’altro, della complessità della controversia, del numero e della natura delle questioni in discussione (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 14295 del 04/06/2018; Sez. 1, Sentenza n. 6563 del 14/03/2017).
In tema di prova presuntiva
Nella specie, tuttavia, come risulta dalla motivazione dell’ordinanza resa in primo grado (evidenziata dagli stessi ricorrenti in ricorso), il Tribunale ha rigettato la domanda per difetto di prova adeguata evidenziando e correlando due circostanze, da cui ha dedotto l’intervenuta rinuncia alla istanza di prova orale: da un canto, ha rilevato che gli stessi ricorrenti non avevano provveduto ad indicare tempestivamente, neppure all’udienza di trattazione, i nomi dei testi da escutere, con ciò precludendo la valutazione, secondo la previsione del combinato disposto dell’art. 244 e del successivo art. 245 cod. proc. civ., dell’ammissibilità e della rilevanza delle prove testimoniali dedotte anche in riferimento all’identità dei testi da interrogare (cfr. Cass. Sez. 2, n. 8929 del 2019); d’altro canto, ha constatato che, in corrispondenza a tale omessa indicazione, a verbale della stessa udienza, proprio i ricorrenti avevano chiesto “che la causa fosse decisa senza alcuna istruttoria”, con ciò manifestando la volontà di rinunciare alle istanze di prova orale.
Per le stesse considerazioni in fatto e in diritto, in appello, la Corte territoriale ha ritenuto inammissibile l’istanza di prova per testi riformulata in impugnazione, in conformità con il principio consolidato per cui, ai sensi sia dell’art. 345 cod. proc. civ. comma III, nel testo vigente anteriormente alla modifica recata dal D.L. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, applicabile ratione temporis e dell’art. 702-quater cod. proc. civ., il giudizio di indispensabilità di una prova ai fini della decisione, nel giudizio di appello, deve comunque essere coordinato con le preclusioni già verificatesi e il principio di impugnazione, sicché non può ricorrere se risulti che la decisione di merito, in primo grado, sull’insufficienza della prova si è formata nel corretto sviluppo del contraddittorio e che la parte non ha esercitato tempestivamente le sue facoltà di allegazione e prova, sebbene le fossero state garantite.
In tema di prova presuntiva
2. Sul punto, con il secondo motivo, i ricorrenti hanno pure lamentato, in relazione all’art. 360 comma I n. 3 e n. 5 cod. proc. civ., la violazione dell’art. 24 co. 2 Cost., la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ. e dell’art. 702 quater cod. proc. civ. per avere la Corte erroneamente ritenuto non indispensabili le nuove prove dedotte in appello; hanno fondato la loro censura sulla interpretazione del concetto di “indispensabilità” reso da questa Corte nella pronuncia di S.U. n. 10790 del 4/5/2017, che, a loro avviso, consentirebbe di ammettere in appello qualunque elemento istruttorio che possa fare chiarezza su fatti rimasti indimostrati o non sufficientemente dimostrati in primo grado indipendentemente dalle preclusioni istruttorie.
2.1. Innanzitutto, come già esposto al punto 1.2., non è previsto, né nell’art. 345 cod. proc. civ. nella formulazione applicabile alla fattispecie, né nell’art. 702 quater cod. proc. civ., un potere del giudice di ammettere in appello prove già dichiarate inammissibili in primo grado perché dedotte in modo difforme dalla legge o prove dalla cui assunzione il richiedente sia decaduto o per la cui deduzione siano maturate preclusioni, perché queste prove non possono essere qualificate prove “nuove”: ciò posto, il motivo è inammissibile per sua formulazione.
Secondo il principio già affermato da questa Corte (Cass. Sez. 2, n. 20525 del 29/09/2020), quando venga dedotta, in sede di legittimità – in relazione ad un giudizio regolato, come nella fattispecie, dall’art. 345, comma 3, cod. proc. civ., nel testo vigente anteriormente alla modifica recata dal D.L. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012 – l’erroneità dell’ammissione o della dichiarazione di inammissibilità di una prova documentale in appello, in ragione della sua indispensabilità, la Cassazione, chiamata ad accertare un error in procedendo, è giudice anche del fatto ed è, quindi, tenuta a stabilire se si trattasse di prova indispensabile (seppure tale apprezzamento debba essere svolto dalla Corte di cassazione in astratto, ossia al solo fine di stabilire l’idoneità teorica della prova ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione dei fatti di causa, spettando pur sempre al giudice di merito, in sede di eventuale rinvio, l’apprezzamento in concreto delle inferenze desumibili dalla prova ai fini della ricostruzione dei fatti di causa).
In tema di prova presuntiva
Questo scrutinio, tuttavia, è precluso nella fattispecie perché i ricorrenti non hanno distinto quali fossero le prove già articolate in primo grado e precluse dalla omessa indicazione dei testi e dalla ritenuta rinuncia, qui non adeguatamente censurata e quali fossero le prove che, secondo la loro prospettazione, non era stato possibile articolare se non in secondo grado; conseguentemente, il motivo difetta di autosufficienza, perché comunque ogni controllo demandato a questa Corte deve essere consentito dalla compiuta indicazione degli elementi di fatto essenziali, nel rispetto del principio di autosufficienza della censura, senza compiere generali verifiche degli atti (cfr. da ultimo, Cass. Sez. 6 – 1, n. 23834 del 25/09/2019; Sez. 6 – 3, n. 19985 del 10/08/2017).
