In tema di IVA l’esenzione prevista dall’art. 8 bis del d.P.R. n. 633 del 1972

Corte di Cassazione, civile, Sentenza|17 marzo 2021| n. 7533.

In tema di IVA, l’esenzione prevista dall’art. 8 bis del d.P.R. n. 633 del 1972 – anche nel testo previgente alle modifiche apportate dall’art. 8, comma 2, lett. e) n. 1, della l. n. 217 del 2011 – opera a condizione che la cessione o l’acquisto abbia ad oggetto navi destinate all’esercizio di attività commerciale che siano anche adibite alla navigazione d’alto mare, in conformità all’interpretazione dell’art. 15, n. 4, lett. a) della sesta direttiva n. 77/388/CEE, fornita dalla Corte di Giustizia CE con ordinanza 14 settembre 2006, in cause da C-181/04 a C-183/04, di cui l’art. 8 bis citato costituisce norma di attuazione.

Sentenza|17 marzo 2021| n. 7533

Data udienza 15 ottobre 2020

Integrale

Tag/parola chiave: Iva – Irpef – Irap – Avviso di accertamento – Operazioni non imponibili – Erronea fatturazione – Maggiori ricavi – Giudicato interno – Art. 15, Sesta Direttiva Iva n. 77/388/Cee – Art. 8 bis, D.P.R. n. 633/1972 – Cessioni all’esportazione – Navigazione in alto mare – CGCE C – 181/04 e C – 183/04

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente

Dott. MANZON Enrico – Consigliere

Dott. TRISCARI G. – rel. Consigliere

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere

Dott. ANTEZZA Fabio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
Sul ricorso iscritto al n. 1141 del ruolo generale dell’anno 2014 proposto da:
(OMISSIS) s.c.r.l., in liquidazione, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli Avv.ti (OMISSIS) e (OMISSIS) per procura speciale a margine del ricorso, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio di quest’ultimo difensore;
– ricorrente –
contro
Agenzia delle entrate, in persona del direttore generale pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui Uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, e’ domiciliata;
– controricorrente –
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Liguria, n. 62/1/2013, depositata in data 15 maggio 2013;
udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 15 ottobre 2020 dal Consigliere Triscari Giancarlo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore generale Dott. De Augustinis Umberto, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
uditi per la societa’ l’Avv. (OMISSIS) e per l’Agenzia delle entrate l’Avvocato dello Stato (OMISSIS);
nonche’
Sul ricorso iscritto al n. 1146 del ruolo generale dell’anno 2014 proposto da:
(OMISSIS) s.c.r.l., in liquidazione, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli Avv.ti (OMISSIS) e (OMISSIS) per procura speciale a margine del ricorso, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio di quest’ultimo difensore;
– ricorrente –
contro
Agenzia delle entrate, in persona del direttore generale pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui Uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, e’ domiciliata;
– controricorrente –
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Liguria, n. 63/1/2013, depositata in data 15 maggio 2013;
udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 15 ottobre 2020 dal Consigliere Triscari Giancarlo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore generale Dott. De Augustinis Umberto, che ha concluso chiedendo il rigetto;
uditi per la societa’ l’Avv. (OMISSIS) e per l’Agenzia delle entrate l’Avvocato dello Stato (OMISSIS).

