In tema di premeditazione

Corte di Cassazione, penale, Sentenza|24 novembre 2020| n. 32746.

In tema di premeditazione, non osta alla configurabilità dell’aggravante il fatto che il soggetto agente abbia condizionato l’attuazione del proposito criminoso alla mancata verificazione di un evento ad opera della vittima, quando la condizione risolutiva si pone come un avvenimento previsto, atto a far recedere la più precisa e ferma risoluzione criminosa del reo. (Fattispecie in cui l’omicidio era stato programmato per il caso in cui la vittima avesse ribadito il rifiuto di riprendere il rapporto sentimentale con il reo).

Sentenza|24 novembre 2020| n. 32746

Data udienza 17 giugno 2020

Integrale

Tag – parola chiave: Tentato omicidio aggravato dalla premeditazione – Porto ingiustificato di coltello – Vincolo della continuazione – Dolo condizionato compatibile con l’aggravante della premeditazione – Inammissibilità

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SIANI Vincenzo – Presidente

Dott. SARACENO Rosa Anna – rel. Consigliere

Dott. LIUNI Teresa – Consigliere

Dott. MAGI Raffaello – Consigliere

Dott. ALIFFI Francesco – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 08/01/2019 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere SARACENO ROSA ANNA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore CASELLA GIUSEPPINA che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
udito il difensore:
L’avvocato (OMISSIS) del foro di PALMI in difesa di (OMISSIS) conclude insiste nell’accoglimento dei motivi di ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la decisione in epigrafe la Corte di appello di Reggio Calabria ha confermato la sentenza emessa in data 13 giugno 2017 dal Tribunale di Locri che aveva dichiarato (OMISSIS) responsabile del delitto di tentato omicidio, aggravato dalla premeditazione, in danno di (OMISSIS) e del connesso reato di porto ingiustificato di coltello e l’aveva condannato, unificati i reati per la continuazione, alla pena di anni sedici di reclusione, con pene accessorie di legge e condanna al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separata sede, in favore delle parti civili costituite, cui assegnava provvisionali immediatamente esecutive.
1.1. Secondo la ricostruzione non contestata dei fatti, (OMISSIS), verso le 9.30 del (OMISSIS), dopo essersi introdotto nell’abitazione della vittima, ricevuto un ennesimo rifiuto sentimentale da parte della ragazza, aveva estratto un coltello dalla tasca e le aveva inferto diciotto fendenti, cagionandole, tra le altre, ferite penetranti al collo, segnatamente alla giugulare e alla carotide, nonche’ all’emitorace posteriore e laterale destro, alla fossa iliaca destra, all’ascellare posteriore dell’emitorace laterale sinistro, che avevano provocato una copiosa emorragia. Solo il tempestivo intervento dei parenti, accorsi alle grida della donna, e ben tre interventi chirurgici (suturazione del rene destro, ripristino della continuita’ vasale carotidea interna, realizzazione di by pass aorto-succlativo-carotideo) erano riusciti a salvarle la vita.
La vittima aveva riferito al suo primo soccorritore, il cognato (OMISSIS), che ad aggredirla era stato il (OMISSIS), con il quale aveva avuto una relazione sentimentale durata circa un anno, ma dalla giovane donna interrotta nel novembre 2015 a ragione del carattere estremamente possessivo e della morbosa gelosia del fidanzato. L’uomo, pero’, non si era rassegnato alla decisione ed aveva ossessivamente tentato di recuperare la relazione sentimentale, inoltrando alla (OMISSIS) messaggi telefonici e lettere, riuscendo a procurarsi il nuovo numero della sua utenza mobile, invocando insistentemente l’intercessione di parenti ed amici della vittima, sino a recarsi il 13 novembre dinanzi alla sua abitazione e a inscenare un tentativo di suicidio, provocandosi tagli ai polsi. L’8 dicembre aveva avvicinato la (OMISSIS), intenta a passeggiare in compagnia della sorella e di un’amica, l’aveva costretta, afferrandola per un braccio, ad appartarsi, le aveva nuovamente richiesto di riprendere la relazione e, al suo rifiuto, aveva proferito minacce del tipo “saranno guai”, “te la faro’ pagare”. Il giorno successivo si era introdotto clandestinamente nell’abitazione dei (OMISSIS), dopo aver scavalcato la recinzione dello stabile, aveva atteso il rientro della ragazza, le aveva nuovamente chiesto di tornare insieme, proponendole di “scappare” e, ricevuto un ennesimo, irrevocabile rifiuto, pronunciando le parole “allora muori”, le si era scagliato addosso, colpendola con calci e pugni; senza soluzione di continuita’ ne’ tentennamenti, aveva estratto il coltello e l’aveva ripetutamente e ferocemente accoltellata, interrompendo l’azione solo quando il (OMISSIS) si era precipitato all’interno attraverso una finestra.
