In tema di impugnazione del riconoscimento di paternità

Corte di Cassazione, sezione prima civile, Ordinanza 24 febbraio 2020, n. 4791.

La massima estrapolata:

In tema di impugnazione del riconoscimento di paternità ex art. 263 c.c., la mancata contestazione della madre naturale in ordine alla non paternità dell’autore del riconoscimento non ha la valenza probatoria prevista dall’art. 115 c.p.c., poiché, vertendosi in ambito di diritti indisponibili, sugli stessi non è ammesso alcun tipo di negoziazione o rinunzia.

Ordinanza 24 febbraio 2020, n. 4791

Data udienza 5 dicembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere

Dott. SCALIA Laura – Consigliere

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 27606/2018 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS), giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
contro
(OMISSIS);
– intimata –
avverso la sentenza n. 2846/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO, pubblicata il 08/06/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 05/12/2019 dal cons. Dott. IOFRIDA GIULIA.

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Milano, con sentenza n. 2846/2018, depositata in data 8/6/2018, – in controversia concernente l’impugnazione, proposta ex articolo 263 c.c. da (OMISSIS), per difetto di veridicita’, del riconoscimento di paternita’ effettuato dal medesimo nei confronti di (OMISSIS), nato a (OMISSIS) da (OMISSIS), – ha riformato la decisione di primo grado, che aveva accolto il ricorso, sulla base di indagini genetiche effettuate dal padre naturale, in difetto di contestazione specifica della madre e stante il rifiuto di quest’ultima e del figlio di sottoporsi a perizia medico-legale.
In particolare, i giudici d’appello hanno sostenuto che la domanda di (OMISSIS) non poteva essere accolta sia in mancanza di prova certa in ordine alla non paternita’ dedotta sia perche’ contraria all’interesse preminente del figlio (OMISSIS) (divenuto maggiorenne in pendenza del giudizio), sulla base dei principi affermati dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 272/2017, avendo quest’ultimo ribadito, nella sua audizione, la volonta’ di mantenere la propria identita’ di figlio di (OMISSIS), unica figura paterna da lui conosciuta e che lo ha cresciuto, pur senza convivenza con la madre (OMISSIS), sia a livello emotivo, sia a livello educativo, ed i diritti a tale status conseguenti.
Avverso la suddetta pronuncia, (OMISSIS) propone ricorso per cassazione, notificato il 28/09/2018, affidato a due motivi, nei confronti di (OMISSIS) (che resiste con controricorso) e di (OMISSIS) (che non svolge attivita’ difensiva).
Il ricorrente ha depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta, con il primo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex articolo 360 c.p.c., n. 4, dell’articolo 263 c.c., articoli 113, 115, 116 e 118 c.p.c., in relazione alla statuizione in ordine al mancato raggiungimento della prova circa la non veridicita’ della paternita’ naturale di (OMISSIS), correttamente desunta in primo grado sia dal difetto di contestazione da parte della madre naturale (OMISSIS) della mancata convivenza con il (OMISSIS) e della non reale paternita’ naturale di quest’ultimo, sia, ex articolo 116 c.p.c., dal rifiuto ingiustificato di madre e figlio di sottoporsi a consulenza tecnica; con il secondo motivo,gii denuncia poi, sempre ex articolo 360 c.p.c., n. 4, la violazione e falsa applicazione dell’articolo 263 c.c., per avere la Corte di merito ritenuto apoditticamente preminente l’interesse del figlio come ostacolo all’accoglimento della domanda dell’attuale ricorrente (senza ad es. considerare il rifiuto manifestato dal figlio di mantenere il cognome (OMISSIS)).
2. Le censure, da esaminarsi congiuntamente, in quanto connesse, sono infondate.
L’impugnativa del riconoscimento per difetto di veridicita’ mira a sanare un contrasto tra la realta’ documentata nell’atto e la realta’ del rapporto di filiazione.
L’azione di stato, ex articolo 263 c.c., postula, secondo indirizzo tradizionale di questa Corte (Cass. 4462/2003; Cass. 17095/2013; Cass. 17970/2015), ” la dimostrazione della assoluta impossibilita’ che il soggetto che abbia inizialmente compiuto il riconoscimento sia, in realta’, il padre biologico del soggetto riconosciuto come figlio”.
