In tema di obbligazioni di fonte convenzionale

Consiglio di Stato, sezione quinta, Sentenza 2 settembre 2019, n. 6016.

La massima estrapolata:

In tema di obbligazioni di fonte convenzionale, il criterio discretivo tra termine e condizione va ravvisato nella certezza e nell’incertezza del verificarsi di un evento futuro che le parti hanno previsto per l’assunzione di un obbligo o per l’adempimento di una prestazione: ricorre, segnatamente, l’ipotesi del termine quando detto evento futuro sia certo, anche se privo di una precisa collocazione cronologica, in quanto connesso ad un fatto che si verificherà certamente (e potendo, come tale, riguardare sia l’efficacia iniziale che quella finale di un negozio giuridico o di un’obbligazione o di un credito di una parte); per contro, nell’ipotesi di condizione, si versa nell’incertezza (anche nell’an) dell’evento futuro dal cui verificarsi dipende il sorgere (condizione sospensiva) o il permanere (condizione risolutiva) dell’efficacia di un contratto o di un’obbligazione ad esso inerente.

Sentenza 2 settembre 2019, n. 6016

Data udienza 18 luglio 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello numero di registro generale 6702 del 2010, proposto da
Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. Cl. e Lu. Ma. Be., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Ma. Cl. in Roma, viale (…);
contro
Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Fa. Fr. e Ma. Be., con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Fa. Fr. in Roma, piazza (…);
per la riforma
della sentenza del T.A.R. Friuli Venezia Giulia, sez. I, n. 271/2010, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 18 luglio 2019 il Cons. Giovanni Grasso e uditi per le parti gli avvocati Lu. Ma. Be., Ma. Cl. e Fa. Fr.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1.- Con atto di appello, notificato nei tempi e nelle forme di rito, il Comune di (omissis), come in atti rappresentato e difeso, esponeva che con una serie di “atti di intesa” (sottoscritti in data 22 dicembre 2000, 21 giugno 2001 e 17 maggio 2002) si era impegnato ad accettare, nel proprio impianto di Va., i rifiuti urbani ed urbani assimilabili del Comune di (omissis), a fronte del pagamento di un corrispettivo “calmierato” da parte di quest’ultimo. Per parte sua, il Comune di (omissis) si era impegnato a ricevere un’altrettanta quantità e tipologia di rifiuti del Comune di (omissis) in una propria futura discarica da mettere in esercizio, o comunque in altro impianto da indicare e mettere a disposizione, per il medesimo corrispettivo parimenti calmierato.
Evidenziava che la sottoscrizione degli atti di intesa del 2001 e del 2002 si era resa necessaria per il fatto che il Comune di (omissis), diversamente da quanto originariamente previsto nel primo atto di intesa del 2000, non era riuscito a munirsi, nel frattempo, di una propria discarica, essendosi per tal via resa necessaria una “ricalibratura” del termine a partire dal quale avrebbe messo a disposizione la discarica.
In particolare, nell’ultimo (e definitivo) degli atti di intesa (ossia quello del 17 maggio 2002), le parti avevano previsto che:
a) “il Comune di (omissis) [fosse] autorizzato ad affidare all’Azienda Speciale Pluriservizi della Città di (omissis) (ASP AMIU) il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti urbani ed urbani assimilabili, da svolgersi secondo le modalità ed alle condizioni riportate nella convenzione allegata”;
b) lo stesso Comune di (omissis) “[garantisse] l’accettazione, nell’impianto di smaltimento di rifiuti […] nel proprio territorio, non appena questo fosse [stato] realizzato, o in altro impianto indicato […], di rifiuti solidi urbani ed assimilabili provenienti dal Comune di (omissis) in quantità e peso specifico medio pari a quelli dei rifiuti solidi urbani ed assimilabili provenienti dal Comune di (omissis) ricevuti sulla base delle intese nell’impianto di (omissis) Va.”;
c) “il costo complessivo totale, al netto dell’ecotassa, sostenuto dal Comune di (omissis),non [sarebbe stato] superiore a quello sostenuto dal Comune di (omissis) per il conferimento dei propri rifiuti nella discarica di Va.”;
d) “l’operatività di tale garanzia [scil.: dello specifico impegno del Comune di (omissis) ad accettare i rifiuti di (omissis) nella propria discarica o in un’altra da indicare] [fosse] prevista dal 01/01/2004 o dalla data diversa nella quale [fosse risultata] esaurita la discarica di Va.”.