Per quanto serba rilievo in questa sede, la difesa dell’imputato era stata, quindi, articolata, in sede di appello, contestando la sussistenza della premeditazione e il diniego delle attenuanti generiche.
1.2 A ragione della decisione, la sentenza impugnata, ripercorso interamente l’iter informativo della sentenza di primo grado, fatte proprie le considerazioni del Tribunale, ritenute in tutto condivisibili, osservava, in breve, che il complesso delle risultanze di natura dichiarativa, il ricostruito contesto e la stessa dinamica dei fatti consentivano di confermare la premeditazione: all’origine dell’intera vicenda v’era il dato, assolutamente riscontrato, della morbosa gelosia dell’imputato e del senso di possesso nutrito nei riguardi della ex fidanzata; vi erano i chiari comportamenti del (OMISSIS), ostinatamente restio ad accettare la decisione della vittima, piu’ volte compulsata con messaggi e lettere, richieste di perdono e promesse di cambiamento; vi era, poi, il successivo cambio di strategia consistito nella insistita richiesta di mediazione da parte dei familiari o degli amici della donna; ancora il gesto eclatante dell’inscenato tentato suicidio; l’ultimo abboccamento appena il giorno precedente il fatto delittuoso e le minacce proferite dopo il fallimento dell’ennesimo tentativo di avvicinamento; infine l’esecuzione della ormai radicata deliberazione criminosa, improntata alla “logica perversa del con me o con nessuno”. Aggiungeva, quindi, che l’azione, risultava diretta conseguenza di una fredda pianificazione e di un atteggiamento volitivo scaturente da una volonta’ punitiva nei confronti della ragazza, da cui l’imputato non accettava il distacco considerandola res di sua proprieta’, portata avanti senza soluzione di continuita’, introducendosi in casa della vittima con il coltello in tasca e facendone un uso micidiale dopo aver preso atto definitivamente dell’irrevocabilita’ del rifiuto opposto dalla stessa.
Contesto, pervicacia, ferocia, gravita’, risolutezza del gesto efferato, superficialita’ e ineffettivita’ della pretesa condotta processuale collaborativa apparivano circostanze altrettanto ostative al riconoscimento delle invocate attenuanti generiche.
2. Ricorre l’imputato a mezzo del difensore, avvocato (OMISSIS), deducendo:
– violazione di legge con riguardo all’aggravante della premeditazione. Lamenta, in particolare, che erroneamente l’aggravante era stata affermata sussistente nella forma condizionata senza che vi fosse alcun reale riscontro dell’elemento psicologico e di quello cronologico giacche’, anche nella forma condizionata, la premeditazione e’ configurabile solamente quando il proposito criminoso sia nitidamente contraddistinto dai caratteri della fermezza e della costanza. Senonche’, con ragionamento fattuale fallace e comunque del tutto inadeguato, la Corte territoriale aveva indugiato sulle forme di estrema gelosia e sulla vana rincorsa al ricongiungimento affettivo, circostanze affatto inidonee a dimostrare l’esistenza di un sedimentato proposito omicida. Ne’, sulla base di una ricostruzione palesemente distorta della fase immediatamente antecedente il delitto, l’insorgenza del proposito criminoso avrebbe potuto essere collocata subito dopo l’incontro dell'(OMISSIS) allorche’ (OMISSIS) avrebbe offerto alla (OMISSIS) l’ultima possibilita’ di recuperare il rapporto, per poi contraddittoriamente e illogicamente condizionare al verificarsi o meno dello stesso evento (ossia: la ripresa della relazione) il proposito omicida effettivamente messo in atto il giorno successivo. Arbitrariamente, inoltre, la sentenza impugnata aveva valorizzato la convulsa sequenza delle manifestazioni comportamentali di (OMISSIS), inidonee a fungere da indicatori di un disegno meditato di annientamento fisico della ex fidanzata, mentre la confusione e la frustrazione dell’imputato, il suo pur additato stress emotivo appaiono elementi incompatibili con una risoluzione lucida e mantenuta ferma per un tempo apprezzabile con risoluta determinazione e, semmai, configurano franchi indicatori di un gesto dettato da impeto incontrollato di gelosia e di rabbia;