FATTI DI CAUSA

Relativamente al procedimento n. R.G. 1141/2014.
Dalla esposizione in fatto della sentenza impugnata si evince che: l’Agenzia delle entrate aveva notificato a (OMISSIS) s.c.r.l., un avviso di accertamento, relativo all’anno di imposta 2004, con il quale aveva richiesto il pagamento di una maggiore Iva sulla base di tre distinti rilievi: a) erronea indicazione come non imponibili delle operazioni rientranti nell’attivita’ di giro turistico del Porto di Genova, dovendo invece essere considerate esenti, con le conseguenti implicazioni in materia di plafond disponibile; b) erronea fatturazione come non imponibile della vendita dell’imbarcazione da diporto denominata “Gabbiano”, dovendo essere considerata imponibile e quindi non assimilabile alla cessione all’esportazione; c) mancata regolarizzazione della fattura di acquisto della motonave denominata “(OMISSIS)”, in quanto erroneamente fatturata dal terzo venditore come non imponibile, dovendo, anche in questo caso, essere considerata una operazione imponibile; alla pretesa del pagamento della maggiore Iva era stata fatta conseguire anche la richiesta di pagamento delle sanzioni; la societa’ aveva quindi proposto ricorso che era stato parzialmente accolto dalla Commissione tributaria provinciale di Genova che aveva ritenuto legittimo il recupero relativo alla imponibilita’ delle operazioni rientranti nell’attivita’ di giro turistico del Porto di Genova, ma illegittime le altre pretese relative alla imponibilita’ delle operazioni; l’Agenzia delle entrate aveva quindi proposto appello alla pronuncia del giudice di primo grado per la parte della statuizione a se’ sfavorevole.
La Commissione tributaria regionale della Liguria ha accolto l’appello. In particolare, ha ritenuto che: la questione relativa alla pretesa conseguente alla erronea indicazione come non imponibili delle operazioni rientranti nell’attivita’ di giro turistico del Porto di Genova, in quanto non appellata dalla contribuente, era passata in giudicato; con riferimento agli altri profili della controversia di cui all’appello dell’amministrazione finanziaria, la questione si incentrava sulla applicabilita’ o meno al caso di specie della previsione di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 8-bis, secondo cui sono non imponibili, in quanto assimilate alle cessioni all’esportazione, le cessioni di navi destinate all’esercizio di attivita’ commerciale; a tal fine, doveva tenersi conto del requisito di cui all’articolo 15, Sesta Direttiva Iva, in particolare della necessita’ che, ai fini della non imponibilita’, deve trattarsi di cessione di navi adibite alla “navigazione in alto mare”, cio’ in considerazione della pronuncia della Corte di Giustizia del 14 settembre 2006, cause C-181/182/183/04, direttamente applicabile nei giudizi interni; ha quindi precisato, al fine di individuare quando le navi sono adibite alla “navigazione d’alto mare”, che la soluzione era stata affrontata in merito alla non imponibilita’ delle prestazioni fornite dalle navi da diporto che, per le loro ridotte dimensioni, rendono difficile l’individuazione di un loro utilizzo in alto mare e che non sono iscritte nel registro internazionale, come precisato dalla circolare 43/E del 29 settembre 2011, in quanto solo la suddetta iscrizione autorizza la navigazione oltre le 12 miglia, limite delle acque nazionali; infine, con riferimento alle sanzioni, le stesse non erano dovute, attesa la sussistenza di condizioni di obiettiva incertezza applicativa delle norme di riferimento.
La societa’ ha quindi proposto ricorso per la cassazione della sentenza affidato a cinque motivi di censura, illustrato con successiva memoria, cui ha resistito l’Agenzia delle entrate con controricorso.
Relativamente al procedimento n. R.G. 1141/2014.
Dalla esposizione in fatto della sentenza impugnata/evince che: l’Agenzia delle entrate aveva notificato a (OMISSIS) s.c.r.l., un avviso di accertamento, relativo all’anno di imposta 2005, contenente due distinti recuperi ai fini Irpef e Irap: uno, concernente maggiori ricavi non dichiarati, conseguente all’applicazione degli studi di settore; l’altro, con il quale era stato disconosciuta la qualifica di “esportatore abituale”, tenuto conto del fatto che, con un precedente avviso di accertamento notificato alla societa’ per l’anno 2004, era stato contestato che le operazioni rientranti nell’attivita’ di “giro turistico del porto di Genova” non potessero essere considerate non imponibili, ma esenti, con conseguente incidenza sulla formazione del plafond disponibile per il successivo anno 2005; avverso il suddetto avviso di accertamento la societa’ aveva proposto ricorso che era stato accolto dalla Commissione tributaria provinciale limitatamente alla pretesa scaturita dall’applicazione degli studi di settore, ma era stato rigettato con riferimento al recupero concernente la mancanza di qualifica di esportatore abituale della societa’, cio’ con specifico riferimento a quanto accertato da altra pronuncia emessa avverso l’avviso di accertamento relativo all’anno 2004; avverso la suddetta pronuncia la societa’ aveva proposto appello principale dinanzi alla Commissione tributaria regionale della Liguria, deducendo che il disconoscimento della natura di operazioni non imponibili alle prestazioni di servizio relative ai giri turistici nel porto di Genova non era sufficiente a far scendere il rapporto tra le operazioni non imponibili ed il volume d’affari totale al di sotto della soglia del 10%, posto che doveva tenersi conto della operazione di cessione della motonave “Gabbiano” di cui la commissione tributaria provinciale aveva confermato la natura di operazione assimilato alla cessione all’esportazione; l’ufficio aveva proposto appello incidentale.
