Corte di Cassazione, sezione prima penale, Sentenza 27 aprile 2020, n. 13085.
Massima estrapolata:
In tema di procedimenti disciplinari dell’amministrazione penitenziaria, in caso di contestazione dell’infrazione direttamente all’udienza davanti al consiglio di disciplina, la violazione del diritto di difesa del detenuto deve essere eccepita, a pena di decadenza, al momento dell’apertura dell’udienza stessa, trovando applicazione le disposizioni in materia di nullità processuale, tra cui l’art. 182, commi 2 e 3, cod. proc. pen.
Sentenza 27 aprile 2020, n. 13085
Data udienza 6 marzo 2020
Tag – parola chiave: Detenuti – Sanzioni disciplinari – Necessità della contestazione dell’addebito – Predisposizione della difesa da parte del detenuto – Contestazione avvenuta solo davanti al Consiglio di disciplina e non prima – Onere del detenuto di dedurre la relativa nullità al momento dell’apertura dell’udienza e non successivamente – Inadempimento – Rigetto
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI TOMASSI Maria Stefani – Presidente
Dott. DI GIURO Gaetano – Consigliere
Dott. CENTONZE Alessandro – Consigliere
Dott. CAIRO Antonio – Consigliere
Dott. RENOLDI Carlo – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso il decreto del Magistrato di Sorveglianza di Novara in data 31/1/2019;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Carlo Renoldi;
letta la requisitoria del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Tampieri Luca, che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilita’ del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con provvedimento in data 31/8/2017 del Consiglio di disciplina della Casa circondariale di Novara, (OMISSIS) era stato sottoposto alla sanzione disciplinare dell’esclusione dall’attivita’ in comune per 5 giorni, inflitta per inosservanza di ordini e prescrizioni, per avere comunicato con altro detenuto, anch’egli sottoposto al regime differenziato dell’articolo 41-bis Ord. pen. ma appartenente a un diverso gruppo di socialita’, in violazione del Decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230, articolo 77, comma 1, n. 16.
1.1. Avverso, tale decisione il detenuto aveva proposto reclamo davanti al Magistrato di sorveglianza di Novara, deducendo l’illegittimita’ del procedimento disciplinare, sul presupposto che gli addebiti gli fossero stati contestati direttamente davanti al Consiglio di disciplina, senza che gli fosse stato lasciato il termine di dieci giorni per preparare la propria difesa.
1.2. Con decreto in data 31/1/2019, il Magistrato di sorveglianza di Novara dichiaro’ inammissibile il reclamo ai sensi dell’articolo 666 c.p.p., comma 2, ritenendolo manifestamente infondato. Cio’ in quanto il Decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 2000, articolo 81, che disciplina il procedimento disciplinare a carico dei detenuti, avrebbe funzione acceleratoria e non dilatoria e non implicando la preventiva contestazione la necessita’ di assicurare alcun termine per predisporre la difesa, sicche’ la convocazione dinanzi all’organo disciplinare potrebbe avvenire in qualsiasi momento. Sotto altro profilo, il primo Giudice osservo’ come dalla documentazione allegata non emergessero irregolarita’ formali, ne’ con riguardo alle condizioni di esercizio del potere disciplinare, ne’ con riguardo alla costituzione e alla competenza dell’organo, ne’, infine, con riguardo alla contestazione degli addebiti e alla facolta’ di discolpa ex Decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 2000, articolo 81, comma 2; rilevando, altresi’, che i fatti ascritti al detenuto erano stati correttamente sussunti nella fattispecie contestata.
