In tema di impugnazioni qualora un’eccezione di merito sia stata respinta in primo grado

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|10 marzo 2021| n. 6583.

In tema di impugnazioni, qualora un’eccezione di merito sia stata respinta in primo grado, in modo espresso o attraverso un’enunciazione indiretta che ne sottenda, chiaramente ed inequivocamente, la valutazione di infondatezza, la devoluzione al giudice d’appello della sua cognizione, da parte del convenuto rimasto vittorioso quanto all’esito finale della lite, esige la proposizione del gravame incidentale, non essendone, altrimenti, possibile il rilievo officioso ex articolo 345, secondo comma, cod. proc. (per il giudicato interno formatosi ai sensi dell’articolo 329, comma 2, cod. proc. civ.), né sufficiente la mera riproposizione; la mancanza di tale riproposizione nel caso di omesso esame della eccezione rende irrilevante in appello l’eccezione, se il potere di sua rilevazione è riservato solo alla parte; se, invece, si tratta di eccezione rilevabile d’ufficio, l’articolo 345, secondo comma, cod. proc. civ. consente al giudice di valutare d’ufficio la questione.

Ordinanza|10 marzo 2021| n. 6583

Data udienza 14 ottobre 2020

Integrale

Tag/parola chiave: Impugnazioni – Appello – Eccezione di merito respinta in primo grado – Gravame incidentale

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SESTINI Danilo – Presidente

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 5256/2019 proposto da:
(OMISSIS) AG, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS);
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 3456/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 12/07/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 14/10/2020 dal Consigliere Dott. GABRIELE POSITANO.