La Commissione tributaria regionale ha rigettato l’appello principale ed accolto quello incidentale dell’amministrazione finanziaria, dichiarando non dovute le sanzioni sul recupero relativo alla perdita della qualifica di esportatore abituale e limitandole a quelle relative all’accertamento basato sugli studi di settore.
In particolare, il giudice del gravame ha ritenuto che: la richiesta di sospensione del giudizio era da considerarsi assorbita dalla contestuale decisione di merito; con riferimento alla pretesa relativa alla perdita della qualifica di esportatore abituale, atteso che, con sentenza di parti data, la suddetta circostanza era stata accertata ed era stato, altresi’, precisato che l’operazione di cessione della motonave “(OMISSIS)” era da considerarsi imponibile, era legittimo il recupero dell’Iva non addebitata alla societa’ dai fornitori; era legittima la ripresa fondata sull’applicazione degli studi di settore. La societa’ ha quindi proposto ricorso per la cassazione della sentenza affidato a un unico motivo di censura, illustrato con successiva memoria, cui ha resistito l’Agenzia delle entrate con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Riunione dei procedimenti:
Preliminarmente, va disposta la riunione al procedimento R.G. n. 1141/2014 del procedimento n. 1146/2014, attesa l’identita’ delle parti e la connessione oggettiva della questione, tenuto conto del fatto che l’avviso di accertamento relativo al periodo di imposta 2004, della cui legittimita’ si discute nell’ambito del primo procedimento, e’ atto presupposto dell’avviso di accertamento, emesso per il successivo anno 2005, oggetto del secondo giudizio.
Giudicato interno:
Ancora preliminarmente, in considerazione di quanto dedotto dalla ricorrente in memoria, va dato atto del passaggio in giudicato della statuizione del giudice del gravame sulla illegittimita’ della pretesa relativa alle sanzioni, posto che questa parte della decisione non e’ stata oggetto di impugnazione da parte dell’Agenzia delle entrate.
Sul procedimento R.G. n. 1141/2014:
1. Con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi
dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3), nonche’ per violazione o falsa applicazione dell’articolo 288 Trattato sul funzionamento dell’Unione, dell’articolo 11 Cost. e articolo 117 Cost., comma 1, oltre che dell’articolo 15, Direttiva 77/88/Cee e del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 8-bis. per avere ritenuto che, in caso di contrasto tra la normativa interna e quella comunitaria, la seconda prevale sulla prima anche quando determina un aggravio per il contribuente.
In particolare, evidenzia parte ricorrente che, all’epoca dei fatti, e sino al 2012, il requisito della “destinazione alla navigazione d’altura” non era previsto dalla disposizione nazionale di attuazione dell’articolo 15 Direttiva 77/88/Cee, in particolare dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 8-bis, , il cui testo e’ stato adeguato, sul punto, alla Direttiva comunitaria, solo con la L. n. 217 del 2011, articolo 8, comma 2, lettera e), n. 1, in vigore dal 17 gennaio 2012, quindi in data successiva ai fatti di causa.
Sotto tale profilo, parte ricorrente deduce che il giudice del gravame avrebbe compiuto una applicazione diretta della norma comunitaria, che contemplava espressamente il presupposto della navigazione “in alto mare”, disapplicando la normativa interna, in violazione del principio comunitario secondo cui, in tal caso, tale effetto puo’ operare, oltre che verticalmente (cioe’ limitatamente ai rapporti tra Stato e privati), solo in modo unilaterale, nel senso che l’applicazione diretta delle disposizioni della direttiva non attuate, o attuante non correttamente, puo’ operare, nei rapporti tra lo Stato ed i privati, ma solo in favore di questi ultimi, incidendo sulla sfera giuridica dei medesimi solo ai fini del suo ampliamento, non anche per la compressione della stessa.
1.1 Il motivo e’ infondato.
La questione prospettata attiene alla individuazione della disciplina normativa da applicare al caso di specie e, in particolare, dei presupposti delineati dalla normativa unionale e interna ai fini delle non imponibilita’ Iva delle operazioni di acquisto e vendita di natanti poste in essere dalla contribuente in quanto assimilate alla cessione all’esportazione.
