In tema di motivazione dei provvedimenti cautelari

Corte di Cassazione, penale, Sentenza|28 aprile 2021| n. 16169.

In tema di motivazione dei provvedimenti cautelari, nel caso di arresto in flagranza, il criterio dell’autonoma valutazione dei gravi indizi di colpevolezza è osservato ove il giudice richiami, ai fini della descrizione del fatto e delle prove raccolte, le risultanze dei verbali di arresto e di perquisizione e le dichiarazioni rese in sede di udienza di convalida, criticamente valutando tali dati fattuali e dando conto esaustivamente delle ragioni di fondatezza della ricostruzione accusatoria, con una motivazione che può essere tanto più sintetica quanto più sia evidente la flagranza dell’azione delittuosa.

Sentenza|28 aprile 2021| n. 16169

Data udienza 15 aprile 2021

Integrale

Tag – parola chiave: Custodia cautelare in carcere – Cessione di stupefacenti – Autonoma valutazione dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari – Arresto in flagranza – Riferimento alle risultanze del verbale – Assolvimento dell’onere motivazionale – Adeguatezza della misura – Idoneità a prevenire il pericolo di recidiva – Rigetto

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCIALLI Patrizia – Presidente

Dott. PEZZELLA Vincenzo – rel. Consigliere

Dott. RANALDI Alessandro – Consigliere

Dott. BRUNO Mariarosaria – Consigliere

Dott. CENCI Daniele – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 11/12/2020 del TRIB. LIBERTA’ di TRENTO;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. VINCENZO PEZZELLA;
lette le conclusioni del PG Dr. ODELLO LUCIA, e del Difensore della ricorrente Avv. (OMISSIS).

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza dell’11/12/2020 il Tribunale di Trento rigettava la richiesta di riesame personale avverso l’ordinanza emessa in data 23/11/2020 con la quale il GIP del Tribunale di Trento applicava nei confronti di (OMISSIS), in esito all’udienza di convalida dell’arresto, la misura cautelare in carcere per il reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73.
2. Ricorre la (OMISSIS), a mezzo del proprio difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1.
Con un primo motivo lamenta inosservanza di norme processuali a pena di nullita’ con riguardo all’articolo 292 c.p.p., comma 2, lettera c) e all’omesso annullamento, da parte del tribunale del riesame, dell’ordinanza genetica, che non poteva essere integrata, come avvenuto, sia in punto di gravi indizi di colpevolezza sia in punto delle esigenze cautelari.
Ci si duole che il tribunale distrettuale abbia ignorato il motivo di gravame con cui si era sostenuta la violazione, ad opera del GIP, del disposto di cui all’articolo 292 c.p.p., comma 2, lettera c), il quale, da un lato, prescrive l’obbligo di esporre e valutare autonomamente gli indizi a carico dell’individuo colpito dalla misura, nonche’ di indicare gli elementi di fatto da cui gli stessi sono desunti e i motivi per i quali assumono rilevanza, e, dall’altro, impone analoga argomentazione circa le ragioni per le quali si ritenga sussistente taluna delle esigenze cautelari di cui all’articolo 274.
Si ribadisce che, dalla lettura del provvedimento genetico e in merito, anzitutto, al profilo indiziario, emergerebbe null’altro che un semplice indefinito richiamo, rispettivamente, al verbale di arresto e di sequestro nonche’ alle dichiarazioni “francamente” ammissive dell’indagata, senza alcuna esplicitazione delle ragioni per le quali il giudice della cautela ne abbia fatto propri i relativi contenuti o, comunque, li abbia considerati coerenti rispetto alla misura disposta. Ne’ potrebbe soccorrere, a tale carenza, l’inciso riportato subito dopo la suddetta elencazione delle fonti investigative e difensive (“ritenuto che detti elementi implichino gravita’ indiziaria”) che altro non e’ che una clausola di stile, idealmente riferibile a qualsiasi ipotesi indiziaria astratta, che nulla aggiunge al lacunoso percorso motivazionale del provvedimento afflittivo.
L’ordinanza genetica sarebbe, altresi’, priva dell’indicazione delle ragioni alla base della ritenuta sussistenza del pericolo di recidiva da parte dell’indagata nonche’, ancor di piu’, di una loro autonoma valutazione.
L’omessa individuazione dei fattori indizianti che si possono desumere, rispettivamente, dal verbale di arresto e di sequestro e dalle dichiarazioni della prevenuta, nonche’ la mancata esposizione dei motivi della loro rilevanza ai fini di un giudizio di probabile reita’ e, ancora, dei criteri di valutazione e delle massime di esperienza applicate per pervenire al risultato afflittivo, rendevano quindi nullo il provvedimento pronunciato, nei confronti della (OMISSIS) (sul punto si richiamano i precedenti di questa Corte costituiti da Sez. 5 n. 643/2018 e Sez. 2 n. 25513/2012).