Il rigoroso principio e’ stato di recente (Cass. 30122/2017; Cass. 18140/2018) rimeditato, essendosi precisato che “stante la nuova disciplina introdotta dalle riforme del 2012 e 2013 in materia di filiazione – non essendo piu’ attuali le ragioni che le avevano dato origine, sostanzialmente fondate sul disvalore di un concepimento al di fuori del matrimonio, e dunque sulla ritenuta natura confessoria del riconoscimento della susseguente nascita, assunta, appunto, come una “colpa” di chi lo aveva effettuato – la prova della “assoluta impossibilita’ di concepimento” non e’ diversa rispetto a quella che e’ necessario fornire per le altre azioni di stato, richiedendo il diritto vigente che sia il “favor veritatis” ad orientare le valutazioni da compiere in tutti i casi di accertamento o disconoscimento della filiazione”. Tuttavia, rimane ferma la necessita’, senza prevalenza del “favor veritatis” sul “favor minoris”, di “un bilanciamento fra il diritto all’identita’ personale legato all’affermazione della verita’ biologica anche in considerazione delle avanzate acquisizioni scientifiche nel campo della genetica e dell’elevatissimo grado di attendibilita’ dei risultati delle indagini – e l’interesse alla certezza degli “status” ed alla stabilita’ dei rapporti familiari, nell’ambito di una sempre maggiore considerazione del diritto all’identita’ personale, non necessariamente correlato alla verita’ biologica ma ai legami affettivi e personali sviluppatisi all’interno di una famiglia”, occorrendo un accertamento in concreto dell’interesse superiore del minore nelle vicende che lo riguardano, con particolare riferimento agli effetti del provvedimento richiesto in relazione all’esigenza di un suo sviluppo armonico dal punto di vista psicologico, affettivo, educativo e sociale (Cass. 26767/2016; Cass., 8617/2017, in motivazione).
La Corte Costituzionale, nella sentenza n. 272/2017, ha peraltro affermato, in relazione alla ritenuta non fondatezza della questione di legittimita’ costituzionale dell’articolo 263 c.c., sollevata in riferimento agli articolo 2, 3, 30, 31 Cost. e articolo 117 Cost., comma 1, quest’ultimo in relazione all’articolo 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali, nella parte in cui non prevede che l’impugnazione del riconoscimento del figlio minore per difetto di veridicita’ possa essere accolta solo quando sia rispondente all’interesse dello stesso, che “il giudice chiamato a pronunciarsi sull’impugnazione del riconoscimento del figlio naturale concepito tramite maternita’ surrogata e’ sempre tenuto ad effettuare una valutazione comparativa tra interesse alla verita’ e interesse del minore”, dovendosi escludere che l’accertamento della verita’ biologica e genetica dell’individuo costituisca un valore di rilevanza costituzionale assoluta, tale da sottrarsi a qualsiasi bilanciamento (nella specie, successivamente alla trascrizione in Italia del certificato di nascita, regolarmente formato all’estero, di un bambino, riconosciuto come figlio naturale di una coppia di cittadini italiani che aveva fatto ricorso, all’estero, alla surroga di maternita’, era stato instaurato un procedimento civile, tra il curatore speciale del minore e la madre committente, di impugnazione del riconoscimento materno per difetto di verita’; il Tribunale aveva accolto la domanda, sulla base del favor veritatis, ritenuto unico presupposto dell’azione ex articolo 263 c.c.; la Corte d’appello, invece, aveva dubitato della legittimita’ costituzionale di tale norma, in quanto non contemplante l’interesse del figlio, che talvolta si esprime in senso contrario alla perdita del proprio stato, pur non veritiero). La Consulta, nella sentenza interpretativa di rigetto, ha precisato che l’equazione “verita’ naturale:interesse del minore” non e’ piu’ predicabile in termini assoluti nell’attuale contesto giuridico, dovendosi bilanciare la verita’ della procreazione con l’interesse concreto del minore alla conservazione dello status di figlio, ed ha indicato, tra gli elementi di cui il giudice deve tener conto nel suddetto bilanciamento, la durata del rapporto instauratosi tra il minore e il genitore contestato, le modalita’ del concepimento e della gestazione, “la presenza di strumenti legali che consentano la costituzione di un legame giuridico col genitore contestato che, pur diverso da quello derivante dal riconoscimento, quale e’ l’adozione in casi particolari, garantisca al minore una adeguata tutela”.