Ciò premesso, l’appellante rappresentava che il Comune di (omissis), pur a fronte dell’obbligo assunto di mettere a disposizione una propria discarica o indicarne una diversa ove far conferire i propri rifiuti, in realtà non aveva dato seguito ai propri impegni, sicché anche successivamente al 1° gennaio 2004 i rifiuti di entrambi i Comuni avevano continuato ad essere conferiti nell’impianto di Va..
Con nota del 24 novembre 2005 aveva perciò informato la controparte che la discarica di Va. era ormai “prossima all’esaurimento”, chiedendo, di conseguenza, che gli fosse indicato l’impianto ove conferire i propri rifiuti solidi urbani, in adempimento degli accordi presi: la richiesta era, nondimeno, rimasta priva di riscontro, di tal che, a decorrere dal mese febbraio 2006 – non risultando ulteriormente praticabile l’utilizzo corrente dell’impianto di Va. – aveva proceduto, suo malgrado, a conferire i propri rifiuti in altra discarica, ubicata nel territorio comunale di Aviano.
In proposito, rimarcava che il sopravvenuto esaurimento dell’impianto di Va. era stato espressamente evidenziato anche dalla società GEA (succeduta alla società AMIU), alla quale erano stati affidati da entrambi i Comuni i conferimenti in tale discarica: GEA che, nel sottolineare tale situazione, aveva anche rilevato la necessità di dover riservare comunque una ridotta volumetria di 4.000 mc nella discarica in questione per casi di emergenza, in modo da garantire al meglio l’interesse pubblico alla salute dei cittadini.
Del resto, anche il Comune di (omissis), a presa d’atto della descritta situazione, aveva richiesto alla stessa GEA, con nota del 7 giugno 2006, di conferire i propri rifiuti nella medesima discarica di Av., a decorrere dal 1° luglio 2006.
Con la successiva nota del 24 luglio 2006 il Comune di (omissis) aveva insistito affinché il Comune di (omissis) adempisse agli impegni assunti: ma quest’ultimo, con nota del 27 ottobre 2006, si era limitato a sostenere che, per un verso, la discarica di Va. non fosse ancora esaurita (non essendosi, con ciò, verificata la condizione contrattualmente prevista per l’attivazione del proprio impegno) e che, per altro verso, a seguito della mutata situazione normativa (inerente il regime del trattamento dei rifiuti), non avrebbe potuto, in ogni caso, essere preteso il rimborso delle spese sostenute per la lavorazione necessaria allo smaltimento dei rifiuti presso la discarica di Av., atteso che tale costo non poteva che andare a sostituire l’ecotassa che il Comune di (omissis) aveva già sostenuto per proprio conto.
A fronte di ciò il Comune appellante si vedeva costretto ad esigere il pagamento del credito, in forza di quanto previsto nell’atto di intesa del 17 maggio 2002: credito che veniva, in concreto, quantificato sulla base della differenza tra le somme occorse per lo smaltimento dei propri rifiuti nell’impianto di Av., a decorrere dal mese di febbraio 2006 (per lo stesso quantitativo smaltito nella discarica di Va. dal Comune di (omissis)) e le minori somme corrisposte da quest’ultimo ai fini dello smaltimento dei propri rifiuti nell’impianto di Va.. E ciò sull’assunto che la differenza di esborsi a proprio carico fosse imputabile al mancato assolvimento degli impegni assunti dal Comune di (omissis).
