Corte di Cassazione, sezione sesta (prima) civile, Ordinanza 22 giugno 2020, n. 12085.
La massima estrapolata:
In tema di insinuazione al passivo, se il fallimento sia stato dichiarato quando era ancora possibile la risoluzione ex art. 186 l.fall. del concordato preventivo omologato, il creditore istante non è tenuto a sopportare gli effetti esdebitatori e definitivi ex art. 184 l.fall., posto che l’attuazione del piano è resa impossibile per l’intervento di un evento come il fallimento che, sovrapponendosi al concordato medesimo, inevitabilmente lo rende irrealizzabile.
Ordinanza 22 giugno 2020, n. 12085
Data udienza 5 febbraio 2020
Tag – parola chiave: Fallimento – Opposizione allo stato passivo – Fallimento omissio medio – Falcidia dei crediti concordatari – Distinzione a seconda se sia possibile o no instare per la risoluzione del concordato ex art. 186 legge fallimentare
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE PRIMA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente
Dott. MARULLI Marco – Consigliere
Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere
Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere
Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 5174-2018 proposto da:
BANCA POPOLARE DI BARI, in persona del Procuratore pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
CURATELA DEL FALLIMENTO (OMISSIS) S.R.L., in persona del Curatore pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso l’ordinanza del TRIBUNALE di BOLOGNA, depositata il 04/01/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 05/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. VELLA PAOLA.
RILEVATO
Che:
1. Il Tribunale di Bologna ha rigettato l’opposizione allo stato passivo del Fallimento (OMISSIS) S.r.l., proposta dalla Banca Popolare di Bari per ottenere l’ammissione integrale del proprio credito, senza la “falcidia” prevista dal concordato preventivo della societa’ debitrice, omologato con decreto provvisoriamente esecutivo del 22/10/2013 e mai dichiarato risolto prima della dichiarazione di fallimento, sopravvenuta in data 09/01/2017.
2. Avverso detto decreto la Banca Popolare di Bari ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, cui la Curatela del Fallimento (OMISSIS) S.r.l. ha resistito con controricorso, corredato da memoria ex articolo 380-bis c.p.c.
3. A seguito di deposito della proposta ex articolo 380-bis c.p.c. e’ stata ritualmente fissata l’adunanza della Corte in camera di consiglio.
CONSIDERATO
Che:
4. Parte ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli articoli 6, 180, 184 e 186 L. fall., sostenendo che: i) il creditore concordatario non puo’ instare direttamente per il fallimento senza la previa risoluzione del concordato, essendo questa soggetta a presupposti diversi (inadempimento di non scarsa importanza) e ad uno specifico termine annuale di decadenza, che sarebbero altrimenti aggirati; ii) se la pendenza di una domanda di concordato consente la dichiarazione di fallimento solo al verificarsi degli eventi di cui agli articoli 162, 173, 179 e 180 1.f., a maggior ragione tale effetto impeditivo dovrebbe discendere dalla omologazione del concordato; iii) e’ proprio il vincolo obbligatorio che nasce dall’articolo 184 L. fall., comma 1, ad impedire l’iniziativa dei creditori per la declaratoria di fallimento senza previa risoluzione del concordato; iv) ammettere il cd. “fallimento omisso medio” significa ammettere la coesistenza di due procedure con due distinte masse (quella concordataria originaria e quella fallimentare successiva, che include anche i beni eventualmente non inclusi nella proposta di concordato); v) la provvisoria esecutivita’ del decreto di omologa non definitivo, perche’ soggetto a impugnazione (come nel caso di specie), non e’ sufficiente a giustificare l’ammissione del credito in misura falcidiata; vi) l’ammissione del credito nei limiti della “falcidia” concordataria e’ incompatibile con il concordato liquidatorio, nel quale il debitore mette a disposizione dei creditori il suo patrimonio senza garantire alcuna misura di soddisfacimento.
5. Le controdeduzioni svolte dalla curatela completano il quadro fattuale, nel senso che: a) il ricorso per dichiarazione di fallimento e’ stato depositato da altro creditore concordatario in data 21/04/2016 (v. controricorso, pag. 2); b) nel caso di specie “si trattava di un concordato liquidatorio con assuntore e fideiussore che garantiva “il pagamento dei creditori (…) nella misura e nella percentuale indicata dall’assuntore, entro un anno dall’omologazione del concordato”” (v. controricorso, pag. 15); c) in data 29/03/2019 il decreto di omologa e’ divenuto definitivo, a seguito di rigetto del ricorso per cassazione (v. memoria, pag. 2); d) il termine ultimo per l’adempimento degli obblighi concordatari scadeva un anno dopo l’omologazione del concordato, e quindi il 22/10/2014, sicche’ la domanda di risoluzione poteva essere proposta entro il 22/10/2015 (v. memoria, pag. 2).