Sul versante istruttorio, la prova in materia di impugnazione del riconoscimento non deve esser diversa rispetto all’istituto affine, anch’esso volto alla rimozione dello status filiationis, del disconoscimento della paternita’. Non vi sono limitazioni probatorie ed e’ ammissibile il ricorso anche a presunzioni semplici (Cass. 1507/1978; Cass. 3976/2002). In materia di accertamenti relativi alla paternita’ e alla maternita’, la giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 3563 del 2006; n. 14462 del 2008; n. 23290 del 2015; n. 18626 del 2017) ha poi affermato che la consulenza tecnica immunoematologica costituisce lo strumento piu’ idoneo, avente margini di sicurezza elevatissimi, per l’acquisizione della conoscenza del rapporto di filiazione naturale e che, data la particolare valenza di tale accertamento, il rifiuto di sottoporvisi integra una scelta non coercibile ma suscettibile di esser valutata, ai sensi dell’articolo 116 c.p.c. in modo tendenzialmente coerente con il grado di efficacia probatoria dell’esame, sempre che, tuttavia, il rifiuto stesso risulti aprioristico ed ingiustificato.
Ora, nei due motivi, rubricati come vizi procedurali, ex articolo 360 c.p.c., n. 4, per violazione sua dell’articolo 263 c.p.c. sia dei principi in materia di valutazione delle risultanze processuali (articoli 113, 115, 116 e 118 c.p.c.), il ricorrente censura le due affermazioni che sorreggono la decisione impugnata, di rigetto dell’impugnazione del riconoscimento di paternita’ proposta dall’autore del riconoscimento, vale a dire: a) il difetto di prova della non paternita’ dedotta, il cui onere ricadeva sull’attore, avendo, al contrario, il medesimo offerto una prova rappresentata da un’indagine genetica che escludeva la paternita’, a fronte di altri elementi indiziari, desumibili dal rifiuto opposto dalla madre naturale, anche per il figlio, minore all’epoca, figlio (OMISSIS) (avendo la stessa negato il proprio consenso al prelievo di un campione biologico per il figlio, malgrado, in primo grado, il curatore speciale dell’allora minore avesse dichiarato di convenire sulla necessita’ della consulenza tecnica d’ufficio), rifiuto confermato dallo stesso figlio, in sede di audizione allorche’ aveva sedici anni, di sottoporsi ad esame ematogenetico, nell’ambito della consulenza tecnica d’ufficio disposta in primo grado, e dal fatto che la (OMISSIS) non aveva mai contestato la circostanza, dedotta dal (OMISSIS), circa la mancata convivenza tra i due e circa la non effettiva paternita’ naturale, il che rendeva superfluo provarli; b) la contrarieta’, affermata, all’interesse del figlio della dichiarazione di non paternita’, nel senso voluto dall’attore (OMISSIS).
Ma il ragionamento espresso dalla Corte d’appello risulta conforme ai principi di diritto anche da ultimo condivisi da questa Corte e dalla Corte Costituzionale, con riguardo in particolare alla ratio decidendi improntata al necessario bilanciamento tra accertamento della realta’ della procreazione ed interesse concreto del minore, e quindi la sentenza impugnata merita conferma.
Invero, quanto alla non contestazione dei fatti costitutivi dell’azione da parte della madre naturale, come obiettato dal controricorrente, in realta’ vertendosi in ambito di diritti indisponibili, il principio di non contestazione, vertente sui fatti costitutivi dell’azione (nella specie la non paternita’ dell’autore del riconoscimento, attore nel giudizio di impugnazione per difetto di veridicita’) non opera nel senso voluto dal ricorrente. Questa Corte (Cass. 8087/1998; Cass. 4462/2003) ha infatti chiarito che, in materia di diritti indisponibili, “non e’ ammesso alcun tipo di negoziazione o di rinunzia”, con conseguente inammissibilita’, nel giudizio di disconoscimento della paternita’, dell’interrogatorio formale della moglie, diretto a dimostrare unicamente l’insussistenza del rapporto di paternita’ biologica, per la impossibilita’ di attribuire valore confessorio alle eventuali dichiarazioni della moglie stessa, impossibilita’, sancita