2. Avverso la declaratoria di inammissibilita’ del reclamo ha proposto ricorso per cassazione lo stesso (OMISSIS), per mezzo del difensore di fiducia, avv. (OMISSIS), deducendo, con un unico motivo di impugnazione, la inosservanza o erronea applicazione dell’articolo 35-bis Ord. pen. e articolo 666 c.p.p., comma 2, in relazione agli articoli 24, 27 e 111 Cost., nonche’ all’articolo 38 Ord. pen., Decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 2000, articolo 81 e articolo 59, Regole penitenziarie Europee di cui alla Raccomandazione del Consiglio d’Europa del 2006. In particolare, il ricorrente lamenta, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), che la decisione del Magistrato di sorveglianza di Novara abbia violato l’articolo 666 c.p.p., comma 2, nella parte in cui, secondo l’orientamento della Corte di cassazione, detta ipotesi puo’ trovare applicazione nei soli casi in cui la “presa d’atto” dell’assenza delle condizioni di legge non richieda accertamenti di tipo cognitivo, ne’ valutazioni discrezionali. Nel caso di specie, il provvedimento assunto de plano dal Magistrato di sorveglianza sarebbe affetto da nullita’ di ordine generale e a carattere assoluto, rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento, ai sensi degli articoli 178 e 179 c.p.p., per effetto della estensiva applicazione delle previsioni della “omessa citazione dell’imputato e dell’assenza del suo difensore nei casi in cui ne e’ obbligatoria la presenza” (cita Sez. 3, n. 1730 del 29/5/1998, Viscione, Rv. n. 211550), ricorrendo una chiara violazione del contraddittorio. Il Magistrato di sorveglianza, infatti, dopo aver effettuato l’istruttoria formale, sarebbe sostanzialmente addivenuto a una valutazione di merito circa la fondatezza dell’addebito disciplinare, la esatta qualificazione giuridica della fattispecie e la sua sussumibilita’ nel Decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 2000, articolo 77, n. 16.
Sotto altro profilo, la Difesa censura il mancato rispetto della preventiva contestazione degli addebiti, avvenuta contestualmente all’udienza davanti al Consiglio di disciplina. Cio’ comporterebbe una violazione del diritto di difesa, avuto riguardo all’articolo 81 Reg. esec. Ord. pen. e all’articolo 59 delle Regole penitenziarie Europee di cui alla Raccomandazione del Consiglio d’Europa del 2006, che evidenzierebbero la necessita’ di garantire uno iato temporale, non superiore a dieci giorni, tra la contestazione dell’addebito disciplinare e l’udienza davanti al consiglio di disciplina, al fine di consentire all’accusato la preparazione della sua difesa; iato temporale che nel caso di specie non sarebbe stato rispettato.
3. In data 19/12/2019, e’ pervenuta in Cancelleria la requisitoria scritta del Procuratore generale presso questa Corte, con la quale e’ stata chiesta la declaratoria di inammissibilita’ del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ infondato e, pertanto, deve essere respinto.
2. Il Decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230, articolo 81, scandisce i tempi e i modi del procedimento disciplinare nei confronti dei detenuti o internati, stabilendo: 1) la constatazione diretta o indiretta di una infrazione da parte dell’operatore penitenziario e la redazione di un rapporto, che deve essere trasmesso al direttore dell’istituto; 2) la contestazione formale al detenuto da parte del direttore dell’infrazione, che deve avvenire “… sollecitamente e non oltre dieci giorni dal rapporto…” (comma 2); 3) gli eventuali accertamenti ulteriori, svolti dal direttore o dai suoi delegati; 4) la convocazione diretta del detenuto o la convocazione del consiglio di disciplina, entro dieci giorni dalla contestazione (comma 4).
Tale scansione, anche temporale, del procedimento mira a salvaguardare le esigenze di difesa dell’incolpato che deve avere il tempo materiale per articolare una eventuale difesa, in aderenza alle Regole Penitenziarie Europee del 2006 (Raccomandazione 2006/2 del Comitato dei Ministri agli Stati membri sulle regole penitenziarie Europee), le quali, alla regola n. 59, cosi’ stabiliscono: “i detenuti accusati di un’infrazione disciplinare devono: 1. essere prontamente informati, in dettaglio e in una lingua che comprendono, in merito alla natura delle accuse rivolte contro di loro; 2. avere tempo e mezzi adeguati per la preparazione della loro difesa; 3. avere il permesso di difendersi da soli o per mezzo di un assistente legale qualora cio’ sia necessario nell’interesse della giustizia; 4. avere il permesso di ottenere la presenza di testimoni e di interrogarli o farli interrogare; 5. avere l’assistenza gratuita di un interprete qualora non comprendano o non parlino la lingua usata nel procedimento”.