Quest’ultimo, tuttavia, riscontrava la suddetta richiesta, con nota del 15 novembre 2006, ribadendo la propria intenzione di non corrispondere alcunché .
Nel frattempo, nel corso dello stesso mese di novembre 2006, il verificarsi di una situazione di emergenza (documentata nella “Relazione sui conferimenti in discarica nel corso del 2006”, predisposta, in data 11 luglio 2007, dal Settore Ambiente del Comune di (omissis)) aveva imposto l’uso anche della residua volumetria (4.000 mc.) prevista come riserva strategica dell’impianto di Va., il che comportava il definitivo riempimento della discarica.
In tal quadro il Comune di (omissis) aveva reiterato le istanze già avanzate, ribadendo al Comune di (omissis), con note del 2 gennaio 2007, del 20 febbraio 2007, del 26 febbraio 2007 e del 2 maggio 2007, la necessità che quest’ultimo si attivasse al fine di adempiere agli obblighi previsti nell’atto di intesa del 2002.
Ma anche a tali istanze il Comune di (omissis), con l’unica nota del 1° giugno 2007, aveva replicato limitandosi a ribadire quanto già in precedenza sostenuto.
2.- A questo punto l’appellante si era vista costretta a proporre ricorso al TAR Friuli Venezia Giulia al fine di richiedere l’emissione di un decreto ingiuntivo per l’importo di Euro 905.045,38, pari alla differenza fra i costi sostenuti, sino al 31 marzo 2007, per lo smaltimento dei propri rifiuti urbani nella discarica di Av., a prezzo ordinario, ed il minor costo, a prezzo calmierato, di cui avrebbe potuto godere in forza degli accordi stipulati.
Nondimeno il Presidente del TAR Friuli Venezia Giulia, con decreto n. 1 del 28 giugno 2007, aveva respinto l’articolata istanza monitoria, sull’argomentato assunto che “a prescindere dal fatto che le parti, allorché [avevano] sottoscritto la convenzione, [avessero] voluto o meno condizionare l’operatività della clausola all’adozione di un formale provvedimento di chiusura della discarica di Va. [ovvero avessero] soltanto voluto tenere presente il significato usuale della parola esaurire, resta[va] il fatto, determinante, che, in mancanza di un tale provvedimento, così come previsto dall’art. 12 L. n. 36/03, e di comunicazione del medesimo alla controparte, non sembra[va] che [fossero] stati forniti sufficienti elementi atti a far presumere il realizzarsi dell’evento cui si ricollega[va] pattiziamente l’insorgere dell’obbligazione della controparte”.
3.- Con rituale ricorso, proposto dinanzi al medesimo Tribunale, il Comune appellante aveva allora deciso di avviare un ulteriore (ed ordinario) giudizio, con il quale aveva invocato l’accertamento dell’inadempimento del Comune di (omissis) e la condanna al pagamento di quanto dovuto, quantificato in Euro 4.155.237,96, maggiorato di accessori, corrispondente alla differenza fra quanto a suo tempo corrisposto dal Comune di (omissis) per lo smaltimento di 43.404 tonnellate di rifiuti urbani e quanto il Comune di (omissis) aveva corrisposto per lo smaltimento della stessa quantità di rifiuti nell’impianto di Av., a partire dal mese di febbraio 2006 (o dalla data ritenuta di giustizia).
Nelle more, con deliberazione di Giunta comunale n. 328 del 2 novembre 2010, aveva deliberato la formale e definitiva chiusura della discarica, incaricando la Società GEA di predisporre i conseguenti atti tecnici ed amministrativi di chiusura del sito.
4.- Nella resistenza del Comune intimato, con la sentenza distinta in epigrafe, il primo giudice aveva rigettato il ricorso, sull’assorbente assunto che, in difetto di un formale provvedimento di chiusura della discarica di Va., non si fosse realizzata la condizione che avrebbe potuto rendere esigibile il credito vantato dal Comune di (omissis).