6. Preliminarmente va rilevata l’inammissibilita’ – per carenza di interesse – di tutte le argomentazioni svolte dal ricorrente in punto di erroneita’ della dichiarazione di fallimento cd. omisso medio – ossia senza la previa risoluzione del concordato preventivo omologato, promuovibile entro “un anno dalla scadenza del termine fissato per l’ultimo adempimento previsto dal concordato” ex articolo 186 L. fall., comma 3 – poiche’ nel caso di specie il fallimento e’ stato comunque dichiarato, e in questa sede non si verte in tema di reclamo ex articolo 18 L. fall., bensi’ di opposizione allo stato passivo ex articolo 98 L. fall..
7. L’unica questione scrutinabile in questa sede e’ dunque quella, affrontata ex prolesso dal giudice a quo, degli effetti del fallimento omisso medio sull’entita’ – integrale o “falcidiata” – dei crediti concordatari da ammettere al passivo fallimentare; segnatamente se, in assenza di risoluzione, sia comunque possibile una “reviviscenza delle obbligazioni originarie”, esito che il tribunale esclude in quanto l’effetto esdebitatorio del decreto di omologazione del concordato determinerebbe “l’estinzione parziale” dei crediti, “salvo che non intervenga la risoluzione oppure l’annullamento del concordato stesso”.
8. Soccorrono, al riguardo, i principi da ultimo affermati da questa Corte, proprio in tema di ammissione al passivo fallimentare, con sentenza n. 26002 del 17/10/2018, nel senso che occorre distinguere tra due diverse ipotesi: I) “qualora il fallimento sia stato dichiarato quando e’ ancora possibile instare per la risoluzione ex articolo 186 L. fall. della procedura concordataria, i creditori non sono tenuti a sopportare gli effetti esdebitatori e definitivi del concordato omologato, a norma dell’articolo 184 l.ja71., posto che l’attuazione del piano e’ resa impossibile per l’intervento di un evento come il fallimento che, sovrapponendosi al concordato medesimo, inevitabilmente lo rende irrealizzabile”; I1) qualora invece “sia scaduto il termine per la /…) risoluzione del concordato di cui all’articolo 186 L. fall., comma 3, (Cass. n. 29632 / 2017, p. 4) e il piano concordatario si sia dunque consolidato, senza che i creditori (pur potendo) si siano attivati per chiedere la risoluzione, 7 il debitore continua ad essere obbligato al suo adempimento e i creditori (anche nuovi) e il P.M. possono promuovere le iniziative dirette a fare accertare l’insolvenza del debitore “nella citata misura falcidiata” (Cass. ult.)”.
8.1. Tale approdo esprime un’apprezzabile visione di carattere piu’ marcatamente “concorsuale”, rispetto all’approccio “singolare” per cui ogni creditore, instando direttamente (e solo) per il fallimento -nonostante la pendenza del termine decadenziale di proponibilita’ della domanda di risoluzione ex articolo 186 L. fall. – finirebbe per determinare arbitrariamente le sorti dell’ammissione al passivo, in misura falcidiata, per tutti i restanti creditori concordatari, senza che essi siano stati chiamati a interloquire sull’eventuale (e ancora possibile) esercizio dell’azione di risoluzione, che viceversa ne consentirebbe l’ammissione in misura integrale (cfr. in tal senso Cass. 17703/2017 per cui, caduto ogni automatismo tra risoluzione del concordato e fallimento, “il creditore insoddisfatto puo’ presentare istanza di fallimento a prescindere dalla risoluzione del concordato preventivo qualora intenda far valere il credito insoddisfatto nella misura falcidiata dalla proposta”, sicche’ il procedimento per la risoluzione del concordato “andrebbe attivato – previamente o concorrentemente – solo se l’istante facesse valere non il credito nella misura ristrutturata (e dunque falcidiata) ma in quella originaria”).
8.2. Anche il “rimedio” prospettato dal tribunale – che fa “salva la possibilita’ per i creditori” di proporre domanda di risoluzione del concordato, dopo la dichiarazione di fallimento, per conseguire la caducazione del decreto di omologazione provvisoriamente esecutivo e cosi’ “insinuarsi tardivamente per gli eventuali maggiori crediti” – non risulta del tutto appagante, per ragioni non solo teoriche (essendo quantomeno revocabile in dubbio, ai fini della sua ammissibilita’, il carattere di novita’ della domanda tardiva, stante l’identita’ di fatti costitutivi, causa petendi e petitum con quella tempestiva, solo di minore importo) ma anche pratiche (perche’ la successiva caducazione del decreto di omologazione renderebbe necessaria la rivisitazione, in sede tardiva, di tutte le insinuazioni tempestive dei creditori concordatari).