Secondo la giurisprudenza di legittimita’, “in tema di provvedimenti disciplinari dell’amministrazione penitenziaria, l’omissione della previa contestazione dell’addebito al detenuto nelle forme previste dalla normativa regolamentare ha effetti sulla validita’ del provvedimento adottato, dovendo intercorrere tra il momento della contestazione e quello dell’udienza disciplinare un ragionevole lasso temporale in modo da consentire all’incolpato di predisporre adeguata difesa” (cfr. ex plurimis Sez. 1, n. 16914 del 21/12/2017, dep. 2018, Palumbo, Rv. 272786). Tale approdo ermeneutico consegue alla estensione al procedimento disciplinare delle norme in materia di nullita’ degli atti processuali (attesa la pacifica connessione funzionale tra il medesimo e il procedimento giurisdizionale di reclamo); estensione che ovviamente, come appresso si dira’, non puo’ essere circoscritta ai soli aspetti strutturali (ovvero ai presupposti di legittimita’ del procedimento e di validita’ dell’atto avente natura decisoria che lo conclude), ma deve essere estesa, per ragioni di complessiva tenuta sistematica, anche agli aspetti funzionali che attengono alle regole generali in materia di deducibilita’ del vizio (in proposito v. infra § 3.2).
3. Osserva, al riguardo, il Collegio che il provvedimento impugnato e’ stato fatto oggetto di due ordini di censure, entrambe infondate.
3.1. Sotto un primo profilo, va evidenziato che il decreto del primo Giudice e’ stato assunto de plano sul presupposto della manifesta infondatezza della doglianza difensiva, in applicazione dell’articolo 666 c.p.p., comma 2, a mente del quale “se la richiesta appare manifestamente infondata per difetto delle condizioni di legge ovvero costituisce mera riproposizione di una richiesta gia’ rigettata, basata sui medesimi elementi, il giudice o il presidente del collegio, sentito il pubblico ministero, la dichiara inammissibile con decreto motivato, che e’ notificato entro cinque giorni all’interessato”.
In proposito, va ricordato che, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimita’, nel procedimento di esecuzione e di sorveglianza, il decreto di inammissibilita’ per manifesta infondatezza puo’ essere emesso de plano, ai sensi dell’articolo 666 c.p.p., comma 2, soltanto quando la richiesta sia identica, per oggetto e per elementi giustificativi, ad altra gia’ rigettata ovvero difetti delle condizioni poste direttamente dalla legge, e sempre che la relativa statuizione non implichi alcun giudizio di merito e apprezzamento discrezionale (Sez. 1, n. 32279 del 29/3/2018, Focoso, Rv. 273714; Sez. 1, n. 35045 del 18/4/2013, Giuffrida, Rv. 257017; Sez. 1, n. 6558 del 10/1/2013, Piccinno, Rv. 254887; Sez. 1, n. 2058 del 29/3/1996, Silvestri, Rv. 204688; Sez. 3, n. 2886 del 3/11/1994, Sforza, Rv. 200724; Sez. 1, n. 996 del 26/2/1991, Monferdin, Rv. 187316). Diversamente, il decreto di inammissibilita’ potrebbe soppiantare l’ordinanza camerale di rigetto in tutti i casi – anche complessi e delicati – di mancato accoglimento della richiesta con evidente violazione dei diritti di contraddittorio e di difesa previsti dall’articolo 666 c.p.p., commi 3 e 4 (Sez. 3, n. 1477 del 27/4/1995, Reale, Rv. 202474). Dunque, la ratio del provvedimento de plano, in assenza di contraddittorio, consiste proprio nella rilevabilita’ ictu oculi di ragioni che rivelino alla semplice prospettazione, senza uno specifico approfondimento, la mancanza di fondamento dell’istanza (Sez. 5, n. 2793 del 5/5/1998, Prato, Rv. 210936). Ne consegue che, ogniqualvolta si pongano problemi di valutazione che richiedono l’uso di criteri interpretativi in relazione al thema probandum, deve essere data all’istante la possibilita’ di instaurazione del contraddittorio con il procedimento camerale previsto – sul modello di quello tipico ex articolo 127 c.p.p. – dall’articolo 666 c.p.p., comma 3, (cosi’ Sez. 2, n. 40750 del 2/10/2009, Green, Rv. 245119; Sez. 1, n. 18525 del 10/5/2006, Gueye, Rv. 234137; Sez. 5, n. 34960 del 14/6/2007, Stara, Rv. 237712; Sez. 1, n. 27737 del 27/5/2003, Cimetti, Rv. 224941).
Nel caso di specie, nondimeno, la questione dedotta non imponeva alcun complesso accertamento in fatto implicante l’esercizio di poteri istruttori, essendo necessario, per il Giudice adito, verificare unicamente l’effettiva sussistenza della prospettata violazione del diritto di difesa, costituente questione giuridica priva di concreti risvolti fattuali, e in ogni caso l’avvenuta tempestiva formulazione della relativa eccezione di nullita’ da parte del detenuto, riscontrabile dal verbale del Consiglio di disciplina cui si riferiva il reclamo proposto, come tale prontamente accessibile al Magistrato di sorveglianza. Pertanto, l’adozione, senza contraddittorio, del provvedimento decisorio oggi impugnato non ha realizzato, diversamente da quanto dedotto dalla Difesa di (OMISSIS), alcuna violazione della richiamata disciplina processuale in materia di inammissibilita’.