Avverso la ridetta statuizione, insorgeva l’appellante, che ne lamentava, sotto plurimo rispetto, la complessiva erroneità ed ingiustizia, auspicandone l’integrale riforma.
Si costituiva in giudizio, per resistere al gravame, il Comune di (omissis).
5.- Alla pubblica udienza del 18 luglio 2019, sulle reiterate conclusioni dei difensori delle parti costituite, la causa è stata riservata per la decisione.

DIRITTO

1.- L’appello è, nei sensi e nei limiti delle considerazioni che seguono, fondato e va accolto.
2.- Viene all’attenzione della Sezione la domanda di condanna al risarcimento del danno conseguente all’inadempimento degli accordi stipulati, in forza delle plurime e progressive intese formalizzate nei sensi di cui alla narrativa in fatto che precede, tra i Comuni di (omissis) e (omissis) (e la cui cognizione, come vale incidentalmente osservare, è rimessa, come correttamente statuito dal primo giudice, alla giurisdizione amministrativa in via esclusiva, trattandosi di moduli convenzionali operanti tra amministrazioni nella prospettiva dello svolgimento cooperativo di attività di pubblico interesse: cfr. art. 15 l. n. 241/1990, in relazione all’art. 133, comma 1 lett. a) n. 2 cod. proc. amm.).
In particolare, gli “atti di intesa” a suo tempo stipulati inter partes in data 21 giugno 2001 e 17 maggio 2002, prevedevano che il Comune di (omissis) si impegnasse, con effetto immediato, ad ammettere i rifiuti solidi urbani prodotti nel territorio del Comune di (omissis) nella propria discarica di Va. (dietro pagamento di un corrispettivo determinato, a condizioni calmierate), laddove il Comune di (omissis) si impegnava per il futuro ad accettare, alle medesime condizioni economiche (su un impianto di smaltimento da realizzare nel proprio territorio ovvero, in mancanza, su altro impianto al medesimo fine indicato) una analoga quantità di rifiuti solidi urbani e assimilabili provenienti dal Comune di (omissis): con la (decisiva) precisazione che l’esigibilità della controprestazione a carico del Comune di (omissis) prendesse effetto dal 1° gennaio 2004 ovvero dalla diversa data nella quale fosse risultata esaurita la discarica di Va..
In fatto, in data 24 novembre 2005 il Comune di (omissis), dichiarando prossimo l’esaurimento della capienza della discarica di Va., aveva richiesto al Comune di (omissis), in attuazione dei divisati impegni, di indicare l’impianto di smaltimento ove conferire i propri rifiuti (ad un prezzo non superiore a quello corrisposto dal Comune di (omissis) per il conferimento alla suddetta discarica di Va., pari a Euro 28,35 a tonnellata, oltre oneri fiscali); vana essendo risultata l’attivata interlocuzione tra le parti, con successiva nota del 24 luglio 2006 aveva, di conserva, formalizzato la richiesta, a titolo risarcitorio, di una somma pari al differenziale tra le tariffe richieste dal gestore dell’impianto di Av. e quelle che avrebbe pagato se il Comune di (omissis) fosse stato adempiente.