– vizio di motivazione in ordine al diniego delle circostanze attenuanti generiche, avendo la Corte territoriale ingiustificatamente svilito la confessione resa dall’imputato nell’immediatezza del fatto e illogicamente valorizzato il presunto tentativo di ridimensionamento delle proprie responsabilita’ nelle dichiarazioni rese nel corso dell’esame dibattimentale, con argomentazioni trasudanti insofferenza verso chi esercita il suo diritto di difesa, per altro su particolari di contorno, e indugiando in ridondanti “psicologismi”;
– inosservanza e falsa applicazione di norme penali processuali stabilite a pena di inutilizzabilita’, nullita’ o decadenza, con riferimento alla declaratoria di inammissibilita’ della richiesta di accesso al rito abbreviato per via del falso materiale e ideologico nella procura speciale commesso dal difensore del (OMISSIS), al mancato rilievo dell’incompatibilita’ di costui nell’attivita’ defensionale e all’illegittima preclusione ai benefici del rito alternativo. All’udienza del 19 maggio 2019, fissata per la decisione in ordine alla richiesta di abbreviato, avanzata dall’avvocato (OMISSIS) a seguito della notifica del decreto dispositivo del giudizio immediato, il G.i.p., disponeva perizia grafologica sulla firma apposta dall’imputato in calce all’atto di conferimento della procura speciale e, all’esito, rilevato il difetto di valida procura, per essere risultata apocrifa, la firma del (OMISSIS) e rilevata altresi’ l’intervenuta scadenza dei termini di legge, dichiarava l’inammissibilita’ della richiesta di accesso al rito alternativo, disponendo la trasmissione degli atti alla locale Procura per le sue determinazioni nei confronti del difensore. Con sentenza n. 97/2018 il Tribunale di Locri condannava l’avvocato (OMISSIS) per falso ideologico e materiale. Tanto premesso, ad avviso del ricorrente, il giudice di primo grado avrebbe dovuto rilevare di ufficio, ai sensi dell’articolo 106 c.p.p., commi 2 e 3, l’incompatibilita’ al mandato defensionale del difensore, prima indagato e poi imputato; dichiarare l’inefficacia della richiesta dal medesimo formulata sulla base di procura falsamente confezionata e restituire nei termini l’imputato per l’esercizio delle facolta’ compromesse dal patrocinio inefficace del difensore incompatibile. La sequenza degli illegittimi contegni omissivi sopra indicati, che hanno precluso l’accesso al rito e ai benefici sostanziali previsti in caso di condanna, comportava che il danno patito dall’imputato non avrebbe dovuto ingiustamente consolidarsi, ma che ad esso andava posto rimedio attraverso il riconoscimento della diminuzione premiale.
3. Con memorie recanti la data del 9.6.2020, i difensori delle costituite parti civili hanno insistito per la declaratoria di inammissibilita’ del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Osserva il Collegio che il ricorso appare per ogni aspetto inammissibile.
2. Il primo motivo, pur sotto l’egida formale della violazione di legge, critica sostanzialmente la conforme ricostruzione fattuale operata dai giudici di merito, e risulta manifestamente infondato, oltre che indeducibile in questa sede, perche’ la motivazione sui punti denunziati e’ in realta’ piu’ che adeguata, esauriente quanto agli aspetti decisivi ed immune da vizi logici di sorta.
E’ sufficiente evidenziare che nessuno dei profili, per lo piu’ esclusivamente di fatto e peraltro meramente confutativi, coglie nel segno ed appare decisivo nell’individuazione del prospettato dolo d’impeto anziche’ del ritenuto atteggiamento psicologico, sicuramente riferibile alla premeditazione.
2.1. Va, in proposito, rammentato che, come gia’ si rilevava nella Relazione al codice (p. 188) la premeditazione aggiunge “un quid pluris a quel grado di riflessione, che e’ comune a tutte le azioni delittuose” perche’ in essa “la riflessione, inerente al proposito di delinquere, si protrae piu’ o meno lungamente nel tempo, senza soluzione di continuita’” e tale persistenza, che soverchia e supera inibizioni o ostacoli o le comuni controspinte all’impulso criminogeno, sufficienti a far riflettere l’agente sulla decisione presa e consentendone il recesso, costituisce indice di quella “maggiore perversita’ e pericolosita’ del delinquente” che giustifica l’aggravamento sanzionatorio.
E’, peraltro, consolidato il principio di diritto della piena compatibilita’ del dolo condizionato con l’aggravante della premeditazione, che ricorre anche quando l’attuazione del proposito criminoso sia condizionata al verificarsi o meno di un determinato evento, non potendosi confondere l’occasionalita’ dell’insorgenza del proposito omicida (contestualmente attuato) con l’esecuzione del proposito gia’ maturato che sia stato condizionato al mancato verificarsi di un avvenimento ad opera della vittima: il dolo condizionato “nulla toglie alla fermezza della risoluzione criminosa concretantesi nella ideazione del piano e nell’apprestamento dei mezzi, giacche’ e’ soltanto l’attuazione che rimane subordinata al verificarsi di una determinata situazione sfavorevole per l’agente, ma, quando cio’ si verifichi, il fatto non puo’ non ricollegarsi a quella risoluzione, tractu temporis persistente, nella quale si rivela appunto la maggiore intensita’ di dolo, che caratterizza l’aggravante” (Sez. 1, n. 696 del 12/05/1967, Nanfito, Rv. 105811; Sez. 2, n. 2611 del 18/01/1993, Bergasmaschi e altri, Rv. 193578; Sez. 1, n. 1910 del 25/01/1996, Bima, Rv. 203806; Sez. 1, n. 1079 del 27/11/2008, dep. 2009, Lancia, Rv. 242485; Sez. 1, n. 7766 del 30/01/2008, Dettori, Rv. 239232; Sez. 1, n. 19974 del 12/02/2013, Zuica, Rv. 256180).
2.2. Tanto posto, secondo le decisioni di merito, deponevano per l’esistenza di un progetto omicidiario, organizzato e coltivato per un lasso di tempo apprezzabile:
– il comportamento tenuto dall’imputato dopo la fine della relazione sentimentale, descritto omogeneamente da tutti i testi escussi e univocamente indicativo della sua caparbia determinazione a vincere con ogni mezzo la unilaterale decisione della giovane donna di porre fine alla relazione sentimentale, non rassegnandosi ai suoi ripetuti rifiuti ma subissandola di messaggi e missive, ponendo in essere ripetuti ed insistenti tentativi di mediazione attraverso comuni amici (teste (OMISSIS)) o stretti congiunti (testi (OMISSIS) e (OMISSIS)), rivolgendosi al titolare del negozio di telefonia (teste (OMISSIS)) al fine di ottenere il nuovo numero di cellulare della ragazza, che aveva sostituito la scheda telefonica proprio al fine di scongiurare i contatti con l’ex fidanzato, simulando infine il gesto autolesionista allorche’ il 13 novembre 2015, giunto presso l’abitazione dei (OMISSIS), il ricorrente aveva iniziato a procurarsi lesioni ai polsi, inducendo i familiari della donna a richiedere l’intervento dei carabinieri e dei sanitari del 118; cosi’ manifestando “un senso di insopprimibile possesso”, a cagione del quale, “preso atto della fallacia di ogni tentativo diretto e indiretto di avvicinamento” e dell’esito infruttuoso anche “della sceneggiata” del tentato suicidio, era montato il sentimento di rabbia e di acredine e si era consolidata la logica perversa del “con me o con nessuno”;
– i fatti dell’8 dicembre, da inquadrarsi in tale sedimentato contesto, psicologico e propositivo, allorche’ l’imputato, al nuovo rifiuto opposto dalla vittima, aveva chiaramente manifestato la sua gia’ ponderata decisione, pronunciando univoche minacce (saranno guai…te la faro’ pagare);
– le circostanze che il (OMISSIS) si era portato il giorno successivo presso l’abitazione della donna gia’ con il coltello in tasca; che si era introdotto furtivamente al suo interno, scavalcando la recinzione e restando in attesa della vittima; che, cogliendola di sorpresa, le aveva chiesto per l’ultima volta di tornare insieme e, ricevuto l’ennesimo ma gia’ preventivato rifiuto, senza ulteriori discussioni o contrasti, proferendo con lucida determinazione le parole “e allora muori”, aveva estratto il coltello e aveva dato sfogo al rancore covato, colpendola con diciotto fendenti, interrotto nell’azione dall’inatteso arrivo del cognato della vittima, (OMISSIS).
Ebbene, le considerazioni, conformi, dei giudici di merito sono corrette in diritto e per nulla illogiche in fatto, specie quando osservano che poteva senz’altro riconoscersi che l’imputato avesse reagito con rabbia, ma non per una reazione estemporanea quanto per un rancore protratto o quantomeno ponderato per il tempo utile per programmare una linea di azione; che sicuramente l’imputato era uscito di casa gia’ pronto per l’aggressione, risolutivamente condizionata ad un avvenimento previsto (l’ennesimo rifiuto alla richiesta di riallacciare la relazione) e che, pertanto, costituiva aspetto sicuramente sintomatico l’aggressione agita a freddo, una volta constatata la mancata verificazione dell’evento gia’ preventivato; che la lucida preparazione e la ferma predeterminazione risultava corroborata dalle modalita’ dell’azione e dal comportamento successivo (allontanamento immediato e occultamento dell’arma, mai rinvenuta, segno evidente che, dopo l’uso micidiale, l’imputato se ne era volontariamente disfatto), giacche’ in tema d’indagine psicologica ogni elemento fattuale, anche successivo, e’ valutabile se appare, in termini retrospettivi, chiaramente sintomatico -come nel caso di specie – dell’atteggiamento, dell’intenzione e della volonta’ dell’agente.
