Corte di Cassazione, penale, Sentenza|17 febbraio 2021| n. 6172.
In tema di giudizio di revisione, nel caso in cui la richiesta si fondi sull’inconciliabilità tra giudicati ai sensi dell’articolo 630, comma 1, lettera a), del codice di procedura penale, il controllo giurisdizionale che può condurre alla declaratoria dell’inammissibilità dell’istanza per manifesta infondatezza deve avere a oggetto la verifica dell’irrevocabilità della sentenza che si vuole abbia introdotto il fatto antagonista e la mera pertinenza di tale decisione ai fatti oggetto del giudizio di condanna, non potendo tale controllo estendersi alla “tenuta” della sentenza oggetto della domanda di revisione rispetto ai contenuti della ulteriore pronuncia, che va obbligatoriamente realizzato in contraddittorio.
Sentenza|17 febbraio 2021| n. 6172
Data udienza 17 dicembre 2020
Integrale
Tag – parola chiave: Corruzione – Incompatibilità tra giudicati – Condanna del corruttore – Mancata valutazione dell’assoluzione del pubblico ufficiale corrotto – Trattasi di reato a concorso necessario
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI NICOLA Vito – Presidente
Dott. GALTERIO Donatella – Consigliere
Dott. DI STASI Antonella – Consigliere
Dott. CORBETTA Stefano – rel. Consigliere
Dott. GAI Emanuele – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 03/06/2020 della Corte di appello di Roma;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere CORBETTA Stefano;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale MARINELLI Felicetta, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con l’impugnata ordinanza, la Corte di appello di Roma dichiarava inammissibile l’istanza di revisione presentata ai sensi dell’articolo 630 c.p.p., comma 1, lettera a), nell’interesse di (OMISSIS) in relazione alla sentenza emessa dal G.i.p. del Tribunale di Napoli il 15 settembre 2016, riformata dalla Corte di appello di Napoli, irrevocabile il 21 agosto 2016, che ha condannato il (OMISSIS) alla pena di anni due, mesi due e giorni venti di reclusione in ordine al reato ex articoli 110, 319 e 321 c.p., contestatogli al capo 9) della rubrica.
2. Avverso l’indicata sentenza, (OMISSIS), per il ministero del difensore di fiducia e procuratore speciale, propone ricorso per Cassazione affidato a un motivo, con cui lamenta la violazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) e lettera e), in relazione all’articolo 630 c.p.p., comma 1, lettera a) e articolo 125 c.p.p., comma 3. Assume il ricorrente che i fatti posti a fondamento dell’affermazione di penale responsabilita’, in relazione ai quali e’ stato definitivamente condannato, si porrebbero in contrasto con quelli accertati con la sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere del 9 gennaio 2018, la quale ha definitivamente assolto, perche’ il fatto non sussiste, l’agente di polizia penitenziaria (OMISSIS), nella veste di soggetto corrotto, dallo stesso reato di cui gli articoli 110, 319 e 321 c.p., contestato al (OMISSIS), quale corruttore.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ fondato per i motivi e nei termini di seguito indicati.
2. E’ dirimente osservare che la Corte d’appello ha errato nel dichiarare con ordinanza, secondo la procedura de plano prevista dall’articolo 634 c.p.p., comma 1, l’inammissibilita’ dell’istanza di revisione, la quale non e’ stata emessa fuori dalle ipotesi previste dagli articoli 629 e 630 c.p.p., ovvero senza l’osservanza della disposizioni previste dagli articolo 631, 632, 633 e 641, ne’ appare ictu oculi manifestamente infondata.
3. Invero, come affermato da questa Corte, in tema di giudizio di revisione, nel caso in cui la richiesta si fondi sull’inconciliabilita’ tra giudicati ai sensi dell’articolo 630 c.p.p., comma 1, lettera a), il controllo giurisdizionale che puo’ condurre alla declaratoria dell’inammissibilita’ dell’istanza per manifesta infondatezza deve avere ad oggetto la verifica dell’irrevocabilita’ della sentenza che si vuole abbia introdotto il fatto antagonista e la mera pertinenza di tale decisione ai fatti oggetto del giudizio di condanna, non potendo tale controllo estendersi alla “tenuta” della sentenza oggetto della domanda di revisione rispetto ai contenuti della ulteriore pronuncia, che va obbligatoriamente realizzato in contraddittorio (Sez. 1, n. 50460 del 25/05/2017, dep. 06/11/2017, Sciume’, Rv. 271821).
3. La Corte d’appello, invece, ha dichiarato l’inammissibilita’ dell’istanza sul presupposto che si tratti di soltanto di “una diversa valutazione sui medesimi fatti su cui le due sentenze si fondano” (p. 8 dell’ordinanza impugnata), ossia quella di condanna per il (OMISSIS), quale privato corruttore, e quella di assoluzione per l’ (OMISSIS), nella veste di pubblico ufficiale corrotto.