Si era visto, peraltro, replicare, con nota 27 ottobre 2006 che:
a) la prevista discarica non si era potuta realizzare per cause non imputabili al Comune di (omissis);
b) la divisata “garanzia” avrebbe dovuto operare non già dalla data (indicativa) del 1° gennaio 2014, ma dalla diversa data di esaurimento della discarica di Va., del quale non è mai stata data alcuna specifica comunicazione;
c) in ogni caso, non poteva essere preteso il costo sostenuto per la lavorazione dei rifiuti, dato che lo stesso era sostitutivo della c.d. ecotassa comunque versata dal Comune di (omissis), in capo al quale rimaneva, per tal via, esclusivamente l’obbligo di smaltimento dei sovvalli di rifiuti urbani: ché altrimenti, in sostanza, si sarebbe trovato ingiustamente penalizzato dal dover rifondere i costi della lavorazione di rifiuti sostenuti da parte del Comune di (omissis) in virtù di sopravvenute modifiche normative le quali consentivano, all’attualità, al Comune di (omissis) di non pagare l’ecotassa;
d) in conclusione, avrebbe accettato di sostenere (comechessia solo dopo l’esaurimento della discarica di Va.) le (sole) spese di smaltimento dei sovvalli relativi ai rifiuti prodotti nel Comune di (omissis).
3.- A definizione della lite, il primo giudice ha ritenuto che:
a) l’impegno del Comune di (omissis) fosse, per espresso accordo, temporalmente ed alternativamente correlato alla scadenza del 1° gennaio 2014 ovvero all'”esaurimento” della discarica di Va.;
b) nondimeno, la prima data avesse carattere indicativo e privo di cogenza, chiaro essendo, alla luce degli ordinari canoni ermeneutici operanti in materia negoziale, l’intento delle parti di ancorare la divisata “garanzia” all'”esaurimento” della discarica, antecedente o successivo che fosse rispetto alla data indicata;
c) trattandosi di termine a favore del debitore (cfr. art. 1184 cod. civ.), non avrebbe legittimato l’anticipata richiesta della prestazione dovuta;
d) per giunta il testualizzato riferimento – di tenore “atecnico” – all'”esaurimento” della discarica avrebbe dovuto essere acquisito (anche alla luce del canone che impone l’interpretazione delle formule linguistiche polisenso alla luce del criterio di convenienza alla natura e all’oggetto del contratto: cfr. art. 1369 cod. civ.) nel quadro formale (e tecnicamente pertinente) delle modalità di “chiusura” della discarica, prefigurate dagli artt. 12 ss. del d.lgs. n. 36/2003;
e) in definitiva la formale adozione (e pedissequa partecipazione) di un provvedimento di chiusura operasse nei termini di una “condizione” di operatività del programma oggetto di concordamento, che non poteva ritenersi comechessia maturata, con conseguente infondatezza della azionata pretesa.
4.- L’esegesi operata dalla sentenza impugnata non può essere condivisa e non resiste alle formulate ragioni di doglianza.
Due profili sono decisivi:
a) l’interpretazione del “doppio termine alternativo”, scolpito per l’operatività degli impegni programmati a carico del Comune appellato;
b) l’interpretazione del riferimento, operato al medesimo fine, all'”esaurimento” della discarica per cui è causa.
Occorre, a tal fine, considerare, insieme al (comunque prioritario: cfr. Cass. 19 gennaio 2018, n. 1386.) “senso letterale delle parole”, quale sia stata la “comune intenzione delle parti” (cfr. art. 1362 cod. civ., pacificamente operante nelle fattispecie di matrice convenzionale: cfr. artt. 15, comma 2 e 11 l. n. 241/1990, che richiamano “i principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti”, in quanto compatibili).
4.1.- Sotto il primo profilo, sul piano testuale, la decorrenza della “garanzia” negoziata veniva (alternativamente) riferita o alla data (fissa) del 1° gennaio 2014 ovvero alla data (variabile ed incerta) dell’esaurimento delle capacità di ricezioni della discarica.
Non è revocabile in dubbio che anche il secondo ancoraggio temporale (bensì incerto nel quando, ma certo nell’an, avuto riguardo alle capacità ricettive, per definizione “limitate” della discarica) fosse affidato non già ad un evento di matrice condizionale (di per sé “futuro ed incerto” anche nel suo verificarsi: cfr. art. 1353 cod. civ.), ma ad un termine incertus quando.