Del pari, il provvedimento coercitivo sarebbe carente sia di autonoma valutazione dell’esigenza cautelare ritenuta nei confronti dell’od, vale a dire delle ragioni fondanti la limitazione della liberta’ personale nonche’ della rilevanza, pertinenza e concludenza degli elementi posti alla base del giudizio sul periculum libertatis, sia dell’enunciazione dei criteri di scelta della misura applicata.
Si lamenta che il tribunale del riesame, adito ai sensi dell’articolo 309 c.p.p., trovandosi a vagliare un provvedimento de libertate totalmente privo di motivazione (o, quantomeno, dotato di motivazione soltanto apparente), poiche’ mancante dell’esposizione e dell’autonoma valutazione degli indizi di colpevolezza e della specifica esigenza cautelare individuata a carico della, avrebbe dovuto, come richiesto e contrariamente a quanto fatto, annullare il titolo impugnato: cio’ perche’ affetto da un vizio genetico, in alcun modo emendabile dal giudice della cautela mediante integrazione (il richiamo e’ a Sez. 1 n. 5787/2016 nonche’ a Sez. 5 n. 6230/2016 e a Sez. 5, n. 36391/2019).
Il giudice del gravame cautelare, invece, con affermazione priva di valenza giuridica, avrebbe giustificato l’operato del GUP tridentino affermando che la sinteticita’ delle argomentazioni da questi spese in ordine alla gravita’ indiziaria e alle esigenze cautelari fossero proporzionate all’evidenza della prova palesatasi in sede di convalida dell’arresto. Senonche’, dal testo del provvedimento genetico emergerebbe, invece, per il ricorrente, la mancata dimostrazione del fatto che il giudice della convalida abbia acquisito conoscenza del contenuto sostanziale e delle ragioni poste alla base degli atti di riferimento, che ne abbia meditato la portata e, poi, li abbia ritenuti coerenti con (e corrispondenti al) la decisione assunta nel caso di specie.
Cosi’ facendo – prosegue il ricorso- il tribunale del riesame avrebbe omesso di considerare la mancanza di una qualsiasi considerazione valutativa, da parte del GIP, circa il compendio investigativo e cautelare dal medesimo posto alla base dell’ordinanza coercitiva, rendendo impossibile l’instaurazione, proprio dinnanzi al Giudice distrettuale, di un effettivo contraddittorio avente ad oggetto la sussistenza dei presupposti fondanti la misura applicata.
Con un secondo motivo il difensore della ricorrente lamenta inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullita’, con riguardo all’articolo 292 c.p.p., comma 2, lettera c) bis e articolo 275 c.p.p., comma 3, primo periodo (circa l’avvenuta “esposizione e autonoma valutazione”, da parte del giudice delle concrete e specifiche ragioni per le quali l’esigenza cautelare non avrebbe potuto essere soddisfatta con altre misure) e conseguente erroneo esercizio del potere integrativo da parte del tribunale del riesame rispetto alla carenza genetica del provvedimento afflittivo.
Il ricorrente rileva come l’ordinanza genetica fosse totalmente silente circa l’esposizione e l’autonoma valutazione delle concrete e specifiche ragioni per le quali il pericolo di recidiva non avrebbe potuto essere fronteggiato mediante l’applicazione, anche cumulativa, di misure diverse dalla massima, cio’ sebbene gli allora difensori di fiducia dell’indagata avessero chiesto applicarsi il divieto di dimora in Trentino Alto Adige o gli arresti domiciliari presso i genitori con disponibilita’ della madre e, ancora, la (OMISSIS) avesse indicato la propria residenza anagrafica in (OMISSIS) -, luogo questo sicuramente idoneo, in difetto di prova contraria, all’applicazione degli arresti domiciliari.
Il G.i.P. di Trento quindi, dopo essere rimasto insensibile a dette richieste difensive, applicava la custodia carceraria senza specificare o esporre alcunche’ circa le ragioni dell’incapacita’, da parte di misure diverse e piu’ gradate, anche applicate cumulativamente, di scongiurare il pericolo di recidiva riconosciuto a carico della donna e il giudice del gravame cautelare, pur riconoscendo la totale fondatezza di quanto dedotto per iscritto dalla difesa, riteneva tuttavia di poter fare le veci del GIP tridentino e integrava (rectius redigeva) la motivazione, sul punto assolutamente inesistente.
Il tribunale adito, cioe’, si asteneva dal pronunciare il doveroso annullamento dell’ordinanza impugnata e, anzi, si arrogava un potere certamente non proprio.
Con un terzo motivo il difensore della ricorrente lamenta inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullita’ con riguardo all’articolo 125, comma 3, letto in relazione all’articolo 275 c.p.p., comma 3, primo periodo, bis e articolo 292 c.p.p., comma 2, lettera c) bis, in ragione dell’apparente esplicitazione, da parte dell’ordinanza impugnata, delle ragioni alla base della ritenuta inadeguatezza/inidoneita’ degli arresti domiciliari e delle altre misure coercitive/interdittive, ancorche’ applicate cumulativamente, oltre che per la mancata “esposizione e autonoma valutazione” delle concrete e specifiche ragioni per le quali la ritenuta esigenza cautelare non avrebbe potuto essere soddisfatta con misure diverse dalla massima.