RILEVATO

che:
con atto di citazione del 23 febbraio 2006, la societa’ (OMISSIS) evocava in giudizio, davanti al Tribunale di Nola, (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) esponendo che, con contratto del 30 giugno 1993 concluso con la S.r.l. (OMISSIS) l’attrice si era impegnata ad acquistare merce, per conto della (OMISSIS) da produttori cinesi, anticipandone il pagamento e occupandosi del trasferimento della merce in Italia. Aggiungeva che la (OMISSIS) non avrebbe corrisposto all’attrice le somme anticipate pari a 2.354.206 dollari americani e che, a fronte delle richieste di pagamento, il socio unico ed amministratore della (OMISSIS), (OMISSIS) aveva manipolato le voci del bilancio della sua societa’ riferite al 1996, non facendo risultare il debito nei confronti della societa’ attrice nella sua originaria consistenza (che precedentemente era annotato come pari a Lire 2.812.483.886, oltre a quello riferito ad “altri debiti”, pari all’importo di Lire 958.105.000), ma in quella inferiore, di Lire 84.974.900. Lamentava che (OMISSIS) aveva disconosciuto la sottoscrizione apposta in calce al contratto stipulato con l’attrice. Aggiungeva che, con sentenza del Tribunale di Nola del 20 maggio 2003, n. 994, passata in giudicato, era stata rigettata la domanda di accertamento negativo del credito proposta da (OMISSIS), mentre era stata accolta quella riconvenzionale, accertando un credito di (OMISSIS) pari a dollari 2.354.206. L’attrice aggiungeva che (OMISSIS) e (OMISSIS), quest’ultimo gestore di fatto della societa’ (OMISSIS), avevano costituito una nuova societa’, la S.a.s. (OMISSIS) in data 19 novembre 1997, nella quale avevano fatto confluire le merci acquistate da (OMISSIS) e non pagate. Tali condotte erano state denunziate all’autorita’ penale e il procedimento si era concluso con sentenza del Tribunale penale di Nola dell’11 gennaio 2006 con la quale era stata affermata la responsabilita’ penale dei convenuti, dichiarando prescritto il reato di falso in bilancio, ai sensi dell’articolo 2622 c.c. e articolo 646 c.p.c.. Tutto cio’ premesso, la societa’ (OMISSIS) chiedeva il risarcimento dei danni da reato nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS) e (OMISSIS) quantificati in Euro 5 milioni, oltre rivalutazione e interessi;
il Tribunale di Nola, con sentenza del 20 gennaio 2014, rigettava la domanda;
avverso tale decisione proponeva appello la societa’ (OMISSIS) e si costituivano gli originari convenuti chiedendo il rigetto della impugnazione;
la Corte d’Appello di Napoli, con sentenza del 12 luglio 2018 rigettava l’impugnazione, compensando le spese di lite;
avverso tale decisione propone ricorso per cassazione (OMISSIS) AG affidandosi a tre motivi. Resistono con controricorso, (OMISSIS) e (OMISSIS) e (OMISSIS). Le parti depositano memorie sensi dell’articolo 380 bis c.p.c..
CONSIDERATO
che:
con il primo motivo si lamenta la violazione degli articoli 99, 100, 102, 342, 343, 345 e 346 c.p.c., dell’articolo 2909 c.c. e dell’articolo 24 Cost. e l’omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’articolo 360, nn. 3, 4 e 5. L’eccezione di prescrizione della domanda risarcitoria era stata sollevata dai convenuti (OMISSIS) – (OMISSIS) e rigettata dal Tribunale e, in grado di appello, non era stato proposto appello incidentale e neppure l’eccezione era stata riproposta ai sensi dell’articolo 346 c.p.c., come risulterebbe dalle conclusioni della comparsa di costituzione in appello;
il motivo e’ fondato. A pagina 4 della sentenza impugnata si legge che davanti al giudice di prime cure l’eccezione di prescrizione dell’azione civile era stata dedotta e rigettata dal Tribunale, “ma riproposta espressamente nel presente grado del giudizio, ex articolo 346 c.p.c.”. La societa’ ricorrente trascrive le conclusioni dell’atto di appello di controparte (pagina 8 del ricorso) e, in quelle conclusioni, compare un generico riferimento alla questione della prescrizione, perche’ al punto b) l’avversa domanda viene definita “prescritta al pari di ogni diritto”;
orbene, a prescindere dalla idoneita’ di una siffatta deduzione a costituire riproposizione dell’eccezione di prescrizione, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, gli appellati (OMISSIS) – (OMISSIS) avrebbero dovuto proporre appello incidentale avverso la statuizione del Tribunale di rigetto della eccezione di prescrizione. Conseguentemente, la Corte d’appello, non avrebbe potuto giudicare sulla eventuale prescrizione del diritto al risarcimento del danno, ma e, pertanto, esaminare nel merito il primo e il secondo motivo di appello;
trova, infatti, applicazione il principio affermato da Cass. Sez. U. n. 11799 del 12/05/2017 (Rv. 644305-01) secondo cui, in caso di rigetto esplicito o implicito inequivoco di una eccezione o di un motivo, il convenuto vittorioso e’ tenuto a proporre appello incidentale, mentre, nel caso di eccezione ignorata, direttamente o implicitamente, per il convenuto vittorioso e’ sufficiente la riproposizione esplicita ai sensi dell’articolo 346 c.p.c., con la precisazione che se non c’e’ riproposizione della questione ignorata non e’ sufficiente la mera formulazione della eccezione in appello. Tale regola, subisce una deroga (consentendo anche la formulazione della mera eccezione, senza la riproposizione) nell’ipotesi di eccezione rilevabile d’ufficio con il 345 c.p.c., comma 2;