in via generale dall’articolo 2733 c.c., comma 2, il quale esclude che la confessione giudiziale faccia prova contro colui che l’ha resa se verta su fatti relativi a diritti non disponibili. Sempre questa Corte (Cass. 21075/2016), in generale, ha precisato che l’onere di contestazione in ordine ai fatti costitutivi del diritto si coordina con l’allegazione dei medesimi e, considerato che l’identificazione del tema decisionale dipende in pari misura dall’allegazione e dall’estensione delle relative contestazioni o non contestazioni, ne consegue che l’onere di contribuire alla fissazione del “thema decidendum” opera identicamente rispetto all’una o all’altra delle parti in causa, sicche’, a fronte di una generica deduzione da parte del ricorrente, la difesa della parte resistente non puo’ che essere altrettanto generica, e pertanto idonea a far permanere gli oneri probatori gravanti sulla controparte (cfr. anche Cass. 21847/2014: “in ordine al principio di non contestazione, il sistema di preclusioni del processo civile tuttora vigente e di avanzamento nell’accertamento giudiziale dei fatti mediante il contraddittorio delle parti, se comporta per queste ultime l’onere di collaborare, fin dalle prime battute processuali, a circoscrivere la materia controversa, evidenziando con chiarezza gli elementi in contestazione, suppone che la parte che ha l’onere di allegare e provare i fatti anzitutto specifichi le relative circostanze in modo dettagliato ed analitico, cosi’ che l’altra abbia il dovere di t prendere posizione verso tali allegazioni puntuali e di contestarle ovvero di ammetterle, in mancanza di una risposta in ordine a ciascuna di esse”).
Ne consegue che correttamente e’ stato escluso ogni rilievo alla difesa svolta dalla madre interveniente, a fronte di un difetto di allegazione e prova della non paternita’ da parte dell’attore.
Quanto poi alla valenza probatoria degli esami emato-genetici fatti eseguire dall’attore (OMISSIS), la stessa era stata contestata dalle altre parti del giudizio e, stante la mai chiarita provenienza dei campioni biologici utilizzati, la Corte d’appello ha ritenuto tale elemento privo di significato probatorio. Quanto al vaglio del rifiuto del convenuto figlio (e della madre naturale) di sottoporsi ai necessari prelievi, lo stesso e’ stato ritenuto dalla Corte non ingiustificato, in quanto, con rifermento al rifiuto opposto dal figlio, anche allorche’ era divenuto maggiorenne (in appello), correlato all’intenzione di resistere ad un’azione ritenuta per lui fonte di particolare sofferenza.
In relazione poi al necessario, alla luce anche dell’interpretazione dell’articolo 263 c.c. data dalla Corte Costituzionale nella pronuncia 2017, bilanciamento tra il favor veritatis e l’interesse del figlio, la Corte d’appello ha ritenuto che, a fronte di una verita’ biologica non provata in giudizio e meramente allegata in forma dubitativa dall’attore, fosse preminente l’interesse chiaramente manifestato dal figlio, capace di discernimento, essendo quindicenne al momento dell’instaurazione della lite, al mantenimento della propria identita’ (avendo peraltro concluso il Curatore del minore anche per il mantenimento del cognome paterno), con il riferimento genitoriale paterno sino ad allora conosciuto, rappresentando il (OMISSIS), anche a causa della lunga durata del legame affettivo, l’unica figura paterna conosciuta, che, pur senza convivenza con la madre naturale, lo ha cresciuto sia a livello emotivo, sia a livello educativo.
3. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso; condanna il ricorrente, al rimborso delle spese processuali del presente giudizio di legittimita’ in favore del controricorrente, liquidate in complessivi Euro 6.000,00, a titolo di compensi, oltre Euro 200,00 per esborsi, nonche’ al rimborso forfetario spese generali nella misura del 15% ed agli accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.
Dispone che, ai sensi del Decreto Legislativo n. 198 del 2003, articolo 52 siano omessi le generalita’ e gli altri dati identificativi, in caso di diffusione del presente provvedimento.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

Per aprire la pagina facebook @avvrenatodisa
Cliccare qui

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *