Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 15 maggio 2020, n. 15229.
Massima estrapolata:
In tema di incidente probatorio, la preliminare somministrazione di test psicologici ai minori che devono essere ascoltati, volta a verificare la loro capacità a testimoniare ed in funzione preparatoria nell’approccio agli stessi, non ha natura di atto irripetibile e, come tale, non richiede necessariamente la partecipazione in contraddittorio dei consulenti di parte. (In motivazione la Corte ha precisato che, nella fase di materiale somministrazione di test psicologici ai minori, ciò che rileva è la trasparenza della metodologia adottata e la verificabilità dei protocolli seguiti secondo quanto previsto dall’art. 4 della Carta di Noto).
Sentenza 15 maggio 2020, n. 15229
Data udienza 22 gennaio 2020
Tag – parola chiave: Violenza sessuale – A danno di minore – Istruzione dibattimentale – Esame dei testimoni – Minorenne – Esame del minore – Inosservanza delle linee guide della Carta di Noto – Conseguenze – Individuazione
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROSI Elisabetta – Presidente
Dott. LIBERATI Giovanni – Consigliere
Dott. SCARCELLA Alessio – Consigliere
Dott. NOVIELLO Giuseppe – Consigliere
Dott. ZUNICA Fabio – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza dell’11-07-2018 della Corte di appello di Lecce;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere ZUNICA Fabio;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.ssa BARBERINI Roberta Maria, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso;
udito per il ricorrente l’avvocato (OMISSIS), il quale, anche nella veste di sostituto processuale dell’avvocato (OMISSIS), concludeva per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza dell’11 luglio 2018, la Corte di appello di Lecce confermava la sentenza del 23 gennaio 2013, con cui il Tribunale di Lecce aveva condannato (OMISSIS) alla pena di anni 8 e mesi 6 di reclusione, in quanto ritenuto colpevole del reato di due distinte imputazioni (capi A e B) aventi ad oggetto il reato di cui all’articolo 609 bis c.p., a lui contestato per avere costretto in piu’ occasioni le nipoti (OMISSIS) (capo A) e (OMISSIS), figlie del fratello e minori degli anni 10, a compiere e a subire contro la loro volonta’ atti sessuali, consistiti in toccamenti nelle zone genitali e, nella caso di (OMISSIS), anche nel compimento di una masturbazione e di un rapporto orale, fatti commessi in (OMISSIS).
Con statuizione del Tribunale parimenti confermata dalla Corte di appello, (OMISSIS) veniva altresi’ condannato al risarcimento del danno in favore della madre delle minori, costituita parte civile, da liquidarsi in separato giudizio.
2. Avverso la sentenza della Corte di appello salentina, (OMISSIS), tramite i suoi difensori, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando tre motivi.
Con il primo, la difesa deduce la violazione degli articoli 359, 360 e 191 c.p.p., eccependo l’inutilizzabilita’ dell’accertamento tecnico svolto su incarico del G.I.P. dalla Dott.ssa (OMISSIS), essendosi fondate le sue conclusioni su dei test psicologici svolti senza alcun contraddittorio con la difesa, venendo in rilievo una nullita’ non sanabile e rilevabile in ogni stato e grado del procedimento penale.
Con il secondo motivo, oggetto di doglianza e’ il difetto di motivazione della sentenza impugnata, non avendo la Corte di appello affrontato in modo adeguato i rilievi difensivi, con cui erano state rimarcate le incoerenze nella valutazione dell’attendibilita’ delle persone offese, presentando i rispettivi racconti palesi e non marginali contraddizioni, sia rispetto alla descrizione degli atti sessuali, sia in ordine alla collocazione spazio-temporale dei fatti, in particolare evidenziandosi che alcuna prova era stata raggiunta in ordine al compimento dei rapporti orali, di cui la madre delle bimbe non ha mai parlato.
Con il terzo motivo, infine, il ricorrente censura il diniego dell’attenuante di cui all’articolo 609 bis c.p., comma 3, evidenziando che la Corte di appello non aveva preso in considerazione le deduzioni difensive, con cui era stato rimarcato che, escluso il fantasioso episodio del rapporto orale, le minori avevano parlato solo di toccamenti, peraltro temporalmente circoscritti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso e’ infondato.
1. Iniziando dal primo motivo, deve ritenersi non censurabile il rigetto da parte della Corte territoriale dell’eccezione difensiva riguardante la mancata partecipazione dei consulenti della difesa alla somministrazione dei testi psicologici eseguiti dal perito nominato dal G.I.P. in sede di incidente probatorio. Al riguardo i giudici di secondo grado hanno infatti osservato che le operazioni peritali, volte a verificare la capacita’ di testimoniare delle minori, si sono svolte con la partecipazione del consulente della difesa, che e’ stato quindi messo nella condizione di esaminare e valutare i testi in precedenza somministrati, potendo anche chiederne eventualmente la rinnovazione, il che non e’ avvenuto.
A tali considerazioni, di per se’ pertinenti, deve aggiungersi l’ulteriore e assorbente rilievo che, in realta’, la somministrazione dei test psicologici ai destinatari della verifica peritale costituisce una fase preparatoria nell’approccio ai minori che, in quanto tale, non richiede necessariamente il contraddittorio con i consulenti di tutte le parti, non essendosi in presenza di un “atto irripetibile”. Invero, piu’ che l’attivita’ materiale di somministrazione dei test ai minori, cio’ che rileva e’ la trasparenza della metodologia adottata in tale fase, cio’ al fine di assicurare la costante verifica dei canoni operativi adottati dal perito, dovendosi precisare che la trasparenza, almeno in questa fase preliminare, non e’ assicurata esclusivamente dalla registrazione video o audio dell’attivita’ compiuta, ma e’ garantita soprattutto dalla chiarezza del metodo seguito e dalla professionalita’ del perito nel confronto con i soggetti sottoposti al suo accertamento tecnico.
Del resto, pur nella consapevolezza che le metodiche suggerite della Carta di Noto non sono vincolanti in sede penale, a meno che non siano gia’ trasfuse in disposizioni del codice di rito, con relativa disciplina degli effetti in caso di inosservanza (cfr. ex multis Sez. 3, n. 648 del 11/10/2016, Rv. 268738), deve rilevarsi che la seconda parte dell’articolo 4 della Carta, nella versione aggiornata del 2002, prevede che “qualora il minore sia stato sottoposto a test psicologici, i protocolli e gli esiti della somministrazione devono essere prodotti integralmente e in originale”, ponendo ragionevolmente l’accento sulla necessita’ di rendere l’attivita’ verificabile nella sua proiezione sostanziale e non meramente formale. Alla luce di tale premessa, non vi e’ dunque spazio per l’accoglimento della censura difensiva, tanto piu’ ove si consideri che la stessa si incentra non sulla violazione del dovere di trasparenza del metodo adottato, ma solo sulla mancata partecipazione della difesa alla fase della somministrazione dei test, seguita comunque dall’audizione delle minori svoltasi nel pieno contraddittorio delle parti, non essendo stato in ogni caso chiarito nel ricorso quale pregiudizio difensivo sia derivato in concreto rispetto alla genuinita’ dell’attivita’ compiuta dal perito, dovendosi ribadire comunque che, in sede di incidente probatorio, alcuna contestazione e’ stata sollevata sulla correttezza dell’operato della Dott.ssa (OMISSIS). Di qui l’infondatezza della doglianza.
2. Alla medesima conclusione deve pervenirsi rispetto al secondo motivo. Ed invero, la valutazione dell’attendibilita’ delle persone offese e la conseguente formulazione del giudizio di colpevolezza dell’imputato sono avvenute all’esito di un percorso argomentativo rivelatosi privo di incoerenze, avendo le due conformi sentenze di merito operato innanzitutto un’attenta disamina delle fonti dimostrative raccolte, valorizzando innanzitutto le dichiarazioni rese in sede di incidente probatorio dalle sorelle (OMISSIS) e (OMISSIS), le quali hanno riferito che, quando si trovavano a casa della nonna paterna (OMISSIS), erano state molestate in tempi diversi dallo “zio (OMISSIS)”, ovvero dal fratellastro del padre.
In particolare, (OMISSIS) ha dichiarato che a un certo punto, mentre lei si era sdraiata sul letto per dormire, e’ stata raggiunta dallo zio, fino a poco prima intento a giocare con la play station, il quale le abbassava il pantalone e le mutandine e la toccava “sotto”, continuando anche dopo che ella gli chiese di smettere, dopodiche’ la minore vide sua madre, alla quale racconto’ l’accaduto.
(OMISSIS), a sua volta, riferiva di tre episodi, avvenuti sia a casa della nonna sia in macchina in una stradina di campagna, in occasione dei quali lo zio non solo l’aveva toccata nelle zone intime, ma addirittura l’aveva costretta una volta a masturbarlo e un’altra volta a praticargli un rapporto orale completo.
La minore ha tenuto per se’ questi fatti per molto tempo, decidendosi a rivelarli solo quando la sorella piccola (OMISSIS) aveva parlato degli abusi da lei subiti.
A quel punto ella, dopo una notte insonne, scrisse una lettera alla madre, (OMISSIS), in cui le racconto’ tutto, scatenando una prolungata reazione di pianto nella madre, che ne parlo’ poi al marito all’udienza fissata per la loro separazione. Orbene, i racconti delle persone offese sono stati ritenuti ragionevolmente credibili dai giudici di merito, innanzitutto perche’ lineari, spontanei nell’esposizione e sufficientemente circostanziati, come rilevato anche dal perito (OMISSIS), che, all’esito di una approfondita analisi metodologicamente immune da censure, ha rimarcato la capacita’ delle due bambine di aver saputo elaborare le esperienze vissute, anche in relazione al loro contesto familiare.