Si tratta, piu’ specificamente, di stabilire se, ai fini delle non imponibilita’ dell’Iva, il presupposto della navigazione “in alto mare” potesse essere considerato normativamente applicabile al tempo in cui la contribuente aveva realizzato le operazioni di cessione e di acquisto dei natanti, il che rende necessaria una ricostruzione sistematica della disciplina normativa di riferimento.
Va quindi precisato, in primo luogo, che l’articolo 15, Sesta Direttiva Iva n. 77/388/Cee, prevedeva che: “gli Stati membri esentano, a condizioni da essi fissate per assicurare una corretta e semplice applicazione delle esenzioni stesse e prevenire ogni possibile frode, evasione ed abuso: (…) 4. le cessioni di beni destinati al rifornimento e al vettovagliamento di navi: a) adibite alla navigazione d’alto mare e al trasporto a pagamento di passeggeri o usate nell’esercizio di attivita’ commerciali, industriali e della pesca. (…) 5. cessione, trasformazione, riparazione, manutenzione, noleggio e locazione delle navi di cui al paragrafo 4, lettere a) e b)”.
Alla suddetta normativa comunitaria ha quindi fatto seguito, nell’ordinamento interno, quale disposizione nazionale di attuazione, il Decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, articolo 8-bis, poi modificato in forza di successivi interventi normativi, che, al tempo in cui le operazioni di vendita e di acquisto dei natanti erano state realizzate, prevedeva che: “Sono assimilate alle cessioni all’esportazione: a) le cessioni di navi destinate all’esercizio di attivita’ commerciali o della pesca o ad operazioni di salvataggio o di assistenza in mare, ovvero alla demolizione, escluse le unita’ da diporto di cui alla L. 11 febbraio 1971, n. 50”.
Successivamente, la L. 15 dicembre 2011, n. 217, articolo 8, comma 2, lettera e) n. 1), ha modificato la previsione normativa in esame, prevedendo specificamente, oltre ai requisiti gia’ richiesti nel testo precedentemente in vigore, anche quello della “navigazione in alto mare”: il che postula, evidentemente, che, ai fini della compiuta delineazione dell’ambito di applicazione del regime di non imponibilita’ dell’Iva relativa alle operazioni di cessione di natanti, la disciplina di favore si applica non a tutte le cessioni di navi destinate all’esercizio di attivita’ commerciali o alle altre assimilate, ma a quelle che, svolgendo le suddette attivita’, sono inoltre predisposte alla navigazione “in alto mare”.
1.2. Cosi’ delineato il quadro normativo di riferimento, non puo’ essere seguita la linea difensiva di parte ricorrente secondo cui la modifica dell’articolo 8-bis, cit., per effetto dell’intervento normativo di cui alla L. n. 217 del 2011, in cui e’ espressamente menzionato il requisito della navigazione “in alto mare”, opererebbe solo dal 17 gennaio 2012, e, d’altro lato, il contrasto tra la normativa nazionale al tempo vigente (che non contemplava il presupposto della navigazione “in alto mare”) e l’articolo 15, Sesta Direttiva Iva, non potrebbe comportare una disapplicazione della normativa interna in favore di quella comunitaria, in quanto, in tal modo, vi sarebbe una applicazione diretta della suddetta direttiva “in danno” al contribuente, restringendone illegittimamente la sfera giuridica.
In realta’, fermo restando la correttezza, in linea di principio, dei limiti di disapplicazione della normativa interna quando la non attuazione o la non corretta attuazione della direttiva unionale si traduca in una compressione della sfera giuridica del privato, va, tuttavia, osservato che la fattispecie in esame va ricondotta ad un ambito diverso da quello delineato dalla ricorrente: nella fattispecie, invero, viene in considerazione il diverso profilo della corretta interpretazione della normativa interna, al tempo vigente, alla luce della normativa unionale e della interpretazione della Corte di giustizia.
1.3. Va infatti osservato che, con sentenza 14 settembre 2006 (cause da c-181/04 a c-183/04), la Corte di giustizia ha dato risposta alla questione pregiudiziale con la quale il giudice del rinvio aveva chiesto se “il criterio della destinazione “alla navigazione d’alto mare” citato all’articolo 15, n. 4, lettera a), della sesta direttiva, – al quale rimanda il n. 5 del medesimo articolo – si riferisca unicamente a navi adibite al trasporto a pagamento di passeggeri, ovvero anche alle navi usate nell’esercizio di attivita’ commerciali, industriali e della pesca”.
E’ rilevante osservare che il Governo italiano aveva presentato osservazioni, evidenziando che si poneva una questione di interpretazione alla luce del dato testuale delle disposizioni unionali in esame, potendosi ritenere che, in realta’, le stesse potessero essere interpretate nel senso che l’agevolazione riguardava, da un lato, le navi adibite alla navigazione d’alto mare e che effettuano il trasporto a pagamento di passeggeri e, dall’altro, le navi usate nell’esercizio di attivita’ commerciali, industriali o della pesca, limitando, quindi, solo ai primi casi il presupposto della navigazione d’alto mare.
