In tema di procedimento di prevenzione

Corte di Cassazione, sezione sesta penale, Sentenza 20 luglio 2020, n. 21525.

Massima estrapolata:

In tema di procedimento di prevenzione, il ricorso per cassazione, anche a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, è ammesso soltanto per violazione di legge, nozione in cui va ricompresa la motivazione inesistente o meramente apparente del provvedimento, che ricorre quando il decreto omette del tutto di confrontarsi con un elemento potenzialmente decisivo nel senso che, singolarmente considerato, sarebbe tale da poter determinare un esito opposto del giudizio.

Sentenza 20 luglio 2020, n. 21525

Data udienza 18 giugno 2020

Tag – parola chiave: Associazione per delinquere di stampo mafioso – Misure di prevenzione – Presupposti – Pericolosità sociale – Valutazione del giudice di merito – Criteri

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. COSTANZO Angelo – Presidente

Dott. DI STEFANO Pierlui – Consigliere

Dott. APRILE E. – rel. Consigliere

Dott. ROSATI Martino – Consigliere

Dott. PATERNO’ RADDUSA Benedet – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1. (OMISSIS), nato a San Giuseppe iato il 16/07/1976;
2. (OMISSIS), nata a Partinico il 12/12/78;
3. (OMISSIS), nato a Partinico il 10/11/1995;
avverso il decreto del 11/12/2019 della Corte di appello di Palermo;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere Ercole Aprile;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Zacco Franca, che ha concluso chiedendo l’inammissibilita’ dei ricorsi.