La narrazione dei fatti di causa ha trovato in ogni caso significative conferme sia nella lettera consegnata da (OMISSIS) alla madre, risultata genuina anche nel linguaggio non grammaticalmente corretto di una bambina di 11 anni, sia nelle stesse dichiarazioni della madre (OMISSIS), il cui comportamento, peraltro, e’ stato del tutto coerente, posto che, una volta appreso il racconto della figlia (OMISSIS), l’ha subito portata in Ospedale per farla visitare, accusando la minore un lieve bruciore (non vi era stata deflorazione, ma solo un toccamento, il che spiega l’assenza di segni di abuso nel referto), per poi rivolgersi a uno psicologo, il Dott. (OMISSIS), non appena messa a conoscenza degli abusi riferitele dall’altra figlia (OMISSIS), al fine di verificare se la stessa fosse credibile.
Come compiutamente messo in risalto anche dalla Dott.ssa (OMISSIS), non sono inoltre emerse evidenze di una strumentalizzazione delle figlie da parte della madre, tanto e’ vero che, nonostante la crisi coniugale con il marito (OMISSIS), la (OMISSIS) non ha mancato di informare il padre delle figlie, sollecitando anzi la continuazione del loro rapporto, cio’ a conferma dell’assenza di finalita’ ritorsive della donna, sia nei confronti del marito che dell’imputato, avendo anzi quest’ultimo agito con la palese complicita’ della nonna delle vittima, rimasta indifferente alle lamentele rivoltele fin da subito dalla nipote (OMISSIS). Non e’ affatto vero poi che la (OMISSIS) abbia escluso l’esistenza del rapporto orale riferito dalla figlia (OMISSIS), avendo la teste semplicemente chiarito di non aver voluto approfondire con la figlia se, oltre ai toccamenti di cui le aveva parlato, avesse subito altri abusi, cio’ al comprensibile fine di non turbarla ulteriormente. Ne’ appare ravvisabile alcuna incompatibilita’ tra i fatti di causa e il periodo di assenza dell’imputato dal territorio nazionale durante il documentato servizio di leva prestato presso la Marina militare, essendosi quest’ultimo concluso il 2 marzo 2003, ovvero quando la piccola (OMISSIS), nata nel gennaio 1997, aveva da poco compiuto 6 anni, e dunque si trovava nell’epoca in cui risalgono gli episodi illeciti, collocati nell’imputazione appunto quando la minore aveva 6 anni. Quanto alle ulteriori incongruenze segnalate dalla difesa, i giudici di merito ne hanno rimarcato in modo non illogico l’irrilevanza, riguardando le stesse aspetti marginali della vicenda, che invece e’ stata ricostruita nei suoi passaggi essenziali in maniera chiara, non potendosi sottacere che, a fronte di un quadro probatorio rivelatosi solido ed esaustivo, non sono pervenuti elementi di smentita da parte dell’imputato, rimasto legittimamente silente nel corso del processo.
In definitiva, la valutazione dell’attendibilita’ delle persone offese compiuta dai giudici di merito, in quanto fondata su considerazioni non irrazionali e anzi coerenti con la valenza dimostrativa delle fonti probatorie acquisite, non presta il fianco alle censure difensive, formulate in termini assertivi e non adeguatamente specifici, peraltro con frequenti richiami fattuali non consentiti in questa sede.
3. Parimenti infondato e’ il terzo motivo di ricorso.
Ed invero, in senso ostativo alla configurabilita’ dell’ipotesi di minore gravita’, la Corte di appello ha correttamente richiamato sia le modalita’ oggettivamente invasive delle condotte contestate, peraltro commesse in danno di due minori degli anni 10, sia la gravita’ dei danni provocati alle due bambine, aggredite in tenera eta’ nella propria liberta’ sessuale, oltretutto da un loro stretto parente. La mancata applicazione dell’attenuante ex articolo 609 bis c.p., u.c., risulta quindi coerente con la costante interpretazione di questa Sezione (cfr. Sez. 3, n. 23913 del 14/05/2014, Rv. 259196), secondo cui, in tema di violenza sessuale, ai fini della configurabilita’ della circostanza per i casi di minore gravita’, deve farsi riferimento a una valutazione globale del fatto, in cui assumono rilievo i mezzi, le modalita’ esecutive, il grado di coartazione esercitato sulla vittima, le condizioni fisiche e mentali di questa, le sue caratteristiche psicologiche in relazione all’eta’, cosi’ da potere ritenere che la liberta’ sessuale della persona offesa sia stata compressa in maniera non grave, e che il danno arrecato alla stessa anche in termini psichici sia stato significativamente contenuto, il che e’ stato escluso nel caso di specie con argomentazioni tutt’altro che illogiche.
4. In conclusione, stante l’infondatezza delle doglianze sollevate, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., di sostenere le spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalita’ e gli altri dati identificativi, ai sensi del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52, in quanto imposto dalla legge.
Si da’ atto che il presente provvedimento e’ sottoscritto dal solo Presidente del Collegio per impedimento dell’estensore, ai sensi del D.P.C.M. 8 marzo 2020, articolo 1, comma 1, lettera a).
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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