Si denuncia, altresi’, contraddittorieta’ della motivazione in punto di mancata applicazione di una misura cautelare non custodiale o degli arresti domiciliari -. Il difensore della ricorrente si duole, in ogni caso, che anche il tribunale del riesame abbia fornito una motivazione soltanto apparente circa la propria scelta di confermare la misura carceraria, cosi’ omettendo di colmare tutti i “buchi” espositivi lasciati dal GIP all’interno dell’ordinanza del 23.11.2020, assolutamente silente in merito all’impossibilita’ di soddisfare ugualmente l’esigenza cautelare mediante l’applicazione di misure meno gravi.
Il tribunale avrebbe dovuto spiegare – e si sostiene che non l’abbia fatto – l’avvenuto rispetto del principio di adeguatezza, di cui al gia’ sopra richiamato articolo 275, comma 1 e 3, per poi soffermarsi, come previsto dal comma 3 bis del medesimo articolo, sulle ragioni per le quali riteneva inidonea la misura degli arresti domiciliari e, da ultimo e per completezza, ai sensi dell’articolo 292, comma 2, lettera e bis, avrebbe dovuto esporre e valutare, in totale autonomia, i motivi per i quali le esigenze cautelari addossate alla (OMISSIS) non avrebbero potuto essere soddisfatte con misure diverse dalla massima.
Ebbene, si sostiene che la motivazione circa l’adeguatezza, nel caso di specie, della sola custodia carceraria non emerga, in alcun modo, ne’ dalla lettura delle ragioni con le quali il tribunale distrettuale rigettava la richiesta difensiva di applicare, nei confronti della prevenuta, misure meno afflittive, ne’ dal provvedimento complessivamente considerato. Senz’altro apparente e contraddittoria, sarebbe anzitutto, l’affermazione “(…) come gia’ esposto, nessuna misura cautelare non custodiate e’ idonea a prevenire il pericolo di recidiva che riguarda non certo il classico spaccio da strada ma condotte organizzate di caratura infraregionale”. Tale inciso invero, oltre ad essere meramente assertivo/apodittico, poiche’ non fornirebbe alcuna reale motivazione circa quanto osta all’applicazione di misure non custodiali al fine di scongiurare il pericolo che la (OMISSIS) ripeta le condotte incriminate, localizzerebbe l’attivita’ antigiuridica nel territorio di piu’ regioni (cosi’ come, poi, sembrerebbe trasparire anche dalla affermazione “(…) il contesto di riferimento della ricorrente non e’ certo limitato a quello locale (…)”e, pertanto, decisamente in contrasto con quanto emerge dal provvedimento visto nel suo complesso, oltre che con cio’ che risulta dagli atti investigativi/difensivi a sostegno della misura, secondo cui le cessioni di stupefacente sono avvenute esclusivamente presso l’abitazione dell’indagata, sita in (OMISSIS), in provincia di Trento, cosi’ come gli approvvigionamenti dello stesso. Lo stesso e’ a dirsi con riguardo a quanto affiora, in ordine ai traffici illeciti addebitati alla donna, dagli atti investigativi/difensivi a sostegno della misura applicatale, visto che dalla lettura dei verbali di perquisizione e di arresto emergono esclusivi riferimenti alla Regione del (OMISSIS).
L’ordinanza, infatti, nulla spiegherebbe – ci si duole- in ordine all’incapacita’ dell’obbligo di presentazione alla p.g., con eventuale cadenza giornaliera (e semmai congiunto all’obbligo di dimora nel Comune di (OMISSIS) (in provincia di Taranto) o, ancora, al divieto di dimora nella Regione (OMISSIS)), di fronteggiare il pericolo di recidiva e di interrompere i contatti fra la (OMISSIS) e la “rete” criminale di riferimento, chiaramente stanziata nelle sole Province di Trento e Bolzano.
Certamente viziata – conclude il ricorso- sarebbe, infine, la spiegazione dei motivi per i quali l’esecuzione, nei confronti della donna, degli arresti domiciliari presso l’abitazione tarantina della madre e’ stata ritenuta inadeguata al “contenimento del pericolo di recidiva e alla recisione dei legami con il traffico di stupefacenti”.
Chiede pertanto che questa Corte annulli l’ordinanza impugnata, con tutte le conseguenze di legge.
3. Nei termini di legge hanno rassegnato le proprie conclusioni scritte per l’udienza senza discussione orale (Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8), il P.G., che ha chiesto l’annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato, e il difensore della ricorrente, Avv. (OMISSIS), che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I motivi sopra illustrati appaiono infondati e pertanto il proposto ricorso va rigettato.