Infatti, in tema di impugnazioni, qualora un’eccezione di merito sia stata respinta in primo grado, in modo espresso o attraverso un’enunciazione indiretta che ne sottenda, chiaramente ed inequivocamente, la valutazione di infondatezza, la devoluzione al giudice d’appello della sua cognizione, da parte del convenuto rimasto vittorioso quanto all’esito finale della lite, esige la proposizione del gravame incidentale, non essendone, altrimenti, possibile il rilievo officioso ex articolo 345 c.p.c., comma 2 (per il giudicato interno formatosi ai sensi dell’articolo 329 c.p.c., comma 2), ne’ sufficiente la mera riproposizione;
la mancanza di detta riproposizione nel caso di omesso esame della eccezione rende irrilevante in appello l’eccezione, se il potere di sua rilevazione e’ riservato solo alla parte;
se, invece, si tratta di eccezione rilevabile d’ufficio, l’articolo 345 c.p.c., comma 2, consente al giudice di valutare d’ufficio la questione;
nel caso di specie, ricorre certamente la prima ipotesi, trattandosi di eccezione non rilevabile d’ufficio (prescrizione) espressamente rigettata dal Tribunale, che quindi richiedeva un appello incidentale;
la decisione, pertanto, va cassata e il giudice del rinvio dovra’ esaminare il contenuto del primo del secondo motivo di appello;
come dedotto dalla ricorrente, con il primo motivo di appello era stata contestata la decisione del Tribunale per avere esaminato il fatto illecito, costituito dal falso del 30 aprile 1997 riferito al bilancio della societa’ (OMISSIS) sulla base del nuovo testo dell’articolo 2621 c.c., in luogo della previgente fattispecie del falso in bilancio. Con il secondo motivo, era stato dedotto che, anche il nuovo testo dell’articolo 2621 c.c., avrebbe consentito di configurare il reato, in quanto (OMISSIS) non avrebbe versato alla societa’ l’importo relativo alla merce acquistata, ne’ pagato i produttori cinesi, commettendo – secondo la parte appellante – il delitto di falso, consistito nell’annullamento delle voci di bilancio relative al debito verso fornitori e verso altri. Infine, era stata anche contestata la qualificazione di falso qualitativo ritenuta dal Tribunale, mentre la condotta dei convenuti sarebbe stata unica, perche’ il falso in bilancio sarebbe stato lo strumento con il quale i convenuti avevano sottratto le merci acquistate dalla (OMISSIS). In sostanza, l’illecito dei tre soci costituiva la condizione per evitare il pagamento del credito;
tali questioni non sono state esaminate dalla Corte territoriale che, invece, ha preliminarmente preso in considerazione il tema della prescrizione del diritto di credito sollevato dalla difesa degli appellati, rilevando che il termine di cinque anni era gia’ decorso, tra la data di consumazione del reato, da riferire al momento in cui era stata tenuta l’assemblea (30 aprile 1997) e quella di costituzione di parte civile (4 luglio 2002);
con il secondo motivo si lamenta la violazione degli articoli 99, 100, 115 e 116 c.p.c., nonche’ degli articoli 2945, 2947, 2909, 2043, 2621, 2622 c.c. e articolo 11 preleggi, nonche’ degli articoli 15 e 157 c.p.c. e del Decreto Legislativo 11 aprile 2002, n. 61 e l’omesso esame fatto decisivo, ai sensi dell’articolo 360, nn. 3 e 5. Al momento di commissione del fatto reato di false comunicazioni sociali, riferito alla data del 30 aprile 1997, di approvazione del bilancio dell’anno sociale 1996, il termine di prescrizione era di 10 anni ai sensi dell’articolo 157 c.p.c., trattandosi di reato punito con la pena di cinque anni.
Conseguentemente ai sensi dell’articolo 2947 c.c., comma 3, il termine di prescrizione dell’azione civile era di 10 anni. Cio’ in quanto, agli effetti civilistici non opera il principio di retroattivita’ della norma piu’ favorevole (che ha modificato l’articolo 2622 c.c.). La questione relativa all’applicazione del termine di prescrizione del reato di false comunicazioni sociali nella formulazione vigente all’epoca dei fatti non sarebbe stata presa in esame dalla Corte territoriale. In ogni caso, anche applicando il termine riferito al novellato articolo 2622 c.c., il giudice avrebbe dovuto fare riferimento a quello di sette anni e mezzo fissato dal collegio in applicazione del principio del “favor rei”;
atteso l’accoglimento del primo motivo, la seconda censura e’ assorbita;
con il terzo motivo si lamenta la violazione degli articoli 99, 100, 112, 115, 116, 132, 163, 183 e 242 c.p.c., oltre che dell’articolo 646 c.p.c. e degli articoli 1225, 832, 1362, 2043, 2786 e 1996 c.c., nonche’ dell’articolo 467 codice navale e del Decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, oltre all’omesso esame di un fatto decisivo, con riferimento all’articolo 360, nn. 3, 4 e 5. Nell’esaminare il terzo e quarto motivo di appello, la Corte territoriale avrebbe affermato l’inammissibilita’ della censura per novita’ della questione, in quanto il Tribunale, per valutare differentemente la domanda su una diversa qualificazione dei fatti, avrebbe dovuto esaminare gli elementi costitutivi dei reati che, per l’appropriazione indebita, la truffa ed il falso in bilancio, certamente sono diversi tra loro. Parte appellante, secondo la Corte territoriale, avrebbe dovuto dimostrare di avere precisato quelle circostanze fattuali gia’ con l’atto di citazione;