RITENUTO IN FATTO

1. Con il decreto sopra indicato la Corte di appello di Palermo confermava il provvedimento di primo grado del 5 novembre 2018 con il quale il Tribunale della stessa citta’ aveva disposto nei confronti di (OMISSIS) l’applicazione della misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale qualificata con obbligo di soggiorno, in quanto ritenuto soggetto pericoloso per essere stata giudizialmente accertata la sua partecipazione alla associazione di stampo mafioso “cosa nostra”, quale reggente del mandamento di San Giuseppe iato; nonche’ l’applicazione nei confronti dello stesso (OMISSIS), della di lui moglie (OMISSIS) e del figlio (OMISSIS) della misura di prevenzione patrimoniale della confisca di una serie di beni immobili, di una impresa individuale, di rapporti bancari con relativi beni finanziari e saldi di denaro, nonche’ di alcune autovetture.
Rilevava la Corte di appello come, sulla base della riconosciuta pericolosita’ sociale di (OMISSIS) – la cui sussistenza non era stata messa in discussione con l’atto di impugnazione – gia’ condannato per gravi delitti contro il patrimonio e di criminalita’ organizzata commessi nel periodo dal 1998 al 2013, dovesse considerarsi giustificata la confisca dei beni innanzi indicati, in quanto considerati frutto di attivita’ illecite e del relativo reimpiego: beni dei quali (OMISSIS) non aveva giustificato la legittima provenienza, che a lui direttamente o indirettamente erano tutti riferibili, di cui aveva la disponibilita’ anche se formalmente intestati ai menzionati suoi familiari conviventi; componenti della compagine familiare che, nel periodo in considerazione, avevano avuto redditi dichiarati ai fini fiscali ovvero attivita’ economiche del tutto sproporzionate rispetto al valore dei beni oggetto di ablazione.
2. Avverso tale decreto hanno presentato ricorso tanto il proposto (OMISSIS), quanto (OMISSIS) e (OMISSIS), terzi interessati, con atto sottoscritto dal loro difensore e procuratore speciale, i quali hanno dedotto la violazione di legge, in relazione al Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 24 per avere la Corte territoriale omesso di considerare ai fini della valutazione della legittima provenienza del denaro utilizzato per l’acquisto dei beni confiscati, i dati derivanti dall’attivita’ economica svolta dalla impresa agricola individuale intestata alla (OMISSIS); e per avere, in particolare, disatteso la specifica richiesta con la quale la difesa aveva domandato l’effettuazione di una perizia allo scopo di verificare quali fossero stati i redditi leciti prodotti da quella impresa agricola.
3. Con requisitoria scritta depositata l’11 marzo 2020, il Sostituto Procuratore generale in sede ha chiesto dichiararsi l’inammissibilita’ dei ricorsi per la manifesta infondatezza del motivo dedotto.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Ritiene la Corte che i ricorsi siano inammissibili.
2. L’atto di impugnazione presentato dal proposto (OMISSIS) e’ inammissibile per carenza di interesse con riferimento alle doglianze formulate in ordine all’applicazione della misura di prevenzione patrimoniale della confisca relativamente a tutti i beni formalmente intestati ai terzi interessati (OMISSIS) e (OMISSIS), in quanto il proposto non ha riconosciuto l’interposizione fittizia rispetto a quei beni, sicche’ rispetto ad essi la legittimazione ad impugnare spetta esclusivamente ai predetti terzi apparenti intestatari, che sono gli unici soggetti aventi diritto ad una eventuale restituzione di quei beni (cosi’, tra le altre, Sez. 6, n. 48274 del 01/12/2015, Vicario, Rv. 265767).
3. Per il resto, le doglianze formulate da tutti i ricorrenti sono inammissibili perche’ presentate per fare valere ragioni diverse da quelle consentite dalla legge.
Costituisce ius receptum nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo il quale nel procedimento di prevenzione il ricorso per cassazione e’ ammesso soltanto per violazione di legge, nozione nella quale va ricompresa la motivazione inesistente o meramente apparente del provvedimento, che ricorre quando il decreto omette del tutto di confrontarsi con un elemento potenzialmente decisivo prospettato da una parte che, singolarmente considerato, sarebbe tale da poter determinare un esito opposto del giudizio (Sez. 6, n. 33705 del 15/06/2016, Caliendo, Rv. 270080).
Tale principio, enunciato con riferimento alla disciplina previgente rispetto a quella contenuta nel Decreto Legislativo n. 159 del 2011, ma di certo valido anche nei procedimenti aventi ad oggetto l’applicazione di misure di prevenzione personali o reali nei quali sono operanti le disposizioni di tale Decreto Legislativo – dato che l’articolo 10, comma 3, pure richiamato dall’articolo 27, comma 2, per le misure reali, prevede espressamente che il ricorso in cassazione avverso il decreto della corte di appello possa essere presentato solo per violazione di legge – esclude che nel giudizio di legittimita’ possano essere dedotti meri vizi della motivazione che si traducano in forme di illogicita’ ovvero in una diversa interpretazione degli elementi dimostrativi valutati dai giudici di merito: potendo essere rilevanti solo quei vizi che concretizzino una ipotesi di motivazione del tutto assente ovvero apparente, intesa quest’ultima come motivazione “del tutto priva dei requisiti minimi di coerenza e completezza, al punto da risultare inidonea a rendere comprensibile l’iter logico seguito dal giudice di merito, ovvero le linee argomentative del provvedimento siano talmente scoordinate da rendere oscure le ragioni che hanno giustificato il provvedimento”; trattandosi di vizio che sostanzia una “inosservanza della specifica norma processuale che impone, a pena di nullita’, l’obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali” (cosi’, tra le tante, Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260246).
Alla luce di tale regula iuris devono considerarsi del tutto prive di pregio le doglianze formulate dagli odierni ricorrenti in quanto con le stesse – peraltro esposte in termini molto generici – lungi dall’evidenziare una ipotesi di motivazione apparente, nel senso innanzi esposto, essi hanno proposto una rilettura delle emergenze procedimentali provando a togliere forza persuasiva all’ordito argomentativo contenuto nel decreto impugnato: provvedimento caratterizzato da una motivazione completa e congrua, di certo idonea ad illustrare le ragioni della decisione, con la quale sono stati esaminati tutti gli elementi di prova offerti dalla difesa.
In particolare, la Corte di appello – dopo aver rilevato come il gravame non avesse posto in discussione ne’ la correlazione temporale tra i momenti di acquisto dei beni oggetto di ablazione e il periodo di manifestazione della pericolosita’ di proposto, ne’ le indicazioni fattuali comprovanti la fittizieta’ delle intestazioni di quei beni, direttamente riferibili allo stesso (OMISSIS) – ha evidenziato come nell’arco temporale in questione fosse agevolmente riscontrabile una netta sproporzione, con un sistematico deficit finanziario per ciascun anno, tra il valore dei beni acquistati dai tre componenti del nucleo familiare e il reddito dagli stessi dichiarato ai fini delle imposte ovvero le capacita’ finanziarie derivanti dalle loro attivita’ economiche: cio’ considerando anche l’attivita’ della impresa agricola individuale intestata alla (OMISSIS), in relazione al volume di affari risultante ai fini del calcolo dell’iva, alle spese aziendali e familiari sostenute nei relativi periodi di riferimento e alle entrate, in larga parte di natura illecita conseguite dal 2005 dai coniugi (OMISSIS) e (OMISSIS) con Agea-Agenzia per erogazioni in agricoltura sulla base di falsi contratti di affitto di terreni, avendo i relativi proprietari disconosciuto le sottoscrizioni apposte in calce a quei negozi.
Del pari congrue e complete sono le argomentazioni esposte dalla Corte distrettuale a sostegno della decisione di non dare seguito alla sollecitazione con cui la difesa aveva chiesto l’effettuazione di una perizia contabile per accertare l’esatta misura delle entrate lecite conseguite, nell’arco temporale in esame, dalla impresa agricola della (OMISSIS): avendo i giudici di merito chiarito di avere tenuto conto della scarna documentazione fornita dal difensore dei coniugi (OMISSIS) e (OMISSIS) in ordine ai flussi finanziari fiscalmente accertati, dell’assenza di scritture contabili e bilanci riferibili alle attivita’ di quella impresa e, dunque, del carattere esclusivamente “esplorativo” che tale istanza aveva manifestato.
4. Segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento e ciascuno a quella di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si stima equo fissare nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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