3.2. Le considerazioni che precedono introducono il merito della censure mosse dal ricorrente.
Sotto un primo aspetto, l’odierna impugnazione lamenta la mancata contestazione degli addebiti, ovvero, che la stessa sia stata formulata direttamente davanti al Consiglio di disciplina.
E secondariamente che quest’ultima circostanza, non avendo consentito al detenuto di disporre un congruo termine per preparare le proprie difese, ne avrebbe gravemente compromesso i relativi diritti.
Osserva, tuttavia, il Collegio che il primo segmento della cennata prospettazione e’ intrinsecamente contraddittorio, atteso che, da un lato, si assume che non vi sia stata contestazione degli addebiti e, dall’altro lato, che essa abbia avuto luogo, sia pure tardivamente.
Ora, anche alla luce del chiaro tenore del provvedimento impugnato, deve ritenersi che la suddetta contestazione sia stata effettivamente formalizzata.
La Difesa, come detto, ne deduce, tuttavia, la tardivita’, assumendo quale parametro temporale di riferimento il termine di dieci giorni stabilito dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 2000, articolo 81. Come detto, tale articolo prevede un doppio termine: il primo, contemplato dal comma 2, concernente l’obbligo che l’incolpazione abbia luogo nel termine di dieci giorni dai fatti; il secondo, disciplinato dal comma 4, stabilisce che l’udienza disciplinare debba essere effettuata entro dieci giorni dall’incolpazione.
Come correttamente rilevato dal primo Giudice, entrambi i termini hanno natura acceleratoria e non dilatoria, nel senso che la loro previsione risponde all’esigenza di consentire lo svolgimento dell’udienza il prima possibile e non gia’ a stabilire un inderogabile limite temporale, prima di essa, funzionale a consentire l’esercizio della difesa. Ne consegue che i dieci giorni non possono essere considerati, come sostiene il ricorso, come uno spazio minimo che deve essere garantito al detenuto per preparare le proprie difese.
Il nucleo delle censure difensive riguarda, tuttavia, il fatto che la contestazione non sia stata effettuata prima dell’udienza disciplinare e che essa abbia avuto luogo soltanto davanti al Consiglio di disciplina.
La violazione della scansione procedimentale prevista dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 2000, articolo 81 configura sicuramente una violazione del diritto di difesa nel momento in cui realizza una contestualita’ tra incolpazione e giudizio che puo’ non consentire al detenuto di approntare adeguatamente le proprie difese, chiedendo, se del caso, l’esibizione o la produzione di documenti, l’audizione di terzi soggetti ecc.. In altri termini, se deve escludersi che il detenuto abbia diritto a un termine di dieci giorni per potersi preparare a difendersi dalle contestazioni disciplinari, deve escludersi che la procedura possa esplicarsi con modalita’ talmente sincopate da comprimere qualunque possibilita’, per l’incolpato, di organizzare la propria difesa.
Nondimeno, come gia’ osservato, dall’applicazione, al procedimento disciplinare, delle disposizioni in materia di nullita’ processuale, deriva la sottoposizione del medesimo alle regole generali dettate in materia di deducibilita’ delle nullita’, tra le quali vanno ricordate le disposizioni dettate dall’articolo 182 c.p.p., commi 2 e 3, secondo cui la violazione deve essere eccepita dalla parte che abbia patito una lesione delle sue facolta’ prima del compimento dell’attivita’ processuale cui essa si riferiva.
Nel caso di specie, dunque, la nullita’ avrebbe dovuto essere dedotta al momento dell’apertura dell’udienza davanti al Consiglio di disciplina, posto che proprio in quella fase il detenuto avrebbe dovuto lamentare di essere stato condotto davanti all’organo disciplinare senza prima conoscere le accuse che gli venivano rivolte. E tuttavia, secondo quanto riportato nel provvedimento impugnato, Dell’Acqua non ebbe a prospettare alcuna eccezione sul punto e, anzi, ammise espressamente gli addebiti formulati a suo carico, incorrendo, conseguentemente, nella relativa decadenza.
4. Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
Leave a Reply