Cio’ in quanto il testo della previsione della Direttiva in esame disponeva che la non imponibilita’ dell’Iva riguardava le cessioni di navi “adibite alla navigazione d’alto mare e al trasporto a pagamento di passeggeri o usate nell’esercizio di attivita’ commerciali, industriali e della pesca”, ponendosi quindi la questione interpretativa se la congiunzione “o” comportasse o meno l’esclusione del presupposto della navigazione d’alto mare in caso di utilizzo delle navi nell’esercizio di attivita’ commerciali, industriali e della pesca.
La Corte di giustizia, con la sentenza sopra citata, ha quindi chiarito (parr. 14 e 15) che, “nonostante talune versioni linguistiche dell’articolo 15, n. 4, lettera a), della sesta direttiva si prestino ad interpretazioni discordanti, la struttura e lo scopo di tale disposizione suggeriscono che il criterio dell’impiego in alto mare si debba applicare a tutti i tipi di navi menzionati nella detta disposizione. Dall’intitolazione dello stesso articolo, ossia “Esenzione delle operazioni all’esportazione fuori della Comunita’, delle operazioni assimilate e dei trasporti internazionali”, emerge che le disposizioni di tale articolo mirano ad esentare dall’IVA, a determinate condizioni, le cessioni di beni destinati all’approvvigionamento delle navi. L’applicazione del criterio della navigazione d’alto mare non consente l’esenzione per molte navi adibite alla navigazione in mare che esercitano attivita’ commerciali, industriali o della pesca, se queste attivita’ non sono svolte in alto mare. Se si dovesse intendere che tale disposizione non riguarda soltanto le navi adibite alla navigazione d’alto mare, il n. 4, lettera b), del medesimo articolo, che prevede anch’esso un’esenzione del genere per le navi adibite alla pesca costiera, sarebbe superfluo. Inoltre, l’interpretazione secondo cui l’articolo 15, n. 4, lettera a), della sesta direttiva si applica alle sole navi adibite alla navigazione d’alto mare, corrisponde alla giurisprudenza costante della Corte, secondo la quale le esenzioni dall’IVA devono essere interpretate in maniera restrittiva, dato che costituiscono deroghe al principio generale secondo cui l’imposta sulla cifra d’affari e’ riscossa per ogni prestazione di servizi effettuata a titolo oneroso da un soggetto passivo (v., in particolare, sentenze 26 giugno 1990, causa C-185/89, Velker International Oil Company, Racc. pag. 12561, punto 19, e 16 settembre 2004, causa C-382/02, Cimber Air, Racc. pag. 1-8379, punto 25).
Pertanto, secondo la Corte di giustizia, pur potendosi ritenere che sussistano possibili versioni linguistiche che conducano a interpretazioni discordanti, la “struttura e lo scopo” della previsione della Direttiva deve condurre ad una interpretazione secondo cui il criterio dell’impiego “in alto mare” si debba applicare a tutti i tipi di navi menzionati nella detta disposizione, quindi anche al caso in cui la cessione ha avuto riguardo alle navi usate nell’esercizio di attivita’ commerciali.
Sicche’, secondo questa linea interpretativa della Corte di giustizia, non ogni nave che svolge attivita’ commerciale rientra nel regime di non imponibilita’, ma solo quella che, oltre a svolgere attivita’ commerciale, effettua la navigazione “d’alto mare”.
1.4. Si tratta, dunque, di valutare se e in che misura la pronuncia interpretativa della Corte di giustizia sul punto abbia incidenza al caso in esame in ordine alla individuazione della corretta disciplina normativa da applicare al tempo in cui le operazioni di cessione e di acquisto dei natanti erano state eseguite dalla contribuente.
Va quindi osservato che alla Corte di giustizia e’ assegnato il compito di garantire l’osservanza del diritto nell’interpretazione delle norme comunitarie e le sentenze interpretative dalla stessa emesse hanno valore essenziale ai fini dell’applicazione della legislazione nazionale, cio’ non solo nei confronti del giudice nazionale che ha proposto la questione pregiudiziale interpretativa, posto che le pronunce in esame vincolano anche gli altri giudici nazionali ai quali venga sottoposta un’identica questione.
Sicche’, ai fini della individuazione della disciplina normativa da applicare, le disposizioni in materia di Iva della direttiva comune e l’interpretazione fornita dalla Corte di giustizia costituiscono strumenti vincolanti nell’interpretazione della normativa nazionale, alla luce della Direttiva n. 77/88/Cee nonche’ della interpretazione che della stessa ha fornito la Corte di giustizia le cui sentenze, come detto, hanno efficacia erga omnes poiche’, pur originando da una determinata controversia, hanno carattere astratto e sono volte a chiarire la portata delle disposizioni interpretate.