La valutazione operata dai giudici di merito non e’, dunque, censurabile e non bastono a vincere la plausibilita’ delle conclusioni raggiunte ne’ le generiche osservazioni del ricorrente in ordine alla sopravvalutazione delle pregresse e infruttuose condotte di riavvicinamento, al contrario debitamente apprezzate e contestualizzate quali indici sicuri di una deliberazione ad eseguire l’omicidio insorta, maturata, coltivata nel tempo e mai abbandonata; ne’ la lettura puramente confutativa dell’episodio del giorno antecedente il delitto quando, diversamente da quanto assume il ricorso, il progetto era stato anche verbalmente esternato; ne’ le considerazioni sul carattere disorganizzato del delitto, asseritamente frutto di reattivita’ impetuosa ed impulsiva, di stress emotivo, giacche’ l’ennesimo rifiuto della vittima non aveva dato la stura a un odio da ultimo esploso, ma rappresentava un accadimento, gia’ previamente considerato, in un processo psicologico di intensa riflessione e di fredda determinazione, proprio cio’ che caratterizza, dunque, il premeditato proposito di uccidere, del quale il porto del coltello, la sua immediata estrazione e il suo pervicace uso erano plastica dimostrazione.
3. Manifestamente infondate, oltre che attinenti a valutazioni di merito adeguatamente giustificate, e percio’ comunque inammissibili, sono le doglianze relative al diniego delle attenuanti generiche. I giudici di merito hanno ineccepibilmente giustificato la loro decisione in base alla gravita’ del fatto, all’efferatezza dell’azione, alla risolutezza del gesto compiuto e ai biechi motivi di arcaica sopraffazione che lo avevano generato, all’ineffettivita’ della confessione, essendo stata la vicenda ricostruita attraverso ben altri apporti informativi e dichiarativi, all’assenza di concreti segnali di ravvedimento, avendo l’imputato assunto, in sede dibattimentale, un comportamento conservativo e tutt’altro che collaborativo, sminuendo il suo senso di gelosia e rimanendo nel vago in ordine all’acquisizione e al disfacimento dell’arma: ancorandola, dunque, a plurimi e concordanti parametri, a fronte dell’evocazione dei quali il ricorso e’ anche generico.
4. Destituito di qualsivoglia pregio e’ il terzo motivo di ricorso che si riferisce a questione non dedotta nei motivi di appello e che riconnette la mancata tempestivita’ dell’eccezione alla posizione di incompatibilita’ del difensore, rimossa solo in tempi successivi alla sentenza di secondo grado, attraverso la nomina del nuovo difensore. Ma il ricorrente dimentica di essere stato assistito nel corso dei due gradi del giudizio di merito da altro difensore fiduciario, l’avvocato (OMISSIS), che aveva l’onere di dedurre l’effettivo e concreto pregiudizio difensivo eventualmente verificatosi ai danni del soggetto assistito dal difensore incompatibile, ne’ spiega la ragione per la quale sarebbe stato impedito dal formulare, in modo tempestivo e rituale, la richiesta di abbreviato, ne’ quella per la quale, a fronte della declaratoria di inammissibilita’ della richiesta per invalidita’ della procura a seguito degli esiti della disposta perizia calligrafica, non abbia avanzato richiesta di restituzione nel termine. Ma, soprattutto, tace di avere confermato davanti al G.i.p., nell’udienza deputata alla decisione sulla richiesta di abbreviato, la paternita’ della firma e di avere all’udienza del 19 luglio 2016, espressamente richiesto dal Tribunale, confermato la nomina dell’avvocato (OMISSIS), non dolendosi di alcuna lesione delle sue prerogative difensive per assunto inadeguato patrocinio. Sicche’ la genericita’ dell’eccezione sollevata con il ricorso e le contrarie risultanze processuali assorbono il pur sussistente profilo di manifesta intempestivita’.
5. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e alla declaratoria di inammissibilita’ consegue, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del proponente al pagamento delle processuali e – per i profili di colpa correlati all’irritualita’ dell’impugnazione (C. Cost. n. 186 del 2000) – di una somma in favore della Cassa delle Ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro 3.000.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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