È noto, infatti, che, in tema di obbligazioni di fonte convenzionale, il criterio discretivo tra termine e condizione va ravvisato nella certezza e nell’incertezza del verificarsi di un evento futuro che le parti hanno previsto per l’assunzione di un obbligo o per l’adempimento di una prestazione: ricorre, segnatamente, l’ipotesi del termine quando detto evento futuro sia certo, anche se privo di una precisa collocazione cronologica, in quanto connesso ad un fatto che si verificherà certamente (e potendo, come tale, riguardare sia l’efficacia iniziale che quella finale di un negozio giuridico o di un’obbligazione o di un credito di una parte); per contro, nell’ipotesi di condizione, si versa nell’incertezza (anche nell’an) dell’evento futuro dal cui verificarsi dipende il sorgere (condizione sospensiva) o il permanere (condizione risolutiva) dell’efficacia di un contratto o di un’obbligazione ad esso inerente (cfr. Cass., sez. II, 22 marzo 2001, n. 4124).
Del resto, come vale soggiungere, la stessa possibilità di prefigurare, in termini alternativi, l’operatività di un doppio termine postula, sul piano logico prima che su quello giuridico, che, necessariamente, almeno uno dei essi sia temporalmente incerto: ché, trattandosi di due termini fissi, la regola negoziale divisata ne risulterebbe, in effetti, antinomica o, quanto meno, indecifrabile.
Ne discende, già a questo primo livello di esegesi, che – in presenza di un doppio termine (testualmente strutturato, in forza della congiunzione disgiuntiva, come) alternativo – l’esigibilità della prestazione dovesse essere ancorata allo scadere del primo di essi (cfr. Cass., sez. III, 14 febbraio 2017, n. 3251).
Soluzione ancora una volta imposta, a ben vedere, dalla logica, atteso che una diversa interpretazione priverebbe di ogni significato pratico la volontà delle parti, non potendo altrimenti mai operare il primo dei termini concordati, che resterebbe flatus vocis (contro il canone ermeneutico conservativo, che impone di privilegiare la interpretatio utilis: cfr. art. 1367 cod. civ.).
Il che conferma che, se è ben possibile che entrambi i termini siano incerti nel quando, è, per contro, necessario che lo sia almeno uno di essi, destinato, evidentemente, ad operare per la (sola) eventualità della sua maturazione in epoca anteriore a quella individuata con il termine fisso.
In tale (prima) prospettiva, in definitiva, il senso dell’accordo era, all’evidenza, di far decorrere gli impegni del Comune di (omissis) senz’altro dal 1° gennaio 2014 ovvero – se anteriore – dal momento di (anticipato) esaurimento della discarica.
Non è con ciò possibile conferire al primo termine una attitudine “meramente indicativa” o “concretamente derogabile”, come ritenuto dal primo giudice: la tolleranza (de facto) o la moratoria (de jure) possono invero operare ex post, ma non preventivamente, discendendone, altrimenti, la natura implausibilmente fluida e non vincolante del termine.
4.2.- L’esegesi trae, del resto, decisiva conferma sul piano della ricostruzione dell’intento delle parti, quale emergente dalla documentata scansione della vicenda negoziale.
In effetti, il termine in questione è frutto della volontà trasfusa nella intesa (integrativa e modificativa) del 2002, con la quale, a fronte delle incertezze emerse in ordine al rispetto del primigenio impegno a mettere a disposizione, in chiave di reciprocità, una discarica alternativa, il Comune di (omissis) aveva inteso scolpire (in significativa coincidenza con la scadenza della convenzione tra la locale Azienda rifiuti e Comune di (omissis), che cadeva il 30.12.2003 e che solo successivamente sarebbe stata rinnovata) un termine certo, fermo restando il (concorrente) limite dell’esaurimento delle possibilità di ricezione della discarica di Va..
È in questi sensi che si spiega, con chiarezza, la formalizzazione di un doppio termine e che si giustifica la piena operatività degli impegni già alla data del 1° gennaio 2004 (beninteso superata solo in virtù della successiva tolleranza del Comune di (omissis), che ha preferito non azionare la propria pretesa creditoria fino al maturare delle condizioni di impossibile sfruttamento della propria discarica).
Di nuovo: se le parti avessero voluto semplicemente ancorare l’attivazione della garanzia al momento dell’esaurimento della discarica (come ritenuto dal primo giudice) non avrebbe avuto alcuna ragion d’essere l’inserimento nella clausola del termine del 1° gennaio 2004: che, per contro, risultava, con ogni evidenza, preordinato a garantire un momento certo a partire dal quale il Comune di (omissis) avrebbe potuto avvalersi della divisata “garanzia”.
5.- Nella riassunta prospettiva, non risulta più decisivo, a ben considerare, lo sforzo profuso dal primo giudice per individuare l’esatta portata del riferimento temporale al momento di esaurimento della discarica di Va.: invero, il Comune di (omissis), di là dalla manifestata tolleranza, avrebbe dovuto, nei sensi chiariti, senz’altro garantire, sin dal 1° gennaio 2004 ed in alternativa alla messa a disposizione (rivelatasi oggettivamente impraticabile) di un’altra discarica, la riversione, per equivalente, dei costi sopportati dal Comune di (omissis) per l’esecuzione, da parte sua, della convenzione.
Non è inutile, comunque, soggiungere che, verisimilmente, il riferimento all'”esaurimento” della capacità ricettiva della discarica non dovesse operare nei rigorosi termini formali (ancorati alla adozione e successiva comunicazione del provvedimento di chiusura, all’esito del relativo ed articolato procedimento), ma solo, in senso atecnico, come indicazione del convenzionale limite di tollerabilità da parte del Comune creditore.
6.- Sulle esposte considerazioni, l’appello del Comune di (omissis) è, relativamente all’an della azionata pretesa, fondato: il Comune di (omissis) deve essere, cioè, dichiarato inadempiente all’obbligo di mettere a disposizione, a partire dal 1° gennaio 2004, una discarica propria od una alternativa, che avrebbe consentito di sversarvi, a costo reciprocamente calmierato, una quantità di rifiuti corrispondente a quella ricevuta dalla propria controparte negoziale (ammontante, alla luce delle risultanze documentali a circa 43.404 tonnellate).
7.- Ciò posto, occorre procedere alla quantificazione della somma dovuta.
Sul punto, le parti sono in significativo contrasto.
Il criterio valorizzato dall’appellante fa riferimento alla somma di denaro pari alla differenza fra gli esborsi effettivamente effettuati per lo smaltimento dei propri rifiuti urbani tal quali (presso l’impianto di Av.), fino alla concorrenza delle ridette 43.404 tonnellate, e le somme a suo tempo corrisposte dal Comune di (omissis) (pari ad Euro 28,35, oltre oneri fiscali, per tonnellata) per il conferimento all’impianto di Va..
Con ciò, essendo pari a Euro 5.008.619,88, IVA esclusa, i costi sostenuti per lo smaltimento presso la discarica di Av., la differenza dovuta (a fronte di quanto versato dal Comune di (omissis), che ammontava ad Euro 1.230.819,99) corrisponde ad Euro 3.777.799,89 (che, maggiorati di IVA, danno un totale di Euro 4.155.579,88).
Tale richiesta è, nondimeno, riferita alla gestione di 43.404 tonnellate di rifiuti urbani “tal quali”. L’atto di intesa stipulato nel 2002 precisava, per contro, che, una volta entrato in vigore l’obbligo di trattamento dei rifiuti urbani (previsto dall’art. 5, comma 61, del d.lgs. 22/97 e successivamente dall’art. 7, comma 12, del d.lgs. 36/2003), i patti avrebbero dovuto intendersi riferiti ai soli sovvalli.
In sostanza, per effetto della (successiva) entrata in vigore dell’obbligo legale di pretrattamento dei rifiuti per il loro conferimento in discarica (obbligo non operante all’epoca dei conferimenti effettuati dal Comune di (omissis)), l’impegno convenzionalmente assunto avrebbe dovuto intendersi (stipulativamente) limitato – per garantire la perseguita reciprocità di condizioni – al conferimento dei sovvalli.
Di conseguenza – come esattamente osservato dal Comune appellato, che ha corroborato le proprie osservazioni a messo di apposito elaborato peritale di parte (di cui vanamente si eccepisce l’inammissibilità, trattandosi di strumento di mera difesa tecnica, non idoneo a veicolare precluso jus novorum: cfr. Cass., sez. VI, 2° ottobre 2018, n. 23796 e Cons. Stato, sez. V, 22 maggio 2013, n. 2781) – il prezzo calmierato previsto dall’atto di intesa non avrebbe dovuto applicarsi all’intero costo di trattamento dei rifiuti, ma solamente: a) alla quota relativa al solo smaltimento in discarica (con esclusione del trattamento preventivo dei rifiuti); b) ai soli sovvalli derivanti dal trattamento, come esplicitamente concordato.
La richiesta del Comune di (omissis), quindi, nella parte in cui ingloba i costi di trattamento dei rifiuti, non è fondata.
Né, in diverso senso, vale il rilievo che la necessità di riversare i rifiuti, sottoposti a preventivo trattamento, presso l’impianto di Av. fosse dipesa dall’inadempimento del Comune di (omissis), di tal che i relativi (e maggiori) costi non potrebbero essere addossati al creditore insoddisfatto: l’argomento – dotato di una astratta plausibilità nella prospettiva della perpetuatio obligationis, che fa gravare sul debitore moroso gli effetti sfavorevoli delle sopravvenienze, arg. ex art. 1221 cod. civ. – è sterilizzato dal rilievo, già diffusamente argomentato, che la stessa volontà delle parti aveva disciplinato gli effetti di tali sopravvenienze, prefigurando una limitazione dell’impegno del Comune di (omissis) alla corresponsione delle somme necessarie per lo sversamento dei soli sovvalli, con esclusione dei costi per il trattamento.
Il corretto criterio di quantificazione è, quindi, quello che valorizza la differenza tra quanto a suo tempo corrisposto dal Comune di (omissis) per lo smaltimento di 43.304 tonnellate di rifiuti urbani e fra quanto il Comune di (omissis) avrebbe dovuto corrispondere per lo smaltimento in discarica dei sovvalli derivanti dalla stessa quantità di rifiuti trattati nell’impianto di Av..
Essendo stata ragionevolmente stimata in Euro 1.759.329,44 Euro la somma dovuta per lo smaltimento dei sovvalli, la differenza è, in definitiva, pari ad Euro 1.759.329,44 Euro – 1.230.819,99 Euro = 528.509,45 Euro (che, maggiorato di IVA al 10%) porta al valore di Euro 581.360,40 Euro.
Somma che, trattandosi di debito di valuta in quanto geneticamente pecuniario, deve essere maggiorata, esclusa la rivalutazione, dei soli interessi legali, con decorrenza dal febbraio 2006.
8.- In definitiva, l’appello del Comune di (omissis) va, nei riassunti sensi accolto.
Sussistono giustificate ragioni per disporre l’integrale compensazione di spese e competenze di lite.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei limiti di cui in motivazione e, per l’effetto, in accoglimento del ricorso di primo grado condanna il Comune di (omissis) al pagamento, in favore del Comune appellante, della comma di Euro 581.360,40, oltre interessi legali con decorrenza dal febbraio 2006 e fino all’effettivo soddisfo.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 luglio 2019 con l’intervento dei magistrati:
Carlo Saltelli – Presidente
Valerio Perotti – Consigliere
Federico Di Matteo – Consigliere
Giovanni Grasso – Consigliere, Estensore
Alberto Urso – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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