Inoltre, va altresi’ chiarito che la stessa Corte di giustizia (Corte Giust., 2 febbraio 1988, in causa C-309/85, Barra c.Stato Belga), richiamando proprie precedenti sentenze, ha statuito che quando interpreta una norma di diritto comunitario essa “chiarisce e precisa, se e’ necessario, il senso e la portata della norma stessa come deve o avrebbe dovuto essere compresa e applicata dal momento della sua entrata in vigore”; sicche’ la norma cosi’ interpretata va applicata dal giudice anche a rapporti sorti e costituiti prima della sentenza che ha pronunciato sulla domanda di interpretazione.
Pertanto, con riferimento al caso di specie, e’ alla luce della intervenuta pronuncia della Corte di giustizia 14 settembre 2006 (cause da c-181/04 a c-183/04) che deve essere interpretata la previgente previsione di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, articolo 8-bis, sicche’ il requisito della “navigazione d’alto mare” costituiva presupposto necessario insito anche nel testo previgente alla successiva modifica apportata dalla L. n. 217 del 2011.
La norma interna, nel testo precedente alla successiva modifica normativa, deve essere interpretata, infatti, tenuto conto della disposizione comunitaria da cui ha tratto origine e nel rapporto tra le stesse, tenuto conto dell’intervento interpretativo della Corte di giustizia, la norma interna va esaminata, nella sua portata applicativa, alla luce della normativa comunitaria e della pronuncia della Corte di giustizia: si tratta, quindi, di una interpretazione della normativa interna che deve essere necessariamente compiuta in termini unionalmente compatibili e questo, occorre precisare, sin dall’origine.
La sentenza della Corte di giustizia in esame, in particolare il contenuto della medesima, conduce a questa conclusione: la norma comunitaria ha una portata univoca sin dall’origine, sicche’ il requisito della “navigazione d’alto mare” rientrava nella portata applicativa della previsione normativa, con la conseguenza che la disciplina interna resta conformata – e sin dall’origine – alla disciplina unionale. Sotto tale profilo, non si pone un problema di direttiva che non ha avuto una corretta attuazione (con conseguente applicazione della direttiva comunitaria, differenziando a seconda che la stessa operi in bonam o malam partem) ma di applicazione della normativa interna da interpretarsi in termini conformi a quella unionale, secondo la disciplina contenuta nella direttiva comunitaria cosi’ come interpretata dalla pronuncia della Corte di giustizia.
Ne consegue che l’interpretazione della normativa interna, al tempo vigente, compiuta tenuto conto della pronuncia della Corte di giustizia, deve condurre a ritenere che, ai fini della non imponibilita’ dell’Iva per le operazioni di cessione e acquisto di natanti, non era sufficiente lo svolgimento di attivita’ commerciali, dovendosi, altresi’, sussistere il presupposto ulteriore della “navigazione d’alto mare”. La pronuncia in esame e’, dunque, conforme a legge, avendo ritenuto necessario, ai fini della definizione della controversia, anche tale ulteriore presupposto.
2. Con il secondo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi
dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione dell’articolo 156c.p.c., comma 2, e articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4), dell’articolo 118 disp. att. c.p.c., del Decreto Legislativo n. 546 del 1992, articolo 36, comma 2, n. 4), per avere reso una motivazione apparente, in quanto non consente di individuare le ragioni per le quali era necessario, al tempo in cui le operazioni erano state realizzate, il presupposto della navigazione in alto mare ai fini della non imponibilita’ iva.
2.1. Il motivo e’ infondato.
La sentenza censurata si basa su due distinti percorsi logici argomentativi.
2.2. In primo luogo, ha preso in esame la questione della applicabilita’, al caso di specie, del regime di non imponibilita’ dell’Iva per le cessioni di navi, di cui all’articolo 8-bis, cit., e, sotto tale profilo, ha precisato che, sia la previsione di cui all’articolo 15, Sesta Direttiva, che l’interpretazione compiuta dalla Corte di giustizia con la sentenza del 2006 (cause c-181, 182 e 183/04), dovevano condurre a ritenere che il requisito della navigazione in alto mare era necessario anche per le navi utilizzate al trasporto a pagamento di passeggeri o che svolgono attivita’ commerciale.
Sotto tale profilo, la pronuncia censurata ha chiaramente precisato i parametri normativi di riferimento nonche’ l’interpretazione fornita dalla Corte di giustizia, pervenendo alla considerazione che il requisito dello svolgimento di attivita’ commerciale non fosse sufficiente, di per se’ solo, ai fini dell’ottenimento della agevolazione in esame, essendo necessario verificare se, nella fattispecie, le unita’ navali in esame avessero anche l’ulteriore requisito della navigazione d’alto mare, precisando, sotto tale profilo, che: “Diventa pertanto importante, al fine della risoluzione della controversia, individuare le navi adibite alla navigazione d’alto mare”.
2.3. In secondo luogo, la sentenza censura ha quindi esaminato quest’ultimo profilo, ed ha precisato che: ove si dovesse ragionare in termine di “navi da diporto”, le stesse, attese le ridotte dimensioni, non possono essere utilizzate in alto mare; in ogni caso, occorre valutare se le imbarcazioni sono iscritte nel registro internazionale, posto che solo tale iscrizione autorizza la navigazione oltre le 12 miglia, dunque oltre il mare nazionale.
Entrambi i passaggi argomentativi, quindi, sono esposti secondo un procedimento logico del quale e’ possibile comprendere la tesi e la successiva delineazione dei presupposti sulla cui base ritenere, da un lato, necessaria la sussistenza del requisito della navigazione d’alto mare, e, dall’altro, che nella fattispecie, le imbarcazioni non erano dotate, strutturalmente, della idoneita’ alla navigazione d’alto mare, sicche’ non puo’ ritenersi corretta la prospettazione di parte ricorrente di una motivazione apparente in ordine ai due profili affrontati e decisi.
3. Con il terzo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi
dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per avere affermato che le imbarcazioni in questione avrebbero dovuto essere considerate “da diporto”.
Il motivo e’ infondato.
In linea generale va osservato che ai sensi dell’articolo 8-bis, cit., nel testo vigente ratione temporis, “sono assimilate alle cessioni all’esportazione, se non comprese nell’articolo 8: a) le cessioni di navi destinate all’esercizio di attivita’ commerciali o della pesca o ad operazioni di salvataggio o di assistenza in mare, ovvero alla demolizione, escluse le unita’ da diporto di cui alla L. 11 febbraio 1971, n. 50”.
Si e’ gia’ avuto modo di chiarire che l’interpretazione della previsione normativa in esame, alla luce della Sesta Direttiva Iva e della interpretazione fornita dalla Corte di giustizia, debba essere compiuta considerando necessario anche il requisito della navigazione d’alto mare: sicche’, quel che rileva e’ che si tratti di imbarcazione destinata ad attivita’ commerciale e idonea alla navigazione d’alto mare.
La previsione normativa in esame precisa che vanno escluse dal regime di non imponibilita’ Iva le unita’ da diporto di cui alla L. n. 50 del 1971, che, secondo quanto previsto dall’articolo 1, comma 3, lettera a), consiste in “ogni costruzione di qualunque tipo e con qualunque mezzo di propulsione destinata alla navigazione da diporto”, distinte dalle navi da diporto e dalle imbarcazioni da diporto, per le quali e’ previsto uno specifico limite di lunghezza.
Inoltre, la L. n. 50 del 1971, articolo 1, prevede, al comma 1, che: “Le disposizioni della presente legge si applicano alla navigazione da diporto nelle acque marittime e in quelle interne”, ed il successivo comma 2, prevede che: “e’ navigazione da diporto quella effettuata a scopi sportivi o ricreativi dai quali esuli il fine di lucro”.
Sicche’, tenuto conto delle previsioni normative in esame, quel che rileva, ai fini della non imponibilita’ Iva e’ il fatto che le imbarcazioni non rientrino nell’ambito della categoria delle unita’ da diporto e che, essendo navi o imbarcazioni da diporto, siano tuttavia utilizzati a fini commerciali e strutturalmente idonee alla navigazione d’alto mare. Sotto tale profilo, la circostanza che, secondo il giudice del gravame, l’imbarcazione in esame, per le sue ridotte dimensioni e per la non iscrizione al registro internazionale, che autorizza la navigazione oltre le 12 miglia, ha rilevanza decisiva ai fini della definizione della controversia: la questione di fondo, invero, attiene all’accertamento in fatto compiuto dal giudice del gravame circa la non idoneita’ strutturale delle imbarcazioni in esame a operare oltre il limite delle acque marittime interne.
E’ su tale profilo, invero, che si e’ incentrata la pronuncia del giudice del gravame, e, rispetto a tale prospettiva, non vi e’ alcuna violazione di legge.
4. Con il quarto motivo si censura la sentenza ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per omessa motivazione in relazione ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio e oggetto di discussione tra le parti, consistente nell’utilizzo delle imbarcazioni in attivita’ commerciale.
4.1. Il motivo e’ infondato.
Lo stesso, invero, non tiene conto della ratio decidendi della pronuncia censurata, secondo quanto si e’ avuto modo di illustrare in sede di esame dei precedenti motivi di ricorso.
Il giudice del gravame, in realta’, non ha escluso che le imbarcazioni oggetto delle cessioni non avessero natura commerciale; lo stesso, invero, ha precisato che “Per effetto della sentenza 14/9/2006, relativa alla cause riunite 181, 182, 183/04, l’esenzione iva prevista nell’articolo 15 di cui sopra riguarda quindi solo le navi utilizzate nel trasporto a pagamento dei passeggeri o nell’esercizio di attivita’ commerciali e che contemporaneamente siano adibite anche alla navigazione di alto mare”.
In sostanza, il giudice del gravame ha precisato che, ai fini della applicabilita’ del regime di non imponibilita’ Iva fosse necessaria la concorrente esistenza di due presupposti: lo svolgimento dell’attivita’ commerciale, da un lato, e la idoneita’ strutturale alla navigazione d’alto mare.
Il fatto che, nel successivo passaggio motivazionale, il giudice del gravame si sia posta la questione della non idoneita’ strutturale delle imbarcazioni alla navigazione d’alto mare implica, logicamente, superata la questione dello svolgimento dell’attivita’ commerciale. Sotto tale profilo, non sussiste alcun vizio motivazionale della sentenza censurata, avendo la stessa dato per accertata la natura commerciale dell’attivita’ svolta dalle imbarcazioni: la soluzione negativa, invero, e’ stata resa sulla base della diversa considerazione della non idoneita’ delle imbarcazioni alla navigazione d’alto mare, circostanza diversa ed ulteriore rispetto a quella oggetto del presente motivo di censura.
5. In conclusione, i motivi sono infondati, con conseguente rigetto del ricorso e condanna della ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore della controricorrente.
Sul procedimento R.G. n. 1146/2014:
Preliminarmente, in considerazione di quanto dedotto dalla ricorrente nel ricorso, va dato atto della circostanza che non e’ oggetto di controversia del presente giudizio la questione relativa alla determinazione dei maggiori ricavi in base all’applicazione degli studi di settore.
La questione, pertanto, posta all’attenzione di questa Corte attiene unicamente alla legittimita’ della pretesa relativa al mancato riconoscimento alla societa’ della qualifica di esportatore abituale ai fini Iva.
6. Con l’unico motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per non avere sospeso il giudizio, ai sensi dell’articolo 295, c.p.c., in attesa della definizione di quello relativo all’avviso di accertamento presupposto.
Evidenzia parte ricorrente che l’avviso di accertamento notificato per l’anno 2005 si basava sul precedente atto di accertamento, relativo all’anno 2004, con il quale l’ufficio aveva riqualificato alcune operazioni da non imponibili a esenti o imponibili, sicche’, sulla base di tale riqualificazione, la societa’ era risultata non avere compiuto operazioni imponibili, con conseguente perdita dello status di esportatore abituale e successiva ripresa, per l’anno 2005, dell’imposta non addebitata dai fornitori della societa’.
Pertanto, secondo parte ricorrente, sussistendo un rapporto di pregiudizialita’ o comunque di dipendenza necessaria tra i giudizi instaurati avverso i provvedimenti impositivi, si imponeva la necessita’ di disporre la sospensione del giudizio relativo alla questione dipendente.
6.1. Il motivo e’ inammissibile.
Invero, va tenuto conto del fatto che, in sede di esame del ricorso R.G. n. 1141/2014, al quale il presente e’ stato riunito, e le cui ragioni di rigetto sono state sopra esposte, si e’, in sostanza, ritenuta la legittimita’ della pretesa di cui all’avviso di accertamento relativo all’anno 2004 basato sulla non applicabilita’ del regime di non imponibilita’ dell’Iva sulla operazione di cessione della imbarcazione “(OMISSIS)”, in quanto operazione non assimilabile alla cessione all’esportazione.
Sicche’, la legittimita’ della pretesa di cui all’avviso di accertamento relativo all’anno 2004, nella parte sopra indicata, ha effetti anche sulla legittimita’ della pretesa di cui all’avviso di accertamento relativo all’anno 2005 ed oggetto del presente giudizio, in quanto la circostanza che le operazioni contestate per l’anno 2004 potevano essere considerate imponibili o esenti, comporta, stante il nesso di dipendenza necessaria tra i due avvisi di accertamento, la legittimita’, sul punto, anche di quello relativo all’anno 2005.
Ne deriva il sopravvenuto venire meno di ogni ragione di contestazione della ricorrente, con conseguente inammissibilita’ del ricorso.
In conclusione, il ricorso e’ inammissibile per sopravvenuto venir meno delle ragioni di contestazione.
Ai fini delle spese, le stesse sono compensate attesa che il venire meno della ragione di contestazione si e’ formato dopo la presentazione del ricorso.
Conclusioni:
7. In conclusione, relativamente al ricorso di cui al R.G. n.
1141/2014: i motivi sono infondati, con conseguente rigetto del ricorso e condanna della ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore della controricorrente.
Si da’ atto, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Relativamente al ricorso di cui al R.G. n. 1146/2014: il ricorso e’ inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse, con compensazione delle spese di lite, ed esclusione dell’obbligo di versamento del doppio contributo.

P.Q.M.

La Corte:
pronunciando sui ricorsi riuniti R.G. n. 1141/2014 e R.G. n. 1146/2014:
Relativamente al ricorso R.G. n. 1141/2014: rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore della controricorrente che si liquidano in complessive Euro 5000,00 oltre spese prenotate a debito.
Da’ atto, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis, se dovuto.
Relativamente al ricorso R.G. n. 1146/2014: dichiara inammissibile il ricorso per sopravvenuto difetto di interesse e compensa le spese di lite.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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