2. In premessa, va ricordato come questa Corte di legittimita’ abbia piu’ volte evidenziato come, in tema di motivazione delle ordinanze cautelari, successivamente all’introduzione delle modifiche apportate dalla L. 16 aprile 2015, n. 47, la previsione dell’autonoma valutazione delle esigenze cautelari e dei gravi indizi di colpevolezza non abbia carattere innovativo, ne’ miri ad introdurre un vacuo formalismo che imponga la riscrittura originale di ciascuna circostanza di fatto rilevante. Cio’ che occorre e’ che dall’ordinanza emerga l’effettiva valutazione della vicenda da parte del giudicante. L’aggettivo autonoma e’, infatti, riferito specificamente alla valutazione e non all’esposizione dei presupposti di fatto del provvedimento, sicche’, rispetto a quest’ultima, anche dopo la riforma, e’ consentito il rinvio – “per relationem” o per incorporazione – alla richiesta del pubblico ministero, mentre dall’atto dovra’ emergere il giudizio critico del giudice sulle ragioni che giustificano l’applicazione della misura (cfr. ex multis Sez.1, n. 8323 del 15/12/2015 dep. 2016, Cosentino, Rv. 265951).
In altri termini, la necessita’ di autonoma valutazione da parte del giudice procedente e’ compatibile con un rinvio “per relationem” o per incorporazione della richiesta del pubblico ministero, che non si traduca in un mero recepimento del contenuto del provvedimento privo dell’imprescindibile rielaborazione critica (cfr. anche Sez. 5, n. 36917 del 20/6/2017, C., Rv. 271307; Sez. 2, n. 3289 del 14/12/2015 dep. 2016, Astolfi ed altri, Rv. 265807; Sez. 4, n. 31646 del 27/3/2018, Nuhaj ed altro, Rv. 273429).
Tale esigenza risulta soddisfatta anche quando il giudice ripercorra, motivando per relationem, gli elementi oggettivi emersi nel corso delle indagini e segnalati dalla richiesta del pubblico ministero, purche’ dia conto del proprio esame critico dei predetti elementi e delle ragioni per cui li ritenga idonei a supportare l’applicazione della misura (Sez. 3, n. 35296 del 14/4/2016, Elezi, Rv. 268113).
In altri termini, in tema di misure cautelari personali, ricorre un’autonoma valutazione da parte del giudice ex articolo 292 c.p.p., comma 2, lettera c) bis, – anche in sede di gravame – quando venga richiamato in maniera piu’ o meno estesa il provvedimento impugnato con la tecnica di redazione “per incorporazione”, con condivisione delle considerazioni gia’ svolte da altri, poiche’ valutazione autonoma non vuol dire valutazione diversa o difforme, sempreche’ emerga dal provvedimento una conoscenza degli atti del procedimento e, se necessario, una rielaborazione critica degli elementi sottoposti a vaglio giurisdizionale, eventualmente con la graduazione o rigetto delle misure (Sez. 5, n. 70 del 24/9/2018 dep. 2019, Pedato, Rv. 274403).
E’ stato anche precisato che, in tema di motivazione delle misure cautelari, il difetto di originalita’ linguistica o espositiva del contenuto del provvedimento cautelare emesso dal giudice per le indagini preliminari rispetto alla richiesta del pubblico ministero non implica automaticamente la violazione dell’obbligo di autonoma valutazione delle esigenze cautelari e dei gravi indizi di colpevolezza, ma rileva soltanto come uno degli elementi da cui desumere l’insussistenza di un effettivo vaglio da parte del giudice (Sez. 3, n. 35720 del 6/10/2020, Cordioli, Rv. 280581).
Ed e’ stato anche chiarito che l’ordinanza cautelare adottata dal tribunale del riesame non richiede, a pena di nullita’, l’autonoma valutazione dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari, in quanto tale requisito e’ previsto dall’articolo 292 c.p.p., comma 2, con riguardo alla sola decisione adottata dal giudice che emette la misura “inaudita altera parte”, essendo funzionale a garantire l’equidistanza tra l’organo requirente che ha formulato la richiesta e l’organo giudicante (cosi’ Sez. 6, n. 1016 del 22/10/2019 dep. 2020, Del Duca, Rv. 278122 che ha precisato che, con riferimento ai provvedimenti cautelari diversi dall’ordinanza genetica ex articolo 292 c.p.p., possono farsi valere unicamente i vizi della motivazione o la motivazione assente o apparente; conf. Sez. 1, n. 8518/2021 e Sez. 5, n. 36391/2019).
3. Nel solco dei ricordati principi, emerge con palmare evidenza l’infondatezza del primo motivo di ricorso, atteso che il criterio della valutazione della gravita’ indiziaria assume una valenza particolare e richieda un diverso onere motivazionale a fronte di un arresto in flagranza di reato.