Cosi’ facendo, la Corte d’appello non solo ha esteso il controllo sulla tenuta della sentenza di condanna, rispetto ai fatti accertati con la sentenza definita di assoluzione nei confronti del soggetto in ipotesi corrotto, ma ha anche omesso di considerare che, nella vicenda in esame, si e’ in presenza di un reato a concorso necessario, il quale esige, per la sussistenza del fatto oggetto di incriminazione, la presenza indefettibile di almeno due soggetti, vale a dire il privato corruttore e il pubblico ufficiale corrotto.
Le sentenze in esame, pertanto, approdando a risultati divergenti in ordine alla sussistenza del fatto, non contengono semplicemente valutazioni giuridiche differenti, bensi’ rilevano ai fini della revisione ai sensi dell’articolo 630 c.p.p., comma 1, lettera a), venendo meno gli elementi costitutivi del reato, a concorso necessario, oggetto della sentenza di cui si chiede la revisione.
Questa Corte, del resto, ha affermato il principio, pur con riferimento alla sentenza ex articolo 444 c.p.p., ma estensibile per identita’ di ratio al caso in esame, secondo cui e’ suscettibile di revisione, a norma dell’articolo 630 c.p.p., comma 1, lettera a), la sentenza irrevocabile di applicazione della pena emessa ai sensi dell’articolo 444 c.p.p. nei confronti del privato corruttore, nel caso di passaggio in giudicato della sentenza di del delitto di corruzione, posta l’inconciliabilita’ delle due pronunce per l’impossibilita’ assoluzione per insussistenza del fatto a carico del pubblico ufficiale imputato di ipotizzare il predetto reato in assenza dell’attivita’ coordinata del corruttore e del corrotto. (Conf. sent. n. 23683 del 2015, non mass.). (Sez. 6, n. 23682 del 14/05/2015 – dep. 03/06/2015, Russo e altro, Rv. 263842).
4. Analoghe conclusioni sono state affermate con riferimento ad altre figure di reato necessariamente plurisoggettive, come le fattispecie associative, per la cui sussistenza e’ richiesta la partecipazione di almeno tre persone: l’esclusione della presenza del numero minimo di partecipanti all’associazione richiesto dalla legge per effetto di una sentenza definitiva assolutoria implica non un semplice contrasto valutativo in relazione alle posizioni dei coimputati del medesimo reato definitivamente condannati, ma il venir meno degli stessi elementi costitutivi del reato oggetto della sentenza di cui si chiede la revisione.
Si e’ difatti affermato che, in tema di revisione, il fatto dell’esistenza dell’associazione per delinquere di stampo mafioso posto a fondamento della sentenza di condanna, o di applicazione della pena, nei confronti di un associato, non puo’ conciliarsi con altra sentenza penale irrevocabile che assolva, “perche’ il fatto non sussiste”, tutti gli altri imputati della stessa associazione (Sez. 1, n. 43516 del 06/05/2014 – dep. 17/10/2014, Cavallari, Rv. 26070201; Sez. 6, n. 695 del 03/12/2013 – dep. 10/01/2014, Gullo e altri, Rv. 25784901).
5. La Corte d’appello, pertanto, avrebbe dovuto verificare l’applicabilita’ dei principi ora ricordati nel contraddittorio tra le parti, verificando, in particolare, se i fatti accertati con la sentenza di condanna siano o meno conciliabili con quelli accertati dalla sentenza assolutoria, con la formula perche’ il fatto non sussiste, laddove in quest’ultima si e’ affermato che “il positivo accertamento in merito al fatto che (OMISSIS) aveva avuto contatti con diversi soggetti non consente di affermare con certezza che l’importo di Euro 200 a cui fa riferimento (OMISSIS) come somma che (OMISSIS) doveva inserire nella busta unitamente agli oggetti a lui destinati fosse stata concordata con (OMISSIS), piuttosto che con altri soggetti a cui si fa riferimento nel corso delle conversazioni” (p. 14 della sentenza del Tribunale di Santa Maria C.V.)
Si tratta di valutazioni di fatto che la Corte territoriale avrebbe dovuto introdurre nella fase del giudizio, sottoponendo tali aspetti al contraddittorio tra le parti.
6. L’ordinanza impugnata deve percio’ essere annullata con rinvio alla Corte di appello di Perugia; e cio’ in quanto, in tema di revisione, la regola di cui all’articolo 634 c.p.p., comma 2, – per la quale, in caso di accoglimento del ricorso avverso ordinanza di inammissibilita’ della richiesta, la Corte di cassazione rinvia il giudizio ad una diversa Corte di appello, individuata ai sensi dell’articolo 11 c.p.p. – concerne solo il caso in cui l’inammissibilita’ sia dichiarata con ordinanza; viceversa qualora l’inammissibilita’ venga dichiarata con sentenza, il rinvio deve essere disposto – ai sensi dell’articolo 623 c.p.p., comma 1, lettera c), – ad altra sezione della Corte che ha pronunciato il provvedimento annullato (Sez. 5, n. 47624 del 10/10/2014 – dep. 18/11/2014, Guttadauro, Rv. 26168601).
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Perugia.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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