8.3. Di qui la maggiore coerenza logica e sistematica della tesi che consente l’ammissione al passivo fallimentare del credito concordatario nella misura integrale (e non “ristrutturata”) non solo quando la domanda di risoluzione sia stata espressamente proposta da uno dei creditori – unici soggetti (attualmente) legittimati ex articolo 186 L. fall., comma 1 – al verificarsi di un “inadempimento” del concordato “di non scarsa importanza”, ex articolo 186 L. fall., comma 2, ma anche quando, in quello stesso lasso temporale aperto alla risoluzione, uno dei soggetti legittimati insti direttamente per il fallimento, facendo valere una situazione di insolvenza che origina da quelle stesse obbligazioni concordatarie, trattandosi a ben vedere di domanda che implicitamente sottende la risoluzione del concordato in corso di esecuzione, come il piu’ comprende il meno (v. Cass. 26002/2018). Invero, la nozione di inadempimento presupposta in entrambi i casi ha una connotazione oggettiva, che prescinde dal requisito della “imputabilita’” al debitore e si presta quindi ad includere anche l’ipotesi (non espressamente menzionata) della impossibilita’ sopravvenuta.
8.4. Proprio in questa prospettiva e’ stato di recente ribadito che, anche nel sistema concorsuale riformato, “il concordato preventivo deve essere risolto, a norma dell’articolo 186 L. fall., qualora emerga che esso sia venuto meno alla sua funzione di soddisfare i creditori nella misura promessa, a meno che l’inadempimento non abbia scarsa importanza, a prescindere da eventuali profili di colpa del debitore, non trattandosi di un contratto a prestazioni corrispettive ma di un istituto avente una natura negoziale contemperata da una disciplina che persegue interessi pubblicistici e conduce, all’esito dell’omologa, alla cristallizzazione di un accordo di natura complessa ore una delle parti (la massa dei creditori) ha consistenza composita e plurisogettiva” (Cass. 18738/2018).
8.5. Non va nemmeno trascurato che l’insolvenza riveste il carattere della novita’ solo se riferibile ad obbligazioni sopravvenute alla chiusura del procedimento concordatario ex articolo 181 L. fall. – mentre quelle assunte con il concordato sono geneticamente riconducibili alla originaria insolvenza, rimossa con la sua omologazione (Cass. sez. U, 9935 e 9936 del 2015) – e che l’articolo 186 L. fall., comma 4 testimonia il carattere non novativo dell’omologazione, la quale in realta’ non estingue, ma si limita a rendere parzialmente inesigibili i debiti concordatari.
8.6. Come emerge dal decreto impugnato, analoghe questioni potrebbero porsi anche con riguardo all’annullamento del concordato, per il quale l’articolo 138 L. fall., comma 3, richiamato dall’articolo 186 L. fall., comma 5, prevede legittimazione (creditori e commissario giudiziale) e termini di decadenza (“sei mesi dalla scoperta del dolo e, in ogni caso, non oltre due anni dalla scadenza del termine fissato per l’ultimo adempimento previsto nel concordato”) piu’ ampi. Tuttavia in quel caso i presupposti dell’azione (dolosa esagerazione del passivo; sottrazione o dissimulazione di una parte rilevante dell’attivo) sono ben diversi rispetto a quelli dell’accertamento dello stato di insolvenza.
9. Ovviamente, la tesi divisata opera de iure condito, attraverso l’interpretazione delle norme esistenti, ma nulla toglie che, de iure condendo, le medesime finalita’ di tutela del diritto di difesa vengano perseguite in altro modo, ad esempio rendendo obbligatorio – nel procedimento per dichiarazione di fallimento promosso in pendenza dei termini per l’azione di risoluzione del concordato – il contraddittorio nei confronti di tutti i creditori vincolati ai sensi dell’articolo 184 1.f., in vista della loro possibile iniziativa per la caducazione del concordato omologato e la conseguente riespansione del diritto di credito, nella misura originaria.
10. Dalle superiori argomentazioni discende quindi che, ricadendo la fattispecie in esame nella seconda ipotesi contemplata da Cass. 26002/2018 – poiche’ al momento della proposizione dell’istanza di fallimento il termine annuale ex articolo 186 L. fall., comma 3, era ormai decorso -il credito in questione non poteva che essere ammesso nella misura ristrutturata, e per queste ragioni il ricorso va rigettato, previa correzione della motivazione del decreto impugnato, ai sensi dell’articolo 384 c.p.c., comma 4.
11. Segue la condanna di parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, liquidate in dispositivo.
12. Sussistono i presupposti processuali per il cd. raddoppio del contributo unificato ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, (cfr. Cass. Sez. U, 23535/2019; Cass. sez. U, 4315/2020).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 7.000,00 per compensi, oltre a spese forfettarie nella misura del 15 per cento, esborsi liquidati in Euro 100,00 ed accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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