In casi come quello in esame legittimamente il giudice della misura fonda le sue valutazioni di gravita’ indiziaria sulle risultanze del verbale di arresto e di perquisizione, ai fini della descrizione degli elementi di fatto e delle prove raccolte, e delle dichiarazioni raccolte in sede di udienza di convalida criticamente valutando tali dati fattuali riportati e dando conto esaustivamente delle ragioni di fondatezza della ricostruzione accusatoria, ma evidentemente in maniera che sara’ tanto piu’ sintetica quanto piu’ sia evidente la flagranza dell’azione delittuosa in essere al momento dell’intervento delle forze dell’ordine.
Ebbene, nel caso che ci occupa il giudice della cautela appare avere assolto al suo onere motivazionale
Davvero non si comprende quale autonoma valutazione sia mancata a fronte di un’indagata che, sottoposta a controllo, consegnava spontaneamente ai carabinieri operanti un involucro contenente 15 grammi di marijuana che deteneva in tasca e che successivamente, sottoposta a perquisizione personale, risultava occultare all’interno del reggiseno un altro involucro contenente ben 50 grammi lordi di cocaina e all’interno del pantalone un ennesimo involucro in cellophane contenente 0,5 grammi lordi di una sostanza sintetica solida in soluzione cristallina. E nel cui appartamento, all’esito della disposta perquisizione, venivano trovati in camera da letto, occultati in una scatola di legno chiusa a chiave due bilancini di precisione.
La stessa odierna ricorrente, peraltro, sia all’atto dell’arresto che in sede di convalida, affermava che lo stupefacente in questione era destinato a terzi, avendola acquistata a suo dire da un non meglio identificato “soggetto di colore” nei pressi dell’Ospedale di Bolzano per conto di un altro soggetto della Val di Fassa, di cui riferiva di non voler dire il nome per timore di ritorsioni, che avrebbe poi provveduto a pagarla.
Ebbene, a fronte di un quadro siffatto l’onere motivazionale da parte del giudice della cautela in punto di gravita’ indiziaria, ben puo’ essere assolto richiamando i fatti, che nella loro evidenza parlano da soli.
Il GIP e poi il tribunale del riesame evidenziano che dalla lettura della C.N.R. dei c.c. di Cavalese del 21.11.2020 presente in atti con gli allegati, in particolare il verbale di arresto e il verbale di perquisizione e sequestro a carico della prevenuta, il verbale di perquisizione con esito negativo a carico di (OMISSIS), padre della prevenuta, il verbale di esame con narcotest della sostanza stupefacente sequestrata, emerge una ricostruzione dei fatti chiaramente e gravemente indiziante in relazione al reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 1.
Dagli atti, come gia’ sinteticamente anticipato, si evince che alle 18.30 del 20.11.2020, nell’ambito di un servizio finalizzato alla repressione dello spaccio di stupefacenti sulla direttrice che collega le due Province di Bolzano e Trento, era stata fermata un’auto con a bordo (OMISSIS) alla guida e, al lato passeggero, (OMISSIS). Considerato sospetto l’atteggiamento degli occupanti, gli operanti avevano proceduto a un controllo presso la Stazione di (OMISSIS), in quella sede la (OMISSIS) consegnava spontaneamente un involucro contenente 15 grammi di marjuana. All’esito della successiva perquisizione personale, sulla donna veniva rinvenuto un altro involucro in cellophane contenente 50 grammi di cocaina in stato solido e nella tasca dei pantaloni un involucro di cellophane contenente cristalli del peso di 0,5 grammi lordi. Le operazioni di ricerca si estendevano cosi’ presso l’appartamento nella disponibilita’ della (OMISSIS) in (OMISSIS), li’ venivano ritrovati e sequestrati due bilancini di precisione.
In sede di convalida dell’arresto la (OMISSIS) ha dichiarato che la sua permanenza in Trentino doveva essere temporanea, acquistando droga aveva contratto un debito e, sotto minaccia, per saldano si era prestata al trasporto di droga, il referente era un ragazzo di colore di cui non ha rilevato l’identita’ perche’ ne teme le reazioni, il suo progetto era quello di saldare il debito con il trasporto di droga e poi tornare a casa. Ha chiarito che il padre con lei in auto era del tutto estraneo al proposito criminoso.
Il GIP, in sede di applicazione della misura cautelare, ha valorizzato gli elementi emersi negli atti allegati alla C.N. R., soprattutto alla luce delle dichiarazioni chiaramente ammissive dell’addebito rese in interrogatorio, per affermare la sussistenza del quadro indiziario, ha poi sottolineato che i contatti dichiarati dalla donna con l’organizzazione dello spaccio di droga per la quale ha ammesso di trasportare la sostanza sequestrata provano un attuale e concreto pericolo di reiterazione del reato e ha applicato alla (OMISSIS) la custodia cautelare in carcere.
E nel confutare la doglianza difensiva con cui si chiedeva l’annullamento dell’ordinanza per mancanza di motivazione sulla gravita’ indiziaria e sulla sussistenza delle esigenze cautelari, il giudice del gravame cautelare -con una motivazione priva di aporie logiche e corretta in punto di diritto e che pertanto si sottrae alle proposte censure di legittimita’- ha evidenziato che la motivazione del GIP, seppur stringata, non puo’ certo dirsi ne’ inesistente ne’ apparente, e quindi come non si ponesse il tema dell’annullamento dell’atto impugnato automatico e doveroso, ex articolo 309 c.p.p., comma 9, ultimo inciso per mancanza di autonoma valutazione, derivandone che il tribunale poteva legittimamente esercitare il proprio potere integrativo dell’ordinanza genetica.
Corretto e’ il rilievo che la sinteticita’ delle argomentazioni sui presupposti della misura e’ proporzionale all’evidenza della prova palesatasi al GIP in sede di convalida, laddove l’arresto effettuato nella fragranza della condotta di detenzione di diverse sostanze stupefacenti, unitamente ai bilancini di precisione ritrovati nella sua abitazione, e corroborato dalle dichiarazioni confessorie della (OMISSIS) in interrogatorio che ha ammesso di detenere la sostanza destinata allo spaccio avendo assunto consapevolmente il ruolo di trasportatore della stessa, non lasciano dubbi sulla sussistenza di un quadro indiziario evidente.
Peraltro, il riferimento alla “rete” di spaccio alla quale l’odierna ricorrente stessa ha ammesso essersi prestata per trasportare la sostanza e’ piu’ che sufficiente – secondo il logico argomentare del giudice del gravame della cautela- a giustificare l’esistenza di un pericolo concreto e attuale di recidiva.
Nel provvedimento impugnato viene anche giustamente sottolineato il grado di purezza delle diverse sostanze stupefacenti sequestrate ritrovate addosso alla (OMISSIS) (cocaina per una stima di 249 dosi ricavabili e cannabis per 96 dosi ricavabili, come evidenziato dalle analisi di laboratorio effettuate e agli atti) e come una qualita’ di sostanza simile non poteva che essere destinata al taglio e confezionamento successivo. Ulteriore dato, a estremo riscontro della contestazione mossa alla (OMISSIS), viene individuato nelle dichiarazioni rese da (OMISSIS) nell’ambito del diverso procedimento a suo carico per il Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 1 (R.G.N. R. 3589/2020). L’uomo in data 19.9.2020, dopo la perquisizione personale e domiciliare che ha dato esito positivo per la cocaina, ha dichiarato che’ la sostanza rinvenuta gli era stata ceduta poco prima dalla (OMISSIS) di Taranto che lavora presso il Pub (OMISSIS) di (OMISSIS) dalla quale l’aveva acquistata recandosi nella sua abitazione di (OMISSIS) e pagandola 300 Euro.
4. Infondato e’ anche il secondo motivo di ricorso, con il quale ci si duole che la motivazione autonoma in punto di inadeguatezza di misure alternative a quella carceraria poi adottata sarebbe stata assente nell’ordinanza generica della misura, di talche’ il giudice del gravame cautelare avrebbe illegittimamente integrato quest’ultima.
Nel confutare argomentatamente quello che anche in quella sede era stato il secondo motivo di ricorso, il tribunale del riesame trentino sottolinea correttamente che non si versa in un caso di ordinanza annullabile ex articolo 309 c.p.p., comma 9, nonostante la mancanza – su questo punto completa – di motivazione in relazione all’adeguatezza e alla proporzionalita’ della misura carceraria adottata. Tale omissione, infatti, non rientra nei casi richiamati dalla specifica previsione di censura, che parla esclusivamente della mancanza di autonoma valutazione sulla gravita’ indiziaria e sulle esigenze cautelari. In questo caso – si legge nel provvedimento impugnato- e’ vero che il GIP ha completamente omesso di argomentare sulla scelta della misura cautelare, tuttavia, non prevedendo anche in questo caso la censura dell’annullamento dell’ordinanza, correttamente il tribunale del riesame ha ritenuto di avere pieni poteri di integrazione della stessa.
Diversamente da quanto si sostiene in ricorso, l’ordinanza impugnata si colloca nell’alveo del costante dictum di questa Corte di legittimita’ – che va qui ribadito – secondo cui, anche a seguito delle modifiche apportate dalla L. 16 aprile 2015, n. 47 agli articoli 292 e 309 c.p.p., sussiste il potere-dovere del tribunale del riesame di integrare le insufficienze motivazionali del provvedimento impositivo della misura qualora questo sia assistito da una motivazione che enunci le ragioni della cautela, anche in forma stringata ed espressa “per relationem” in adesione alla richiesta cautelare, a meno che non si sia in presenza di una motivazione del tutto priva di vaglio critico dell’organo giudicante mancando, in tal caso, un sostrato su cui sviluppare il contraddittorio tra le parti (cfr. Sez. 6, n. 10590 del 13/12/2017, dep. 2018, Liccardo ed altri, Rv. 272596; conf. Sez. 5, n. 643 del 6/12/2017 dep. 2018, Pohl ed altri, Rv. 271925).
Piu’ specificamente quanto alla situazione che propone l’odierno thema decidendi, e’ stato chiarito che il tribunale del riesame ha il potere-dovere di integrare le insufficienze motivazionali dell’ordinanza di custodia cautelare relative alla valutazione di inadeguatezza della misura degli arresti domiciliari con l’uso del braccialetto elettronico atteso che l’articolo 309 c.p.p., comma 9 non prevede quale causa di annullamento dell’ordinanza cautelare la mancanza di indicazioni sull’adeguatezza della misura (cosi’ Sez. 2, n. 10150 del 24/2/2016, Clopotaru, Rv. 266190 relativa ad un caso in cui il GIP si era limitato a valutare l’inadeguatezza delle altre misure coercitive facendo riferimento all’assenza di una fissa dimora dell’indagato).
Nello stesso senso, in altra pronuncia, si e’ affermato che l’ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere che non specifichi le ragioni di inadeguatezza della misura degli arresti domiciliari con controllo elettronico, puo’ essere integrata dall’ordinanza che decide sulla richiesta di riesame, sia perche’ l’indicazione di tali ragioni non e’ prevista tra i requisiti essenziali dell’ordinanza indicati, a pena di nullita’, dall’articolo 292 c.p.p., sia perche’ l’articolo 275 c.p.p., nel prevedere l’onere motivazionale aggiuntivo, non indica alcuna sanzione in caso di inosservanza (cosi’ Sez. 2, n. 42557 del 4/7/2017, Micillo, Rv. 270773, in un caso in cui l’ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere si era limitata a motivare le ragioni per le quali le esigenze cautelari non potevano essere soddisfatte con altre misure).
Il principio, dunque, e’ che, in tema di riesame delle ordinanze cautelari personali, le ipotesi di insufficienza di motivazione non incidente sull'”an” ma solo sulla scelta della misura, non rientrano nel divieto di cui all’articolo 309 c.p.p., comma 9, (cosi’ Sez. 3, n. 19700 del 6/2/2018, C., Rv. 272875 che ha ritenuto che il tribunale puo’ integrare il provvedimento genetico privo di motivazione in ordine alle esigenze cautelari di particolare rilevanza di cui all’articolo 275 c.p.p., comma 4).
5. Infondato e’ anche il terzo motivo di ricorso, con il quale si censura in ogni caso il provvedimento impugnato nella motivazione con cui ha escluso l’adeguatezza, ai fini delle esigenze cautelari che ci occupano, delle meno afflittive misure proposte dalla difesa (obbligo di presentazione alla P.G., divieto di dimora in (OMISSIS) o arresti domiciliari in Puglia).
In punto di adeguatezza della misura, va ricordato che la consolidata giurisprudenza di legittimita’ valorizza l’importanza dei principi generali di proporzionalita’ e adeguatezza delle misure coercitive (articolo 275 c.p.p., comma 1), che impongono di prescegliere la misura piu’ adatta a soddisfare le esigenze di cautela e, nel contempo, meno inutilmente invasiva della persona dell’indagato. Vale infatti la regola secondo cui, in materia di misure cautelari, a fronte della tipizzazione da parte del legislatore di un “ventaglio” di misure di gravita’ crescente, il criterio di “adeguatezza” di cui all’articolo 275 c.p.p., comma 1, dando corpo al principio del “minore sacrificio necessario” (anche ribadito dalla Corte costituzionale, nella sentenza 22 luglio 2011 n. 231), impone al giudice di scegliere la misura meno afflittiva tra quelle astrattamente idonee a tutelare le esigenze cautelari ravvisabili nel caso di specie (cfr. Sez. Sez. Un., n. 20769 del 28/4/2016, Lovisi, Rv. 266650). Pertanto, nel provvedimento restrittivo e’ necessario indicare non soltanto gli elementi di fatto dai quali le esigenze cautelari sono desunte, ma anche le concrete e specifiche ragioni per le quali tali esigenze non possono essere soddisfatte con misure diverse dal carcere; prescrizione quest’ultima che assume particolare rilevanza ove coordinata con il disposto dell’articolo 275 c.p.p., comma 3, primo periodo, che sottolinea la funzione residuale e “quasi eccezionale” della misura cautelare della custodia in carcere (cosi’ le citate SS.UU. Lovisi).
Il giudice si deve soffermare quindi sul profilo dell'”adeguatezza” della misura cautelare in concreto prescelta, anche se, ovviamente, qualora venisse applicata, perche’ ritenuta “adeguata”, la misura della custodia in carcere, non e’ necessaria un’analitica dimostrazione delle ragioni che rendono inadeguata ogni altra misura, ma e’ sufficiente che il giudice indichi, con argomenti logico-giuridici tratti dalla natura e dalle modalita’ di commissione dei reati, nonche’ dalla personalita’ dell’indagato, gli elementi specifici che, nella singola fattispecie, fanno ragionevolmente ritenere la custodia in carcere come la misura piu’ adeguata ad impedire la prosecuzione dell’attivita’ criminosa, rimanendo in tal modo superata ed assorbita l’ulteriore dimostrazione dell’inidoneita’
Cio’ risulta in continuita’ con quanto pacificamente affermato anche in precedenza dalla giurisprudenza di questa Suprema Corte che in tema di scelta e adeguatezza delle misure cautelari, ai fini della motivazione del provvedimento di custodia in carcere, non e’ necessaria un’analitica dimostrazione delle ragioni che rendono inadeguata ogni altra misura, ma e’ sufficiente che il giudice indichi, con argomenti logico-giuridici tratti dalla natura e dalle modalita’ di commissione dei reati nonche’ dalla personalita’ dell’indagato, gli elementi specifici che inducono ragionevolmente a ritenere la custodia in carcere come la misura piu’ adeguata al fine di impedire la prosecuzione dell’attivita’ criminosa, rimanendo in tal modo assorbita l’ulteriore dimostrazione dell’inidoneita’ delle altre misure coercitive (Sez. 6, n. 17313 del 20/4/2011, Cardoni, Rv. 250060; conf. Sez. 1, n. 45011 del 26/9/2003, Villani, Rv. 227304).
In altra pronuncia era stato condivisibilmente sottolineato che in tema di criteri di scelta delle misure cautelari, e’ immune da censure la decisione con cui il giudice di merito rigetti l’istanza di sostituzione della misura cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari, sulla base di elementi specifici inerenti al fatto, alle sue motivazioni ed alla personalita’ del soggetto che indichino quest’ultimo come propenso all’inosservanza dell’obbligo di non allontanarsi dal domicilio, in violazione delle cautele impostegli, trattandosi di soggetto violento e proclive a reati commessi mediante l’uso di violenza personale; e questo ancorche’ la previsione di cui all’articolo 275 c.p.p. non ponga a carico del giudice l’obbligo di una motivazione analitica sull’inadeguatezza di ogni altra misura cautelare (nella specie arresti domiciliari), essendo a tal fine sufficiente e necessario che egli dimostri che l’unica misura adeguata ad impedire la prosecuzione dell’attivita’ criminosa e’ la permanenza in carcere (Sez. 5, n. 9494 del 19/10/2005 dep. il 2006, Pannone, Rv. 233884).
Ebbene, se questi sono i principi giuridici di riferimento, va osservato che nel caso che ci occupa, il tribunale del riesame da’ atto nel provvedimento impugnato che la misura carceraria si e’ resa necessaria proprio alla luce delle dichiarazioni della (OMISSIS) che ha ammesso di essere parte di una organizzazione di soggetti per i quali ha assunto il ruolo di trasportatore di stupefacente e percio’ di intermediario, evidentemente godendo della loro fiducia vista la responsabilita’ che implica il compito assegnatole.
La sua collocazione in un ambiente di spaccio organizzato, ad ampio raggio considerando che il viaggio durante il quale e’ stata fermata coinvolgeva almeno due province, e’ riscontrata -secondo la logica motivazione del provvedimento impugnato- oltre che dalle evidenze agli atti e dalle dichiarazioni confessorie, dalle informazioni rese dal (OMISSIS), risultando cosi’ necessario recidere ogni possibilita’ di contatto della (OMISSIS) con il crimine organizzato nella quale e’ inquadrata e tale fine di tutta evidenza non puo’ essere raggiunto con’ una misura cautelare non detentiva.
Il tribunale trentino precisa che nessuna misura cautelare non custodiale e’ idonea a prevenire un pericolo di recidiva che riguarda non certo il classico spaccio da strada ma condotte organizzate di caratura infraregionale. E da’ conto di avere ritenuto che la pericolosita’ e la spregiudicatezza della ricorrente nel prestarsi con una certa disinvoltura al traffico di stupefacenti, in relazione alla gravita’ delle condotte provate in atti, e’ tale da far superare anche la sua formale incensuratezza, e la misura custodiale meno afflittiva degli arresti domiciliari a casa della madre in provincia di Taranto non appare altresi’ adeguata al contenimento della recidiva e alla recisione dei legami con il traffico di stupefacenti perche’ si e’ constatato da una parte che il contesto di riferimento della ricorrente non e’ certo limitato a quello locale, dall’altra che la (OMISSIS) ha una storia di legami con il mondo degli stupefacenti anche nella sua terra d’origine, cio’ essendo provato dalla segnalazione del 24/8/2015 della Guardia di Finanza di Taranto ex articolo 75 Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 per possesso di cocaina.
Il provvedimento impugnato da’ dunque conto di avere valutato in maniera congrua e logica la natura del reato per cui si procede, le circostanze concrete della sua realizzazione e la personalita’ dell’indagata, ed all’esito di avere ritenuto che l’unica misura idonea fosse quella della custodia cautelare in carcere.
6. Al rigetto del ricorso consegue, ex lege, la condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Vanno dati gli avvisi di cui all’articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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