la Corte avrebbe errato nel ritenere nuovi i fatti dei quali si chiede una diversa valutazione, quando, invece, quelle indicate in citazione sarebbero state le medesime condotte che avevano dato luogo all’originaria contestazione di truffa, ai sensi dell’articolo 640 c.p. e di falso in bilancio, ai sensi dell’articolo 2621 c.c., che ben avrebbero consentito una diversa valutazione delle condotte penali in termini di appropriazione indebita. Per fare cio’ il giudice civile di primo grado avrebbe potuto utilizzare le prove raccolte nel giudizio penale, eventualmente valutando diversamente il contenuto della denunzia querela;
il motivo e’ inammissibile perche’ non e’ specifico e non coglie la ratio decidendi. La Corte d’appello ha affermato che le condotte penalmente rilevanti relative ai reati di falso in bilancio e truffa sono differenti rispetto agli elementi costitutivi del reato di appropriazione indebita, ai sensi dell’articolo 646 c.p.c. e che l’odierna ricorrente, in sede di appello, non aveva dimostrato di avere “precisato quali circostanze fattuali (da indicare nella citazione di primo grado) avrebbero giustificato l’inquadramento della domanda sotto un reato diverso da quello della truffa” (pagina 7-8 della sentenza impugnata). Pertanto, la ricorrente avrebbe dovuto, nel rispetto dell’articolo 366 c.p.c., n. 6, trascrivere il contenuto dell’atto di citazione al fine di dimostrare di avere allegato i medesimi elementi fattuali costituenti i presupposti del reato di appropriazione indebita, cosi’ provando di avere sottoposto al giudice di primo grado quella differente qualificazione dei fatti penalmente rilevanti;
sotto tale profilo e’ inconferente il riferimento alla possibilita’ per il giudice civile di utilizzare le prove atipiche raccolte nel giudizio penale, poiche’ tale principio non consente di superare il rilievo preliminare posto a sostegno della decisione di appello;
con la seconda parte del terzo motivo (pagina 26 del ricorso), si contesta, altresi’, l’interpretazione del contratto di confirming house concluso tra le parti in quanto la Corte d’Appello non avrebbe tenuto in considerazione i motivi di impugnazione, ma avrebbe aderito in maniera acritica alla tesi del Tribunale. Al contrario, le parti avevano costituito in favore della banca (OMISSIS) un pegno documentale sulle merci acquistate e avevano previsto la possibilita’, per (OMISSIS), di ottenere un finanziamento temporaneo, in cui la garanzia era costituita dalle merci “viaggianti”. La complessita’ del contratto non consentiva il suo inquadramento nello schema negoziale del mandato senza rappresentanza, ma conteneva certamente elementi propri del finanziamento, con l’utilizzazione dell’anticipazione bancaria concessa dall’istituto di (OMISSIS). In tale meccanismo la restituzione del finanziamento era garantita dal pegno documentale esistente sulle merci oggetto delle importazioni, che si concretizzavano nella polizza di carico e nelle fatture accompagnatorie. Pertanto, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte d’appello, il soggetto legittimato ad esercitare il diritto sulle merci, non sarebbe l’istituto di credito, ma la societa’ ricorrente e cio’ indipendentemente dalla collocazione fisica della merce, in quanto i profili rilevanti avrebbero dovuto essere rinvenuti nella polizza di carico e nel pegno documentale iscritto sulla medesima polizza;
la seconda parte del motivo consiste in una censura all’interpretazione del contratto concluso tra le parti, ma dedotto senza menzionare alcuno dei criteri ermeneutici e per tale motivo e’ inammissibile;
costituisce, infatti, principio consolidato quello secondo cui l’interpretazione di un atto negoziale e’ tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimita’, se non nell’ipotesi di violazione dei canoni legali di emeneutica contrattuale, di cui agli articoli 1362 c.c. e segg., o di motivazione inadeguata, ovverosia non idonea a consentire la ricostruzione dell'”iter” logico seguito per giungere alla decisione. Pertanto, onde far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d’interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti, ma occorre, altresi’, precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato, con l’ulteriore conseguenza dell’inammissibilita’ del motivo di ricorso che si fondi sull’asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realta’, nella proposta di una interpretazione diversa;
nel caso di specie, al contrario, la ricorrente si limita a richiamare nella rubrica le norme in tema di interpretazione del contratto, ma, in concreto, non individua alcuna violazione di tali specifiche disposizioni e non contesta le argomentazioni della Corte territoriale, limitandosi a prospettare una ricostruzione alternativa e piu’ favorevole inserendo, peraltro, una serie di elementi fattuali dedotti in violazione dell’articolo 366 c.c., n. 6 (il contenuto della polizza di carico, il testo delle fatture accompagnatori e delle merci ecc);
ne consegue che il primo motivo deve essere accolto, il secondo motivo e’ assorbito ed il terzo e’ inammissibile; la sentenza va cassata con rinvio, atteso che, in forza della decisione preliminare con la quale e’ stato dichiarato prescritto il diritto, non erano stati esaminati il primo e il secondo motivo di appello, dei quali dovra’ evidentemente occuparsi il giudice di rinvio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo, assorbito il secondo ed inammissibile il terzo;
cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimita’, alla Corte d’Appello di Napoli, in diversa composizione.

 

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