3. Con il terzo motivo i ricorrenti hanno lamentato, in relazione all’art. 360 comma I n. 3 e n. 5 cod. proc. civ., la violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. e degli artt. 1362, 1813 e 2697 cod. civ. per avere la Corte di Appello erroneamente considerato i documenti prodotti indizi non gravi, precisi e concordanti dell’esistenza dell’obbligo di restituzione e quindi del contratto di mutuo; peraltro, la contestazione della resistente che, pur riconoscendo di aver ricevuto le somme di denaro, ha dedotto una diversa ragione della dazione, avrebbe comportato un’inversione dell’onere probatorio.
3.1. Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.
Quanto all’inversione dell’onere probatorio, per giurisprudenza consolidata, il mutuo dev’essere annoverato tra i contratti reali, il cui perfezionamento avviene, cioè, con la consegna del denaro o delle altre cose fungibili che ne sono oggetto; ne consegue che la prova della materiale messa a disposizione dell’uno o delle altre in favore del mutuatario e del titolo giuridico da cui derivi l’obbligo della vantata restituzione costituisce condizione dell’azione, la cui dimostrazione ricade necessariamente sulla parte che la res oggetto del contratto di mutuo chiede in restituzione, non valendo ad invertire tale onere della prova la deduzione, ad opera del convenuto, di un diverso titolo implicante l’obbligo restitutorio, non configurandosi siffatta difesa quale eccezione in senso sostanziale (Cass. Sez. 2, n. 35959 del 22/11/2021). La Corte ha deciso in coerenza con questo principio e la censura sul punto è perciò priva di fondamento.
In tema di prova presuntiva
Quanto alla congruenza degli indizi, il ragionamento che ha escluso la sussistenza di indizi gravi, precisi e concordanti (pag. 8 della sentenza, dal secondo capoverso) non è stato adeguatamente censurato: questa Corte ha già chiarito che in tema di prova presuntiva, il giudice è tenuto, ai sensi dell’art. 2729 cod. civ., ad ammettere soltanto presunzioni “gravi, precise e concordanti”, laddove il requisito della “precisione” è riferito al fatto noto, che deve essere determinato nella realtà storica, quello della “gravità” al grado di probabilità della sussistenza del fatto ignoto desumibile da quello noto, mentre quello della “concordanza”, richiamato solo in caso di pluralità di elementi presuntivi, richiede che il fatto ignoto sia – di regola – desunto da una pluralità di indizi gravi, precisi e univocamente convergenti nella dimostrazione della sua sussistenza, e ad articolare il procedimento logico nei due momenti della previa analisi di tutti gli elementi indiziari, onde scartare quelli irrilevanti, e nella successiva valutazione complessiva di quelli così isolati, onde verificare se siano concordanti e se la loro combinazione consenta una valida prova presuntiva (c.d. convergenza del molteplice), non raggiungibile, invece, attraverso un’analisi atomistica degli stessi (così Cass. Sez. 2, n. 9054 del 21/03/2022).
La Corte d’appello ha escluso che le prove documentali offerte avessero le caratteristiche suindicate e la censura del ragionamento non può consistere nell’offerta di una diversa ricostruzione delle circostanze fattuali o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica diversa da quella ritenuta applicata dal giudice di merito, perché in tal caso la critica si risolve in una richiesta di una differente valutazione in merito degli elementi raccolti, evidentemente preclusa in questa sede di legittimità.
4. Con il quarto motivo, Di.Cl. e Bi.Eu. hanno lamentato, in riferimento all’art. 360 comma I n. 3 e n. 5 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 2041 cod. civ.: la Corte avrebbe errato a rigettare la domanda di arricchimento senza causa, in quanto subordinata rispetto ad un’azione contrattuale proposta in via principale non suffragata da prova, perché avrebbe dovuto assicurare l’esercizio di difesa ammettendo le istanze istruttorie.
In tema di prova presuntiva
4.1. Il motivo è infondato. Per principio consolidato, l’azione di arricchimento può essere valutata, se proposta in via subordinata rispetto all’azione contrattuale articolata in via principale, soltanto qualora quest’ultima sia rigettata per un difetto del titolo posto a suo fondamento, ma non anche nel caso in cui sia stata proposta una domanda ordinaria, fondata su titolo contrattuale, senza offrire prove sufficienti al relativo accoglimento (Cass. Sez. 3, n. 14944 del 11/05/2022).
5. Con il quinto motivo, infine, i ricorrenti hanno prospettato, in riferimento all’art. 360 comma I n. 3 e n. 5 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 782 cod. civ. in relazione all’art. 1421 cod. civ. per non avere la Corte proceduto alla dichiarazione d’ufficio della nullità per difetto di forma delle donazioni di denaro, tipiche e ad esecuzione indiretta, in quanto non di modico valore.
In tema di prova presuntiva
5.1. Il motivo è inammissibile: l’interpretazione dei fatti e il procedimento della loro qualificazione giuridica è un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito e sindacabile in sede di legittimità in limiti ristretti, per mezzo della deduzione di specifici vizi di motivazione (ex multis, Cass. Sez. 1, n. 29111 del 05/12/2017); certamente, pertanto, non può essere chiesta per la prima volta al giudice di legittimità una dichiarazione di nullità di un contratto che presupponga una qualificazione giuridica mai prospettata in sede di merito e che è in palese contraddizione con le difese in precedenza articolate.
3. Il ricorso è perciò respinto, con conseguente condanna dei ricorrenti in solido al rimborso delle spese processuali in favore della resistente, liquidate in dispositivo in relazione al valore della controversia.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
In tema di prova presuntiva
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna Di.CL. ed Bi.Eu. al pagamento, in favore di Sa.Da., delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.100,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1-bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte suprema di Cassazione del 20 giugno 2023.
Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2024.
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